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L’ INTERVENTO CLINICO-OPERATIVO

3. APPROCCIO TEORICO ALLA BASE DELL’INTERVENTO CLINICO-OPERATIVO

Alla luce dei diversi livelli di complessità indicati e considerando i quesiti di ricerca e l’area di intervento tagliata all’interno del dottorato Eureka, si è pensato di agire intervenendo all’interno della struttura di Santa Maria Nuova, in un arco di tempo triennale e attuando una serie di interventi “attivi sul campo”, sviluppati a partire dalle problematiche emergenti nel campo stesso. Il modello di riferimento dell’intervento clinico-operativo è quello del lavoro sui gruppi nella visione di Lewin che teorizza negli anni ‘50 il concetto di “campo di forze”, uno spazio organizzativo che può influenzare l’individuo che ne fa parte sia da un punto di vista psicologico che fisico, fino a determinarne il comportamento. Nella teoria di Lewin (1951) è centrale il concetto di frontiera che delimita la persona (P), l’ambiente (l’ambiente psicologico, diverso da quello fisico, e rappresentazione interna della realtà esterna) (A) e lo spazio di vita (P + A); la realtà psichica è così un sistema dinamico. Il campo, come sistema dinamico in continua mutazione, è sempre determinato dalla relazione tra individuo concreto e situazione concreta; ogni azione del singolo sul e nel campo è mossa da motivazioni personali (bisogni, ideali, aspettative, etc.) e sociali (appartenenza a un gruppo, norme, leggi, etc.), ovvero qualsiasi comportamento o mutamento entro il campo psicologico dipende dalla particolare configurazione del campo psicologico in un dato momento (Lewin, 1951). Lo spazio di vita si differenzia perciò dallo spazio esterno poiché è abitato da aspetti psicologici, e tale spazio è sempre in relazione con le dinamiche del mondo fisico e sociale; le spinte (tensione, valenza, forza, bisogno e quasi bisogno) agenti nel mondo psichico possono distorcere la percezione della realtà oggettiva e l’espressione sana dell’individuo nella realtà stessa. In una visione gestaltica, topologica e dinamica, il campo di forze può essere influenzato e modificarsi a causa del comportamento dell’individuo stesso. Il rapporto tra campo di forze e dinamica collettiva crea lo “spazio sociale”. Questo spazio diventa, in un contesto di persone e ruoli, “organizzativo” determinando la condivisione di idee, valori, atteggiamenti, credenze, vissuti, pratiche (Maimone, 2007). Ogni spazio organizzativo è poi caratterizzato da specificazione e divisione interna che sono tipici dei sistemi complessi (Maimone, 2007). Questa complessità da vita ad una rete di scambi e relazioni che si chiamano “costellazioni organizzative”. La complessità è una prerogativa di qualsiasi sistema complesso, compreso l’individuo. Ogni

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individuo è considerato un Io-soggetto, ovvero dotato di unitarietà, di parti in rapporto tra loro e con il contesto. Ogni individuo è dunque un “sistema”, ovvero dotato di “un processo continuo e

sovraordinato che organizza input e output e che, in continua interazione tra organismo e ambiente, persegue la continuità…” (Sander, 2002, p.2). Il sistema è costituito di parti, mutevoli e

in continuo cambiamento, che per mantenere una stabilità tendono all’auto-organizzazione, ovvero a una coerenza e coesione dei suoi costituenti (Minolli, 2009). Ogni sistema è in divenire, creativo, aperto al mondo esterno ma sempre tendente a una organizzazione necessaria all’integrazione e alla sopravvivenza (Sander, 2002). Il sistema trova un proprio modo di organizzarsi, si auto-organizza. Qualsiasi elemento che turba questa auto-organizzazione tende ad essere ignorato, proprio per favorire il mantenimento dell’integrità di quel sistema, la sua identità. Allo stesso tempo però il sistema è inserito in una “rete di sistemi” (Minolli, 2009), i quali tendono a condizionare l’esistenza del sistema stesso attraverso continue interazioni. Per questo, si dice che ogni sistema è auto ed eco-organizzato. Rispetto agli stimoli provenienti dal mondo esterno, il sistema può chiudersi o aprirsi: un sistema che è sempre chiuso o sempre aperto al mondo esterno tenderà a morire, in quanto l’esito sano della relazione sistema-ambiente è la conservazione e ricostruzione dell’equilibrio interno rispetto alle perturbazioni interne ed esterne al sistema stesso (Ceruti, 1985).

Alla luce del modello teorico di “campo psichico” di Lewin e della teoria dei Sistemi Complessi, si è pensato ad un lavoro nell’organizzazione che partisse appunto dalle macro-dinamiche sociali e organizzative lette non solo come influenzate e influenzanti le micro-dinamiche soggettive, ma anche come l’esito delle forze soggettive attive e dei loro “spazi di vita”, che vanno a relazionarsi in modo dinamico creando un campo di forze interagenti e perturbanti. Il gruppo che lavora nell’istituzione, come un sistema complesso, si auto-organizza e tende spesso, in modo patologico, a chiudersi agli stimoli esterni per mantenere la propria omeostasi. Si è però detto che tale chiusura tende a far morire le forze dinamiche produttive e innovative, rafforzando invece meccanismi difensivi di chiusura e coazione a ripetere. Nelle specifiche istituzioni per anziani questo significa andare a osservare e analizzare un sistema organizzato (la struttura assistenziale accogliente l’anziano), costituito da sottosistemi (personale infermieristico, personale ausiliario, personale assistenziale, coordinamento, personale educativo, amministrazione, utente, famigliari, medici) altrettanto complessi, dinamici e in relazione tra loro. Ognuno di questi apporta un contributo all’omeostasi o al disequilibrio del sistema finale “struttura assistenziale”; ad esempio

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una maternità di un operatore, una malattia di un collega, un licenziamento, uno spostamento di turno, i lutti personali o degli utenti, sono tutti eventi che vanno a richiedere una nuova organizzazione del sistema. Questo, risponderà agli stimoli esterni e interni con modalità di maggiore apertura e/o chiusura, spesso determinate proprio dalla rigidità del sistema stesso. Fenomeni di burnout o stress lavoro-correlato altro non sono che sintomi di un sistema “malato” in cui le singole parti (personale che vi lavora) non trovano più il loro spazio omeostatico nel sistema stesso, il quale a sua volta può essere malato e/o espellente. Alla luce di ciò la persona/le persone che lamentano un disagio nel sistema, non sempre sono quelle malate, talvolta possono essere quelle che si ammalano per dare voce al “tumore” incistato in un sistema chiuso, poco dedito alla creatività e al cambiamento. Ecco perché si ritiene necessario lavorare sui singoli individui e sulle diverse esperienze soggettive, oltre che sul gruppo come insieme dei singoli, allo scopo di cogliere e trattare l’ eventuale “dinamica patologica” che affligge il sistema e le sue parti.

4. OBIETTIVI: partendo dai quesiti 1) Che tipo di problematiche emergono nel personale di una