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L’analisi delle società scientifiche

di Franco Vimercati

Presidente della Federazione delle Società medico-scientifiche italiane (Fism)

I

l recente Regolamento sugli standard mira a garantire la miglior assistenza sanita-ria possibile in un momento congiunturale di difficoltà economica per il nostro Paese.

La logica che guida il provvedimento è di mantenere in essere il sistema univer-salistico italiano, tanto invidiato da molti Paesi, specie extraeuropei, laddove il con-cetto di universalismo e di solidarietà non fa parte del Dna culturale. In queste na-zioni molti cittadini non possono usufruire di un vero aiuto da parte della comunità attraverso l’utilizzo del sistema impositivo nazionale, in quanto non pre-visto dalle rispettive Costituzioni.

La revisione dei nuovi standard è stata resa necessaria anche in virtù della libera circolazione dei pazienti nelle varie nazioni europee, ai quali devono essere ov-viamente assicurati almeno degli standard condivisi in Europa.

Questo sforzo ha anche il fine di garantire la potenzialità e l’uniformità di tratta-mento del cittadino-paziente su tutto il territorio nazionale, dove devono essere garantiti i nuovi Lea. L’articolo 32 della nostra Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collet-tività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”

Per raggiungere questo obiettivo, in un momento di congiuntura economica av-versa e senza risorse incrementali del Fondo sanitario nazionale, serve essenzial-mente la razionalizzazione dei processi di diagnosi e cura con lo scopo di evitare gli sprechi, riducendo le strutture duplicate e i ricoveri non appropriati, mante-nuti in essere al fine di raggiungere gli standard minimi previsti dalla normativa. Diventa inoltre indispensabile l’integrazione organizzata con il territorio. Analizzando il documento salta ovviamente all’occhio la riduzione dei posti letto per acuti condotta nella logica del risparmio ma che necessita, per non creare disservizi, di una razionalizzazione dei percorsi di presa in carico e soprattutto di dimissione pro-tetta nei casi in cui il paziente non abbia più necessità di un ricovero per acuti. Questa scommessa potrà essere vinta, senza creare malcontento per i cittadini, solo

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con la collaborazione tra ospedale, territorio e as-sistenza sociale e se saranno coordinati verso la fi-nalità di cura necessaria a 360 gradi.

La necessità di definire standard strutturali per gli ospedali e le strutture territoriali deve essere con-divisa, oltre che in sede regionale, anche a livello nazionale per risolvere in modo non conflittuale le problematiche delle realtà ospedaliere di grandi dimensioni poste ai confini tra più regioni. Gli standard tengono conto di queste realtà, ma serve che le decisioni vengano condivise sia per quanto riguarda gli aspetti tecnici, sia per quanto ri-guarda gli aspetti medico-assistenziali che de-vono essere visti nell’interesse dei cittadini da un lato e degli operatori dall’altro.

La necessità di rivedere gli standard qualitativi è resa necessaria della maggior conoscenza degli standard stessi da parte dei pazienti e degli ope-ratori. Sotto questo punto di vista la necessità di rivedere e attualizzare gli standard qualitativi, da parte delle Società scientifiche, diventa un obbligo impellente in quanto la definizione del chi fa che cosa è premessa prioritaria a qualsiasi ristrut-turazione o accorpamento di strutture sanitarie e socio assistenziali.

I requisiti minimi nazionali risalgono al Dpr 14.01.1997 e solo alcune Regioni hanno legife-rato introducendo requisiti ulteriori in grado di garantire la qualità delle prestazioni erogate per il paziente e tutelare gli operatori che operano nelle strutture eroganti le prestazioni. La necessità di ri-visitare questi requisiti va ben oltre allo scopo di identificare i bacini di utenza e la loro distribu-zione territoriale.

La necessità del coinvolgimento collaborativo delle società scientifiche e delle professioni sani-tarie deve essere messo a tema in quanto la rea-lizzazione della qualità della prestazione si ot-tiene tenendo conto di tutti i parametri necessari e prevedendo, eliminandoli, i punti critici. Per questo motivo la collaborazione tra Agenas e

Fism costituisce un valido strumento per generare e favorire meccanismi di condivisione anche tra le varie specializzazioni chiamate in causa. Il pro-tocollo di Intesa siglato recentemente potrà essere un supporto scientifico irrinunciabile per la com-missione incaricata di elaborare linee guida entro 90 giorni dall’entrata in vigore del Regolamento e potrà contribuire al mantenimento degli stan-dard ai livelli più alti possibili a garanzia del pa-ziente e degli operatori.

