Che senso ha un’autobiografia e quali sono le giustificazioni che questo ten- tativo può avere? Forse un intervento diretto può meglio chiarire motivazioni, difficoltà e risultati di queste mie indagini relative al mondo cristiano che i Colle- ghi gentilmente ritengono possano avere un qualche interesse ad essere rispolve- rati. Per quanto mi riguarda è da segnalare, credo, il legame che mi unisce ad un ambiente naturale di montagna. Si spiegano così nei miei studi alcuni temi fon- damentali di attenzione e di “amore”, che spero si leggano nelle ricerche fatte. Ad
54 Ibid. 55 Ibid. 56 Ibid.
57 Gaianè Casnati in Macchiarella 2005. 58 Ibid.
esempio le nostre Dolomiti, insieme severe e “romantiche”, hanno caratteri distin- tivi fondamentali anche di alcuni altri ambienti che non possono essere dimenti- cati. In quest’ottica particolarmente importanti sono stati, io credo, sia sul piano umano, sia su quello artistico, le esperienze vissute nell’area armena, il mitico paese delle pietre. Tra le pietre della montagna si trovano caratteri di più vasto respiro che accomunano luoghi e modi di vivere. A questo proposito mi vengono in mente alcune considerazioni che sono state filo conduttore delle mie ricerche: 1. all’uomo e ai suoi problemi 2. considerazione dell’architettura come soluzione di vita: tutti dobbiamo essere architetti. Progettare, quindi fare scelte autonome, è in un certo senso essere o cercare di essere architetto. 3. studio dell’architettura non come fine a se stesso, raccolta di immagini da spettacolo o curiosità, ma stru- mento per capire cosa c’è dentro gli involucri costruiti. Circostanze favorevoli mi hanno portato a specifiche ricerche nell’oriente cristiano (ma poteva esser ovun- que: a condurmi in questi luoghi è stata una serie fattori non sempre programma- ti). Attraverso amicizie o conoscenze non solo accademiche ho potuto veramente penetrare nel modo di vivere e di pensare di alcune culture dai caratteri partico- larmente significativi, come quella armena. E ciò in periodi difficili, quali quelli precedenti e seguenti la morte di Stalin per l’Armenia ex-sovietica e prima e dopo la caduta dello Scià nei territori dell’Armenia storica nel nord Iran.
Ricordo l’assolata tarda mattina di un lontano settembre quando un Tupolev sovietico ci scaricò sulla grande pianura ai piedi dell’Ararat. Il primo atteggia- mento fu quello di cercare di scorgere almeno la sagoma della grande montagna; ma non ce ne fu il tempo, perché fummo travolti da un gruppo di nuovi amici, per lo più giovani architetti, che erano venuti ad accoglierci. Rivedo i loro sguar- di vivaci, gli occhi nerissimi e lucenti, la loro attenzione a riservarci il massimo dell’accoglienza e contemporaneamente la curiosità per sapere da noi cosa succe- deva in Europa e nel mondo. E ancora, a dimostrazione dello straordinario senso di ospitalità di quel paese, la mia memoria va a un più che mai assolato pome- riggio sull’altopiano. Mentre eravamo alla ricerca di una chiesuola abbandonata, ecco l’apparizione di un puntino d’ombra: un asino immobile sotto cui riposava il pastore. Questi, alla domanda su quale fosse la via da percorrere, anziché dimo- strarsi seccato dal disturbo, ci invitò subito a cena a casa sua. Forse anche perché mi si è sentito così intimamente legato alla loro “umana avventura”, è abbastanza scontato che mi sia stato “affibbiato” (bonariamente ma anche con una punta di fierezza) il soprannome di Alpaghian; ed è per me commovente questa “promo- zione sul campo”, che voleva essere un riconoscimento del valore umano e non solo scientifico del lavoro intrapreso.
Lo sfrenato consumismo che aveva caratterizzato anche l’Italia negli anni ‘60, mi aveva portato a rivalutare questa architettura e gli studi relativi spingendomi a riscattarli da un abbandono superficiale e colpevole. Quando avevo cominciato ad operare in quel campo l’edilizia popolare era considerata “spazzatura” o, al meglio, folclore. Per me, invece, lì si conservava in modo particolarmente vivo l’impronta dell’artefice, si misurava sinceramente il rapporto tra produttore e frui- tore (del resto quest’architettura era forse più affine al mio modo di sentire! ... Chi mi conosce sa bene come io abbia sempre cercato di evitare giacca e cravatta: con qualche scappatoia sono persino riuscito ad evitare la toga accademica quando pure era d’uso!).
Un’esperienza non comune è stata quella di aver potuto vivere l’amicizia del- le comunità interessate ai miei studi, anche se talvolta questi erano considerati “hobby pemiciosi” negli ambienti colti. Non posso dimenticare la domanda che mi fece un celebrato collega: “Alpago, ma perché ti occupi di queste cose e non piuttosto di Brunelleschi?”. Con la stessa curiosità ma con sincero interesse, la semplice gente del posto si meravigliava dell’attenzione suscitata dall’argomento.
Un’ulteriore attività fondamentale è stata per me l’insegnamento universita- rio: determinante il rapporto con gli studenti, il contatto-dialogo con loro. Spero gli allievi ricordino che la mia preoccupazione era di dar loro degli stimoli, delle curiosità, delle tracce da seguire, un metodo per farlo, per capire che “il futuro ha un cuore antico”, come ben ha detto Carlo Levi.
Credo ancora sarebbe per me ingiusto dimenticare l’ “eredità” di mio padre e della cultura del classicismo lombardo che mi ha indotto a riflessioni su concetti come storia, continuità e regole, non come forma, ma come sostanza. Di parti- colare interesse è pure il rapporto che si era creato in quegli anni tra territorio e urbanistica, tra cultura autoctona e storia totale. Quello che però è più importante, concludendo, è che sia nel campo della progettazione che nello studio ho sempre – o quasi – avuto la fortuna di divertirmi, così da riuscire a crearmi una vita in- teressante e insieme una massa di ricordi cui attingere per progettare l’avvenire. Chiudendo quest’autopresentazione vorrei precisare che non si tratta di pagine da “album dei ricordi” ma piuttosto di una serie di “esami di coscienza”, un andare alle motivazioni originarie delle mie numerose curiosità che alla fine sono a mio avviso, tra le più stimolanti ragioni del vivere.