• Non ci sono risultati.

Per le variabili continue vengono riportati i valori massimo e minimo, la mediana e il range interquantile, mentre per le variabili categoriche si riportano le percentuali. L’analisi statistica è stata svolta utilizzando il t-test o il test esatto di Fisher per le variabili continue con

distribuzione normale a seconda della numerosità dei campioni; il test di Mann-Whitney è stato usato per variabili continue con distribuzione non normale.

Le variabili categoriche sono state analizzate con il test del Chi-quadrato.

Per tutte le variabili risultate significative per l’outcome primario all’analisi univariata (p < .05) è stata eseguita un’analisi multivariata con il modello di regressione logistica.

RISULTATI

Sono stati inclusi 97 pazienti (60 uomini, 40 donne) con età media di 64 anni (IQR 54.5-75; range 25-99). Le donne ricoverate avevano un’età significativamente maggiore rispetto agli uomini (75 anni (IQR 58-81.5; range 22-99, p = 0,009) (tabella 1).

È stata riportata una storia di esposizione in pazienti provenienti da case di cura o centri di riabilitazione a lungo termine nel 16,5% dei casi (11 pazienti), nel 3.1% (3 pazienti) è stata documentata una trasmissione nosocomiale; nel 3.1% (3 pazienti) si trattava di sanitari. Tra le comorbidità riscontrate, la più comune era l’ipertensione arteriosa, riportata circa nel 60% dei pazienti, seguita dal diabete mellito tipo II, patologie cerebrovascolari (inclusa la demenza vascolare) e le patologie ostruttive croniche polmonari (BPCO).

Nel 21,6% dei casi (21 pazienti) il BMI era maggiore di 30. I più comuni sintomi prima dell’ammissione erano febbre, tosse, dispnea e astenia. In Pronto Soccorso il 59,8% dei pazienti (58/97) avevano un SOFA ≥ 2 punti e il 55.7% (54/97) un rapporto PaO2/FiO2 < 300. Un aumento dell’LDH (lattato deidrogenasi) si è manifestato nel 66% dei pazienti (64/97) mentre il 36,1% (35/97) aveva un D dimero > 1000ng/ml. Il 36% dei pazienti (35/97) ha necessitato di ricovero in terapia intensiva, mentre il 94.8% (92/97) ha avuto bisogno di ossigenoterapia: 10,8% (10/92) ossigeno a bassi flussi (cannule nasali), 44,5% (41/92) maschera Venturi, 31,5% (29/92) CPAP, 2.2% (2/92) BPAP, 10.8% (10/92) ventilazione meccanica. Nel 91,8% dei pazienti (89/97) è stata inserita una terapia antivirale e nel 93.8% (91/97) è stata somministrata una terapia antibiotica. Il tocilizumab è stato somministrato nel 24.7% dei pazienti (24/97), mentre i corticosteroidi sono stati dati nel 45.4% dei casi (44/97). Tutti hanno ricevuto una profilassi con anticoagulanti con eparina a basso peso molecolare a dosi standardizzate. Al 14 maggio 2020, l’88.7% dei pazienti (86/97) si sono negativizzati e sono stati dimessi dall’ospedale, il 9.3% (9/97) è deceduto, il 2.1% (2/97) era ancora ammesso per quanto in miglioramento. Dei 9 pazienti deceduti, 2 non erano nel gruppo di pazienti NIV/MV e sono morti per arresto cardiaco e 7 erano del gruppo NIV/MV.

All’analisi univariata (tabella 1) un BMI > 30, il diabete, storia di dispnea o astenia, un SOFA score all’ammissione ≥ 2 punti, un rapporto PaO2/FiO2 <300 all’ammissione, una febbre > 38°

(all’ammissione), un aumento dell’LDH, dell’AST, PCR e D dimero > 1000ng/ml erano significativamente associati al supporto respiratorio non invasivo / invasivo.

All’analisi multivariata, una febbre > 38°, LDH > 250 U/L e il D dimero >1000 ng/ml erano significativamente associati alla richiesta di un supporto ventilatorio non invasivo /invasivo mentre un rapporto PaO2/FiO2 < 300 è risultato quasi statisticamente significativo.

DISCUSSIONE

Dall’inizio della pandemia l’approccio al paziente, sia in termini di supporto ventilatorio che terapeutico si è modificato in base alle evidenze cliniche di risposta alla terapia e ai

suggerimenti dati dagli studi pubblicati in letteratura.

Analizzeremo l’approccio durante i mesi di marzo-maggio 2020, periodo del nostro studio. Nel nostro studio di coorte abbiamo analizzato le caratteristiche cliniche dei pazienti COVID- 19 positivi ospedalizzati, con l’obiettivo di evidenziare i possibili fattori di rischio associati alla richiesta di supporto ventilatorio invasivo o non invasivo.

Le caratteristiche epidemiologiche di base dei pazienti nel nostro studio risultano pressoché sovrapponibili a quelle pubblicate da Grasselli et al 27 nello studio italiano più importante, ovvero pazienti di sesso maschile, con età mediana di 64 anni e con ipertensione e diabete come comorbidità.

Contrariamente a Grasselli tuttavia i pazienti del nostro studio soffrivano di patologie cardiovascolari solo nel 10% di casi. Dati simili sono stati confermati da Wang et al23e Richardson et al18.

