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Argomenti a difesa della teoria della disapplicazione

La tesi della disapplicazione provvedimentale, insomma, non è gradita ai più, il che, di per sé, costituisce ragione sufficiente per accantonarla. Se la comunità chiamata ad applicarla non le garantisce ex ante il proprio supporto teorico, infatti, essa rimarrà una tesi suggestiva, ma sterile.

Ciò non esime, comunque, dal tentarne una difesa, prima di prospettare una soluzione potenzialmente più accettabile.

Il primo argomento, utile a dimostrare che la disapplicazione non andrebbe esclusa in radice, si ricava a contrario dalle riflessioni sviluppate intorno alla pregiudizialità amministrativa, prima che la problematica trovasse sistemazione in seno al codice del 2010. Si è sostenuto, a tal proposito, che l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto all’impugnazione dell’atto illegittimo, dal quale i danni derivano, avrebbe condotto a risultati (ritenuti) aberranti per l’ordinamento, primo fra tutti la sostanziale disapplicazione dell’atto in questione391. In effetti, procedere al risarcimento di un danno originato da un provvedimento ancora valido significa “non tenere conto” della perdurante efficacia di quel provvedimento, non trarre da esso «le conseguenze

TAR Sardegna, 27 marzo 2007 n. 549, nota agli studiosi per l’utilizzo eccentrico dell’istituto della disapplicazione: i giudici cagliaritani, trovandosi a sindacare un atto amministrativo contrastante con precedente atto (negoziale) della medesima amministrazione, a sua volta contrario al diritto europeo, disapplicano ex officio il secondo, nel convincimento che esso possa esplicare i propri effetti solo se conforme ai precetti derivanti dall’ordinamento europeo. Per un approfondimento, si vedano i commenti di M.MACCHIA, La violazione del diritto comunitario e l’«eccezione disapplicatoria», in Giorn. dir.

amm., 2007, p. 859 ss., di F.MIDIRI, Nuovi fondamenti teorici per la disapplicazione dei provvedimenti

anticomunitari?, in Urb. app., 2007, p. 1025 ss. e di M.DELSIGNORE, La disapplicazione dell’atto in

violazione del diritto comunitario non impugnato, in Dir. proc. amm., 2008, p. 271 ss.

391 G. G

RECO, Inoppugnabilità e disapplicazione dell’atto amministrativo nel quadro

comunitario e nazionale, cit., p. 524: «la disapplicazione (in mancanza di annullamento) è un passaggio

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che ne dovrebbero derivare»392 e, pertanto, significa disapplicarlo393. Anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2003 mostrava di aderire all’impostazione delineata, affermando: «una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e [...] l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, ma [...] è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari»394.

Questo condivisibile ragionamento, se calato nell’attualità, ove esiste un’espressa disposizione normativa che consente di esperire l’azione risarcitoria in via indipendente rispetto all’azione di annullamento395, porta a concludere per la titolarità in capo al giudice amministrativo di un potere di disapplicazione provvedimentale, esercitato in sordina pressoché quotidianamente. Se così è, escludere la disapplicazione degli atti amministrativi anticomunitari integra un’evidente violazione del criterio dell’equivalenza, sancito dalla Corte di giustizia – insieme al criterio dell’effettività396 – per valutare la conformità degli strumenti interni agli Stati membri con l’ordinamento giuridico europeo. Poiché, in base al principio di equivalenza, le modalità procedurali di trattamento di situazioni che trovano la loro origine nell’esercizio di una libertà comunitaria non devono essere meno favorevoli di quelle aventi ad oggetto il

392 F. S

ATTA, Giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 1986, p. 67, come richiamato da G. GRECO, op. ult. cit.

393

G.GRECO, Illegittimità comunitaria e pari dignità degli ordinamenti, in Riv. it. dir. pubbl.

com., 2008, p. 511: «personalmente credo che considerare il provvedimento privo dei propri effetti

precettivi (alla stregua di qualunque fatto, sia pure con effetto costitutivo, ma che non pone la regola del caso concreto), significhi disapplicarlo».

394 Consiglio di Stato, Ad. plen., sentenza 26 marzo 2003, n. 4.

395 Art. 30, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Il fatto che la norma contenga forti temperamenti all’autonomia delle due azioni, a dimostrazione del favor del legislatore per la previa proposizione della domanda di annullamento, ai nostri fini non rileva.

396

Cfr. nota 43. Equivalenza ed effettività costituiscono i due “criteri Rewe”, così come denominati da D.U. GALETTA, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea:

Paradise Lost?, Torino, Giappichelli, 2009, p. 21 ss. Essi si pongono come limiti esterni all’autonomia

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trattamento di situazioni puramente interne397, il superamento della pregiudiziale amministrativa implicherebbe di necessità l’estensione della disapplicazione a tutti i provvedimenti contrastanti con il diritto dell’Unione europea.

