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ASSOGGETTABILITA’ ALLA IMPOSTA DI R.M. DEGLI AVANZI DI GESTIONE

CON DESTINAZIONE LEGALMENTE VINCOLATA

1. Il discusso problema della tassabilità dei c.d. « avanzi di ge­ stione » si pone nei confronti di quegli enti, per lo più pubblici ma anche privati, i quali, pur perseguendo finalità diverse da quella di lucro, pos­ sono ciò nonostante realizzare incrementi patrimoniali netti che rive­ stono tutte le caratteristiche del reddito mobiliare.

Precisamente il quesito riguarda quegli enti che, contro il programma di una gestione in pareggio, finiscono col realizzare una eccedenza di in­ troiti rispetto alle spese; e viene impostato in base al criterio della desti­ nazione degli avanzi, che sarebbero intassabili o meno secondo che ven­ gano utilizzati per spese di gestione ed eventualmente per diminuire i costi dell’esercizio successivo, oppure vengano distolti da questo fine per essere altrimenti impiegati (1).

È d’uopo ricordare che sulla scia dell’art. 85 T.II. imposte dirette tra le fonti del reddito di cat. B si distinguono le « imprese » dalle « attività » commerciali espressione quest’ultima da intendersi con riferimento al reddito di capitale e lavoro conseguito da soggetti che non sono impren­ ditori. Ed è in questa categoria che gli scrittori fanno rientrare gli enti di cui dobbiamo occuparci (2).

Prima di proseguire nella nostra indagine è necessario chiarire i termini del problema che, in linea di massima, attiene all’esistenza o meno di un nesso di causalità fra un dato introito e una attività econo­ mica produttiva.

La Corte di Cassazione afferma che «per la tassabilità in R.M. oc­ corre che il reddito sia prodotto nell’ambito di una attività professionale, impiegatizia, commerciale o industriale, nel senso che tra l’uno e l’altra intercorra un nesso di causalità o di dipendenza così da non potersi con­ cepire l’uno senza l’altra » (3).

Analogamente la Commissione Centrale per le imposte dirette, la quale, richiamandosi alla più autorevole dottrina, afferma che « l’oggetto

7Jom° ’ Avanzi di gestione di enti privi di intento speculativo e con

VassonnPftinJf-t^lm,n!-te vincolata>in Riv- dir. fin., 1968, II, 357; Magone, Sul-assoggettatnhta all imposta di r.m. pesca, 1 9 6 7, 6 10.

. U '11'1’ Sulla- soggezione dello Stato e degli enti equiparati all’imposta di r.m m Dir. e prat. trib., 1967, II, 1197.

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del tributo mobiliare non è qualsiasi accrescimento di ricchezza ma quel­ l’incremento patrimoniale che sia legato da un nesso di causalità all’at­ tività svolta dal soggetto » (4).

Ancora la Commissione Centrale « il reddito di r.m. consegue da una normale attività lucrativa» (5) in contrapposto a quella straordinaria dei profitti di contingenza.

3. Eitornando all’oggetto del nostro tema l’avanzo di gestione è ciò che di netto residua dopo aver assolto i compiti di una pura e semplice gestione economica, vale a dire di una attività che non è diretta a pro­ durre guadagni, come è proprio dell’impresa commerciale, ma soltanto ad amministrare beni o a gestire servizi nell’interesse esclusivo di una certa comunità, che può essere interna o esterna all’ente di gestione.

Un esempio della prima categoria è il consorzio (tipico quello di ir­ rigazione) che, ricevendo dai soci i contributi necessari per il consegui­ mento delle sue finalità, rende loro la prestazione richiesta ad un costo proporzionalmente più basso della spesa che altrimenti graverebbe su ciascuno di essi. Un esempio della seconda categoria è l’ente comunale di consumo, che altro non è se non uno spaccio di vendita al pubblico a prezzi di costo maggiorati delle sole spese di gestione e senza alcun mar­ gine di profitto.

Una nota comune caratterizza i due casi esaminati, e cioè che per entrambi non è prevista, almeno in teoria, la possibilità di realizzare utili. E fino a quando la realtà non si discosta da questa teorica pre­ visione, il problema dei c.d. avanzi di gestione ovviamente non sorge. In pratica però non è facile che il consuntivo corrisponda esatta­ mente al preventivo delle spese; e siccome questo suole prudenzialmente calcolarsi con molta larghezza, può accadere, e spesso si verifica, che, a chiusura di esercizio, si registri una eccedenza dei ricavi rispetto al totale delle spese.

