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La gioia ritrovata appartiene al mondo della non – fiction e, da un punto di vista letterario, si

presenta come esempio di memorie scritte che faremo rientrare nel genere del memoir, essendo il libro di Aleksandra Kożuszek una breve raccolta in prosa dei ricordi dell‟autrice stessa relativi ad un determinato avvenimento che ha profondamente segnato la sua esistenza e in seguito condizionato il suo futuro. Si tratta di un genere che spesso si rivela essere una lettura dell‟anima, dei ricordi, dei momenti importanti della vita di una persona. Un memoir non è la mera storia della vita dell‟autore, bensì uno scorcio di essa, rilevante perché carico a livello emozionale ed esperienziale; lo si può anche considerare un modo per fermare nel tempo un‟emozione e il concretizzarsi del desiderio di condivisione con gli altri del proprio mondo interiore.

2 A. Kożuszek, Jak doświadczenie choroby psychicznej może być wykorzystane w edukacji?, cit., p. 5.

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Capita che la memorialistica venga fatta coincidere con il genere autobiografico, ma i due generi sono distinti sebbene presentino un certo grado di affinità.4 Il memoir viene definito da Tristine Reiner un genere “democratico”,5 in quanto può scaturire dalla penna di persone comuni, e non per forza di persone letterate, illustri o di rilevanza storica, dal momento che acquista valore dal suo essere testimonianza di un‟epoca, di un fatto storico, di un certo ambiente sociale, di una data condizione, etc. Certamente, sia nel memoir che nell‟autobiografia, troviamo ricordi appartenenti al passato però, mentre l'autobiografia ha la pretesa di raccontarci dei fatti, il memoir si limita a riportare ciò che il soggetto ricorda, le sue memorie per l‟appunto (sentimenti, emozioni, sofferenze, dolore, nostalgia, rimpianti). Alla base del memoir c‟è la soggettività del ricordare, intesa sia come libertà di scelta (preferire un ricordo ad un altro da inserire nel proprio memoir) sia come limite imposto dalla nostra stessa mente (eventi, sensazioni, sentimenti l‟autore li scrive così perché è così che li ricorda). Ovviamente, l‟autore non dovrebbe alterare la verità nella stesura delle proprie memorie, altrimenti si entrerebbe nel campo della fiction. È vero che i ricordi talvolta possono essere imprecisi, da un lato perché filtrati dalla soggettività e dall‟altro perché filtrati dal tempo trascorso, ma l‟onestà da parte dell‟autore deve pur sempre rimanere il principio guida nella stesura di un memoir. L‟autobiografia ha poi l‟obbligo di rispettare gli eventi e di ricostruire i fatti, non potendo dunque rinunciare ad un riscontro oggettivo tra realtà e scrittura: quel che viene raccontato, insomma, è verificabile. Nel memoir, invece, ciò che conta è la verità emotiva poiché in esso la memoria è legata alle emozioni vissute. La poetessa e premiata scrittrice di memoir Judith Barrington, infatti, fa una distinzione tra factual truth ed emotional truth, vale a dire tra una verità oggettiva e una verità emotiva.6 Sfruttando la memoria emotiva ci si può spostare avanti e indietro lungo l‟asse temporale del proprio mondo interiore, andando a formare legami e associazioni spontanee che ricostruiscono gli eventi non tanto nella loro precisione storica, quanto per il significato che essi hanno assunto.7 È quanto affermato anche dal giornalista di origini polacche Włodek Goldkorn, responsabile del settore cultura del settimanale L’Espresso:

4 C. Masia, Scrivere il memoir. Come utilizzare i ricordi per scrivere di se stessi con autenticità, Dino Audino Editore, Roma 2010, pp. 19 – 21.

5 T. Reiner, Your Life as a Story: Writing the New Autobiography, G. P. Putnam‟s Sons, New York 1997, citato in C. Masia, op. cit., p. 22.

6 J. Barrington, Writing the Memoir: From Truth to Art, Eight Mountain Press, Portland (OR) 1997, citato in C. Masia,

op. cit., p. 19.

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Il memoir non pretende di inserire la vicenda personale dell'autore nel grande flusso della storia, si limita a narrare le emozioni e le riflessioni di chi scrive di fronte a un evento che dà il via al racconto.8

Pertanto, si può affermare che l‟autobiografia è legata alla verità, mentre il memoir all‟autenticità. Il memoir, al contrario dell‟autobiografia, non segue necessariamente un ordine cronologico, presentando quindi le caratteristiche della discontinuità e della frammentazione per quanto riguarda i ricordi in esso presenti. Un‟altra differenza esistente tra memoir ed autobiografia consiste nel fatto che il primo, come detto sopra, presenta uno scorcio della vita dell‟autore, mentre la seconda tendenzialmente copre la vita intera di chi la scrive, includendo anche dettagli della sua vita sia pubblica che privata. La biografia, invece, è la storia della vita di qualcuno scritta da un‟altra persona.

