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La giurisprudenza italiana dominante, quindi, sancisce l’annullabilità in via generale dei provvedimenti amministrativi contrari al diritto europeo, salvo il caso eccezionale, che subito si dirà, di nullità assoluta.

Questa posizione è espressa con chiarezza nella sentenza n. 35/2003 del Consiglio di Stato, nella quale il Supremo Collegio, per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco, precisa in primo luogo che «la disposizione comunitaria violata si pon[e], soprattutto nel caso in cui risulti tradotta in una norma nazionale, come diretto parametro di legalità dell’atto amministrativo, anche tenuto conto del rapporto di integrazione tra i due ordinamenti [...], da giudicarsi preferibile rispetto a quello della loro separatezza ed autonomia»352. Di conseguenza, l’atto interno contrastante con tale disposizione va considerato affetto da illegittimità-annullabilità; solo ove esso sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere, incompatibile – questa – con il diritto comunitario (contrasto indiretto), il vizio assume i più gravi connotati della nullità. La conclusione è avvalorata – puntualizzano i giudici – dal disegno di legge recante modifiche e integrazioni alla l. 7 agosto 1990 n. 241, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 marzo 2002, che prevedeva l’introduzione nel corpo della legge generale sul procedimento amministrativo di un articolo 13-sexies, espressamente

352 Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2003 n. 35. Risulta però poco comprensibile, e finanche contraddittorio con il ragionamento nel quale è inserito, l’inciso «soprattutto nel caso in cui risulti tradotta in una norma nazionale»: secondo la teoria dell’integrazione tra ordinamenti, la norma comunitaria funge sempre da parametro di legittimità per l’atto amministrativo, anche in mancanza di traduzione in una norma nazionale.

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contenente, fra i vizi di annullabilità del provvedimento, la violazione di disposizioni di fonte comunitaria353.

La nullità, nella visione delineata, assumerebbe le sembianze della carenza di potere in astratto e dunque, ancora una volta, del difetto assoluto di attribuzione: se il provvedimento fosse conforme alla norma nazionale che all’autorità amministrativa aveva attribuito il potere di provvedere, ma che risulta contraria al diritto europeo, allora la norma nazionale andrebbe disapplicata e il provvedimento dichiarato nullo per mancanza di fondamento normativo.

Per non frustrare la tesi di cui il medesimo Consiglio di Stato si è detto portatore, è tuttavia necessario fornire un’interpretazione estremamente restrittiva di codesto assunto. In caso contrario, infatti, si rischierebbe di ricadere nelle avversate conclusioni del TAR Piemonte poco sopra illustrate, che sempre escludevano la possibilità di impiegare come referente normativo la disposizione europea posta a monte della fattispecie (della quale la norma nazionale costituiva inesatto recepimento)354. Ecco allora che l’affermazione del Consiglio di Stato va circoscritta al caso «assai teorico»355, per non dire immaginario, dell’atto amministrativo nazionale adottato sulla base di una norma interna, che sia lesiva del diritto comunitario e che contestualmente disciplini un ambito non regolato dal diritto comunitario. Situazione difficile da concepire, perché caratterizzata da intrinseca contraddizione356.

353 Nel testo approvato dal Senato il 10 aprile 2003, però, l’art. 13-sexies scomparve, per confluire, sotto altre forme, nell’art. 21-sexies, secondo il quale era «annullabile il provvedimento amministrativo contrario a norme imperative o viziato da eccesso di potere». Dopo ulteriori, successive modifiche parlamentari, il riferimento diventa l’art. 21-octies, introdotto nella formulazione attuale dalla l. 15/2005. All’esito dei numerosi passaggi, quindi, il richiamo alla violazione di norme comunitarie viene espunto, ma la I Commissione Permanente (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni) ha precisato, nella propria relazione del 6 novembre 2003, che «la dizione “violazione di legge” deve intendersi, conformemente a quanto afferma la giurisprudenza, in senso lato, comprendendo tutti gli atti di normazione (primaria, secondaria e comunitaria)».

354 A differenza di quanto sostenuto dal TAR Piemonte, anche un’interpretazione ampia delle parole del Consiglio di Stato porterebbe comunque ad escludere dal discorso gli atti europei self-

executing, per i quali – è pacifico – non si verifica alcuna intermediazione di norme nazionali.

355 M.P.C

HITI, L’invalidità degli atti amministrativi per violazione di disposizioni comunitarie e

il relativo regime processuale, in Dir. amm., 2003, p. 701.

