• Non ci sono risultati.

Di seguito, si presenteranno alcuni testi poetici dei Poeti der Trullo, estratti dal libro Metroromantici (2015) e dal sito web www.poetidertrullo.it.

Lo studio delle opere è stato condotto con l’obiettivo di descrivere due aspetti dell’attività dei Poeti: in pri-mo luogo, si è voluto fornire un quadro degli elementi testuali e poetici che contraddistinguono le opere del gruppo, quali la presenza del “verso libero”, la forma metrica adoperata, le figure retoriche e via dicendo, in modo da sostenere l’effettiva funzione espressiva e artistica del dialetto. In secondo luogo, si è presa in esame la varietà adoperata e sono stati individuati i tratti linguistici che caratterizzano il romanesco mo-derno, ampiamente descritti da studiosi quali P. D’A-chille, L. Lorenzetti, A. Stefinlongo. In questo modo, l’analisi ha fornito una documentazione evidente del-la presenza deldel-la varietà romana nelle opere dei Poeti. A questo proposito, proprio perché sarebbe risultato superfluo, si è deciso di tralasciare le poesie in italia-no.

Le opere dei Poeti der Trullo appartengono alla let-teratura moderna, e si caratterizzano per la frequen-te presenza del verso libero. Come afferma Beltrami (cfr. 2002), nel corso del Novecento si è assistito a un mutamento della poesia e delle sue strutture, come reazione a ciò che essa rappresentava nei secoli pre-cedenti. Il verso libero nasce dal rifiuto della tradizio-ne metrica e poetica; scopo di tale verso, come sug-gerisce anche il nome, è la «“liberazione” della poesia dalla “prigionia” del metro» (Beltrami 2002, p. 181). Il verso libero si accompagna, inoltre, a un uso libero delle forme metriche tradizionali, come il sonetto. Tra i grandi poeti che diedero inizio alla rivoluzione del verso e della metrica, si ricorda Baudelaire con Petits

poèmes en prose e Walt Whitman con Leaves of Grass

(1885). Lo scopo delle loro opere era quello di cre-are la “prosa in versi” e il “verso in prosa” (cfr. Bel-trami 2002). In Italia, un antecedente del verso libero appare negli anni 1841-42, con le traduzioni a cura di Niccolò Tommaseo dei canti illirici e greci. Vanno ricordati poi i Semiritmi di Luigi Capuana (1888). La libertà metrica si riscontra anche in alcuni testi

dan-nunziani delle Laudi, anche se inseriti all’interno di strutture definite. Con il Futurismo di Marinetti e la poesia in prosa francese, si raggiunge l’esasperazione della liberazione metrica del Novecento.

In base a quanto appena esposto, nell’analisi dei te-sti in quete-stione, quindi, non si darà particolare impor-tanza alla regolarità del verso, ma si porrà attenzione ad altri elementi linguistici e caratteristici della poe-sia. I Poeti der Trullo, in linea con la nuova metrica “libera” novecentesca, si contraddistinguono per un ampio utilizzo di forme tradizionali come il sonetto e la presenza quasi costante della rima, ma sembra che seguano il principio secondo cui «il verso “non può” essere del tutto regolare, se non “per caso”». A tal pro-posito, secondo Beltrami (2002), per quanto riguarda la poetica del XX secolo si può parlare di “verso ac-centuativo”. Secondo l’autore, l’unità ritmica diventa completamente indipendente dalla forma del verso, per cui la disposizione degli accenti assume maggior valore del numero delle sillabe. Nel verso libero, in-fatti, vi è una persistente tensione tra la regolarità della struttura del discorso segmentabile in versi, e l’irregolarità stessa di questi ultimi. Tale contrasto coinciderebbe, sempre secondo l’autore, con una ten-sione culturale e storica, perfettamente riscontrabile, secondo l’opinione personale della sottoscritta, nella poetica dei Poeti der Trullo. Come ultimo esempio di metrica libera, più recente e affine alla tipologia delle poesie in questione, si citano le opere di Pier Paolo Pasolini. Il poeta, infatti, varia la misura del verso, al-lontanandosi volontariamente dal metro (cfr. Beltra-mi 2002).