È interessante la posizione di Tristine Reiner che, facendo riferimento al memoir, lo definisce

New Autobiography, andando quindi ad evidenziare il rapporto di continuità tra i due generi e

offrendoci, forse, la possibilità di intendere il memoir come una sorta di evoluzione dell‟autobiografia:

[la Nuova Autobiografia] è nuova perché è scritta da voci nuove, e non soltanto quelle che rappresentano la visione dall‟alto, ufficiale e dominante. È nuova perché è scritta come scoperta del sé e non come autopromozione. [...] Stilisticamente è nuova perché utilizza le strategie dello “storytelling”, come scene e dialoghi, prese in prestito dalla finzione narrativa.9

Veniamo ora alle caratteristiche e alle tecniche di scrittura di un memoir, analizzandone la loro presenza nell‟opera di Aleksandra Kożuszek La gioia ritrovata, la cui prima ed inedita traduzione in italiano – da noi proposta – costituisce il successivo capitolo IV. Anzitutto, un memoir è scritto in prima persona secondo il punto di vista dell‟autore, che racchiude in un‟opera, scritta in prosa o in versi, i propri ricordi relativi ad un determinato avvenimento o ad una certa fase significativi nella propria esistenza. Anche Aleksandra Kożuszek scrive in prima persona le proprie memorie sulla dolorosa esperienza della malattia psichica, dando quindi voce vivida ai propri ricordi, emozioni e stati d‟animo nel corso dei dodici capitoli del libro; solo nella prefazione e nella postfazione abbiamo due voci diverse, rispettivamente quella fortemente ed emotivamente coinvolta del marito Konrad Kożuszek e quella del medico psichiatra Bogdan De Barbaro, figura che ha accompagnato il trattamento di cura della paziente. Ogni memoir presenta un tema o un focus particolari e, come

8 W. Goldkorn, Memoir famigliare, L’Espresso, 4 marzo 2009; articolo disponibile anche nell‟archivio online del settimanale all‟indirizzo www.espresso.repubblica.it.

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già detto, La gioia ritrovata si concentra sulla malattia psichica che l‟autrice ha dovuto affrontare, con tutte le conseguenze del caso, e sul suo faticoso e progressivo ritorno in salute. Naturalmente, un memoir non può contenere tutto ciò che si potrebbe trarre da quella determinata parte di vita dell‟autore, ed è in virtù di tale ragione che gli eventi vengono selezionati, raccontati e analizzati per il significato relativo allo scopo del libro. Per il memoir di Aleksandra Kożuszek vale lo stesso discorso, possiamo però aggiungere che La gioia ritrovata è stata scritta una ventina di anni dopo l‟ultimo ricovero in clinica psichiatrica, per cui anche il lasso temporale intercorso agisce come filtro sui ricordi dell‟autrice e, ancor di più, a fare da filtro ai suoi ricordi è senza dubbio il lieto fine della sua storia, che getta un fascio di luce positiva e carica di speranza su quanto a lei accaduto. È dunque alto il grado di soggettività: ricordi, emozioni, sensazioni, sentimenti, sofferenze vengono presentate esattamente come è lei stessa a rammentarli. Come detto sopra, il memoir non segue l‟ordine cronologico dei fatti, spaziando invece avanti e indietro nel mondo interiore di chi scrive e giungendo quindi ad una frammentazione dei fatti presentati e ad una sorta di loro voluta giustapposizione. Quanto appena affermato appare evidente ne La gioia ritrovata, dove l‟autrice non parte dall‟esordio psicotico per poi seguire lo sviluppo e l‟andamento della malattia, presentando infine il trattamento di cura e il processo graduale che l‟hanno condotta alla guarigione. Di queste fasi Aleksandra Kożuszek riporta alcuni ricordi, momenti, emozioni e stati d‟animo, da lei stessa prescelti, raccontati, riorganizzati non in successione temporale e, talvolta, commentati. Non possiamo, però, dire che ne La gioia ritrovata sia presente un vero e proprio flusso di coscienza: l‟autrice non sfrutta a pieno questa tecnica narrativa, che le avrebbe permesso di associare e rappresentare liberamente i propri pensieri così come le venivano in mente, prima di essere riorganizzati in frasi secondo un principio logico.

Altro elemento che non compare ne La gioia ritrovata sono i dialoghi, anche se in un memoir possono essere inclusi, tenendo però presente che sono poche le persone ad essere in grado di ricordare con precisione ogni parola pronunciata; il dialogo pertanto è difficile che sia letteralmente vero, mentre è più facile che l‟autore tenti di ricrearlo il più accuratamente possibile.

