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Fattori di rischio per un supporto ventilatorio invasivo o non invasivo nel paziente con polmonite da COVID-19

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(1)

Fattori di rischio per un

supporto ventilatorio invasivo o

non invasivo nel paziente con

polmonite da COVID-19

Relatore

Prof. Francesco Forfori

Correlatore

Dott. Vittorio Pavoni

Candidato

Dott.ssa Caterina Stera

Anno accademico 2018/2019

Scuola di Specializzazione in

(2)

Fattori di rischio per un supporto ventilatorio

invasivo o non invasivo nel paziente con

polmonite da COVID-19

1

Introduzione

Pag. 3

Metodi

Pag. 22

Risultati

Pag. 31

Discussione

Pag. 34

Conclusioni

Pag. 39

Bibliografia

Pag. 40

(3)

INTRODUZIONE

Generalità

Nel dicembre 2019 è apparso a Wuhan in Cina un nuovo Coronavirus, che si è rapidamente diffuso in tutto il mondotanto che il 30 gennaio 2020 l'OMS ha dichiarato l'epidemia di Coronavirus Emergenza internazionale di salute pubblica e l'11 marzo 2020 lo stato di pandemia.2

L’infezione causata dal nuovo coronavirus è stata chiamata Coronavirus Disease (COVID-19) e la sindrome che ha causato è stata identificata come SARS-CoV-2 (severe acute respiratory syndrome coronavirus-2) dalla World Health Organization (WHO).3

Questo Coronavirus è un nuovo ceppo che non è stato precedentemente mai identificato nell’uomo: appartiene al genere beta (β-CoV), lo stesso di SARS-CoV e del MERS-CoV che provocarono epidemie di infezioni del tratto respiratorio fatali rispettivamente nel 2003 e nel 2012. Il SARS-CoV-2 condivide al 79.5% le stesse caratteristiche del genoma SARS-CoV.4 Si pensa che il reservoir ecologico del SARS-CoV-2 risieda nei pipistrelli e che la trasmissione da animale a uomo sia avvenuta tramite un contatto diretto con un ospite intermediario sconosciuto, verosimilmente presso il mercato ittico Huanan a Wuhan specializzato nella vendita di animali vivi e pesce.

Ad oggi, luglio 2020, si sono verificati più di 15 milioni di casi nel mondo con 600mila decessi. In Italia ad oggi sono risultati positivi più di 245000 persone, e i decessi sono stati più di 35000.

I rapporti ISS e ISTAT riportano che il Covid-19 è la causa direttamente responsabile della morte nell’89% dei decessi di persone positive al test Sars-CoV-2, mentre per il restante 11% le cause di decesso sono da ascriversi a comorbidità (4,6% malattie cardiovascolari, 2,4% tumori, 1% patologie del sistema respiratorio, 0,6% diabete, 0,6% demenza, 0,5% malattie dell’apparato digerente. 5,6

Fisiopatologia

I Coronavirus sono virus capsulati a singolo filamento di RNA che si trovano nell’uomo e in altri mammiferi, e possono causare sintomi respiratori, gastrointestinali e neurologici.

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Si chiamano così perché i loro virioni appaiono al microscopio elettronico come piccoli globuli, sui quali ci sono tante punte proteiche che ricordano quelle di una corona; queste “punte” (spike, proteine S) hanno la funzione di legarsi ai recettori delle cellule dell’organismo umano permettendo l’ingresso del virus.

Schema delle strutture fondamentali del virus

Una volta che il virus è entrato dentro la cellula umana, l’RNA virale viene immediatamente

tradotto dalla cellula infetta in proteine virali.

Successivamente, la cellula infetta muore liberando milioni di nuove particelle causando la risposta immunitaria dell’ospite. 7

Grazie a ricombinazioni e variazioni genetiche i coronavirus possono modificarsi e infettare nuovi organismi.

Si possono definire due fasi della malattia, quella della replicazione e quella dell’immunità adattativa. 7,8

Fase di replicazione

La fase replicativa può durare diversi giorni durante i quali si attiva una risposta immunitaria innata, che spesso non risulta sufficiente a contenere il virus.

Gli effetti citopatici diretti sono danni indotti, prevalentemente a carico dell’epitelio alveolare del polmone per quanto anche altri organi possono essere attaccati, soprattutto fegato e cuore.

L’azione citopatica del virus e la risposta innata dell’organismo possono non produrre sintomi significativi.

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Fase dell’immunità adattativa

L’attivazione dell’immunità adattativa porta ad una diminuzione del titolo virale, con contemporaneo aumento delle citochine infiammatorie.

Un'abnorme risposta immune, attraverso un elevato livello di citochine (“tempesta citochinica”) può portare ad insufficienza d'organo e decesso.

Aumentano TNF, IL-b, IL-6, PCR e ferritina; queste correlano positivamente con la severità della malattia e la mortalità.

Nella fase di incremento della replicazionve virale viene compromessa l’integrità della barriera epitelio-endoteliale e il SARS-CoV-2 comincia ad infettare le cellule endoteliali dei capillari polmonari aumentando ulteriormente la risposta infiammatoria e attirando monociti e neutrofili.

Alle due fasi corrisponde l’evoluzione clinica del paziente: ad un primo momento di relativo benessere, con sintomatologia moderata, subentra generalmente un peggioramento clinico repentino legato all’attivazione immunitaria, per quanto i quadri clinici siano molto variabili.

Il legame recettoriale

Gli studi di biologia molecolare hanno evidenziato che il virus COVID-2019 usa lo stesso recettore del SARS-CoV per poter entrare nelle cellule, cioè il recettore ACE 2 (enzima di conversione dell’angiotensina), che catalizza la conversione dell’angiotensina 2. Questo recettore è sempre espresso sulle cellule endoteliali9, per lo più sulle cellule alveolari di tipo II del tratto respiratorio (pneumociti), ma anche sull’epitelio gastrointestinale e altri organi.

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L’aumento della concentrazione di ACE2 può giocare un ruolo nella patogenesi del COVID-19: è stato riscontrato un incremento dell’enzima nei pazienti con alcune patologie croniche9,10 Questa ipotesi fornisce un razionale all’uso di farmaci antinfiammatori, ACE-inibitori e statine mentre si affronta l’infezione virale come una strategia utile per questi pazienti.11

Il Dr. Giovanni Ghirga, sempre a proposito dell'ipotesi di danno endoteliale, in un commento sulla rivista BJM, scrive:12

“Esiste un denominatore comune tra le persone che hanno un aumento del rischio per una forma importante di infezione da SARS-CoV-2: una PREESISTENTE disfunzione endoteliale. L’ipertensione, il diabete, l’obesità, le malattie cardiovascolari, il cancro, le malattie renali croniche, le malattie epatiche croniche, la malattia di Alzheimer, l’età avanzata, il sesso maschile, aumentano il rischio di una forma moderata o grave di COVID-19. In ognuna di queste condizioni può essere presente uno stato di disfunzione endoteliale.

