Il termine principale dell’approssimazione dell’orbita successiva al passaggio lunare `e una conica kepleriana con le seguenti condizioni iniziali valide per t = T0
x = 1, y = 0,
dx
dt = UII, dy
dt = VII + 1.
Si noti che la velocit`a v+∞ = (UII, VII) `e la velocit`a dello spacecraft relativa alla Luna,
dunque per ottenere la velocit`a dello spacecreft rispetto alla Terra bisogna ricordarsi che nella nostra approssimazione la Luna si muove con velocit`a (0, 1). Gli integrali kepleriani sono heII = 1 2 UII2+ VII2+ 1 2 − 1 = h∗+ VII− 1 2, `eII = VII+ 1, peII = (VII+ 1) UII, qeII = − (VII + 1) VII+ 1.
Conclusioni
L’obiettivo di questa tesi `e sviluppare un metodo perturbativo adatto allo studio del problema posto nel capitolo 4. Il problema che ci siamo posti `e non integrabile, dunque siamo costretti ad accontentarci di un’approssimazione della soluzione. `E di fondamen- tale importanza notare che il problema dipende da un piccolo parametro.
Nei primi due capitoli abbiamo perci`o provato, partendo da esempi pi`u semplici, a svi- luppare un approccio sistematico all’approssimazione di funzioni del tipo u(x; µ), che dipendono da due argomenti, una variabile x e un piccolo parametro positivo µ. Il nostro approccio `e stato il seguente:
1. Provare in un primo momento ad usare un metodo perturbativo regolare, ovvero cercare un’approssimazione della formaP
j≥0µjfj(x). Tale approssimazione falli-
sce nella maggior parte dei casi in piccole regioni, che abbiamo chiamato layers. Un’approssimazione di questo tipo `e stata chiamata espansione outer.
2. Costruire nel layer un’approssimazione valida localmente, aiutandoci con un ri- scalamento delle variabili. La nuova approssimazione `e stata chiamata espansione inner.
3. Costruire, a partire dalle approssimazioni ottenute, una singola approssimazione della soluzione che sia uniformemente valida su tutto l’intervallo considerato.
Abbiamo seguito l’approccio di Kaplun: usare l’ipotesi di overlap, ovvero supporre che l’intersezione tra il dominio di validit`a dell’espansione outer e quello dell’espansione in- ner sia non vuota. L’uso delle variabili intermedie xη suppone infatti che i domini di
validit`a delle due espansioni possano essere estesi. `
E per`o difficoltoso arrivare al matching tramite le variabili intermedie ed infatti alla fine abbiamo preferito ricorrere a principi pi`u semplici.
La letteratura che si occupa di matched asymptotic expansion segue di solito un approc- cio molto na¨ıf, dal quale non ci siamo allontanati molto: non c’`e una chiara differenza tra problemi secolari e problemi tipo layer, la definizione di dominio formale di validit`a
e l’enunciato dell’Ansatz di Kaplun lasciano spazio a molti dubbi e le espressioni che abbiamo chiamato “espansioni uniformemente valide” sono semplicemente termini di se- rie formali. Bisogna dunque provare che le espansioni formali, ottenute con il metodo descritto in questo lavoro, abbiamo una validit`a. Dato che non `e possibile trovare un’e- spressione esplicita della soluzione reale non resta che ricorrere a metodi numerici. Un’altra cosa su cui non ci siamo espressi `e l’utilit`a dei metodi visti. Abbiamo visto che per descrivere correttamente il moto successivo all’incontro ravvicinato mediante il metodo di matched asymptotic expansion `e richiesto il calcolo del termine di ordine µ dell’orbita di approccio. Il metodo delle patched conics riesce invece mediante un proce- dimento iterativo ad individuare un’approssimazione senza calcolare altri termini oltre a quelli principali. Il risultato ottenuto `e che il contributo dei termini t1, y1`e legato alla
Appendice A
La soluzione del problema dei due centri
fissi con il metodo di Hamilton-Jacobi
Iniziamo enunciando il seguente teorema che, nonostante non porti il suo nome, `e stato scoperto da Legendre e da lui pubblicato nel 1817 (si veda [4] o [18]).
Teorema A.0.1 (Bonnet). Si considerino un punto materiale P e n campi di forze F1, . . . , Fn.