Per questioni di limiti di spazio, in quel che segue saranno presentate ed analizzate alcune delle poesie in dialetto che, nella produzione dei Poeti, sono da considerare come le più rappresentative delle scelte stilistiche e di metrica da loro praticate. L’analisi stili-stica sarà seguita dall’individuazione dei tratti lingui-stici dialettali più comuni e caratterizzanti la varietà linguistica utilizzata.

La prima struttura riportata è quella del sonet-to, chiaramente rivisitato in chiave moderna. Come esempio, si riporta L’amore che sento di Inumi Laco-nico.

Nel testo si incontra la struttura tradizionale del netto, costituito da due quartine e due terzine. Il so-netto originario richiede 14 endecasillabi, la prima parte (l’ottava o quartine) può avere lo schema ABA-BABAB o lo schema ABBA ABBA, mentre la seconda parte (le terzine) richiedono la sequenza CDE CDE o CDC DCD.

L’amore che sento, Inumi Laconico

L’amore che sento in questo momento è de ‘na bellezza feroce, inaudita. Supera er mare. Gareggia cor vento. Me toje ‘l respiro. Me cionca le dita. La rabbia che ‘n tempo bruciava dentro de botto me pare che s’è raddorcita. D’avella sentita però nun me pento. A esse più forte, lo so, m’è servita. Vojo esse svejo. Devo sta’ attento a vive ‘r presente. Sporcamme de vita. Vita ‘mbottita de cielo e cemento. Quello che sono è un tratto a matita. Scrivo, cancello, riscrivo ed invento, guidato da questa creazione infinita.

Come si ha modo di osservare, la rima è alternata: nella prima quartina troviamo ABAB, seguita dall’ec-cezione del primo verso della seconda quartina che termina in –ntro, per cui avremo CBAB e nelle due terzine le rime ABA BAB. Nel v. 9 troviamo un enjam-bement: «devo sta’ attento/ a vive ‘r presente». Sono inoltre presenti alcune figure retoriche, di cui si ri-porta, ad esempio, l’ossimoro bellezza feroce nel v.2, la metonimia «sporcamme de vita» nel v. 10, la me-tafora «Quello che sono è un tratto a matita al v. 12 e l’asindeto «Scrivo, cancello, riscrivo» al v. 13. I termini tipicamente romani sono diversi, vale la pena citare l’afèresi (la caduta della vocale iniziale) nell’articolo “una”, per cui al v. 2 si ha ‘na; il tipico articolo romano

er, anziché “il” al v. 3; la rotacizzazione di “l” davanti a

consonante in cor (anziché “col”) al v. 3 e in raddorcita al v. 6 (invece di raddolcita). Al v. 10, nella parola

spor-camme, troviamo la caduta della desinenza

dell’infi-nito, quindi in forma apocopata, tipicamente romana, insieme al raddoppiamento della consonante “m” e l’aggiunta del suffisso pronominale “me”.

Nelle poesie dei Poeti der Trullo è ampiamente ado-perata una semplice forma metrica costituita da quar-tine, il cui numero varia di volta in volta. La poesia qui di seguito è Fantasia sul tram, di ‘A Gatta Morta.

Fantasia sul tram, ‘A Gatta Morta

Accaldata, tutta ‘n tiro, in quel tram assai affollato Quell’odore primitivo sentivo sempre più vicino I suoi occhi sul mio seno, lo sguardo ossessionato Un grosso arabo barbuto, co’ ‘na traccia de divino Sotto il suo stivale, er piede scivola sfacciato Un’offerta remissiva a ‘na presunta onnipotenza Un invito, sospettavo, per lui ‘n po’ sofisticato Ma io spero che capisca e me metta ‘n penitenza

Lo stivale suo me sfiora, io divento tutta ‘n forno Non devi aver paura, non oppongo resistenza Me dice ‘nvece “scusa” e io penso “scusa un corno” Si offre come schiavo, ‘no zerbino de tendenza Delusa, ancora ardente, indignata guardo ‘ntorno Poi je dico ormai severa: “Non so’ mica ‘na contessa! Ordino, organizzo, faccio e disfo tutto er giorno: Almeno a letto, bello mio, vojo esse sottomessa”

Nel testo si riscontra subito il piglio ironico e provo-cante che caratterizza la poetessa. In tutto sono quat-tro quartine e la rima è alternata, con lo schema, però, che segue l’ordine ABAB ACAC DCDC DEDE, per cui la prima rima è ripresa nella strofa successiva. La lingua è un italiano di base con caratteristici tratti dialettali, come la forma apocopata della congiunzione con al v. 4, l’aferesi degli articoli “una”, “un” e “uno” e della con-giunzione “in”. Si riconosce poi la resa della laterale palatale in “gli” e “voglio” con j, che diventano je e vojo.