Degno di nota il fatto che la disfunzione endoteliale vascolare è considerata come un'espressione fenotipica primaria del normale invecchiamento dell’essere umano.

Il grado di disfunzione endoteliale PREESISTENTE potrebbe essere una condizione sine qua non per lo sviluppo di infezione SARS-CoV-2 moderata-grave.

Durante la pandemia di COVID-19, la morte di così tante persone anziane potrebbe essere causata da un denominatore comune: il progressivo declino della funzione endoteliale con l'età, ulteriormente complicato da altre comorbidità coesistenti sempre associate a

disfunzione endoteliale come ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete o cancro”.

I ricercatori dell’Universitats Spital Zurich riportano in un articolo pubblicato su The Lancet la loro analisi sul coinvolgimento delle cellule endoteliali nell’infezione da SARS-CoV-2:

esaminando i letti vascolari di diversi organi di una serie di pazienti affetti da COVID-19 hanno trovato prove di infezione virale diretta della cellula endoteliale e di infiammazione

endoteliale diffusa.13 Questi risultati suggeriscono che l'infezione da SARS-CoV-2 faciliti l'induzione di endotelite in diversi organi come conseguenza diretta del coinvolgimento virale e della risposta infiammatoria dell'ospite. L’insorgenza di endotelite potrebbe spiegare la compromissione della funzione microcircolatoria sistemica in diversi letti vascolari e le loro sequele cliniche nei pazienti con COVID-19.14

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Tipi di Cov-2

Dai risultati di un’analisi genetica della popolazione condotta a gennaio 2020 si è riscontrata la possibile presenza di due sottotipi di SARS-CoV-2:15

Tipo S (∼ 30%): il primo a circolare, trasmesso agli umani dall’animale ospite, meno

contagioso e aggressivo.

Tipo L (∼ 70%): evoluto a partire dal tipo S, e più virulento di quest'ultimo.

Secondo uno studio pubblicato ad Aprile 2020, è stato ipotizzato che mutazioni del genoma virale abbiano condotto a centinaia di differenti ceppi virali: l'eventuale impatto sulla patogenesi è tuttora ignoto e oggetto di ulteriori ricerche.16

Segni e sintomi

Periodo di incubazione: 2-14 giorni, di solito circa 5 giorni

Il Covid-19 ha causato e sta causando uno spettro esteso di sintomi e manifestazioni. Le evidenze mostrano come nel 70% dei pazienti la malattia sia asintomatica o con sintomi molto lievi (raffreddore, dolori muscolari, oculorinite), mentre nel restante 30% si manifesta una sindrome respiratoria con febbre elevata, tosse, fino a raggiungere l’insufficienza respiratoria grave (quadro di ARDS) che può richiedere il ricovero in terapia intensiva.17 Principali sintomi d’esordio (spesso incostanti ed aspecifici):4,17

• Febbre (80-98%): [l’assenza di febbre non esclude la diagnosi di Covid19]

• Tosse secca (76%)

• Dispnea (20-60%): indicatore precoce di possibile rapido peggioramento, solitamente insorge circa 8 giorni dopo il contagio

• Malessere, mialgia (10-44%)

• Espettorato (28%)

• Ageusia

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Sintomi del COVID-19 e diagnosi differenziale con altre infezioni virali o stati infiammatori Come già detto, la malattia ha un vasto spettro di gravità, da leggero a critico. Tipicamente inizia con sintomi lievi che possono progredire verso un decorso severo dopo circa 5-7 giorni. Febbre e tosse non distinguono tra casi lievi e gravi né prevedono il decorso di COVID-19. Al contrario, la dispnea è stata identificata come un forte predittore di malattie gravi.18 Più a lungo i sintomi persistono, maggiore è il rischio di sviluppare COVID-19 severa, che richiede ricovero ospedaliero, terapia intensiva e ventilazione invasiva.19,21

Meno comunemente i pazienti si presentano con espettorato, cefalea, emottisi e diarrea. Pochi soggetti manifestano sintomi delle alte vie respiratorie come rinorrea, congestione nasale o faringodinia.

Il quadro clinico nelle fasi conclamate di patologia è quello di un’insufficienza respiratoria acuta ipossiemica (ipo o ipercapnica a seconda della fase e delle comorbidità), spesso refrattaria alla terapia con ossigeno supplementare. La causa è la formazione di shunt intrapolmonari come risultato del dereclutamento di spazi aerei che collassano a causa del coinvolgimento interstiziale (quadro radiologico di polmonite interstiziale).

La clinica e la terapia sono guidate principalmente dalla radiologia e dall’EGA.6

Esamineremo più avanti il quadro ventilatorio e gli approcci al paziente con insufficienza respiratoria.

(9)

Quadro laboratoristico

21,22

Il virus COVID-19 può dare un quadro di insufficienza respiratoria acuta (ARDS) che può evolvere fino a una insufficienza multiorgano (MOF) portando alla morte.

Sono state descritte numerose e severe alterazioni biochimiche nei pazienti COVID-19 positivi e alcuni biomarker sono associati all’aumentato rischio di severità.

Se la linfocitopenia rappresenta un segno distintivo della patologia e può essere rilevata a partire dagli stadi più precoci di infezione, la gravità della malattia è correlata con una vera e propria tempesta citochinica. Questi dati sono coerenti con la già dimostrata stretta

connessione tra anomalie dell’emostasi e infiammazione, due processi che si rafforzano a vicenda. Si parla quindi di “cytokine storm”, una incontrollata produzione di citochine proinfiammatorie (come ad esempio TNF, IL-6, IL-1b, IFN) che possono portare a un aumentata permeabilità vascolare, insufficienza multiorgano e morte.

La tempesta citochinica comporta inoltre da un lato l’attivazione della cascata coagulativa e di conseguenza della trombina (che a sua volta aumenta la risposta infiammatoria mediante i recettori PARs), dall’altro altera e riduce la concentrazione degli anticoagulanti fisiologici come AT III, l’inibitore del fattore tissutale e la Proteina C.

L’alterato equilibrio coagulativo predispone allo sviluppo di microtrombosi, CID e MOF, evidenti nella polmonite severa da COVI19 con aumento della concentrazione del D-dimero, fattore prognostico negativo, associato al rischio di ARDS e morte.26

Altri fattori prognostici negativi sonol’aumento di fibrinogeno, del tempo di protrombina (PT), e aPTT, specialmente durante la fase precoce della malattia.

