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MODELLI DI EQUAZIONI STRUTTURAL

2.3 Analisi Fattoriale

Lo sviluppo storico dell’analisi fattoriale prende avvio nei primi anni del Novecento e la sua introduzione può essere ricondotta a due particolari ricercatori provenienti da diverse discipline:

in ambito statistico il punto di riferimento principale per l’analisi fattoriale (e per altre tecniche affini) è un articolo del 1901 di Karl Pearson, in cui si fa uso di strumenti di analisi matematica a quel tempo già consolidati, come la distribuzione normale multivariata di Bravais e la teoria degli autovalori e autovettori delle trasformazioni lineari;

parallelamente, essa venne proposta in ambito psicometrico da Charles Spearman e da alcuni suoi collaboratori per misurare “l’intelligenza negli esseri umani” (qui la datazione è più incerta, ma si può collocare tra il 1904 e il decennio successivo).

Questa tecnica ha trovato in seguito un notevole successo in diversi campi del sapere scientifico. Le ragioni di questo successo risiedono essenzialmente nel fatto che l’analisi fattoriale permette di misurare proprietà che non hanno una definizione semplice e netta sul piano teorico e, conseguentemente, non sono rilevabili sul piano empirico mediante una singola operazione di misurazione. L’analisi fattoriale esplorativa (EFA – Explanatory factor analysis) non richiede la conoscenza a priori di un modello dettagliato delle relazioni esistenti tra

variabili osservate e fattori latenti. A tale fonte di indeterminatezza si aggiungono altri aspetti: molto spesso il numero di fattori coinvolti nel modello non è noto prima dello svolgersi delle analisi stesse; tutte le variabili latenti tipicamente possono influenzare tutte le variabili osservate (non si conoscono cioè a priori particolari restrizioni per la matrice ȁX contenente i factor scores) e non è possibile ipotizzare una correlazione tra errori di misura ( ) per motivi di identificazione del modello.

L’analisi fattoriale esplorativa è un modello per la risoluzione di un insieme di variabili osservate in termini di un ridotto numero di variabili ipotetiche, dette appunto fattori. Tale metodologia cerca di spiegare le correlazioni tra le variabili osservate e, quando ha successo, porta ad individuare dei fattori latenti, in numero inferiore al numero delle osservate, contenenti tutta l’informazione essenziale circa le interrelazioni lineari fra esse. I principi ispiratori dell·analisi fattoriale esplorativa sono essenzialmente due:

1. indipendenza lineare condizionata: i fattori danno conto di tutte le relazioni lineari fra le variabili osservate, ovvero al netto dell’influenza dei fattori non rimane correlazione tra di esse. Tale principio è tradotto in termini modellistici imponendo la diagonalità della matrice di covarianza degli errori di misura (Ĭį);

2. struttura semplice: nella definizione della struttura parametrica del modello molto spesso si impone la condizione ĭ = I: mentre la restrizione ad uno dei coefficienti situati nella diagonale principale di tale matrice risale alla necessità di definire un·unità di misura per le variabili latenti, l’uguaglianza a zero dei rimanenti parametri (ovvero delle correlazioni tra i fattori) è posta invece per stimare in modo conveniente il modello. Una volta stimato il modello infatti l’insieme dei fattori può essere soggetto a rotazione, o ad una qualche trasformazione lineare in un altro insieme di fattori, al fine di facilitarne l’interpretazione senza tuttavia modificare la soluzione iniziale (in altre parole le procedure di rotazione non andranno ad intaccare la comunalità e la varianza unica delle variabili osservate).

A questo punto è bene approfondire il concetto di rotazione della soluzione derivata dall’applicazione di un’analisi fattoriale esplorativa poiché nel seguito sarà proprio attraverso questa procedura che emergeranno in maniera chiara le prime indicazioni per la selezione delle variabili. La rotazione è utile per semplificare l’operazione di interpretazione dei fattori, secondo il principio della ricerca di una struttura semplice. L’operazione di rotazione è così definita poiché le variabili manifeste possono essere viste come punti-vettore in uno spazio a K dimensioni, dove K è il numero dei fattori. Ciò che viene ruotato sono dunque gli assi di riferimento e cioè proprio i fattori stessi. La rotazione non fa altro che ridefinire in modo più opportuno le coordinate dei vettori che rappresentano le variabili, lasciando inalterata la posizione relativa degli stessi. Essa ha un’utilità di carattere semantico, se i fattori estratti sono due o più, in quanto nella pattern matrix non ruotata, solitamente, ogni variabile ha legami diversi da zero con più fattori e ciò rende difficile distinguere questi ultimi e interpretarli. Con la rotazione, si cerca, in linea di massima, di far passare gli assi di riferimento (fattori) tra addensamenti di punti-vettore (variabili) in modo che siano il più distinti possibile da altri addensamenti, che saranno attraversati da altri assi. Anche per le rotazioni sono disponibili metodi diversi: esse sono classificabili in rotazioni ortogonali, dove la rotazione degli assi è soggetta al vincolo della perpendicolarità tra gli stessi; e rotazioni oblique, dove tale vincolo è rilasciato del tutto o parzialmente. I metodi di rotazione disponibili sono moltissimi ma i più comunemente utilizzati da parte dei ricercatori (ed oggetto di studio nella presente ricerca) sono:

1. VARIMAX

Varimax ha come effetto, in linea di principio, quello di ottenere che parte dei coefficienti di ogni colonna di ȁX siano molto prossimi a 1, altri molto prossimi a zero e pochi di essi di grandezza intermedia. In tal modo i fattori tendono a essere molto distinti tra loro, cosicché l’operazione di etichettamento dovrebbe essere agevolata. Non sempre è possibile ottenere una struttura semplice mantenendo l’ortogonalità dei fattori; se però ciò è possibile, allora Varimax è la procedura più efficace.

2. PROMAX

Questo metodo prende avvio da una soluzione ortogonale, quale potrebbe essere Varimax. I factor loadings ottenuti vengono poi elevati a potenza: al crescere dell’esponente le grandezze dei coefficienti diminuiranno e tale diminuzione sarà tanto più rapida quanto più piccoli saranno i valori di partenza. La prima soluzione ortogonale viene poi ruotata tramite un metodo obliquo in modo tale da approssimare al meglio la matrice dei coefficienti elevati a potenza. I fattori risulteranno tanto più correlati tra loro, quanto più alte saranno le potenze cui sono elevati i coefficienti iniziali.

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