Da ultimo, ma non per questo meno importante, un‟opera che presenta le memorie dell‟autore può rivestire una grande importanza per l‟autore stesso che, grazie all‟aver messo nero su bianco una parte del proprio vissuto, può gettare uno sguardo critico su quanto gli è accaduto giungendo ad una sorta di nuova comprensione o lezione in merito. Aleksandra Kożuszek nel suo libro dichiara: “Attraverso la prospettiva del tempo, mi accorgo che tali esperienze in qualche modo sono state necessarie per raggiungere la maturità e lo stato di equilibrio in cui mi trovo adesso”.10 Nel corso della lettura del libro traspare chiaramente l‟influenza che ha avuto su di lei l‟esperienza della

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malattia psichica, e a vari livelli: personale, interpersonale, spirituale e professionale. È lei stessa a scrivere:

Qualche volta mi sono chiesta come sarebbe stata la mia vita se non avessi un passato segnato dalla malattia psichica. Sarei la stessa persona di oggi? Piena di gioia e gratitudine nei confronti di Dio per ogni giorno ricevuto?11

E, molto probabilmente, leggere il memoir potrebbe cambiare anche lo sguardo di noi lettori su una dimensione che abitualmente ignoriamo.

Un memoir è tale perché quel che tira fuori è una storia condivisibile, non una storia illustre,

stra–ordinaria nel senso dell‟eccellenza. Quel che c‟è di straordinario è piuttosto la

reinterpretazione del proprio passato e il concedersi, con la forza del desiderio assunto in prima persona, una definizione nuova del presente.12

Concludiamo il paragrafo portando degli esempi di alcuni memoir, a dimostrare il bisogno profondo dell‟uomo di dare una forma, una traccia e, forse, anche un senso ai propri ricordi, al proprio mondo interiore e alle proprie esperienze.

Il memoir è stato il genere letterario prescelto da soggetti marginali e migranti negli Stati Uniti alla fine del XX secolo. Un esempio sono i memoir delle autrici italo-americane, tra cui Louise DeSalvo, Mary Cappello, Kim Ragusa e Helen Barolini, che raccontano storie di migrazione (dall‟Italia verso l‟America) e storie di mancata integrazione nel territorio di accoglienza: scrivere il

memoir ha permesso loro di esplorare il proprio passato e, di conseguenza, di ridefinire la propria

identità nel presente, quasi come una forma di scrittura terapeutica. Ricordiamo Vertigo13 di Louise DeSalvo, memoir scritto a distanza di molti anni dai tragici eventi che hanno colpito la sua vita di adolescente e giovane donna, offrendo un ritratto della provincia americana del dopoguerra e raccontando il suo complesso rapporto con la cultura italiana di provenienza. E poi, La pelle che ci

separa14 di Kim Ragusa, opera in cui è il colore della pelle ad essere motivo di conflitto e di emarginazione, ma anche in questo caso esplorando la propria memoria si va alla ricerca delle proprie origini, riuscendo a riappropriarsi del passato e, nel contempo, affermando l‟appartenenza al mondo presente.

Anche le dipendenze talvolta sono state raccontate per mezzo del genere letterario del memoir proprio per il fatto che esso permette agli autori di immergersi nelle loro esperienze passate e giungere, mediante la scrittura, ad una reinterpretazione dei fatti da cui poter ripartire per

11 Si veda la nostra traduzione al cap. seguente, p. 92.

12 C. Masia, op. cit., p. 25.

13 L. DeSalvo, Vertigo, Nutrimenti, Roma 2006.

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comprendere il presente. Il corpo non dimentica15 presenta pagine intime dei tre anni in cui l‟autrice

Violetta Bellocchio ha vissuto il binge drinking, vale a dire l‟assunzione elevata di bevande alcoliche fuori pasto; il suo memoir inizia con una sorta di cronologia dei fatti della sua vita, diventando poi una cronologia degli stati psichici, fisici, emozionali attraverso cui passa un'alcolista. Gli anni dal 2002 al 2005 sono per lei tre anni di vuoto dei quali conserva solo singole immagini o situazioni: la memoria di quel periodo verrà recuperata attraverso il gioco delle parole e dei ricordi a partire da ventotto parole che la aiuteranno a dare voce al sé appartenente al passato.

Come nel caso di Aleksandra Kożuszek, il memoir si presta al racconto della malattia vissuta da parte di chi lo scrive. Della malattia psichica alle volte non è facile parlarne apertamente, poiché lo stigma è sempre pronto ad agire dietro l‟angolo, ma scriverne può portare alla luce del sole il profondo disagio che sono costretti a vivere i pazienti. Ne La barca dei folli.Viaggio nei vicoli bui della mia mente16 Stefano Dionisi, di professione attore, parla del suo male iniziato con un ricovero coatto in una struttura psichiatrica, prima tappa del viaggio lungo quattordici anni nei vicoli bui della mente, per riutilizzare le parole del sottotitolo del libro. Il suo bagaglio di sofferenze è pesante: crisi psicotiche, manie persecutorie e distorsione della realtà derivanti da un disturbo ereditariodovuto al cattivo funzionamento di alcuni geni, per cui sono stati necessari ricoveri in più cliniche, terapie, analisi e psicofarmaci. Gli era stato proposto che venisse scritto un libro su quanto gli era accaduto ed è significativa, a nostro parere, la sua posizione:

Rifiutai la proposta di affidare il testo a un ghostwriter e mi misi a tavolino con carta e penna. Ne scaturirono, all‟inizio, solo una ventina di pagine che piano piano integrai con i ricordi di persone e situazioni che affioravano dalla mia mente.17