I dati laboratoristici variano in base alla fase della malattia; i tre stadi del decorso clinico, ovvero “infezione precoce”, “fase polmonare”, “fase iperinfiammatoria” sono caratterizzati da specifiche alterazioni biochimiche.

“fase di infezione precoce o viremica”: si manifesta al momento dell’infiltrazione virale nel parenchima polmonare, dall’interazione con il recettore dell’ACE2 a livello delle cellule epiteliali bronchiali ciliate. La linfocitopenia è il segno laboratoristico principale, insieme ad un aumento del D-dimero e della PCR. La trombocitopenia è spesso associata con il peggioramento della prognosi e la progressione della malattia.

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Progressione della malattia e principali reperti laboratoristici

“fase di infezione precoce o viremica”: si manifesta al momento dell’infiltrazione virale nel parenchima polmonare, dall’interazione con il recettore dell’ACE2 a livello delle cellule epiteliali bronchiali ciliate. La linfocitopenia è il segno laboratoristico principale, insieme ad un aumento del D-dimero e della PCR. La trombocitopenia è spesso associata con il peggioramento della prognosi e la progressione della malattia.

“fase polmonare”: in questa fase le caratteristiche biochimiche includono linfopenia e aumento delle transaminasi oltre ad un aumento degli indici di infiammazione come la PCR e si assiste generalmente ad un peggioramento dell’insufficienza respiratoria ipossiemica.

“fase iperinfiammatoria”: è lo stadio più grave, caratterizzato da infiammazione sistemica o tempesta citochinica, che può portare all’ARDS, alla MOF e talvolta alla CID. Molti parametri biochimici di infiammazione sono aumentati; PCR, D dimero, ferritina, Troponina, LDH.

Mentre il valore della PCR è predittivo di prognosi severa, il valore della PCT risulta spesso normale nei pazienti COVID-19 positivi e se aumentato può riflettere una co-infezione batterica.

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ALTERAZIONE BIOMARKERS Ematologica ¯ linfociti ­ neutrofili ¯ conta piastrinica Infiammatoria ­ PCR ­ ferritina ­ IL-6 ­ LDH ­ MDW Coagulazione ­ D-dimero ­ FDP ­ PT ­ aPTT ­ fibrinogeno Elettroliti ¯ K ¯ Na ¯ Ca Epatica ­ ALT ­ AST ­ bilirubina tot ¯ albumina Muscolare ­ CK ­ mioglobina Renale ­ creatinina Cardiaca ­ cTi ­ BNP / proBnp

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I fattori determinanti l’evoluzione in senso sfavorevole della malattia sono svariati; la fragilità degli individui colpiti (età avanzata, obesità, presenza di comorbidità, ecc…) che condiziona una limitata capacità di sviluppare precocemente un’adeguata risposta immunitaria; in

secondo luogo l’entità della carica virale contaminante a cui l’individuo viene esposto, e infine anche il tempo di diffusione del virus dalle vie aeree superiori agli alveoli polmonari.

Quadro radiologico

Dal punto di vista radiologico, la polmonite da COVID-2019 si presenta con un interessamento bilaterale ed opacità periferiche.

Le opacità di tipo vetro smerigliato, bilaterali, sono predominanti in periferia ed alle basi con la tendenza a confluire, iniziano a presentarsi soprattutto nei pazienti meno gravi.

Nei pazienti più gravi spesso il quadro radiologico consiste in consolidamenti lobari e sub- segmentali, ed aumentano le opacità diffuse. Nelle prime 48h la TC può essere normale, o presentare alterazioni ancora prima delle manifestazioni cliniche.23

L’ecografia è una metodica molto sensibile, mostra risultati migliori rispetto all’rx e facilmente ripetibili per rivalutazione. Permette di evidenziare danni parenchimali.

Le linee pleuriche ispessite ed irregolari permettono di supporre un coinvolgimento

interstiziale. Le linee B presenti come reperto precoce e soprattutto coalescenti indicano un pattern interstiziale diffuso.4

Classificazione clinica

Non esiste una classificazione clinica stabilita in maniera universale. Il più grande studio clinico ha operato una distinzione tra casi gravi e non gravi dove si definiscono casi gravi i pazienti che hanno un criterio principale oppure tre o più criteri minori.

I criteri principali comprendono lo shock settico con necessità di vasopressori o insufficienza respiratoria che richiede ventilazione meccanica, i criteri minori sono una frequenza

respiratoria >30 respiri/min, il rapporto PaO2/FIO2 <250, infiltrati multilobari,

confusione/disorientamento, uremia, leucopenia, bassa conta piastrinica, ipotermia, ipotensione che richiede la rianimazione con reidratazione forzata. 16,24

Alcuni autori (Wang et al.19) hanno utilizzato la seguente classificazione che comprende quattro categorie:

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Casi lievi: i sintomi clinici sono stati lievi senza manifestazione di polmonite ad esami di

diagnostica per immagini

Casi normali: avere febbre e altri sintomi respiratori con manifestazione di polmonite ad

esami di diagnostica per immagini

Casi gravi: soddisfare una delle seguenti condizioni: difficoltà respiratoria, ipossia (SpO2 ≤

93%), analisi anormale dei gas ematici: (PaO2 <60mmHg, PaCO2 >50mmHg)

Casi critici: soddisfare una delle seguenti condizioni: Insufficienza respiratoria che richiede

ventilazione meccanica, shock, accompagnati da altra insufficienza d’organo che necessita di monitoraggio e trattamento in terapia intensiva.

La SIAARTI definisce invece tre stadi:

Polmonite Lieve Paziente con polmonite e nessun segno di polmonite grave. Polmonite Grave (adulto) febbre o sospetta infezione respiratoria, più almeno:

- frequenza respiratoria > 30 respiri/min

- grave difficoltà respiratoria o SpO2 < 90% in aria ambiente

Sindrome da Distress Respiratorio Acuto (ARDS) (Criteri di Berlino)

o Insorgenza: sintomi respiratori nuovi o in peggioramento entro una settimana dall’insulto clinico noto.

o Imaging del torace (radiografia, tomografia computerizzata o ecografia polmonare): opacità bilaterali, non completamente spiegate da versamenti, o collasso lobare/ polmonare o noduli.

o Origine dell’edema: insufficienza respiratoria non completamente spiegata da insufficienza cardiaca o sovraccarico di liquidi. È necessaria una valutazione obiettiva (ad es. Ecocardiografia) per escludere la causa idrostatica dell’edema se non è presente alcun fattore di rischio.

L’ARDS può essere di entità lieve, moderata o grave.

