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Applicazioni nel Settore Agricolo della Multifunzionalità

2. DEFINIZIONI ED OBIETTIVI DELLA MULTIFUNZIONALITÀ

2.1 D EFINIZIONI E CONSIDERAZIONI RELATIVE ALLA MULTIFUNZIONALITÀ

2.1.3 Applicazioni nel Settore Agricolo della Multifunzionalità

Una definizione che, probabilmente, integra nel proprio enunciato le diverse visioni prima riportate, è quella di Idda (2002), secondo la quale la multifunzionalità costituisce:

”l’offerta potenziale o effettiva di beni, materiali o immateriali, e servizi che soddisfano le aspettative della collettività, per rispondere ai bisogni della società attraverso la struttura del settore agricolo, i processi di produzione agricola e la diffusione spaziale delle aree interessate dall’agricoltura” (Idda, 2002)

Tra le diverse attività produttive, l’agricoltura è, in tale ottica, quella privilegiata, poiché è capace più di ogni altra di produrre il maggior numero di beni pubblici, in virtù della sua connaturata multifunzionalità (Marangon, 2006 a).

Tra i vari beni pubblici vanno annoverati la cura e tutela del paesaggio, la conservazione della cultura popolare e contadina e della biodiversità, la gestione e manutenzione del dissesto idrogeologico; va inoltre ricordato come tali servizi si sovrappongano al compito primario del settore agricolo, ovvero la fornitura di alimenti per la popolazione.

I beni pubblici, che potrebbero venire forniti dal settore agricolo, possono venire ripartiti in diverse categorie, in base alle loro caratteristiche.

Tab. 2.3 – Categorie di beni pubblici

NON RIVALITÀ’ Congestionabilità RIVALITÀ

NON

ESCLUDIBILITÀ

BENI PUBBLICI PURI

Risorse open access Risorse open access

Benefici riservati ad una piccola comunità

Beni pubblici locali

Escludibilità solo per gli esterni alla comunità

Risorse in proprietà comune

Risorse in proprietà comune

ESCLUDIBILITÀ Toll goods Beni di club BENI PRIVATI

Fonte: Marangon, 2006.

Una accurata analisi dello stato attuale della produzione di beni pubblici “puri” nell’agricoltura europea, nonché della loro costante sottoproduzione, rispetto le esigenze avvertite dalla popolazione e degli sviluppi futuri dei Public Goods è stata condotta da Cooper T, Kaley H. e Baldock D. (2009). Gli autori hanno eseguito una analisi completa della letteratura europea (e non solo) in materia, riportando una serie di esperienze, condotte in diversi ambienti europei. Le conclusioni cui Cooper T, Kaley H. e Baldock D sono giunti sono molto ben circostanziate e focalizzate su un panel di beni pubblici, la cui produzione è strettamente legata al settore agricolo e la cui carenza di produzione è avvertita dalla popolazione europea; i beni stessi vengono di seguito schematizzati:

 il paesaggio agrario, formato nei millenni dall’attività agricola, e che da essa ha ricevuto un imprinting indelebile (boçage normanno, terrazze della Costa Viola, etc.,) costituendo un elemento attrattivo insostituibile;

 integrità ambientale delle aree agricole;

 biodiversità delle aree agricole, consistente nella ricchezza di flora, animali etc. che si è evoluta parallelamente allo sviluppo ed espansione dell’agricoltura;

 biodiversità genetica, costituita dalle 2.300 ed oltre razze domestiche (bovini, ovicaprini etc) che sono state selezionate dagli agricoltori e che adesso rischiano l’estinzione o il declino genetico;

 il buono stato ecologico delle acque, derivante in parte non minima dalla conduzione agricola;

 l’impiego sostenibile delle acque stesse, che spesso sono sprecate da impieghi irrazionali;  mantenimento delle buone qualità agronomiche del suolo agrario;

 una maggiore efficienza della cattura e stoccaggio del carbonio nei suoli;

 la riduzione delle emissioni di gas dannosi per l’atmosfera (gas serra e gas nocivi per lo strato dell’ozono), imputabili all’agricoltura;

 aumentare le capacità di resistenza e recupero delle aree agricole agli eventi meteorologici, quali alluvioni e incendi.