In quel che segue, si riporterà un esempio di una struttura poetica molto utilizzata dai Poeti, che si ca-ratterizza per la presenza della figura retorica dell’a-nafora, con la quale si intende la ripetizione di una o più parole all’inizio di versi successivi.

Ad un padre, Er Farco

Te scrivo senza fretta poche e semplici parole che non hanno chi l’aspetta. Sono fredde. Sono sole. Te scrivo quanto basta pe’ non ditte che hai sbagliato ma l’ombra tua è rimasta. Non m’ha mai abbandonato. Te scrivo da lontano, dal mio alto nascondiglio. Guardo er palmo della mano… Chissà se te rassomiglio. Brucia come sigaretta la mia anima che vòle dare spazio alla vendetta. Ma non serve. Basta er sole. L’ombra tua è troppo vasta, sangue e lacrime ha inglobato. Ma quarcosa la sovrasta: il mio cielo indisturbato. Mai sarò un gabbiano. Ho bisogno dell’artiglio. Dell’oscuro son guardiano. De nessuno sono il figlio.

La struttura è costituita da sei quartine, l’anafora è presente nei vv. 1, 5 e 9. Altre figure retoriche presen-ti sono, per esempio, la similitudine al v. 13, che recita

Brucia come sigaretta e, al verso 14, un enjambement:

«la mia anima che vòle/ dare spazio alla vendetta.» Tra i tratti linguistici romani presenti, si riporta il pro-nome personale te anziché “ti” e la rotacizzazione di “l” davanti a consonante in quarcosa al v. 19.

Si vuole ora riportare un esempio di un genere che i poeti chiamano rapoetry. La poesia si intitola Non

m’uccise la prigione, di Er Bestia. La frase è una

cita-zione della canzone Un blasfemo del cantautore Fabri-zio de André. Le rime raccontano la storia di Stefano Cucchi, ragazzo trentenne morto del 2009 durante la custodia cautelare. Ancora oggi, non si conosce la ve-rità sulla dinamica degli eventi e le cause che hanno condotto al decesso del ragazzo.

Non m’uccise la prigione, Er Bestia

Non m’uccise la prigione ma du’ guardie carcerarie Non spacciavo, me drogavo e vivevo n’aa caciara Frequentavo spesso er sert che se trova a Pignattara Ce provavo a uscinne fòri, co’ le forze mie contrarie Non m’uccise la prigione ma du’ guardie sanguinarie Che avrò fatto poi de male pe’ fini’ dentro ‘na bara? Chi lo dice a mi’ sorella che de tutto questo è ignara? C’è quarcuno che dichiara: “So’ disgrazie necessarie” Non m’uccise la prigione ma le botte straordinarie De du’ guardie che m’han messo ‘n mezzo alla cagnara “Cazzo fate?” dico io, “Statte zitto, a cuccia e impara!” Non m’uccise la prigione ma violenze immaginarie Una sorte che co’ me s’è mostrata troppo avara E la morte ha dimostrato d’esse sporca, farsa e amara

La forma metrica utilizzata è il sonetto e la rima è incrociata, vale a dire che segue l’ordine, in questo caso, ABBA, ABBA, ABB, ABB. Il titolo, Non m’uccise

la prigione, si ripete nel primo verso di ogni strofa,

con una frase diversa ogni volta dopo la congiunzio-ne “ma”. Tra le espressioni romacongiunzio-ne presenti, citiamo la resa di “nella” con n’aa, dove si osserva la caduta della laterale geminata e l’allungamento vocalico, e il termine locale caciara, per “casino, chiasso”. Al v. 4 si legge uscinne foòri, che sta per “uscirne fuori”, dove si osserva l’assimilazione di “rn” in nn e il monottonga-mento di “uò”. Al v. 6 si trova un’interrogativa costrui-ta con il “che” iniziale, fenomeno tipicamente romano. Altro termine dialettale è cagnara, al v. 10, sinonimo di caciara.