• ARDS lieve: > 200 mmHg PaO2/FiO2 ≤ 300 mmHg (con PEEP o CPAP ≥ 5 cmH2O, o non ventilati)

• ARDS moderata: > 100 mmHg PaO2/FiO2 ≤200 mmHg (con PEEP ≥ 5 cmH2O, o non ventilati) • ARDS grave: PaO2 / FiO2 ≤ 100 mmHg (con PEEP ≥ 5 cmH2O, o non ventilati)

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Assistenza ventilatoria

È fondamentale riconoscere la grave insufficienza respiratoria ipossiemica che si manifesta quando un paziente in distress respiratorio non risponde all’ossigenoterapia standard e può presentare un continuo aumento del lavoro respiratorio o una ipossiemia persistente nonostante l’incremento di ossigeno.

Le opzioni di assistenza ventilatoria si classificano: 25

• Ossigenoterapia convenzionale (COT): maschera facciale fino a 5L/min (10L con reservoir) o maschera Venturi fino a FiO2 60%.

• High flow nasal oxygenation (HFNO): flusso di almeno 50L/min e FiO2 fino al 60%. È la modalità consigliata nei pazienti che non hanno una ipossiemia severa, ma per i quali non è sufficiente la COT. Si esegue tentativo in HFNO se disponibile, a paziente isolato con pressione negativa. Non produce un importante reclutamento

polmonare.

• CPAP: va considerata nei pazienti che hanno un importante aumento del lavoro respiratorio; si valuta la risposta dopo 30 minuti con casco ad alto flusso (usando flussi di circa 80L/min) regolando la valvola PEEP, o utilizzo di maschera total face

(sia con raccordo ai flussimetri, sia al ventilatore in assenza di supporto). Si consiglia di iniziare con una PEEP di 5-10 cm H2O, FiO2 dal 60% in su in base alla

clinica e all’emogasanalisi. Per ridurre al minimo il rischio di aerosolizzazione di materiale infetto, l’interfaccia più sicura risulta essere il casco.

E’ la migliore modalità di supporto non invasivo, perché sia efficace deve essere garantita una pressione nelle vie aeree costante. In questa ottica garantisce la più alta P media nelle vie aeree e il reclutamento più efficace.

In tutte le forme di ventilazione non invasiva è necessario un adeguato monitoraggio per la sicurezza del paziente. Nel paziente COVID-19 positivo è particolarmente importante il monitoraggio emogasanalitico in quanto potrebbero sviluppare una “ipossiemia silente”, uno stato in cui apparentemente il paziente appare molto meglio di quanto non sia in realtà dal punto di vista ventilatorio e di ossigenazione. L’infezione da COVID-19 sembra causare una insolita forma di insufficienza respiratoria ipossiemica, caratterizzata da una marcata ipossiemia ma

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talvolta con una compliance polmonare bassa o normale (nelle forme ancora non ARDS). Questo potrebbe esser dovuto alla diffusa atelettasia polmonare.

La CPAP è la modalità che provvede al più potente reclutamento polmonare, evitando contemporaneamente volumi tidalici troppo grandi dannosi per il polmone. La CPAP ha fondamentalmente due obiettivi nella riduzione acuta dei Volumi polmonari: aumentare la capacità funzionale residua (CFR) e quindi ridurre lo Shunt in modo da aiutare a migliorare la PaO2 e migliorare la compliance e quindi ridurre il lavoro respiratorio (WOB).

• Ventilazione non invasiva (NIV): in Pressione di supporto (10-15 cm H2O), con PEEP 5-10 cmH2O e valutazione del Volume corrente e Frequenza respiratoria, scelta della FiO2. Solitamente si utilizza in Rianimazione con utilizzo del ventilatore (per la

presenza di due livelli di Pressione) con l’utilizzo di maschera total face.

La BiPAP può garantire un beneficio maggiore tramite un supporto respiratorio meccanico riducendo il lavoro respiratorio. Tuttavia, può teoricamente incoraggiare il paziente ad effettuare “respironi” con grande volume (inducendo un possibile danneggiamento polmonare). La BiPAP ideale prevede una alta PEEP associata a una bassa driving pressure. Questa caratteristica assomiglia alla CPAP con un supporto aggiunto.

La BiPAP può essere particolarmente utile nei pazienti con distress respiratorio da COVID-19 associato a una malattia ostruttiva di base.

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• Ventilazione meccanica invasiva: con modalità a Volume o Pressione controllati. È preferibile l’utilizzo del Volume Controllato per il miglior controllo del Volume tidalico, monitoraggio della P plateau e della driving pressure.

Valutare la pronazione almeno 12-16h al giorno, raccomandata soprattutto in caso di Indice di Horowitz <150.

Tra gli svantaggi della NIV è importante valutare un eventuale ritardo nell’IOT, generato da un prolungato uso della NIV, che si associa a maggiore mortalità, soprattutto nelle forme SEVERE (P/F <150). Da qui l’indicazione al suo uso in caso di ARDS, solo in reparti ad alta intensità di cure e con pronta possibilità di praticare IOT. Inoltre un inappropriato settaggio della NIV con elevati volumi correnti (> 8ml/kg PBW) è stato associato ad un danno alveolo-capillare

autoalimentantesi (P-SILI, patient self- inflicted lung injury).

COVID-19 e ARDS

Uno studio italiano pubblicato su “Lancet Respiratory Medicine”27 lo scorso 27 agosto ha esaminato le caratteristiche funzionali e morfologiche dell’ARDS associata a COVID-19; i pazienti con ARDS associata a COVID-19 sviluppano una insufficienza respiratoria associata ad una morfologia polmonare che, per molti aspetti, è simile a quella dei pazienti con ARDS non correlata a COVID-19.

Esiste un sottogruppo di pazienti con ARDS correlata al COVID-19 caratterizzati da bassa compliance del sistema respiratorio e da un'alta concentrazione di D-dimero che hanno una mortalità notevolmente maggiore rispetto ad altri pazienti.28

Un problema rilevante in questi pazienti sembra essere la formazione di atelettasie; molti rispondono favorevolmente all’applicazione di una pressione positiva nelle vie aeree (alti livelli di PEEP) con conseguente reclutamento e migliore ossigenazione.

I pazienti con P/F <150 che non hanno manifestano miglioramenti nonostante le terapie e l’ottimizzazione ventilatoria possono beneficiare della pronazione, in associazione con la curarizzazione e una sedazione profonda, per almeno 12-16h al giorno.

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Percorso assistenziale per il paziente affetto da COVID-19. (Raccomandazioni per la gestione locale del paziente critico – SIAARTI).26

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La coagulopatia

La coagulopatia è un aspetto cruciale dell’infezione da Covid-19; la distruzione della barriera endoteliale, l’alterazione del processo di trasmissione dell’ossigeno a livello alveolo-capillare e quindi la ridotta capacità di diffusione dell’ossigeno sono caratteristiche costanti date dal danno vascolare sistemico dovuto al virus.