356 Si condividono le riflessioni sviluppate sul punto da R.V

ILLATA, Osservazioni in tema di

incidenza dell’ordinamento comunitario sul sistema italiano di giustizia amministrativa, in Dir. proc. amm., 2006, pp. 857-858. In particolare, l’A. si dichiara non persuaso dall’opinione di chi ritiene che

l’atto amministrativo sia emanato senza potere laddove venga disapplicata la norma interna: «simile affermazione convincerebbe solo se mancasse anche una norma comunitaria disciplinante quella fattispecie, norme viceversa in tesi esistente (perché altrimenti non si darebbe luogo alla cennata disapplicazione)».

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Eppure, nonostante la fragilità teorica della struttura, l’eccezione alla regola generale dell’annullabilità viene gelosamente salvaguardata dal massimo organo di giustizia amministrativa, che in più occorrenze la ripresenta, come dato peraltro ineluttabile. Nella sentenza n. 579/2005, ad esempio, l’ipotesi specifica di nullità è acriticamente qualificata, insieme all’annullabilità in via ordinaria, come «principio acquisito»357; non sono indicati precedenti giurisprudenziali al di fuori della pronuncia n. 35/2003 sopra citata, né si rinviene, a corredo, alcun apparato motivazionale. Sulla medesima linea si pongono altresì le sentenze n. 3072 del 2009 e n. 1983 del 2011. Entrambe riprendono in modo pedissequo le parole utilizzate in precedenza, statuendo che la nullità è configurabile «nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere che sia incompatibile con il diritto comunitario»358.

La dottrina accostatasi al tema in occasione delle menzionate pronunce non esita a respingere con nettezza la – pur circoscritta – fattispecie di nullità, anche sul rilievo che, in tal modo, si creerebbe un regime differenziato per situazioni in sostanza analoghe359.

Più saggiamente, si limitano a riportare i passaggi relativi all’annullabilità, tralasciando quello sulla nullità, le sentenze n. 2566/2005 e n. 750/2012. Quest’ultima, in particolare, esclude expressis verbis la configurazione dell’invalidità più radicale sulla scorta della lettera dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990, che «ha posto un numero chiuso di ipotesi di nullità e non vi rientra la violazione del diritto comunitario»360.

357 Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 21 febbraio 2005 n. 579.

358 Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 19 maggio 2009, n. 3072; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 31 marzo 2011, n. 1983.

359 In questo senso: S. V

ALAGUZZA, Sulla impossibilità di disapplicare provvedimenti

amministrativi per contrasto col diritto europeo: l’incompatibilità comunitaria tra violazione di legge ed eccesso di potere, in Dir. proc. amm., 2005, p. 1117; G. PEPE, Principi generali dell’ordinamento

comunitario e attività amministrativa, cit., pp. 140-141. Contrari anche: M.RAMAJOLI eR.VILLATA, Il

provvedimento amministrativo, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 403-404; ID., Contrasto di un atto con il

diritto europeo, in Treccani. Libro dell’anno del Diritto 2012, Ist. Enciclopedia Italiana, Roma, 2012; N.

PIGNATELLI, L’illegittimità “comunitaria” dell’atto amministrativo, in Giur. cost., 2008, pp. 3663-3664. 360

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 15 febbraio 2012, n. 750. Il richiamo all’art. 21-septies, ma più in generale alla normativa nazionale, è invece «concettualmente errato» secondo M.P.CHITI, Le

peculiarità dell’invalidità amministrativa per anticomunitarietà, cit., p. 486. L’A. sostiene, infatti, che il

legislatore nazionale non abbia titolo per disciplinare le questioni comunitarie e che, quindi, dalla mancata inclusione della violazione del diritto dell’Unione europea nel novero delle ipotesi di nullità non possa ricavarsi alcun argomento dirimente.

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Nonostante l’atteggiamento schizofrenico del Supremo Collegio361, non pare dubbio che la sanzione dell’annullamento, a carico dell’atto contrastante con il diritto europeo, sia in ogni caso la più rispettosa dell’intervenuta integrazione tra gli ordinamenti. Oltretutto essa si pone in linea con la soluzione adottata per gli atti amministrativi delle istituzioni europee, i quali soggiacciono, del pari, ad un regime di annullabilità362.

3. Le conseguenze problematiche dell’annullabilità e la soluzione