• Non ci sono risultati.

La variabile continua "durata del mediante test non parametrico di Mann

pari a 0.03. La regressione logistica univariata ha dimostrato il valore della variabile come predittore borderline negativo di recidiva con p=0.075 ed OR=0.961 (0.913

27 variabili binarie sono state valutate mediante test chi (tabella 2.5) e regressione lo

nasogastrico (p=0,026), chirurgia (p=0,041) e febbre (p=0,001) come significativamente associate all'esito. La regressione univariata identifica il sondino nasogastrico e la chirurgia come fattori predittivi negativi (p=0,019 e p=0,029) e la febbre

positivo (p=0,0009). L'età ≥ p=0,061).

utilizzati nel 36% dei casi (50/139), così come nel gruppo dei guariti (38/107). I pazienti con iva sono stati trattati con questi farmaci nel 30% dei casi (7/23) ed i deceduti nel

: terapia concomitante o successiva con farmaci ad attività specifica

La variabile continua "durata del ricovero" nei gruppi guarigione e ricovero è stata studiata mediante test non parametrico di Mann-Whitney che ha restituito un valore di p

pari a 0.03. La regressione logistica univariata ha dimostrato il valore della variabile come predittore borderline negativo di recidiva con p=0.075 ed OR=0.961 (0.913

27 variabili binarie sono state valutate mediante test chi-quadro con correzione di Yate ) e regressione logistica univariata. La prima individua le variabili s

nasogastrico (p=0,026), chirurgia (p=0,041) e febbre (p=0,001) come significativamente associate all'esito. La regressione univariata identifica il sondino nasogastrico e la chirurgia come fattori predittivi negativi (p=0,019 e p=0,029) e la febbre come fattore predittivo

≥65 ed il ricovero recente sono predittori borderline (p=0,080 e

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utilizzati nel 36% dei casi (50/139), così come nel gruppo dei guariti (38/107). I pazienti con iva sono stati trattati con questi farmaci nel 30% dei casi (7/23) ed i deceduti nel 56% dei

ricovero" nei gruppi guarigione e ricovero è stata studiata che ha restituito un valore di p significativo, pari a 0.03. La regressione logistica univariata ha dimostrato il valore della variabile come predittore borderline negativo di recidiva con p=0.075 ed OR=0.961 (0.913-0.997).

quadro con correzione di Yates . La prima individua le variabili sondino nasogastrico (p=0,026), chirurgia (p=0,041) e febbre (p=0,001) come significativamente associate all'esito. La regressione univariata identifica il sondino nasogastrico e la chirurgia

come fattore predittivo 65 ed il ricovero recente sono predittori borderline (p=0,080 e

43 Tabella 2.5: valori di p per test chi-quadro con correzione di Yates per 27 variabili binarie (guarigione vs

recidiva).

Dalla regressione logistica univariata si identificano sei potenziali predittori indipendenti di recidiva: durata del ricovero, sondino nasogastrico, chirurgia, febbre, età ≥65 e ricovero recente. Poiché l'analisi multivariata non è perseguibile, si esegue una analisi Random Forest che restituisce un out-of-bag estimate of error rate uguale al 27.43% ed una buona capacità di predizione per l'evento recidiva. L'analisi permette di ricavare l'importanza delle variabili nel garantire l'accuratezza della predizione. E' quindi possibile classificarle in ordine

decrescente di importanza.

Discussione

I dati da noi raccolti ed esaminati relativi al biennio 2012-13 permettono alcune considerazioni relative all’epidemia da CDI.

Variabile p (test chi-quadro)

Età ≥65 0,1352 Sesso 0,2078 Ricovero Recente 0,0911 Diabete 0,7484 Malattie Cardiovascolari 0,8929 Malattia Cerebrovascolare. 0,8295 BPCO 0,5934 IBD 0,8692 Trapianto 0,9069 Malattie Autoimmuni 0,8723 IRC 0,8922 Neoplasia 0,8610 Malattie Neurodegenerative 0,3077 Antiacidi 0,1253 Chemioterapia 0,1705 Farmaci Immunosoppressori 0,7583 Corticosteroidi 0,6077 Sondino nasogastrico 0,0262 * Chirurgia 0,0407 * Gastroscopia/colonscopia 0,5464 Febbre 0,0012 ** Diarrea 0,8704 Vomito 0,3202

Terapia con cefalosporine 0,7501

Terapia con chinoloni 0,8922

Terapia con β-lattamine 0,9621

Test per CDI

Nella AOUP si registra un numero di test pari a 70/10.000 g.d., un numero di test positivi pari a 7,2 /10.000 g.d. ed una incidenza di test positivi di 4,4/1000 ricoveri. La frequenza di test e di test positivi nel nostro ospedale indica valori in linea co

2.25)

Il valore di test/10.000 giornate di degenza può essere considerato come indicatore indiretto della soglia di sospetto clinico degli operatori sanitari nei confronti dell'infezione da

difficile. Esso correla positivamente con il numero di test positivi.