Cooper T., Kaley H. e Baldock D. sostengono che l’apporto dell’agricoltura europea è importante sia per l’entità, in termini spaziali, che la stessa ancora ha nel territorio della UE 27, (di cui occupa il 50% ca, della superficie), sia per la diversità che ancora caratterizza molte aree agricole. Difatti, nonostante mezzo secolo di intensivizzazione, la biodiversità è sensibilmente presente in molte zone arretrate (Paesi ex Peco soprattutto) ed in aree marginali, come quelle di montagna. In tali condizioni, la frammentazione fondiaria e la sopravvivenza di metodi di conduzione tradizionali, come l’allevamento semi brado di bestiame e la policoltura, soprattutto se operante su sistemazioni di collina che prevengono l’erosione, costituiscono ancora una tipologia di gestione che consente la produzione della maggior parte dei beni pubblici prima elencati.

Cooper T., Kaley H. e Baldock D., nelle conclusioni, esprimono alcuni pareri (pienamente condivisibili), sugli interventi comunitari, succedutesi nel tempo:

1. segnalando la necessità di conferire una maggior significatività, in senso agroambientale, alle misure della PAC come la Condizionalità (Cross Compliance), che è stata posta a base della corresponsione dei premi comunitari solo nel 2003 (Reg. 1782/03);

2. esaltando il ruolo delle Misure agroambientali del PSR (Regg. CE n 1254/99 e 1698/06), che dovrebbero invece operare efficientemente nella promozione, presso le aziende agricole, di tecniche ed interventi, atti a realizzare dei beni pubblici.

L’affermazione di Cooper T., Kaley H. e Baldock D., relativa all’inevitabilità del sostegno pubblico alla produzione, da parte delle aziende agrarie, di beni pubblici, deriva dalla constatazione che:

 il mercato non può provvedere alla perfetta allocazione dei mezzi di produzione (terra, capitale, lavoro etc.), di cui il primo è, in Europa, molto caro e che verrebbe ad essere vincolato, in caso di produzione di beni pubblici, per periodi anche molto lunghi;

 i consumatori, trattandosi di beni non escludibili, non sono, tranne casi molto ridotti, obbligati a corrispondere un pagamento per l’usufruizione del bene pubblico, il che amplia di fatto all’infinito il comportamento da free rider, portando l’impiego della risorsa oltre la sostenibilità (vedi il caso dei pascoli comuni);

 dal lato dell’offerta, i produttori, non venendo incentivati, possono realizzare il minimo di produzione di beni pubblici che avviene nel processo di gestione ordinaria delle loro aziende; qualora, per esigenze di intensivizzazione del processo produttivo, gli imprenditori dovessero scegliere tra un processo che massimizza il reddito aziendale, recando però danni all’agroecosistema, ed un processo alternativo che, invece, tutelando lo stesso non consenta di ricavare margini economici, non potrebbero avere alea di dubbio.

La mancanza di scelta che, in tale scenario, grava sulle aziende agricole comporta, nel medio lungo periodo, dei danni irreversibili (perdita di biodiversità e di paesaggi agrari, inquinamento delle acque e calo della fertilità, etc.).

Le conclusioni cui giungono Cooper T., Kaley H. e Baldock D. sono contrastanti con quanto affermato dal già citato Teorema di Coase. Come detto prima, il teorema ipotizza un first best (stato del sistema economico al massimo livello di efficienza), in modo indipendente dall’originario stato di allocazione dei diritti di proprietà delle risorse; questo first best viene raggiunto tramite un bargaining che, in condizioni di libero mercato e di costi di transazione accettabili, consente di internalizzare le eventuali esternalità, facendole gestire dal privato ed evitando così al pubblico di doversi caricare di costi per sussidi, indennizzi etc.