Di qui il problema volto a stabilire la natura di questi avanzi di gestione ai fini della loro tassabilità in r.m. Per giungere alla soluzione del quesito gli autori sogliono generalmente considerare il fine al quale l’entrata patrimoniale è destinata, cioè la destinazione degli avanzi di gestione.

È evidente — si sostiene — che si presenta diversamente il caso che l’avanzo di gestione venga accantonato per diminuire i costi dell’eser­ cizio successivo, dal caso invece in cui esso venga definitivamente acqui­ sito per essere utilizzato ad altri fini, come nella ipotesi ad esempio che gli avanzi di gestione dei mercati ittici siano dal Comune, piuttosto che destinati a sopperire alle spese dell’esercizio successivo come previsto dalla legge, impiegati per incrementare le entrate comunali, sia pure al fine di alleviare il disavanzo del bilancio, « in tale ipotesi l’eccedenza costituisce reddito e, a somiglianza di qualsiasi altro reddito, deve

es-(4) Comm. Centr. 10 gennaio 1968 n. 94255, in Boll, trill., 1969, 343. (5) Comm. Centr. 19 aprile 1968 n. 96462, in Boll, trill., 1968, 1376.

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sere assoggettata alla relativa imposta mobiliare» (6): potendosi par­ lare per le due ipotesi rispettivamente di reddito apparente (e quindi in­ tassabile) e di reddito effettivo (e quindi tassabile).

4. Di tale criterio la giurisprudenza ba fatto ripetuta applica­ zione a proposito degli avanzi di gestione dei mercati ittici, degli enti

comunali di consumo, e del Servizio contributi agricoli unificati. I capisaldi di tale indirizzo giurisprudenziale (peraltro di recente formazione) sono rappresentati dalle due sentenze: Cass. 27 ottobre 1965 n. 2272 e Cass. 28 maggio 1966 n. 1397, cui sono seguite altre dello stesso tenore (Cass. 20 gennaio 1969 n. 136 e Cass. 3 febbraio 1969 nu­ mero 307).

La prima di queste due sentenze ba posto la massima seguente: « Considerato che presupposto della imposta di R.M. è un reddito mobi­ liare netto — cioè quell’incremento che si verifica nel patrimonio di un soggetto in conseguenza di un introito depurato delle spese di produzione — è da escludersi l’applicazione della imposta allorché, per determina­ zione legislativa, vi deve essere coincidenza nell’esercizio sociale tra l’ammontare dei proventi di una data attività e quello delle spese occor­ renti; nè, in ipotesi di eventuale realizzo di avanzi di gestione, sono questi tassabili quando ex lege devono essere impiegati alla copertura di

oneri dell’esercizio successivo, ricorrendo in tal caso una ipotesi di in­

tassabilità per difetto di presupposto oggettivo della obbligazione tri­ butaria (caso di specie: avanzi derivanti ad un Comune dalla gestione diretta, ai sensi della legge 12 luglio 1938 n. 1487, di un mercato ittico) ».

La sentenza del 28 maggio 1966 n. 1397 recita testualmente : «... gli avanzi di gestione, derivanti agli enti comunali di consumo dall’esercizio di attività commerciale cui sono autorizzati per legge (D.L. C.P.S. 13 settembre 1946 n. 90) per il conseguimento dei fini istituzionali, non co­ stituiscono reddito assoggettabile alla imposta di R.M. dovendo — data la ratio della legge —- essere riassorbiti negli esercizi successivi... ».

II medesimo principio si trova affermato nelle sentenze nn. 136 e 307 del 1969 relative alla controversia tra Amministrazione delle F i­ nanze e Servizio contributi Agricoli unificati, nelle quali rispettiva­ mente si legge: «Esiste dunque un vincolo legale di destinazione che vieta di riconoscere alla detta eccedenza, in quanto legalmente destinata in via esclusiva alla copertura delle spese, la natura di reddito mobi­ liare.... »; «... Ne consegue che l’eventuale eccedenza di riscossione (di dette spese), da destinarsi a coprire le spese dell’esercizio successivo, non ha natura di reddito mobiliare soggetto all’imposta di r.m.... ».

Senonché pur essendo incensurabili le soluzioni adottate dalle pro­ nunce giurisprudenziali testé citate, sono inaccettabili le motivazioni, come bene ha messo in evidenza il Falsitta (7) che ha scritto in subiecta materia.