Come si è avuto modo di osservare, le poesie dei Poeti si differenziano molto le une dalle altre; sia dal punto strutturale, per cui vi sono opere di diversa

lun-ghezza e composizione, sia dal punto di vista linguisti-co e tematilinguisti-co. I temi spaziano dal sentimento d’amore o di dolore, al ricordo e alla descrizione del proprio quartiere, grazie alle opere di Inumi Laconico. I poeti manifestano i propri bisogni e le proprie ambizioni, come fa Er Pinto; o Er farco, il quale, in molte sue poe-sie, lascia intendere una profonda sofferenza interio-re. Allo stesso tempo, la poesia si fa gioco, grazie al libero erotismo e alla schiettezza di ‘A Gatta Morta. O ancora, Marta der Terzo Lotto è capace di far torna-re alla mente gli amori passati e le delusioni prova-te. «Dolore, me offri ‘n certo intervallo? / Me serve la forza pe’ arzamme e combatte» recitano alcuni versi di Gambe incrociate (Poeti der Trullo 2015), dove il dialetto, con la sua spontaneità ed espressività, rac-conta al lettore una relazione finita. Le poesie narrano quindi storie personali e ricordano eventi da non di-menticare, come nel caso di Non m’uccise la prigione di Er Bestia. Er Quercia, grazie alla sua secolare sag-gezza, sfida i sentieri dell’anima e ripercorre la strada delle sue radici.

Discussione

Dall’analisi dei testi, risulta piuttosto evidente che la lingua utilizzata dai Poeti der Trullo coincide effetti-vamente con la varietà dialettale romana moderna, con la quale condivide tratti fonetici, morfosintattici e lessicali. Questa prima constatazione ci consente di formulare una serie di osservazioni sul fenomeno in esame, soprattutto se poniamo in relazione i nostri ri-sultati con quelli degli studi precedenti citati in aper-tura.

In primo luogo, si riscontrano delle analogie tra il caso oggetto di studio e quello del Salentino nello stu-dio di Miglietta e Sobrero (2010). I due autori sosten-gono che sia possibile individuare, presso i giovani del Salento, un uso frequente del parlato mistilingue di italiano e dialetto, in precisi contesti comunicativi (informali e rilassati) e in base a determinati scopi e bisogni stilistici e pragmatici. Tale particolare situa-zione di bilinguismo caratterizza anche il comporta-mento linguistico dei Poeti, come dichiarato nella sua intervista da Inumi Laconico. Come riportato, Inumi afferma di utilizzare per la maggior parte del tempo il romano (in famiglia, con gli amici, quindi in situa-zioni informali), e di usare l’italiano a lavoro, all’uni-versità o comunque, quando la situazione richiede un registro più elevato. Con la sottoscritta, ad esempio, durante l’intervista il poeta ha usato un italiano collo-quiale con leggeri tratti locali.

In secondo luogo, per ciò che concerne la relazione tra il dialetto e la comunicazione giovanile, si ripren-de il concetto espresso da Radke (1993), secondo cui la varietà locale verrebbe utilizzata dai giovani come

strumento per allontanarsi dal linguaggio comune. Ciò è possibile perché oggi il dialetto, in particolare quello romano, non è più indice diretto di svantaggio cultu-rale e non contraddistingue più il popolazzo, la parte socialmente e culturalmente povera della popolazio-ne, ma viene scelto per svolgere determinate funzioni espressive. A tal proposito, va sottolineato che, per quanto riguarda lo strato sociale, il grado di cultura o il livello di istruzione, i Poeti non appartengono deci-samente a un ceto culturalmente basso. Ciò non si può affermare per tutti i componenti del gruppo, ma basta citare Inumi Laconico, studente di Lettere, appassio-nato di letteratura dialettale e non; o Marta der Terzo Lotto, amante dei classici greci e latini. In questo caso si tratta quindi di giovani romani, provenienti sì dal-la borgata, ma con un notevole bagaglio culturale e, come dichiara anche Inumi nell’intervista, che

scelgo-no di adoperare il dialetto in relazione

all’interlocu-tore, l’argomento e gli scopi della comunicazione. Per quanto riguarda quindi la consapevolezza dell’uso del dialetto, si può asserire che, nonostante non ricono-scano nel romanesco un dialetto effettivo, i Poeti der Trullo lo adoperano consapevolmente come codice alternativo all’italiano.