L’assenza di un vero mercato e l’impossibilità per le aziende agrarie di produrre l’intero volume di public goods richiesto dalla società porta alla necessità, come evidenziato da T., Kaley H. e Baldock D., di pianificare dei programmi di sussidi per gli agricoltori che intendessero riempire il gap esistente tra il livello di produzione dei public goods, auspicato dalla comunità, e quello effettivamente realizzato.

Un caso molto particolare di bene pubblico, prodotto dalla gestione ecosostenibile dell’agricoltura è la prima citata biodiversità nelle aree agricole, più volte richiamata da T., Kaley H. e Baldock D. e ben conosciuta dai ricercatori del settore agroambientale (Genghini M. e Nardelli R., 2005; Pain D.J. e Pienkowski M.W., 1997; Curtis D.J. et al., 1991). In tale ambito, un accenno particolare viene rivolto dagli autori appena richiamati alla stretta correlazione tra pratiche agricole e presenza di popolazioni di selvatici, di interesse venatorio.

In materia di convivenza della fauna, della biodiversità in generale e dell’esercizio venatorio, è stata sottolineata la stretta dipendenza delle popolazioni dei selvatici, coinvolte o meno dalla caccia, (Lucifero M., 2007) dalla prosecuzione di molte attività agricole. Inoltre, essendo la caccia (ai sensi Legge n. 157/92, art. 21) ammessa solo in aree rurali, l’esercizio della caccia è strettamente legato a quello delle attività agro-forestali.

Oltre alla coltivazione di cereali ed altro, che fornisce la base per l’alimentazione degli animali “frugivori”, va sottolineata l’importanza ecologica dell’allevamento semibrado e della gestione dei pascoli. Questa attività, in fase di decremento (Genghini M., 2007, riporta per l’Italia un dimezzamento delle superfici destinate al pascolo tra il 1961 ed il 2000), è rimarcata dalla constatazione, come citato dalla DG Environment nel 2009, che 33 habitats di importanza comunitaria e circa il 18% della superficie compresa nei perimetri dei siti Natura2000 della EU15 è strettamente dipendente dalla prosecuzione della gestione estensiva dei pascoli.

Insieme alla zootecnia estensiva, esercitata in aziende poliattive, giocano un ruolo essenziale la persistenza di colture e sistemazioni tradizionali e la bassa intensivizzazione delle pratiche agricole (agricoltura biologica o integrata).

Vedremo più avanti come esista la possibilità, per determinate tipologie di aziende agrarie, di sfruttare delle peculiari caratteristiche aziendali, preziose per i propri fini produttivi, tutelando nel contempo dei public goods, la cui esistenza costituisce un fattore necessario per la produzione aziendale. Tra tali risorse indichiamo, tra le altre, la tutela del paesaggio agrario, le protezione indiretta delle acque profonde e superficiali, la prosecuzione di attività agricole tradizionali, etc.

L’attività di questa tipologia di aziende riguarda l’esercizio della caccia, attività sportiva che in Italia è da sempre stata basata su di una risorsa naturale, rientrante tra i commons. La fauna, sino al 1992, è stata considerata res omnium, per cui ogni cittadino che avesse i requisiti poteva, con costi minimi, sfruttare tale risorsa. L’esempio può benissimo essere riportato a proposito della cosiddetta Tragedy of the Commons, dell’ecologista Hardin (1968), per cui una risorsa disponibile senza esclusioni è irrevocabilmente votata al deterioramento.

Sulla possibilità di convivenza, nelle aree marginali, di riserve naturali, a fini protezionistici, e di aree faunistiche, a fini venatori e commerciali, una provocazione era già stata lanciata, nel 1988, da Amadei (Amadei G., 1988).