Inaspettatamente né nel nostro studio né in quello di Grasselli27 l’età non rappresenta un fattore di rischio poiché la mediana dei pazienti ventilati corrisponde alla mediana dei pazienti ospedalizzati con diagnosi di COVID-19.

L’obesità (ovvero un BMI > 30) viene riportata come un fattore di rischio nello studio di Bhatraiu et al28 e Simmonet et al34. I nostri dati confermano parzialmente questo reperto in quanto un BMI maggiore di 30 è risultato significativamente associato al rischio di essere sottoposto a ventilazione all’analisi univariata (15/21 pazienti - 71,4% - con un BMI > 30 hanno ricevuto un supporto ventilatorio invasivo), ma si perde la significatività statistica all’analisi multivariata.

Ulteriori fattori di rischio valutabili direttamente all’ammissione del paziente in ospedale sono febbre, aumentati livelli di LDH e D-dimero: valori elevati risultano associati in modo

indipendente alla necessità di aumentare il livello di cure e ciò è confermato dagli studi già pubblicati di Zhou et al35 e Wu et al.36

Lo studio di Zhou pubblicato su Lancet35 indaga sui fattori di rischio di mortalità ospedaliera nei pazienti con COVID-19; l’età avanzata, l’elevato punteggio SOFA e i livelli di D-dimero > 1ug/mL al momento del ricovero sono fattori di rischio significativi in fase iniziale per una prognosi sfavorevole e alto rischio di mortalità ospedaliera. Questa pubblicazione afferma come febbre e tosse risultavano i sintomi più comuni al momento del ricovero.

L’aumento drammatico del D-dimero è un segno laboratoristico distintivo della patologia coagulativa da COVID35

I pazienti con livelli di D-dimero > 1000 all’ammissione hanno una mortalità 20 volte maggiore dei pazienti con valori di D dimero bassi (Zhou et al)35.

Le comorbidità erano presenti in circa il 50% dei pazienti, in particolar modo ipertensione, diabete e malattie coronariche.

Anche lo studio di Wu et al36 pubblicato su Jama a marzo 2020 indaga sui fattori di rischio associati allo sviluppo di ARDS e alla progressione verso la morte nei pazienti con COVID-19 conferma che l’età avanzata, la neutrofilia, le disfunzioni d’organo e della coagulazione sono le caratteristiche più riscontrate nei pazienti più gravi.

L’età avanzata, associata a diminuzione delle competenze immunitarie, risultava associata sia all’ARDS sia alla morte.

La nostra serie di pazienti è, a nostro giudizio, la prima serie di casi italiani che descrivono un’esperienza di vita reale dalla prospettiva di un reparto comune di Malattie Infettive e Terapia Intensiva.

In conclusione, il nostro studio conferma che febbre, alti livelli di D-dimero e LDH

rappresentano fattori di rischio per la ventilazione. Tutti e tre questi valori possono essere considerati come marker di uno stato iperinfiammatorio che induce lo sviluppo di una patologia severa difficile da trattare.

Uno screening dello stato infiammatorio precoce dovrebbe essere fatto all’arrivo del paziente in pronto soccorso in maniera da stratificare il suo rischio di sviluppare una forma severa. Questo studio ha alcune limitazioni: innanzitutto è retrospettivo e i dei dati clinici non sono sempre stati disponibili in quanto non c’è un approccio standardizzato alle cure (bias di selezione), in secondo luogo la scarsa numerosità campionaria potrebbe influenzare la valutazione dei fattori di rischio, infine lo studio è monocentrico e questo potrebbe generare informazioni non replicabili in altri contesti.

Prognosi

• Mortalità: varia da circa 0.5% a 3% (maggio 2020)

• La mortalità aumenta vistosamente per individui con patologie concomitanti o di età > 60 anni, con i tassi fino al 15% per individui di > 80 anni

• Sono considerati ad alto rischio per decorso severo individui con: ≥ 65 anni di età

• Patologie concomitanti, in particolare: Malattia cronica polmonare oppure asma moderata/severa, Severe condizioni cardiovascolari, Patologie metaboliche

(soprattutto diabete), insufficienza renale, Patologia epatica, Obesità severa (BMI ≥ 40)

Grafico che analizza la mortalità associata alla ventilazione meccanica invasiva nei pazienti COVID-19 positivi37

La linea rossa rappresenta l’aumento previsto della mortalità associata al COVID-19 all’aumentare dell’età o del numero e della gravità delle comorbidità; la linea nera rappresenta la capacità idealizzata di ridurre la mortalità e allo stesso tasso basso per tutti,

indipendentemente dalle caratteristiche del paziente. La linea blu rappresenta il probabile impatto differenziale della ventilazione meccanica invasiva, evidenziando maggiori benefici

per coloro che sono più giovani e più sani e meno benefici per coloro che sono più anziani e con più problemi di salute sottostanti.37

CONCLUSIONI

Abbiamo riscontrato che la febbre (T° >38°C), un valore di LDH >250 U/L e di D-dimero > 1000ng/ml sono associati in modo significativo alla necessità di supporto ventilatorio. Uno screening dei marker infiammatori potrebbe essere utile a identificare velocemente i pazienti che più probabilmente svilupperanno una malattia severa in modo da ottimizzare un appropriato protocollo terapeutico.

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