(6) Comm. Cent. 6 febbraio 1959 n. 12982, in Giur. imp., 1960, n. 133, 555. (7) G. Fa l sitt a, Le plusvalenze nel sistema dell’imposta mobiliare, 1966,

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L’opinione della Suprema Corte che nega alle eccedenze attive (de­ rivanti dalla gestione dei mercati ittici, degli enti di consumo, del Servi- vizio di riscossione dei contributi unificati) natura di reddito sul ri­ lievo che esse sono sottoposte al vincolo legale di destinazione a coper­ tura delle spese future, sembra postulare il principio che reddito netto è solo l’incremento di patrimonio che entra nella « libera disponibilità » di chi lo produce; sicché quante volte tale incremento è per legge vin­ colato alla copertura delle spese che in successivi periodi d’imposta il soggetto dovrà sostenere per l’assolvimento delle proprie funzioni, esso perderebbe la qualificazione reddituale.

Ora appare chiaro il carattere eversivo dei principi posti dalla re­ cente giurisprudenza rispetto alla nozione tradizionale di reddito netto che il nostro ordinamento sembra aver accolto.

Affermare che un reddito prodotto in un dato periodo non è più red­ dito se esso, da una norma cogente, è destinato alla copertura di oneri che dovranno essere sostenuti in un successivo periodo, significa oblite­ rare il principio dell’autonomia dei risultati reddituali di ciascun pe­ riodo d’imposta e il concetto di afferenza della spesa.

È noto infatti che dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza si è sempre sostenuto che nell’ordinamento della imposta di E.M. il reddito netto o guadagno diventa tassabile appena prodotto, indipendentemente dalla destinazione a fini egoistici o altruistici, di interesse privato o pub­ blico, che ne farà il produttore. Ciò vuol dire che è irrilevante, nel si­ stema della nostra imposta, la distinzione tra conseguimento e devolu­ zione del reddito.

Il reddito conseguito da un soggetto deve essere assoggettato al­ l’imposta sia nel caso in cui il produttore intenda destinarlo a finalità egoistiche sia per la ipotesi in cui esso venga devoluto a fini benefici o di interesse generale.

L’impiego del reddito prodotto rappresenta un posterius rispetto al momento della produzione e resta estraneo alla fattispecie oggettiva del­ l’imposta, come si evince dall’art. 81 t.u. imposte dirette D.P.B, 29 gennaio 1958 n. 645 che individua il presupposto dell’imposta di E.M. nella « pro­ duzione » di un reddito netto. Di particolare importanza è poi la dispo­ sizione dell’art. 91 T.U. citato, la quale pone il principio fondamentale della detraibiiita, ai fini del calcolo del reddito netto, delle sole spese « inerenti alla produzione » del reddito.

Su questa norma si asside la distinzione, rilevante ai nostri fini, tra spese che sono necessarie al processo di formazione del reddito (e che perciò sono deducibili dai ricavi) e spese, che non essendo necessarie alla produzione, vengono a configurarsi quali forme di consumo e di eroga- gazione del reddito già prodotto (che non sono detraibili dai ricavi). Le spese, ribadisce la circolare ministeriale n. 45 del 1902 (che per più di un cinquantennio ha ispirato l’azione dell’Amministrazione finanziaria), per essere ammesse in deduzione dai ricavi devono presentare con la produzione del reddito una « attinenza immediata, diretta, necessaria ed attuale ».

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Pertanto gli eventi die danno luogo alla erogazione del reddito non entrano a comporre la fattispecie oggettiva dell’imposta e non influiscono in alcun modo sulla sua esistenza.

Sicché gli avanzi di gestione destinati sia pure per legge a coprire spese dell’esercizio futuro non costituiscono spese inerenti alla produ­ zione del reddito; questi potrebbero configurarsi come forme di eroga­ zione del reddito prodotto, e come tali ininfluenti ai fini dell’esistenza e misura del reddito netto da tassare.

5. Alla luce di queste considerazioni le motivazioni addotte dalla giurisprudenza, in ordine alla esclusione dell’applicabilità dell’imposta di R.M. cat. B agli avanzi di gestione con destinazione legalmente vinco­ lata (mercati ittici, enti comunali di consumo, Servizio contributi agri­ coli unificati) non possono accogliersi, come abbiamo detto innanzi.

Tuttavia le soluzioni di volta in volta adottate sia dalla Suprema Corte sia dalla Commissione Centrale sono esatte.

Il problema che allora l’interprete deve risolvere è quello di inda­ gare sulla scorta di quale principio enucleatole dall’ordinamento giuri­ dico, le decisioni giurisdizionali sono incensurabili.

