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Antichistica TUCIDIDE, Epitaffio di Pericle per i

ca-duti del primo anno di guerra, a cura di Oddone Longo, testo greco a fronte, pp. I l i , Lit 18.000, Marsilio, Venezia 2000

La pagina di Tucidide (II, 34-37) appartiene ail'iperuranio scolasti-co: lo storico, nella persona dello statista, celebra quell'Atene che vari umanesimi e liberalismi fecero proprio ideale. I funerali di stato im-ponevano patriottici elogi; e Plato-ne Plato-nel MePlato-nesseno già ironizza. Il curatore, anche nelle note, sa dire molto su tale ideologismo di una democrazia già mutila in senso sta-tutario, ma l'introduzione si racco-manda in particolare. Essa accosta la metafora dello scambio usata dall'oratore (II, 43,2: "facendo in comune offerta del proprio corpo ciascuno di loro ebbe in ricambio imperitura lode e insieme la tomba più insigne") a quella più vera di Eschilo - Agam. vv. 433 sgg.: "Ares cambiavalute di corpi (...) riempie le teche di cenere senza peso in cambio di uomini...". Qui l'etica del libero sacrificio ricupera il primato che l'epica, nonché l'ari-stocrazia, assegnavano al valore individuale e lo compone col prin-cipio del consenso collettivo su cui vuol fondarsi la città. L'elogio del caduto diviene elogio della città che tal consenso ottiene, e la sal-datura cade all'esatta metà del di-scorso (41,5: "Per tale città questi uomini morirono..."). La polis ga-rantisce libertà e agi di vita; va quindi difesa ed esaltata. La tradi-zione consacrerà quanto nasce co-me giustificazione politica di Peri-cle, che forse esita davanti a tale "sperpero delle risorse umane", ma la morte dei caduti, nell'elogio, è strumento "dell'ideologia (...) arte-fice del loro stesso annientamen-to". Giustificare la morte è impegno di ogni società; la politica, pur de-mocratica e liberale, aiuta qui per la prima volta anche i politici.

PIERPAOLO FORNARO

LOUIS GERNET, Diritto e civiltà in

Grecia antica, a cura di Andrea Tad-dei, premessa di Riccardo Di Donato, pp. XLII-207, Lit 39.000, La Nuova Italia, Milano 2000

L'edizione in traduzione italiana del manoscritto Le fonctionnement du droit di Louis Gernet mira a co-stituire un utile approccio a una materia "sfuggente e indefinita", per dirla con Paoli, quale deve es-sere considerato il diritto greco, o, ancor meglio, i diritti greci: catego-ria generale, di cui va rilevata l'ina-deguatezza, poiché, per motivi contingenti, soltanto per quanto concerne la polis di Atene è possi-bile tentare una ricostruzione stori-ca delle istituzioni giuridiche pub-bliche e private. Nelle aspirazioni di Gernet, il presente contributo doveva costituire il primo capitolo di una trattazione quanto più possi-bile completa del diritto ad Atene. Una breve premessa di Riccardo Di Donato presenta il contesto cul-turale entro cui collocare l'opera di Gernet, costituito dall'antropologia storica - in questo senso andrà in-teso il binomio droit e civilisation, concetto indispensabile per la comprensione dell'opera - , disci-plina di cui Gernet stesso è stato

uno dei fondatori e massimi espo-nenti per il mondo della Grecia an-tica. Andrea Taddei, curatore del-l'edizione, dedica un'ampia intro-duzione al materiale ancora inedito raccolto nelle Archives Gernet il ricco apparato di' note non si limita soltanto a chiarire gli appunti che costituiscono Le fonctionnemment du droit e a fornire un aggiorna-mento bibliografico, ma presenta criticamente i vari argomenti tocca-ti da Gernet, soprattutto in rapporto agli studi successivi. Nella stessa forma viene presentata l'opera, suddivisa in cinque capitoli (I. Il di-ritto e le sue fonti-, II. / giudici; III. Al-lestimento dell'apparato giudizia-rio; IV. La nozione di giudizio: V. Le prove), la cui traduzione è comple-tata dalle note del curatore, con i ri-ferimenti opportuni alla letteratura moderna e alle fonti classiche: par-rebbe comunque opportuno rileva-re che queste ultime sono state se-lezionate e aggiunte a giudizio del curatore, che ne fornisce sia il te-sto, sia la traduzione. L'edizione è infine arricchita dalla traduzione di una conferenza di Gernet sul diritto greco antico e da due preziose se-zioni a cura di Taddei: una ricca e ampiamente discussa bibliografia ragionata e aggiornata, e un utile glossario dei vocaboli giuridici gre-ci, con traduzione e spiegazione dei termini e riferimenti bibliografi-ci. La raccolta della bibliografia ge-nerale, gli indici dei nomi (degli au-tori moderni) e delle fonti classiche concludono l'edizione del contribu-to di Gernet che, soprattutcontribu-to grazie all'agile e nel contempo curata ve-ste editoriale proposta da Taddei, si propone come valido strumento di partenza per lo studio dell'espe-rienza giuridica ad Atene in età classica.