Questo elemento si allontana però, almeno in par-te, dall’ipotesi di Stefinlongo (2012), riportata nel paragrafo 1.1. Come si è visto, la studiosa riconduce l’uso del dialetto alla condizione sociale del parlante, e non alla situazione comunicativa. In base a quanto riportato finora, ciò non può dirsi vero per i Poeti der Trullo, i quali possiedono un certo livello di cultura e dimostrano di usare il romano a seconda dell’interlo-cutore e per trattare determinati argomenti, proprio perché l’italiano non sempre riesce a soddisfare tutti i bisogni comunicativi e la varierà locale risulta essere il mezzo più adeguato. Stefinlongo afferma poi, e qui si concorda con la studiosa, che i romani non ricono-scono nella varietà locale un vero e proprio dialetto. In linea con questa affermazione, è proprio Inumi La-conico a dichiarare nell’intervista di luglio: «[…] il ro-mano che usiamo noi non lo considero un dialetto, ma neanche il romanesco dell’Ottocento o di inizio Nove-cento. Immagino le parole che utilizziamo come degli stracci di un vestito che è italiano». La varietà romana risulta sì un codice ben distinto dalla lingua naziona-le, ma anche per il poeta non è possibile inserirlo tra i dialetti italiani. Allo stesso tempo, però, Inumi dichia-ra che il romano possiede specifici tdichia-ratti linguistici ed espressivi, quali l’essere spontaneo, diretto, comuni-cativo, ed è usato alternativamente all’italiano anche nella comunicazione quotidiana. L’uso di una o l’altra varietà dipende quindi dal contesto.

Inoltre, a ulteriore sostegno dell’ipotesi che il dialet-to romano svolga oggi una precisa funzione culturale e

sia utilizzato consapevolmente a questo scopo, è utile ricordare che la ripresa della varietà dialettale roma-na come strumento creativo è un fenomeno in conti-nua crescita presso i giovani. Basti ricordare l’ambito musicale, nel quale molti gruppi riutilizzano forme ti-picamente locali, come il gruppo Radici nel Cemento o il gruppo Ardecore, che riscopre i cantautori e gli stor-nelli di un tempo. I Muro del Canto, band che, in colla-borazione con gli Ardecore e i Banda Jorona, propone una raccolta della canzone romana in vinile, secon-do l’attuale folk romanesco. In aggiunta, Anna Maria Boccafurni, nel saggio S.P.Q.R(AP): il romanesco nella

musica rap (2012), afferma che il genere musicale rap

contribuisce particolarmente alla ripresa del roma-nesco. Secondo la scrittrice, nel rap i giovani sono in grado di dare libera espressione alle parole, e in esso vi trovano una naturale opposizione non solo verso le istituzioni sociali, ma anche verso la lingua nazionale, la quale non sembra capace di rappresentarli, perché troppo rigida, poco spontanea e diretta. Tra le band rap più note al pubblico si ricordano i Colle der Fo-mento, i Cor Veleno, i Flaminio Maphia, i TruceKlan, quest’ultimo nato dalla fusione dei Truceboys e dei In the Panchine. O anche i Beastie Boys, amati proprio da Er Bestia. Lo stesso Inumi Laconico, nell’intervista al Manifesto (27 marzo 2014), dichiara che «I rapper sono i nuovi cantautori. Danno voce a un sentimen-to collettivo, a degli stati d’animo». Si riscontra, poi, un’importante analogia tra il rap romano e i l’opera dei Poeti der Trullo: entrambi scelgono di assumere tratti tipicamente locali non solo come opposizione alla lingua nazionale e di conseguenza al sistema, ma anche come dimostrazione dell’orgoglio di essere ro-mano, di riappropriazione delle proprie radici (cfr. Boccafurni 2012), e lo stesso confessa Inumi nell’in-tervista di luglio.

Conclusioni

La produzione letteraria dei Poeti der Trullo è