La disfunzione endoteliale è uno dei principali fattori che causa la disfunzione microvascolare, in quanto favorisce la vasocostrizione con conseguente ischemia d'organo; l’infiammazione e l’edema tissutale peggiorano il quadro insieme ad uno stato procoagulante.

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In associazione al generalizzato stato infiammatorio dovuto all’infezione si manifesta uno stato di ipercoagulabilità sistemica e di trombofilia caratterizzato dalla tendenza alla trombosi venosa, arteriosa e microvascolare.29

Lo stato infiammatorio è un trigger importante per la cascata coagulativa; monociti e cellule endoteliali attivate possono portare all’espressione del fattore tissutale con conseguente genesi di trombina; contemporaneamente alcune citochine pro-infiammatorie (Es IL-6) possono attivare la coagulazione, inattivare le vie anticoagulanti naturali e sopprimere la fibrinolisi.

L’infiammazione dei tessuti e delle cellule endoteliali polmonari può concorrere alla

formazione di microtrombi e contribuire dunque all’alta incidenza delle complicanze trombo-emboliche.32

Studi autoptici preliminari hanno mostrato a livello polmonare, accanto ad edema diffuso, congruo con un quadro di ARDS, fenomeni microangiopatici, emorragici e trombotici. Una osservazione comune di vari patologi è stata quella di aver rilevato trombosi macro e microvascolari, sia sotto forma di trombi “rossi” (eritrociti, leucociti e fibrina) che “bianchi” (piastrine e fibrina).

Una esagerata risposta all’infezione può complicarsi fino allo sviluppo di una CID con la formazione di trombi microvascolari.

Un altro fattore importante è l’ipossia, associata a riduzione degli scambi respiratori a livello polmonare, che può stimolare la trombosi attraverso la vasocostrizione e incremento della viscosità ematica. L’ipossia quindi può far spostare il fenotipo basale antinfiammatorio ed antitrombotico dell’endotelio verso un fenotipo pro-infiammatorio e pro-coagulante attraverso l’espressione di fattori pro-coagulanti.29

Il quadro clinico della malattia da COVID-19 talvolta può presentarsi con una sepsi

conclamata, con ipotensione, ipossia ed ischemia tissutale, nonché disfunzione multiorgano. La coagulopatia indotta da sepsi (SIC) si può identificare con il SIC score (vedi figura).

Nella patologia severa da Covid 19 si riscontra una coagulopatia con elevati livelli di D-dimero e fibrinogeno.

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Il SIC score include il tempo di protrombina (PT), la conta piastrinica e il punteggio SOFA (a sua volta descrive quattro caratteristiche del paziente) per identificare il danno d’organo. Uno score > o = a 4 è diagnostico per coagulopatia indotta da sepsi.

Meccanismo che induce ad alterazioni della coagulazione30

Il D-dimero è il frammento più importante, sia qualitativamente che quantitativamente, derivante dalla degradazione della fibrina (prodotto finale della cascata coagulativa). La presenza dei frammenti di degradazione indicano che si è formato un coagulo e questo è stato successivamente degradato (quindi è un marker indiretto della coagulazione e indicatore dei processi trombotici endovascolari).

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I livelli di D-dimero aumentano nel caso di trombosi venosa profonda, embolia polmonare, coagulazione intravascolare disseminata (DIC), tromboembolie arteriose, gravidanza (in particolare nel periodo post-parto), infezioni, neoplasie, malattia infiammatoria cronica e dopo interventi chirurgici.

Esiste una correlazione tra l’infezione, l’aumento importante dei livelli di D dimero, e l’aumento del tasso di complicanze tromboemboliche.30

L’appropriatezza di un precoce e continuo monitoraggio dei livelli di D dimero e l’utilizzo di un protocollo con anticoagulanti sono il migliore strumento di gestione per prevenire le

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METODI

Setting e periodo dello studio

Questo è uno studio osservazionale retrospettivo monocentrico. Sono stati inclusi i pazienti che si sono presentati al Pronto Soccorso dell’ospedale di Santa Maria Annunziata di Firenze tra il 25 febbraio e il 25 aprile del 2020 (60 giorni) e che sono stati ricoverati nel reparto di

Malattie Infettive o in Rianimazione con diagnosi di infezione da COVID-19. La diagnosi doveva essere confermata con RT-PCR su tampone nasale e faringeo.

Management del paziente e protocolli terapeutici

Dall’inizio dello studio si è sviluppato un approccio multidisciplinare tra gli specialisti del reparto di Malattie Infettive e gli Anestesisti della Rianimazione; si è creata una

collaborazione condividendo i breefing e cercando le migliori soluzioni per i pazienti in carico; in particolare il tipo di approccio ventilatorio, i trattamenti di supporto, l’uso di farmaci sperimentali e la somministrazione di antibiotici e antivirali sono state decisioni condivise in accordo con le linee guida locali basate sulle migliori evidenze al momento e seguendo il “Vademecum” realizzato dalla sezione della Società di Malattie infettive e tropicali (SIMIT Lombardia).31

Il Tocilizumab è stato somministrato nel contesto del trial TOCIVID-19.

Il tipo di supporto ventilatorio, invasivo o non invasivo (NIV) mediante maschera venturi o casco, è definito come il bisogno di una CPAP (continuous positive airway pressure) o BPAP (bilevel positive pressure), ventilazione meccanica o ossigenoterapia a bassi flussi.

(23)
(24)

Inquadramento iniziale del paziente con COVID-19

L’inquadramento iniziale del paziente COVID-19 positivo ammesso nei reparti di degenza include:

o NEWS 2 score

o Ega con calcolo del P/F o ECG 12 derivazioni o Rx torace

o Esami: emocromo con formula, creatinina, urea, sodio, potassio, magnesio, glicemia, albumina, ALT, AST, LDH, CPK, fosfatasi alcalina, bilirubina totale, bilirubina diretta, PCR, PCT, PT, aPTT, fibrinogeno, D.dimero, antitrombina, proteina C, troponina, ferritina, IL-6, IL-10, TNFalfa, IL-8, IL1beta, BNP, antigeni urinari Pneumococco e Legionella, HBsAg, HCV, HIV

o Emocolture se febbre >37,5° o Tampone rettale di sorveglianza o BAL (in Rianimazione)

NEWS2 Score; guida standardizzata per determinare rapidamente il grado di severità clinica di un paziente e la tempestività e appropriatezza di intervento. Si fonda su sei misurazioni di parametri fisiologici: FR, SpO2, T°C, PA sistolica, FC, stato di coscienza.

Ciascun parametro è graduato in livelli, a ciascuno dei quali è attribuito un valore numerico. La somma dei valori numerici fornisce la misura dello scostamento dalla fisiologia normale. Lo score va maggiorato nei casi in cui è necessaria l’ossigenoterapia (> di 2 punti).