Un altro settore in cui l’integrazione organizza-tiva è indispensabile è quello della gestione del-l’urgenza su tutto il territorio nazionale che deve essere coordinata non solo a livello regionale, abolendo le sovrapposizioni e i doppioni struttu-rali che determinano costi di gestione che pos-sono essere ridotti proprio grazie all’integrazione dei sistemi 118, con una visione nazionale e con sottosezioni regionali.

La stessa visione deve orientare l’identificazione dei centri di eccellenza per le malattie rare o per le patologie di alta complessità in cui il numero e l’efficacia dei casi trattati deve essere l’unico cri-terio di attribuzione della qualifica di “struttura di eccellenza per una determinata o un determinato gruppo di malattie” evitando così la proliferazione di strutture che non raggiungono, nel loro com-plesso, un numero minimo di prestazioni a ga-ranzia sia del paziente che degli operatori. Un altro passaggio delicato, che non è trattato nel Regolamento degli standard, è il possesso di ca-pacità professionali specifiche per una determinata specializzazione da parte degli operatori. È indi-spensabile che le società scientifiche identifichino e aggiornino costantemente le capacità professio-nali degli specialisti, specie se sono dedicati alle problematiche dell’urgenza o se sono inseriti in strutture di riferimento. Un modo efficace per ri-durre i costi sociali è investire sulla professionalità degli specialisti, che non può più essere limitata alla mera acquisizione del titolo universitario ma deve

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essere garantita dal costante aggiornamento, di cui la società scientifica deve farsi carico, identifi-cando sia gli standard professionali minimi sia quelli rivolti all’eccellenza. Chi non ha la profes-sionalità adatta non può essere inserito in una struttura compromettendo la capacità di fornire una risposta efficace al paziente. Ciò non toglie ov-viamente la possibilità di formare specialisti di settore super specialistico ma, comunque e sempre, in aggiunta ai criteri professionali di base, aggior-nati anche in funzione delle metodiche e delle procedure chirurgiche o mediche attualizzate. Una riflessione a parte merita la logica dei bacini di utenza che, a nostro giudizio, dovrebbero essere ben valutati in sede regionale, pur mantenendo gli obiettivi economici espressi nel Regolamento, in quanto la disposizione delle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate esistenti determina, in alcuni casi, un sovradimensionamento in alcune zone e un sottodimensionamento in altre. Nei casi di strutture sanitarie regionali, i possibili accor-pamenti posso essere previsti, ma non sono ov-viamente possibili accorpamenti tra strutture pub-bliche e strutture convenzionate e ciò può creare problematiche importanti, se non vengono ben gestite.

Un altro punto da valutare è la gestione intera-ziendale di alcune specialità che è possibile, a no-stro avviso, solo per alcuni casi specifici dove si può far ricorso a consulenze formalizzate con as-sunzione di responsabilità da parte di tutti gli

at-tori. Nella logica di possibili accorpamenti di strutture sanitarie di piccole dimensioni va pre-vista l’unione amministrativa e di direzione in quanto è indispensabile rispondere a un datore di lavoro unico con l’assunzione delle relative re-sponsabilità.

Una criticità da prevedere è poi legata al prota-gonismo locale laddove chiudere o riconvertire un ospedale trova l’opposizione sia dei cittadini sia degli amministratori locali. Condividere le scelte di questo tipo è una difficoltà reale e solo la pro-posizione di un sistema di collegamento effi-ciente a più livelli e tra i soggetti coinvolti può evitare il manifestarsi di proteste tali da ingenerare tensioni sociali che rendono il Regolamento di fatto non applicabile.

Un’ultima e utile riflessione riguarda la necessità assoluta di un censimento, da realizzarsi a breve, delle strutture esistenti classificandole sia per ti-pologia di sede, sia per condizioni strutturali e or-ganizzative delle realtà sanitarie. È poco efficiente, infatti, chiudere o modificare la mission di un pre-sidio di recente costruzione mantenendo in al-ternativa una struttura fatiscente.

In aggiunta alle condizioni strutturali e ambien-tali le società scientifiche, attraverso Agenas, pos-sono mettere a disposizione esperti per valutare la qualità delle prestazioni nella struttura prima di decidere quale destino riservare alla struttura stessa in modo da rendere oggettive le scelte con-seguenti.

L’attuazione del Protocollo d’intesa