Figura 2.25: relazione tra test/10.000 giornate

dato AOUP con la letteratura. Adattato da: Bauer MP, et al. Lancet, 2011.

Di estrema rilevanza è il dato sui singoli reparti. La variabilità tra reparti del numero di test effettuati, e quindi di sospetto clinico, è molto elevata (range 308,2

suggerire da un lato insufficiente attenzione nei confronti della problematica con potenz sottostima del fenomeno, e dall'altro la inappropriata ed inutile ripetizione di test già positivi che non posseggono valore confirmatorio né tantomeno servono per definire la cura. Queste due tendenze sono rispettivamente prevalenti nei reparti chir

Episodi di CDI

Sussistono i criteri spazio- assunto andamento endemo

delimitato, ovvero l'ospedale, ed in un intervallo di tempo prolungato con cluster nei singoli reparti. I grafici di frequenza dei singoli reparti

Nella AOUP si registra un numero di test pari a 70/10.000 g.d., un numero di test positivi pari a 7,2 /10.000 g.d. ed una incidenza di test positivi di 4,4/1000 ricoveri. La frequenza di test e di test positivi nel nostro ospedale indica valori in linea con le casistiche pubblicate (figura

Il valore di test/10.000 giornate di degenza può essere considerato come indicatore indiretto della soglia di sospetto clinico degli operatori sanitari nei confronti dell'infezione da

tivamente con il numero di test positivi.

: relazione tra test/10.000 giornate-degenza e test positivi/10.000 giornate degenza: confronto del dato AOUP con la letteratura. Adattato da: Bauer MP, et al. Lancet, 2011.

è il dato sui singoli reparti. La variabilità tra reparti del numero di test effettuati, e quindi di sospetto clinico, è molto elevata (range 308,2

suggerire da un lato insufficiente attenzione nei confronti della problematica con potenz sottostima del fenomeno, e dall'altro la inappropriata ed inutile ripetizione di test già positivi che non posseggono valore confirmatorio né tantomeno servono per definire la cura. Queste due tendenze sono rispettivamente prevalenti nei reparti chirurgici e medici (vedi figura 2.2

-temporali per la definizione di una situazione che appare avere assunto andamento endemo-epidemico essendo i casi di CDI distribuiti in uno spazio ben ale, ed in un intervallo di tempo prolungato con cluster nei singoli I grafici di frequenza dei singoli reparti, infatti, testimoniano la distribuzione

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Nella AOUP si registra un numero di test pari a 70/10.000 g.d., un numero di test positivi pari a 7,2 /10.000 g.d. ed una incidenza di test positivi di 4,4/1000 ricoveri. La frequenza di test e n le casistiche pubblicate (figura

Il valore di test/10.000 giornate di degenza può essere considerato come indicatore indiretto della soglia di sospetto clinico degli operatori sanitari nei confronti dell'infezione da C.

degenza e test positivi/10.000 giornate degenza: confronto del

è il dato sui singoli reparti. La variabilità tra reparti del numero di test effettuati, e quindi di sospetto clinico, è molto elevata (range 308,2-2,7). Ciò potrebbe suggerire da un lato insufficiente attenzione nei confronti della problematica con potenziale sottostima del fenomeno, e dall'altro la inappropriata ed inutile ripetizione di test già positivi che non posseggono valore confirmatorio né tantomeno servono per definire la cura. Queste

urgici e medici (vedi figura 2.2).

temporali per la definizione di una situazione che appare avere epidemico essendo i casi di CDI distribuiti in uno spazio ben ale, ed in un intervallo di tempo prolungato con cluster nei singoli testimoniano la distribuzione

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irregolare degli episodi di CDI. Si possono rilevare cluster dopo più o meno lunghi intervalli liberi seguiti o preceduti da una disseminazione di casi a bassa prevalenza. Il cluster indica, quindi, con probabilità una sequenza di infezioni secondarie dopo il caso indice del periodo. La causa di questo andamento potrebbe essere la inadeguata applicazione delle misure preventive che avrebbe permesso la contaminazione del reparto da parte delle spore e la successiva infezione di altri pazienti. L'assenza di isolati da coltura e la non disponibilità di tecniche di tipizzazione limita, però, la ricostruzione degli eventi epidemici.