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Il punteggio NEWS fornisce 3 livelli di allerta clinica:

• BASSO: punteggio 0: controllo ogni 12h; punteggio da 1 a 4: controllo tra 4-6h;

• MEDIO: punteggio da 5 a 6; punteggio pari a 3 per un singolo parametro: controllo ogni h • ALTO: punteggio ≥7: monitoraggio continuo e consulenza rianimatoria.

Indicazioni alla ventilazione del paziente COVID-19 positivo con insufficienza

respiratoria nella Terapia Intensiva del nostro ospedale (protocolli stilato nei primi mesi di pandemia)

1. Se SpO2 <94%, rapporto P/F < 200 e FR < 22 nonostante la CPAP (10 cmH2O) e FiO2 70% dopo 15-30 minuti non utilizzare la NIV intubare immediatamente 2. Utilizzare bassi volumi di ventilazione con un Vt 4-6ml/kg secondo peso ideale per

raggiungere il target di pH sopra 7.2 e la più bassa frequenza respiratoria possibile 3. Impostare valori di PEEP (10-14 cmH2O)

4. Minimizzare le manovre di reclutamento 5. Misurare la driving pressure (< 14 cmH2O) 6. Aumenta la FiO2 anche sopra il 0,5 se necessario

7. Pronazione per 5 gg in sedazione e possibilmente con curaro in infusione continua. Dopo 5 gg effettuare una pausa della pronazione con valutazione ed eventuale tracheotomia con successiva ripresa del ciclo di pronazione.

(26)

Nei primi mesi dallo scoppio della pandemia ci siamo affidati alle evidenze di studi cinesi, agli aggiornamenti periodici di società scientifiche in letteratura per aiutarci a delineare una guida per la gestione dei pazienti e l’inquadramento di questi sia in reparto che Rianimazione. A tutti i pazienti è stato eseguita l’ecografia del torace quotidianamente, ed ecocardiografia per valutare la funzionalità cardiaca globale e la presenza di versamenti pericardici.

Il Vademecum SIMIT Lombardia:31 utilizza questo criterio di stratificazione del paziente Brescia-COVID respiratory severity scale (BCRSS) (marzo 2020)

Uso di steroide (DESAMETASONE): Rispetto all’utilizzo dello steroide (desametasone), è stata valutata la possibilità sull’utilizzo anche al di fuori dei reparti di terapia intensiva, in pazienti senza ARDS che siano in ossigenoterapia con segni clinici di insufficienza respiratoria

ingravescente oppure in pazienti che richiedono ventilazione non invasiva. Il gruppo di lavoro raccomanda estrema attenzione affinché il trattamento con steroide sia prescritto solo ai

(27)

pazienti in cui si possa considerare terminata la fase di elevata carica virale (es. apiretico da >72h e/o trascorsi almeno 7 giorni dall’esordio dei sintomi) e solo in corso di peggioramento degli scambi respiratori e/o peggioramento significativo della radiografia del torace (aumento in compattezza ed estensione degli infiltrati).

Indicazione ad inizio di trattamento antivirale

Alcuni studi hanno dimostrato che l’inizio più precoce possibile della terapia antivirale (sia con lopinavir/ritonavir che con remdesivir) riduce le complicanze gravi della malattia (soprattutto insufficienza respiratoria acuta). LPV/r è considerata una promettente opzione di trattamento per le infezioni da COVID-19, sulla base dell’efficacia dimostrata nei confronti di SARS-COV (in combinazione con ribavirina).

Il trattamento è indicato in pazienti con diagnosi virologica accertata e con sintomi lievi ma con presenza di comorbidità o rischio di mortalità aumentato e con manifestazioni cliniche di malattia moderata o severa.32

Remdesvir è attivo, in studi preclinici, su infezioni SARS-CoV e MERS-CoV agendo sulla

polimerasi virale dei coronavirus. In modelli animali infetti con coronavirus MERS, remdesivir sembra avere maggiore efficacia rispetto al trattamento con lopinavir/ritonavir. L’impiego sia profilattico che terapeutico si è dimostrato attivo sia nel ridurre la carica virale, sia nel

migliorare i parametri di funzionalità polmonare.33

Clorochina/idrossiclorochina

Nel febbraio 2020 un panel di esperti in Cina ha riassunto i risultati dell’impiego di clorochina nel trattamento dell’infezione acuta da COVID-19, suggerendo che l’impiego del farmaco si associ al miglioramento del tasso di successo clinico, alla riduzione dell’ospedalizzazione e al miglioramento dell’outcome del paziente. Il panel raccomanda l’uso del farmaco al dosaggio di 500 mg BID per 10 giorni. In alternativa è possibile utilizzare, se non fosse disponibile clorochina, idrossiclorochina 200 mg BID. Attualmente (settembre 2020) l’utilizzo di idrossiclorochina non è più raccomandato in letteratura.

Tocilizumab:

(28)

immunodepressi sono a maggior rischio di evolvere verso un quadro grave di ARDS. Uno studio recente ha dimostrato che i pazienti che necessitano di ricovero in rianimazione presentano un quadro di perturbazione dell’assetto citochinico con elevati livelli di IL-6, IL-2, IL-7, IL-10 e TNF-α. Alterazioni simili si osservano nella sindrome da rilascio citochinico (CRS) caratterizzata da febbre e da insufficienza multiorgano.

Sebbene la terapia immuno-infiammatoria non sia raccomandata di routine nella polmonite da COVID 19, in considerazione del quadro di CRS e dei riscontri anatomopatologici di edema polmonare e di formazione di membrane ialine, un approccio terapeutico mirato

temporalmente e accompagnato dall’adeguato sostegno ventilatorio potrebbe essere di beneficio nei pazienti con polmonite grave che sviluppano ARDS. Tocilizumab è un farmaco che blocca il recettore della IL-6. Dato il quadro clinico e citochinico nei pazienti con

polmonite grave da COVI-19, tocilizumab potrebbe avere un razionale per bloccare la SIRS provocata dal virus nei pazienti con elevati livelli di IL-6.

La posologia raccomandata per il trattamento della CRS mediante infusione endovenosa della durata di 60 minuti è pari a 8 mg/kg nei pazienti di peso uguale o superiore a 30 kg o a 12 mg/kg nei pazienti di peso inferiore a 30 kg. In assenza di miglioramento clinico dei segni e dei sintomi di CRS dopo la prima dose, possono essere somministrate fino a 3 dosi supplementari di tocilizumab. L’intervallo tra dosi consecutive deve essere di almeno 8-12 ore.