Ulteriore argomento a favore della disapplicazione amministrativa, o meglio, a difesa di questa dal coro di critiche degli oppositori, si rinviene nel raffronto con la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione esclusiva, nell’ambito delle quali il potere di disapplicare è legittimamente esercitabile dal giudice. Vanno considerati, in particolare, l’ampio elenco delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di cui all’art. 133 del codice del processo, e i casi di nullità del provvedimento, da portarsi innanzi al giudice ordinario: si tratta di fattispecie ricorrenti, che, appunto, contemplano la possibilità di ottenere la disapplicazione del provvedimento, anche se concreto e puntuale. Possibilità – si è ribadito più volte – interdetta in sede di giurisdizione generale di legittimità. È naturale, quindi, chiedersi se una simile disparità di trattamento trovi giustificazione in principi superiori dell’ordinamento, o nella natura di diritto soggettivo della posizione tutelata, ma pare francamente che il quesito debba trovare risposta negativa. Non emergono, infatti, caratteristiche peculiari, intrinseche alla materia incisa o alla tipologia del vizio, tali da motivare un regime differenziato e deteriore398 per i provvedimenti sindacati dal giudice amministrativo nell’ambito della giurisdizione di legittimità. Il divario riposa, in fondo, sulla qualità della posizione giuridica sottesa, ovvero sulla debolezza dell’interesse legittimo a confronto con il diritto soggettivo. Ecco allora che fa capolino un sospetto: che l’interpretazione delle risalenti norme inerenti il potere di disapplicare non sia conforme a Costituzione, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113.

Secondo la medesima logica, anche la riconosciuta disapplicabilità degli atti regolamentari, da parte del giudice amministrativo (in ogni veste), solleva dubbi di costituzionalità. È vero che i regolamenti si distinguono dai provvedimenti per generalità e astrattezza, ma è parimenti vero che si tratta pur sempre di atti amministrativi, soggetti all’ordinario termine di impugnazione di sessanta giorni,

397 Ex multis, v. Corte di giustizia, sentenza 19 giugno 2003, causa C-34/02, Pasquini c. INPS. 398

Il trattamento è definito deteriore dal punto di vista del ricorrente, che si vede privato di uno strumento di tutela. Non si ignora, comunque, che storicamente il potere di disapplicare un atto dell’amministrazione è considerato un minus rispetto al potere di annullarlo; non a caso, del resto, è il solo potere di cui dispone il giudice ordinario.

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decorsi infruttuosamente i quali scatta l’inoppugnabilità. Ciò detto, escludere la disapplicazione degli atti puntuali e concreti, a fronte di una manifesta violazione del diritto europeo, genera un grave vuoto di tutela per i destinatari degli stessi e induce a riflettere sulla compatibilità, anzitutto, con l’art. 113 della Costituzione, comma 2. Forse che non si è in presenza di una limitazione della tutela giurisdizionale «per determinate categorie di atti»?

Per tutti questi motivi, la disapplicazione amministrativa generalizzata potrebbe trovare accoglienza nel nostro ordinamento.

Come accennato, l’inconveniente, non lieve, sarebbe una rimarchevole compromissione del principio di certezza del diritto, attuata, per di più, per mano del giudice, che quella certezza normalmente è chiamato a garantire. Altro “effetto collaterale” da non trascurare consisterebbe nell’instaurazione di una sorta di doppio regime, per cui le posizioni giuridiche soggettive tutelate da una disposizione comunitaria riceverebbero una protezione piena anche una volta spirati i termini per l’impugnazione, mentre le posizioni giuridiche discendenti da norme interne sarebbero prive di protezione già dal giorno successivo alla scadenza di detti termini. Un simile privilegio accordato al vizio di anticomunitarietà rischierebbe di dar vita ad un fenomeno pericoloso, ancora più deleterio per la certezza del diritto, quale quello della caccia, nell’ambito di ogni provvedimento che si intende portare davanti al giudice, al profilo di contrasto con il diritto dell’Unione. Fiorirebbero, da parte degli avvocati dei ricorrenti, interpretazioni innovative dei disposti provvedimentali italiani, tese a forzare al massimo il dato letterale per rintracciare una qualsivoglia dissonanza con il parametro europeo e accedere così al beneficio della disapplicazione. Interpretazioni che, peraltro, potrebbero avanzare gli stessi giudici, sollevando d’ufficio la questione. Il grado di incertezza e di disordine, a quel punto, diverrebbe inaccettabile.

Dunque, fermi restando i termini del problema, ovvero la rimozione dal mondo giuridico di un provvedimento lesivo della normativa comunitaria divenuto ormai inoppugnabile, un’altra soluzione è stata prospettata, che, quanto meno in un primo momento, esclude l’intervento del giudice, demandando alla pubblica amministrazione l’onore e l’onere di ripristinare la legalità violata.

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5. I panni sporchi si lavano in casa? Le attitudini di giurisprudenza e