Gli episodi di CDI si verificano indistintamente in uomini e donne e prediligono le fasce di età più avanzate. La popolazione che presenta recidiva è, invece, prevalentemente maschile (30 vs 17) ed ha una età media leggermente più elevata (74 vs 71).

Dai dati emerge un quadro di netta prevalenza delle CDI nei ricoveri di area medica rispetto alla chirurgica. E' possibile, però, che alcuni casi di CDI vengano non diagnosticati nei reparti di chirurgia, considerata la bassa frequenza di test.

Le recidive sembrano assenti dai reparti chirurgici ed esclusivamente documentati in quelli medici ed in area ambulatoriale. E’ probabile che il paziente chirurgico che recidiva dopo la dimissione venga poi assistito in un reparto medico o in ambulatorio.

Pazienti con CDI

La limitata letalità osservata nella nostra casistica (6% dei 139 casi esaminati) appare nel range più basso della letteratura e potrebbe essere legata sia ad un generale migliore performance status dei pazienti sia alla assenza di ceppi ipervirulenti (ad es. 027).

I dati demografici confermano il coinvolgimento delle fasce di età più avanzate. Non si sono verificati casi di recidiva in pazienti con meno di 42 anni e nessuno dei deceduti aveva meno di 63 anni. Nella popolazione esaminata, l'età media dei deceduti è maggiore rispetto agli altri gruppi. Inoltre, dall'analisi emerge che la recidiva ha maggiore probabilità di presentarsi nel sesso maschile rispetto al sesso femminile.

La comorbidità in assoluto più frequente è quella cardiovascolare, presente nel 51%, 57% e 56% rispettivamente dei guariti, recidivati e deceduti. Due differenze apparentemente rilevanti sono quelle che riguardano le malattie cerebrovascolari e neurodegenerative. Le prime sono più frequenti nei pazienti deceduti (33% vs 26% e 22%), mentre le seconde sono più frequenti nel gruppo dei pazienti con recidiva (26% vs 13% e 11%). Il risultato può essere interpretato considerando i lunghi tempi di ricovero per cura e riabilitazione e l’alto tasso di ospedalizzazione a cui queste categorie di pazienti vanno incontro.

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Tra gli indicatori di esito, il ricovero recente, presente nella totalità dei pazienti deceduti, testimonia uno stato di salute già compromesso ulteriormente complicato dall’episodio di CDI. La terapia antibiotica non specifica è presente nei tre gruppi di esito ed è perciò impossibile valutarne l’impatto. L'uso degli inibitori di pompa protonica è minore nel gruppo delle recidive e dei decessi rispetto al gruppo dei guariti. Questo dato, non armonico con la letteratura, contribuisce a tenere aperto il dibattito sull'effettivo ruolo che i PPI hanno nella patogenesi della CDI.

La diarrea è il sintomo ovviamente più frequente. Febbre e vomito, invece, nel campione analizzato sono molto più documentati nelle recidive e nei decessi rispetto alle guarigioni, a testimoniare la maggiore gravità del quadro e, forse, la presenza di un ceppo ipervirulento (ad es. ceppo 027).

La durata della diarrea è maggiore nei pazienti deceduti a conferma del ruolo che CDI ha come grave complicanza.

L'intervallo sintomi/test positivo, doppio nel gruppo dei deceduti rispetto agli altri, indica una latenza media di 4 giorni. Tale intervallo può essere dovuto a: ritardo nel prelievo del campione, ritardo nel trasporto del campione, ritardo nell'esecuzione del test. Un ritardo diagnostico si traduce in un ritardo nella somministrazione della terapia e quindi in un possibile peggioramento del quadro clinico.

Terapia specifica

I dati raccolti sulla terapia specifica permettono di affermare che il regime combinato vancomicina e metronidazolo risulta essere il più utilizzato in tutti i gruppi analizzati, tranne che nei pazienti recidivanti in cui è prevalente il trattamento con sola vancomicina.

In più del 50% dei casi la durata del trattamento con vancomicina è risultato inferiore ai 10 giorni. Questo dato può essere spiegato in parte con la dimissione dei pazienti divenuti asintomatici che non hanno completato il corso di terapia a domicilio, in parte per inopportuna precoce interruzione durante la degenza. A supporto di quanto detto, in 17 degli 81 pazienti trattati con vancomicina per <10 giorni il trattamento è stato interrotto prima delle dimissioni. Anche nel gruppo delle recidive è più frequente una terapia con vancomicina di durata inferiore ai 10 giorni.

E’ rilevante che la dose utilizzata di vancomicina sia risultata superiore a quella suggerita dalle linee-guida (125 mg qid) in più del 50% dei casi con dosaggio che invece eguagliava o superava i 1000mg/die. Ciò altera negativamente ed ingiustificatamente il microbioma intestinale il cui equilibrio sembra svolgere un ruolo protettivo nei confronti della CDI.