PIETRO COBETTO GHIGGIA

UMBERTO ALBINI, Euripide o

dell'in-venzione, pp. 160, Lit 25.000, Garzan-ti, Milano 2000

EURIPIDE, Fenicie, a cura di Umberto Albini, note di Fulvio Barberis, pp. XXX-121, Lit 19.000, Garzanti, Milano 2000

Euripide, osserva il biografo Sati-ro, portò a perfezione molti ele-menti della tragedia, tanto da non lasciare ai suoi successori possibi-lità di fare di più (Vita di Euripide, II, 8). Albini, da sempre attento stu-dioso del teatro antico e delle sue riletture sulla scena moderna, gui-da il lettore in un viaggio attraverso il "laboratorio scenico" del trage-diografo, da cui emerge la straordi-naria varietà dell'opera euripidea, ricca di suggestioni spesso raccol-te e amplificaraccol-te dai registi conraccol-tem- contem-poranei. Come il volume sa mostra-re in maniera accattivante, i

prolo-ghi sorprendono il pubblico pre-sentando figure cristallizzate del mito con nuovi tratti e in nuove vi-cende; i caratteri mutano da trage-dia a tragetrage-dia o nel corso del dramma stesso; gli eroi perdono le loro certezze, sono toccati dalla follia, precipitano nel quotidiano, mentre donne e fanciulli acquista-no dignità e grandezza; nei dialo-ghi dei personaggi entra prepoten-te il gusto giuridico-oratorio del-l'epoca. Di tutto ciò sono efficace esempio le Fenicie, amplissima tra-gedia in cui Euripide condensa e innova il materiale drammatico del-la saga dei Labdacidi, disponibile ora nella collana "Grandi Libri" Garzanti in traduzione con testo a fronte; grazie a una limpida resa (di Albini, cui si deve anche l'introdu-zione) e note puntuali e essenziali (di Barberis), rivivono così, perso-naggi di una vicenda corale, Gio-casta, Eteocle, Polinice, Edipo, Ti-resia, Creonte, e soprattutto Mene-ceo e Antigone, giovani disposti al-l'eroico sacrificio di sé per il bene della città e dei propri cari.

ELISABETTA BERARDI

PLUTARCO, La Musica, a cura di Raf-faella Ballerio, testo greco a fronte, in-trod. di Giovanni Comotti, pp. 129, Lit 13000, Rizzoli, Milano 2000

Si può sapere, e capire, di musi-ca antimusi-ca? E ricuperarne qualcosa dal naufragio della letteratura lirica pagana che l'aveva alimentata? Letto il trattatello attribuito a Plutar-co (un dialogo fittizio tripartito fra in-teressi storici, tecnici e morali) re-stano i dubbi che affollano ogni ri-ga; e le note in calce li moltiplicano. Vince il rammarico dell'ignoranza e della perdita subite nel tempo. Il saggio introduttivo di Comotti ripro-duce un capitolo di un suo prece-dente libro (La musica nella cultura greca e romana, Edt, 1991) e dà una esplicazione parallela al tratta-tello: si parla di origini, di nomoi e musica spartana, di ditirambi, di Laso, di harmoniai e di Pitagora, di scuole musicali, di Simonide, Bac-chilide e Pindaro, di Damone, del dramma attico, di Melanippide, del-la riforma di Timoteo, delle novità ellenistiche; e si tenta una sintesi delle teorie tecniche (con forti moti-vazioni etiche) proprie dell'anti-chità. Si torna a spiegare insomma; senza note e partiture, fuori dai testi letterari e dai pochi reperti archeo-logici, ogni novità offerta dagli esperti è infatti solo nuova ipotesi. La curatrice aggiunge notizie sul-l'impianto argomentativo e sulla tra-dizione del testo, poi anche un indi-ce di nomi e cose importanti; son quasi trecento voci. L'utile è qui pa-ri alla mortificazione nostra.