Se una data orbita `e ammissibile per ognuno degli n campi di forze separatamente, con velocit`a del punto P sull’orbita v1, . . . , vn rispettivamente, allora la stessa orbita `e am-
missibile per il campo di forze F = F1+ · · · + Fn ottenuto sovrapponendo gli n campi,
con velocit`a del punto P sull’orbita tale che v2 = (v12+ · · · + v2n).
Dimostrazione. Consideriamo l’orbita che giace su una curva regolare γ : R → R3, parametrizzata per lunghezza d’arco s.
Supponiamo che la curva γ sia una traiettoria ammissibile per F + R, dove R = R n, con n versore normale alla curva.
Supponiamo che il punto materiale P sia al tempo iniziale t0 in γ(s0) con velocit`a
tangente alla curva e tale che v2= (v21+ · · · + vn2). Abbiamo quindi che nel punto γ(s0)
l’energia cinetica `e 1 2mv 2 = 1 2m(v 2 1 + · · · + vn2).
Per ogni punto γ(s) si ha d ds 1 2mv 2 = mv ·dv ds = mt · dv dt = t · F = t · (F1+ · · · + Fn) = d ds 1 2m(v 2 1+ · · · + v2n)
dunque v2 e v21+ · · · + vn2 differiscono per una costante; essendo uguali in γ(s0) questa
costante `e 0.
Sia ρ il raggio di curvatura dell’orbita. La componente normale della forza `e
mv2 ρ =
m(v21+ · · · + vn2)
ρ = F
⊥+ R,
con F⊥ componente di F normale all’orbita. Ma mvi2
ρ = F
⊥ i
e F⊥ = F1⊥+ · · · + Fn⊥. Quindi R = 0.
Consideriamo il moto piano di un punto materiale di massa m in un campo di forze conservativo, con energia potenziale
V (x, y) = p1 − µ x2+ y2 +
µ p(x − 1)2+ y2
scritta in coordinate cartesiane.
Per il Teorema di Bonnet, ogni ellisse o iperbole con fuochi nei due centri di forza `e una possibile orbita. Se v `e la velocit`a in un punto dell’orbita allora v =qv2
1−µ+ vµ2 dove
v1−µ, vµ sono le velocit`a che il punto assumerebbe sull’orbita se fosse presente il solo
punto di massa 1 − µ o µ rispettivamente.
Usiamo quindi come nuove coordinate (q1, q2) definite da (Figura A.1)
x = 1 2+ 1 2cosh q1cos q2 y = 1 2sinh q1sin q2. L’energia potenziale nelle nuove variabili diventa
V (q1, q2) = 2 (1 − µ) cosh q1+ cos q2 + 2 µ cosh q1− cos q2 ,
mentre l’energia cinetica
T = 1 2( ˙x 2+ ˙y2) = 1 8(cosh 2q 1− cos2q2)( ˙q12+ ˙q22).
x
1 − µ µ
q1 = costante
q2 = costante
y
Figura A.1: Le equazioni q1 = costante e q2 = costante rappresentano rispettivamente
ellissi e iperboli con fuochi nei centri di forza, e sono una particolare famiglia di orbite.
I momenti coniugati alle variabili q1, q2 sono
p1 = 1 4(cosh 2q 1− cos2q2) ˙q1 p2 = 1 4(cosh 2q 1− cos2q2) ˙q2 e la hamiltoniana `e H(q1, q2, p1, p2) = 2 (cosh2q1− cos2q2) (p21+ p22) + V (q1, q2).
La hamiltoniana non dipende esplicitamente dal tempo ed `e quindi un integrale del moto. Sia h il valore di questo integrale.
L’equazione di Hamilton-Jacobi `e ∂S ∂q1 2 + ∂S ∂q2 2 = h 2(cosh 2q
1− cos2q2) − (1 − µ)(cosh q1− cos q2) − µ(cosh q1+ cos q2).
Le variabili sono separabili, possiamo scrivere
∂S ∂q1 2 −h 2cosh 2q 1+ cosh q1 = − ∂S ∂q2 2 −h 2cos 2q 2+ (1 − 2µ) cosh q2 = α1 = costante, e quindi S = S1(q1) + S2(q2)
con S1= Z r α1+ h 2 cosh 2q 1− cosh q1 dq1 S2= Z r −α1− h 2cos 2q 2+ (1 − 2µ) cosh q2 dq2.
Le equazioni del moto sono
β1 = ∂S ∂α1 = costante, t + β1= ∂S ∂h,
con la prima che d`a l’equazione dell’orbita, la seconda la legge oraria. I due integrali ottenuti sono ellittici di seconda specie.
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