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Sembra che il trattamento con metronidazolo influisca sull'esito sia in termini di dose che di durata. In particolare, una dose superiore ai 1500mg/die per un periodo inferiore ai 10 giorni è più frequente nel gruppo dei decessi. Alte dosi per brevi periodi altererebbero il micro bioma intestinale senza produrre un beneficio clinico alla CDI.

Sembra esserci una relazione tra esito e mediana dell'intervallo sintomi/terapia. Quanto più tardi viene somministrata la terapia antibiotica specifica, tanto più probabile sarà per il paziente un esito sfavorevole.

La terapia antibiotica non specifica è ampiamente utilizzata prima, durante e dopo l'episodio di CDI. Se si considera solo l'uso precedente e concomitante, i farmaci più utilizzati sono le cefalosporine e altre β-lattamine, somministrate al più del 40% dei pazienti. L'uso dei chinoloni è presente in poco meno del 20% dei casi in tutte le categorie analizzate eccetto che per i deceduti. La casistica limitata non permette ulteriori interpretazioni.

I risultati dei test statistici mostrano la febbre come fattore predittivo positivo di recidiva. La presenza di una sintomatologia più marcata, rappresentata dalla febbre, potrebbe indicare infezione sistemica, infezione da ceppo ipervirulento o minore difesa dell'ospite, tutte condizioni che predisporrebbero il paziente alla ricomparsa della patologia dopo un intervallo di tempo variabile.

Sono risultati, invece, fattori protettivi nei confronti di recidiva sia il sondino nasogastrico che la chirurgia nei 90 giorni precedenti al ricovero in cui si manifesta CDI. Il primo può essere spiegato se si considera che la somministrazione della terapia risulta più efficace in confronto alla somministrazione per os. Il ruolo della chirurgia, invece, in contrasto con il dato atteso, necessita di ulteriori indagini.

La durata del ricovero è risultata essere la variabile protettiva con maggiore ruolo predittivo in termini di recidiva (analisi Random Forest). Nello specifico, un giorno in più di ricovero diminuisce di circa il 4% la probabilità di recidiva. Ciò conferma i dati già presentati circa la durata del ricovero (vedi figura 2.14) e costituisce un elemento di novità nei confronti della letteratura. Questo dato può essere interpretato se si considera che un ricovero più breve comporta più spesso la dimissione del paziente prima del termine della terapia. Nonostante questo atteggiamento sia supportato dai dati sperimentali, è possibile che il completamento domiciliare della terapia antibiotica specifica risulti difficoltoso per il paziente - che è peraltro spesso anziano - ed appaia inutile, data l'assenza di sintomi. La conseguente sospensione precoce della terapia esporrebbe il paziente a più frequente recidiva. Tale dato, in ogni caso, necessita di ulteriori studi per la conferma e rimane, ad oggi, un utile spunto per ulteriori ricerche.

48

Conclusioni

Il presente studio rappresenta un utile strumento per la pratica clinica quotidiana e potrebbe costituire lo spunto per una riflessione più ampia sul problema trattato.

E' stata documentata una reale epidemia di CDI all'interno della AOUP. L'andamento dell'infezione è di tipo endo-epidemico con una presenza continua e sostenuta a livello di ospedale e cluster di episodi osservabili nei singoli reparti. Sembra, quindi, necessaria una revisione delle procedure di contenimento delle infezioni ed auspicabile il controllo della loro applicazione.

La CDI si conferma come complicanza nosocomiale con rilevante impatto sulla morbilità e conseguente prolungamento della degenza. E' stato confermato un maggiore coinvolgimento dell'età avanzata (>65) in termini di casi, recidive e letalità. La popolazione anziana potrebbe quindi essere oggetto di misure preventive e di maggiore attenzione alla presenza di sintomatologia suggestiva di CDI. Una diagnosi precoce potrebbe migliorare l'esito dell'infezione.

La maggior parte degli episodi si concentrano in area medica, suggerendo quali possano essere i luoghi più adatti per intervenire in maniera efficace sull'incidenza e l'esito della patologia.

I dati relativi alla latenza tra comparsa della sintomatologia e inizio della terapia insieme con i dati circa durata e dose di somministrazione della terapia specifica, mostrano come ci sia spazio per un miglioramento della qualità dell'assistenza. In particolare, una maggiore attenzione alla presenza di diarrea in paziente con recente esposizione ad antibiotici e un uso più oculato della terapia per C. difficile, potrebbero tradursi in un esito migliore.

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