PIERPAOLO FORNARO

ODDONE LONGO, L'universo dei

Gre-ci. Attualità e distanze, pp. 335, Lit 50.000, Marsilio, Venezia 2000

"Non si tratta di ricostruire, o addirittura di inventare, un univer-sale greco che non è mai esistito, perché il pensiero dei Greci fu sempre dibattito, alternativa e di-versità". Così scrive Oddone Lon-go nella premessa a questa pre-ziosa raccolta di venti saggi di let-teratura e cultura greca, apparsi su riviste del settore tra il 1986 e il 1996, e ora riuniti in volume. Un decennio di ricerche e riletture, a partire anzitutto dal teatro greco: guidando il lettore tra i dialoghi de\\'Ippolito euripideo, ad esem-pio, Longo dimóstra come perso-naggi quali Fedra e il suo figliastro non siano antitetici, quanto piutto-sto prodotti simili di qualità diffe-renti, segni di dismisura. Ma non c'è solo analisi letteraria: il volume si snoda lungo intriganti percorsi antropologici, riflessioni su dati di storia economica e scientifica del-l'antichità, per evidenziare (come da sottotitolo) le distanze tra Gre-ci e mondo attuale; alcuni esempi si colgono leggendo di concezio-ni particolari: da arrenogenesi (generazione esclusivamente ma-schile) e partenogenesi (corri-spettivo femminile) fino alle regole della caccia e alle modalità della vita urbana (Il condono del tiran-no. Politica urbanistica dei Pisi-stratidi, oppure Spazio di conqui-sta e spazialità architettonica nel-l'impero romano). E naturalmente fa capolino il tipo antropologico-religioso specificamente greco, l'eroe: L'ultimo viaggio di Odisseo chiude la silloge, in una lettura in-crociata di Omero e del Pascoli dei Poemi conviviali. Con acume Oddone Longo scrive che "il di-lemma per Odisseo non è tanto fra essere e non essere eroe (...). Si tratta di optare se essere uomo, o altro e più che uomo".

MICHELE CURNIS

WERNER ECK, Augusto e il suo tempo, ed. orig. 1998, trad. dal tedesco di Capla Salvaterra, pp. 148, Lit 16.000, il Mulino, Bologna 2000

In apertura di volume l'autore commenta l'iscrizione che con-serva le res gestae di Augusto (Monumentum Ancyranum), cer-cando di immaginare le reazioni davanti all'autoritratto di chi per più di cinquant'anni aveva domi-nato il mondo. Infatti, secondo le disposizioni testamentarie di Au-gusto, il testo era stato letto in se-nato e inciso su pilastri bronzei posti di fronte al suo mausoleo; copie erano state inviate nelle province, perché tutti gli abitanti dell'impero ne venissero a cono-scenza. Lo studioso, al fine di di-mostrare come sostenitori e critici di Augusto ne abbiano ammesso la forte influenza esercitata in campo politico e culturale, riper-corre la lunga vìa, talvolta anche sanguinosa e non priva di com-promessi, seguita da Augusto per raggiungere il potere, tenendo presente oltre al rendiconto augu-steo anche altre fonti storiche. Degli undici capitoli del volume, i primi quattro sono dedicati a Ot-taviano Augusto dalla comparsa sulla scena politica nel 44 a.C. (anno della morte di Cesare), fino alla battaglia di Azio; i quattro

successivi trattano l'attività politi-ca di Augusto, dapprima quella interna (ordinamento dello Stato, rapporti tra Principe e classi alte, gestione del potere), poi quella estera vista nel duplice aspetto di espansionismo e di pace. Il nono capitolo concerne la trasforma-zione urbanistica della capitale, centro del potere e cuore dell'Im-pero: il volto di Roma fu del tutto modificato, in modo tale che ogni edificio nuovo o restaurato fosse legato al Principe o a suoi familia-ri; per sé Augusto non volle pa-lazzi lussuosi, continuò infatti ad abitare nella dimora sul Palatino, anche dopo l'elezione a Pontefice massimo (a cui era riservata una residenza ufficiale nel Foro); ma nella sua casa fece edificare un santuario alla dea Vesta, mesco-lando così abilmente ruolo pubbli-co e vita privata. Negli ultimi capi-toli l'attenzione è rivolta al proble-ma della difficile successio-ne (ascesa di Tiberio), alla morte e alla fortuna storica del perso-naggio.