Terapie anti-infettive di supporto e riattivazione di infezioni latenti

Il gruppo di lavoro raccomanda di valutare bene l’assenza di infezioni sistemiche concomitanti ed eventualmente impostare uno schema di terapia antibiotica preventiva ad ampio spettro secondo indicazioni cliniche, politiche sanitarie o protocolli in uso.

Doxiciclina 100mg /2 die e cefTriaxone 2g/2 die sono stati gli antibiotici maggiormente utilizzati nella nostra Rianimazione e in Reparto.

Profilassi tromboembolica

L’uso di eparina a basso peso molecolare (LMWH) o fondaparinux a dosi indicate per la profilassi del tromboembolismo venoso (TEV) è fortemente consigliato in tutti i pazienti ospedalizzati per COVID-19. Si imposta una terapia con eparina a basso peso molecolare profilattica (enoxaparina 4000 UI/die sc fino a 80kg; 6000UI/die sc se peso > 80kg) o

(29)

terapeutica (enoxaparina 4000 UI x2/die fino agli 80kg, 6000 UI x2/die se > 80 kg) con un approccio individualizzato sul paziente, volto a bilanciare il rapporto rischio/beneficio, tenendo conto dello stato di ipercoagulabilità sottostante.

Effetti potenziali dell’EBPM nella malattia da COVID-19

Raccolta dati

I dati dei pazienti sono stati raccolti dalle cartelle elettroniche e analizzati da cinque medici esperti (3 infettivologi e 2 rianimatori) e un infermiere del reparto di malattie infettive. I dati Includono le caratteristiche di base del paziente, le caratteristiche cliniche, i sintomi e il SOFA (Sequential Organ Failure Assessment), i dati di laboratorio all’arrivo in Pronto Soccorso, i reperti della radiografia del torace, il setting di ricovero (reparto di Malattie Infettive o Rianimazione), richiesta di ossigeno supplementare e tipo di approccio ventilatorio (NIV o VM), terapia antiretrovirale e terapia antibiotica, uso di idrossiclorochina, terapia

immunomodulante con corticosteroidi o tocilizumab.

Tra le caratteristiche di base del paziente abbiamo considerato: sesso, età, sede di acquisizione dell’infezione (RSA, ospedale o domiciliare) compresi i pazienti che lavorano come sanitari o collaboratori in strutture sanitarie, comorbidità come BPCO, diabete, BMI, ipertensione arteriosa, patologie cerebrovascolari, cancro, insufficienza renale.

(30)

Obiettivi dello studio

L’obiettivo primario è quello di investigare i fattori di rischio per la necessità di ventilazione non invasiva o invasiva, ovvero l’utilizzo di maschera Venturi, inteso come il bisogno di una CPAP (continuous positive airway pressure), BiPAP (bilevel positive airway pressure) o ventilazione meccanica invasiva.

Abbiamo utilizzato la BPAP esclusivamente con la maschera total face (NIV), mentre la CPAP con l’utilizzo sia della maschera che del casco.

Analisi statistica

Per le variabili continue vengono riportati i valori massimo e minimo, la mediana e il range interquantile, mentre per le variabili categoriche si riportano le percentuali. L’analisi statistica è stata svolta utilizzando il t-test o il test esatto di Fisher per le variabili continue con

distribuzione normale a seconda della numerosità dei campioni; il test di Mann-Whitney è stato usato per variabili continue con distribuzione non normale.

Le variabili categoriche sono state analizzate con il test del Chi-quadrato.

Per tutte le variabili risultate significative per l’outcome primario all’analisi univariata (p < .05) è stata eseguita un’analisi multivariata con il modello di regressione logistica.

(31)

RISULTATI

Sono stati inclusi 97 pazienti (60 uomini, 40 donne) con età media di 64 anni (IQR 54.5-75; range 25-99). Le donne ricoverate avevano un’età significativamente maggiore rispetto agli uomini (75 anni (IQR 58-81.5; range 22-99, p = 0,009) (tabella 1).

È stata riportata una storia di esposizione in pazienti provenienti da case di cura o centri di riabilitazione a lungo termine nel 16,5% dei casi (11 pazienti), nel 3.1% (3 pazienti) è stata documentata una trasmissione nosocomiale; nel 3.1% (3 pazienti) si trattava di sanitari. Tra le comorbidità riscontrate, la più comune era l’ipertensione arteriosa, riportata circa nel 60% dei pazienti, seguita dal diabete mellito tipo II, patologie cerebrovascolari (inclusa la demenza vascolare) e le patologie ostruttive croniche polmonari (BPCO).

Nel 21,6% dei casi (21 pazienti) il BMI era maggiore di 30. I più comuni sintomi prima dell’ammissione erano febbre, tosse, dispnea e astenia. In Pronto Soccorso il 59,8% dei pazienti (58/97) avevano un SOFA ≥ 2 punti e il 55.7% (54/97) un rapporto PaO2/FiO2 < 300. Un aumento dell’LDH (lattato deidrogenasi) si è manifestato nel 66% dei pazienti (64/97) mentre il 36,1% (35/97) aveva un D dimero > 1000ng/ml. Il 36% dei pazienti (35/97) ha necessitato di ricovero in terapia intensiva, mentre il 94.8% (92/97) ha avuto bisogno di ossigenoterapia: 10,8% (10/92) ossigeno a bassi flussi (cannule nasali), 44,5% (41/92) maschera Venturi, 31,5% (29/92) CPAP, 2.2% (2/92) BPAP, 10.8% (10/92) ventilazione meccanica. Nel 91,8% dei pazienti (89/97) è stata inserita una terapia antivirale e nel 93.8% (91/97) è stata somministrata una terapia antibiotica. Il tocilizumab è stato somministrato nel 24.7% dei pazienti (24/97), mentre i corticosteroidi sono stati dati nel 45.4% dei casi (44/97). Tutti hanno ricevuto una profilassi con anticoagulanti con eparina a basso peso molecolare a dosi standardizzate. Al 14 maggio 2020, l’88.7% dei pazienti (86/97) si sono negativizzati e sono stati dimessi dall’ospedale, il 9.3% (9/97) è deceduto, il 2.1% (2/97) era ancora ammesso per quanto in miglioramento. Dei 9 pazienti deceduti, 2 non erano nel gruppo di pazienti NIV/MV e sono morti per arresto cardiaco e 7 erano del gruppo NIV/MV.

All’analisi univariata (tabella 1) un BMI > 30, il diabete, storia di dispnea o astenia, un SOFA score all’ammissione ≥ 2 punti, un rapporto PaO2/FiO2 <300 all’ammissione, una febbre > 38°

(32)

(all’ammissione), un aumento dell’LDH, dell’AST, PCR e D dimero > 1000ng/ml erano significativamente associati al supporto respiratorio non invasivo / invasivo.