La dottrina di gran lunga prevalente (Ingrosso, A.D. Giannini, Coci- vera, Allorio ecc.) assume, sulla scia del diritto positivo e precisamente degli artt. 85, 91, 115 T.U. citato, essere requisito essenziale della fonte produttiva del reddito lo scopo di lucro. L’attività umana può assur­ gere a fonte di reddito solo in quanto sia rivolta a procurare un guada­ gno, un arricchimento a chi la compie.

Il lucro però deve essere inteso non in senso soggettivo o psicologico, ma in senso oggettivo, cioè come un modo di essere dell’operazione da cui scaturisce il reddito.

Per vedere se sussista lo scopo di lucro non occorre, dunque, scru­ tare nell’intenzione del soggetto, ma è probante la destinazione del frutto dell’attività per lo scambio non gratuito, in quanto è nell’ordine na­ turale delle cose che chi produce per il mercato lo faccia per conseguire un guadagno.

Un tanto premesso, sia nel caso dell’ente per la riscossione dei con­ tributi agricoli unificati, sia in quello degli enti comunali di consumo o dei mercati ittici comunali, la natura non reddituale degli avanzi attivi discende dall’assenza del carattere lucrativo nelle attività affidate ai predetti enti. Si prenda il caso dei Servizi contributi agricoli unificati (vedi Cass. 20 gennaio 1969 n. 136, Cass. 3 febbraio 1969 nn. 307 e 313; Comm. Cent. 13 gennaio 1967 n. 87497).

La legge istitutiva R.D. 24 settembre 1940 n. 1949, all’art. 9, prescrive che le entrate dell’ente debbano corrispondere esattamente alle spese ne­ cessarie per lo svolgimento dell’attività ad esso demandata (compila­ zione degli elenchi dei soggetti contribuenti e accertamento, riscossione e versamento dei contributi).

È quindi escluso per legge che la gestione del Servizio possa dar luogo al conseguimento di un lucro. E se lucro ci sia, ciò discende non

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dalla scelta dell’ente, ma è un effetto della inevitabile fallibilità delle umane previsioni.

L’importo delle spese dell’ente, infatti, che deve essere determinato annualmente e preventivamente dal Ministro per il Lavoro e la Previ­ denza Sociale, non può essere stabilito che in via presuntiva, non poten­ dosi prevedere con esattezza a quanto esse in concreto ammonteranno. Può quindi accadere, ed anzi è normale che accada, essendo opportuno rispet­ tare un margine di sicurezza, che alla fine dell’esercizio si verifichi in concreto una eccedenza dei proventi rispetto alle spese.

Se però fosse possibile stabilire a priori con assoluta precisione l’en­ tità dei costi di gestione una eccedenza attiva non potrebbe mai esservi e non si parlerebbe di reddito.

Da questo angolo visuale acquista un diverso significato lo stesso vincolo legale di destinazione della eccedenza a copertura delle spese future, che si atteggia non tanto come atto di erogazione del reddito pro­ dotto (v. retro pag. 317), quanto piuttosto come un espediente volto a ri­ stabilire il pareggio tra costi e ricavi, che l’errore di previsione aveva temporaneamente turbato.

Per l’ente summenzionato il divieto posto dalla legge del consegui­ mento del guadagno è logicamente e cronologicamente antecedente al vin­ colo di destinazione della eccedenza attiva eventualmente formatasi du­ rante la gestione.

Si può anzi dire che è proprio la inesistenza dello scopo di lucro nel­ l’attività dell’ente che ha imposto l’obbligo giuridico della destinazione degli avanzi di gestione a copertura delle spese dell’esercizio futuro, che ha appunto la funzione di far riassorbire nelle spese il guadagno che l’ente ha accidentalmente conseguito.

Concludendo, il divieto di lucro, non già il vincolo legale di destina­ zione, come vuole la Cassazione (v. retro pag. 315) è il motivo per cui gli avanzi di gestione di un ente (nella fattispecie: Servizio contributi uni­ ficati in agricoltura), senza fine speculativo, autorizzato per legge a ri­ chiedere dei contributi in misura perfettamente corrispondente alle spese sostenute, non costituiscono materia tassabile ai fini dell’imposta di ric­ chezza mobile.

6. La nostra tesi d’altro canto è suffragata da una ulteriore consi­ derazione.

Parte autorevole della dottrina (8) ha ormai riconosciuto la natura giuridica di imposta (qualche autore come il De Valles di tassa) ai con­ tributi di assicurazione sociale.