ANNA MARIA FERRERÒ

Giuseppe Fraccaroli (1849-1918). Let-teratura, filologia e scuola fra Otto e Novecento, atti del convegno, a cura di

Alberto Cavarzere e Gian Maria Va-ranini, pp. 284, Lit 30.000, Università

degli Studi di Trento, Trento 2000 Il libro raccoglie gli atti del con-vegno tenutosi a Verona il 24 otto-bre 1998, in collaborazione tra il Dipartimento di scienze filologiche e storiche di Trento e la Biblioteca Civica della città scaligera. Si trat-ta, nel complesso, di una meditata riflessione su fasi cruciali della sto-ria dei nostri studi classici alla vigi-lia della prima guerra mondiale: in polemica col metodo filologico te-desco, nel volume L'irrazionale nel-la letteratura (Torino, 1903) il greci-sta Fraccaroli rivendicava la creati-vità dell'arte e respingeva analisi cosiddette scientifiche, a favore di atti intuitivi in grado di cogliere l'es-senza della poesia, in primis ome-rica, col risultato di accostare lo studio dei classici all'estetica cro-ciana. Si sa come tali contrasti (spesso venati di nazionalismo) siano stati superati grazie alla le-zione di Giorgio Pasquali, ma da questi Atti si apprende ben altro. Il posto di Fraccaroli nella storia del-la filologia è delineato con mano maestra da Enzo Degani (1934-2000) in pagine oggi postume che rendono ancor più forte il rimpianto d'un grande studioso. Quanto del-l'insegnamento di Fraccaroli resti yalido, al di là dei conati teorici e degli spunti polemici, nella concre-ta prassi di interprete dell'antico, nei libri scolastici, nell'influsso esercitato sugli allievi, è oggetto di accurate - e sorprendenti - rivisita-zioni ad opera di Alberto Cavarze-re (Pasquali lettoCavarze-re di Fraccaroli), Guido Avezzù (il senso vivo della scuola), di Luigi F. Pizzolato (i se-guaci milanesi di Fraccaroli), An-gelo D'Orsi (Augusto Monti scolaro di Fraccaroli), Mauro Moretti (gli scritti scolastici). Una menzione a parte merita il carteggio di Fracca-roli a cui sono dedicati i contributi di Gian Maria Varanini, Agostino Contò e Silvia Marchi: ricco di in-terlocutori e notazioni a tutto cam-po, esso rivela un profilo intellet-tuale e umano di forte spessore.

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V ^ DEI LIBRI DEL MESE • • •

Medioevo

SALVATORE TRAMONTANA, II

Mezzo-giorno medievale. Normanni, svevi, an-gioini, aragonesi nei secoli XI-XV, pp. 284, Lit 38.000, Carocci, Roma 2000

Con la frantumazione di pur ne-cessarie indagini su ambiti partico-lari (tematici e territoriali) hanno ri-schiato di smarrirsi, negli ultimi anni, la centralità e i caratteri di un'espe-rienza statuale per molti aspetti ori-ginale: quel regnum Siciliae che - fondato nel 1130 dal normanno Ruggero II, tra complesse dinami-che socioeconomidinami-che e contestati avvicendamenti dinastici - ha attra-versato gli ultimi secoli del Medioe-vo, per poi giungere in pratica sino all'Unità d'Italia. Questo nuovo lavo-ro di Salvatore Tramontana ricostrui-sce le vicende del Mezzogiorno dal-le premesse della fondazione della monarchia, analizza la conquista

normanna nell'XI secolo sino al re-gno di Ferdinando il Cattolico in Si-cilia, e conclude con il trionfale in-gresso a Napoli, nel 1495, del re di Francia Carlo Vili. In questo percor-so, del Mezzogiorno rintraccia e re-cupera i dati di specificità e gli ele-menti distintivi, in altri termini ne ri-propone con forza l'identità. Certo, si tratta di un'identità non lineare e dai tratti eterogenei, scomponibile a sua volta in ulteriori identità e diffe-renziazioni, in una trama che spes-so non è agevole districare (anche per la documentazione spesso frammentaria), in cui trovano posto personaggi di discussa statura, co-me Federico II di Svevia e le regine . angioine Giovanna I e Giovanna II, e forze sociali dagli interessi conflit-tuali ma non sempre antagonistici: i baroni, le città, i ceti produttori. Ma anche il lettore non specialista, cui pure il volume si rivolge, non man-cherà di notare quanto pesi in que-sta ricostruzione la dialettica tra le identità, tra i fattori di continuità e le

rotture, sul piano delle istituzioni co-me su quello dei contesti territoriali e dei rapporti di produzione. So-prattutto non deve sfuggire quanta rilevanza abbiano nel volume, ac-canto agli approfondimenti storio-grafici più recenti, quei "testi dive-nuti 'classici' ma che nessuno tiene più in considerazione": si ricompo-ne in questo modo un percorso in-terpretativo capace di riconoscere e analizzare, criticamente e coerente-mente, le sue stesse tappe costituti-ve. Dimenticarle o sottacerle, ha ra-gione Tramontana, rischia di

con-durre allo schematismo e al revisio-nismo storiografico.