All’analisi multivariata, una febbre > 38°, LDH > 250 U/L e il D dimero >1000 ng/ml erano significativamente associati alla richiesta di un supporto ventilatorio non invasivo /invasivo mentre un rapporto PaO2/FiO2 < 300 è risultato quasi statisticamente significativo.

(33)

DISCUSSIONE

Dall’inizio della pandemia l’approccio al paziente, sia in termini di supporto ventilatorio che terapeutico si è modificato in base alle evidenze cliniche di risposta alla terapia e ai

suggerimenti dati dagli studi pubblicati in letteratura.

Analizzeremo l’approccio durante i mesi di marzo-maggio 2020, periodo del nostro studio. Nel nostro studio di coorte abbiamo analizzato le caratteristiche cliniche dei pazienti COVID-19 positivi ospedalizzati, con l’obiettivo di evidenziare i possibili fattori di rischio associati alla richiesta di supporto ventilatorio invasivo o non invasivo.

Le caratteristiche epidemiologiche di base dei pazienti nel nostro studio risultano pressoché sovrapponibili a quelle pubblicate da Grasselli et al 27 nello studio italiano più importante, ovvero pazienti di sesso maschile, con età mediana di 64 anni e con ipertensione e diabete come comorbidità.

Contrariamente a Grasselli tuttavia i pazienti del nostro studio soffrivano di patologie cardiovascolari solo nel 10% di casi. Dati simili sono stati confermati da Wang et al23e Richardson et al18.

Inaspettatamente né nel nostro studio né in quello di Grasselli27 l’età non rappresenta un fattore di rischio poiché la mediana dei pazienti ventilati corrisponde alla mediana dei pazienti ospedalizzati con diagnosi di COVID-19.

L’obesità (ovvero un BMI > 30) viene riportata come un fattore di rischio nello studio di Bhatraiu et al28 e Simmonet et al34. I nostri dati confermano parzialmente questo reperto in quanto un BMI maggiore di 30 è risultato significativamente associato al rischio di essere sottoposto a ventilazione all’analisi univariata (15/21 pazienti - 71,4% - con un BMI > 30 hanno ricevuto un supporto ventilatorio invasivo), ma si perde la significatività statistica all’analisi multivariata.

Ulteriori fattori di rischio valutabili direttamente all’ammissione del paziente in ospedale sono febbre, aumentati livelli di LDH e D-dimero: valori elevati risultano associati in modo

indipendente alla necessità di aumentare il livello di cure e ciò è confermato dagli studi già pubblicati di Zhou et al35 e Wu et al.36

(34)

Lo studio di Zhou pubblicato su Lancet35 indaga sui fattori di rischio di mortalità ospedaliera nei pazienti con COVID-19; l’età avanzata, l’elevato punteggio SOFA e i livelli di D-dimero > 1ug/mL al momento del ricovero sono fattori di rischio significativi in fase iniziale per una prognosi sfavorevole e alto rischio di mortalità ospedaliera. Questa pubblicazione afferma come febbre e tosse risultavano i sintomi più comuni al momento del ricovero.

L’aumento drammatico del D-dimero è un segno laboratoristico distintivo della patologia coagulativa da COVID35

I pazienti con livelli di D-dimero > 1000 all’ammissione hanno una mortalità 20 volte maggiore dei pazienti con valori di D dimero bassi (Zhou et al)35.

Le comorbidità erano presenti in circa il 50% dei pazienti, in particolar modo ipertensione, diabete e malattie coronariche.

Anche lo studio di Wu et al36 pubblicato su Jama a marzo 2020 indaga sui fattori di rischio associati allo sviluppo di ARDS e alla progressione verso la morte nei pazienti con COVID-19 conferma che l’età avanzata, la neutrofilia, le disfunzioni d’organo e della coagulazione sono le caratteristiche più riscontrate nei pazienti più gravi.

L’età avanzata, associata a diminuzione delle competenze immunitarie, risultava associata sia all’ARDS sia alla morte.

(35)

La nostra serie di pazienti è, a nostro giudizio, la prima serie di casi italiani che descrivono un’esperienza di vita reale dalla prospettiva di un reparto comune di Malattie Infettive e Terapia Intensiva.

In conclusione, il nostro studio conferma che febbre, alti livelli di D-dimero e LDH

rappresentano fattori di rischio per la ventilazione. Tutti e tre questi valori possono essere considerati come marker di uno stato iperinfiammatorio che induce lo sviluppo di una patologia severa difficile da trattare.

Uno screening dello stato infiammatorio precoce dovrebbe essere fatto all’arrivo del paziente in pronto soccorso in maniera da stratificare il suo rischio di sviluppare una forma severa. Questo studio ha alcune limitazioni: innanzitutto è retrospettivo e i dei dati clinici non sono sempre stati disponibili in quanto non c’è un approccio standardizzato alle cure (bias di selezione), in secondo luogo la scarsa numerosità campionaria potrebbe influenzare la valutazione dei fattori di rischio, infine lo studio è monocentrico e questo potrebbe generare informazioni non replicabili in altri contesti.

Prognosi

• Mortalità: varia da circa 0.5% a 3% (maggio 2020)

• La mortalità aumenta vistosamente per individui con patologie concomitanti o di età > 60 anni, con i tassi fino al 15% per individui di > 80 anni

• Sono considerati ad alto rischio per decorso severo individui con: ≥ 65 anni di età

• Patologie concomitanti, in particolare: Malattia cronica polmonare oppure asma moderata/severa, Severe condizioni cardiovascolari, Patologie metaboliche

(soprattutto diabete), insufficienza renale, Patologia epatica, Obesità severa (BMI ≥ 40)

(36)

Grafico che analizza la mortalità associata alla ventilazione meccanica invasiva nei pazienti COVID-19 positivi37

La linea rossa rappresenta l’aumento previsto della mortalità associata al COVID-19 all’aumentare dell’età o del numero e della gravità delle comorbidità; la linea nera rappresenta la capacità idealizzata di ridurre la mortalità e allo stesso tasso basso per tutti,

indipendentemente dalle caratteristiche del paziente. La linea blu rappresenta il probabile impatto differenziale della ventilazione meccanica invasiva, evidenziando maggiori benefici

per coloro che sono più giovani e più sani e meno benefici per coloro che sono più anziani e con più problemi di salute sottostanti.37

(37)
(38)
(39)

CONCLUSIONI

Abbiamo riscontrato che la febbre (T° >38°C), un valore di LDH >250 U/L e di D-dimero > 1000ng/ml sono associati in modo significativo alla necessità di supporto ventilatorio. Uno screening dei marker infiammatori potrebbe essere utile a identificare velocemente i pazienti che più probabilmente svilupperanno una malattia severa in modo da ottimizzare un appropriato protocollo terapeutico.

(40)

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