RAFFAELE LICINIO

WALTER POHL, Le origine etniche

del-l'Europa. Barbari e Romani tra anti-chità e medioevo, trad. di Elisabetta Gallo, Andrea Pennacchi e Mario Dal-le Carbonare, pp. 325, Lit 34.000, Viella, Roma 2000

Il tema delle identità nazionali ha assunto negli ultimi decenni un'im-portanza crescente. In questo con-testo, libri come quello dello storico austriaco Walter Pohl sono di gran-de importanza, perché consentono di fare chiarezza su alcuni concetti spesso usati con leggerezza. E ciò anche se apparentemente i dodici saggi raccolti in Le origini etniche dell'Europa sembrerebbero quanto di più lontano ci possa essere dal-l'attualità politica. Essi sono, infatti,

dedicati a importanti momenti della storia di alcuni popoli "barbari" (Avari, Alemanni, Goti, Franchi, Longobardi, Slavi), e al loro incon-tro/scontro con la civiltà tardoroma-na. Partendo dalle conquiste della storiografia austriaca dedicata alle etnogenesi (Wenskus, Wolfram), Pohl rifiuta il modello ottocentesco di popolo/nazione che tanta fortuna aveva avuto nella storiografia tede-sca di ispirazione nazionalista. Sul-la base di una conoscenza vasta e approfondita delle fonti altomedie-vali, ci fa capire come i "barbari" fossero caratterizzati da "identità aperte" e plurietniche, prive di ba-se biologica; e ci fa riflettere su co-me, di conseguenza, non ci sia al-cun nesso diretto tra le etnie alto-medievali e le nazioni moderne. Una lezione, questa, che se fosse ascoltata non solo dagli storici po-trebbe evitare ulteriori tragiche pu-lizie etniche o grottesche dichiara-zioni politiche.

GIUSEPPE ALBERTONI

P A O L O P R O D I , Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto,

pp. 499, L i t 55.000, il M u l i n o , Bologna 2000

È un libro a tesi sui massimi sistemi della storia occi-dentale, detto senza ironia. Prodi parte in presa diretta dalla realtà contemporanea, constatando una pervasiva degenerazione della norma positiva dello Stato che ten-de a regolare coattivamente tutti gli aspetti ten-della vita ten- de-gli uomini, come singoli e come membri di una comu-nità. Questo monopolio di una "norma a una dimensio-ne" va preso sul serio, perché ha una funzione potenzial-mente distruttiva dell'assetto politico e della stessa iden-tità dell'Occidente, costruita attraverso un processo se-colare di pluralismo dei fori, dove la dialettica tra foro interno ed esterno, tra coscienza e legge, ha costituito al contempo /'humus di crescita dello Stato moderno e la condizione di sviluppo dei regimi liberali-democratici. Di più: il "respiro" tra diritto dello Stato e diritto della

Chiesa sulle coscienze ha preservato l'Occidente dai fon-damentalismi, che invece confondono peccato e delitto in una sacralizzazione dello Stato che tende naturalmen-te verso forme di vita totalitarie. Senza questa premessa non si capisce il libro. Il lungo affresco storico sul per-corso pluralistico dell'Occidente ha infatti un doppio va-lore: storico da un lato, perché individua nelle strutture profonde del pensiero occidentale il rapporto fra peccato e reato; ideologico dall'altro, perché il richiamo al plura-lismo è, come si vedrà nella conclusione, parte integran-te di una proposta di lettura del presenintegran-te. La storia del-la separazione dei fori comincia presto, ha radici greco-giudaiche, ma è con il trionfo del cristianesimo e soprat-tutto con la rivoluzione papale del XII secolo che pren-de pren-definitivamente posto nei caratteri fondamentali pren- del-l'Occidente cristiano. Il momento di svolta è individua-to nel concilio di Trenindividua-to e nel compromesso giurisdizio-nale che riserva alla Chiesa il dominio sulla coscienza - e dunque sui comportamenti morali del fedele -

la-sciando allo Stato la punizione dei reati. La giurisdizio-ne della Chiesa è una vera giustizia dell'anima, fondata sulla confessione come luogo di giudizio e sulla peniten-za come pena. Questo sistema, con al centro la confes-sione (resa obbligatoria dal Concilio di Trento), resiste alla prima grande espansione della legge positiva dello Stato successiva ai regimi liberali, vive nella prima parte

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