Orbene le spese necessarie per l’accertamento dei contributi assicu­ rativi agricoli, compito questo devoluto al Servizio Contributi Unificati in Agricoltura, non possono non far parte integrante, acquisendone la medesima natura giuridica, dei contributi stessi.

(8) Per un esame approfondito vedi Cociveha, Corso di diritto tributario,

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Infatti il debito assicurativo iscritto in ruolo al nome di ciascun sog­ getto passivo è comprensivo del premio vero e proprio e della spesa re­ lativa al suo accertamento, costituendo il tutto un’unica ed indivisibile obbligazione tributaria.

Ora la medesima prestazione pecuniaria (debito assicurativo) non può cambiare natura giuridica a seconda eie la si guardi dal lato del soggetto passivo o da quello del soggetto attivo.

Intendiamo dire che se per gli agricoltori e i lavoratori dell’agricol­ tura contributi e spese relative al loro accertamento costituiscono un unico debito di carattere tributario, la medesima inscindibilità ed uni­ cità presenta il corrispondente credito nei confronti dell’Ente acceca­ tore (S.C.A.U.)

Ohe se così non fosse si opererebbe una disparità di trattamento tra quegli istituti (INPS, IN AIL, ecc.) che provvedono alla completa gestione dei contributi assicurativi, dalla fase dell’accertamento fino a quella della erogazione sotto le diverse forme legislative, e quegli Enti come il Servizio Contributi Agricoli Unificati che sono dalla legge pre­ disposti all’espletamento di uno solo dei compiti inerenti il complesso sistema di previdenza e assistenza sociale.

Il legislatore ha creduto opportuno nel campo dei contributi agri­ coli affidarne l’accertamento ad un ente diverso da quelli che sono sog­ getti attivi del rapporto obbligatorio di assicurazione sociale e quindi titolari del credito da esso rapporto discendente.

Dispone l’art. 10 comma 3 r.d. 24 settembre 1940 n. 1949 « a cura de­ gli organi incaricati dell’accertamento è inoltre comunicato a ciascuno ente interessato il carico dei contributi di propria spettanza iscritto nei ruoli » ; e l’art. 17 aggiunge « il Ministero delle Corporazioni (leggi Mini­ stero del lavoro e previdenza sociale) dispone il pagamento dei contributi riscossi alle associazioni ed enti interessati ».

Ordunque il Servizio Contributi Agricoli Unificati, persona giuridica di diritto pubblico, nell’assolvere i compiti dalla legge assegnati non svolge un’attività privatistica a fine speculativo, bensì persegue fini col­ lettivi propri dello Stato, come appunto quelli della sicurezza sociale, attraverso la potestà accertatìva dei contributi assicurativi agricoli di cui l’ente in parola è investito.

Il servizio Contributi Agricoli Unificati è pertanto uno di quegli organi, al pari dell’INPS, INAIL, predisposti dallo Stato ai fini della assicurazione e assistenza sociale (art. 38 4 comma Cost.).

Le plusvalenze di esercizio realizzate dall’ente predetto quindi ri­ vestendo il carattere giuridico di imposta o quanto meno di tassa non possono costituire reddito imponibile ai fini della ricchezza mobile, dato il principio logico, pacifico nella nostra giurisprudenza, secondo cui il provento di un tributo non può essere oggetto di un altro tributo (9).

( 0 ) Fa s o l i s, G l i e n t i d i d i r i t t o p u b b l i c o s o g g e t t i p a s s i v i d i i m p o s t a e la,

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Da quanto sopra discende con maggior chiarezza che gli avanzi di gestione di quegli enti di cui qui si discorre sono intassabili per l’imposta di R.M. perché, per i motivi accennati, non rientrano nel con­ cetto di reddito; pertanto rilevante ai fini dell’esclusione della tassa­ zione è, come da noi sostenuto, la mancanza dell’intento speculativo, dello scopo di lucro, negli anzidetti enti, e non come vuole la corte di Cassa­ zione il vincolo legale di destinazione, che è semplicemente la naturale conseguenza del carattere giuridico degli avanzi di gestione.

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ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’APPLICAZIONE DELL’IMPO­ STA COMUNALE SULL’INCREMENTO DI VALORE DEGLI IM­ MOBILI A I FABBRICATI COSTRUITI DA PRIVATI E SUL

CONCETTO DI SPESE D I COSTRUZIONE

1. Il D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, all’ultimo comma dell’art. 6, detta i criteri per l’applicazione dell’imposta sull’incremento di valore degli immobili ai fabbricati costruiti dalle imprese costruttrici, disponen­ do che, in tale ipotesi, l’accertamento dell’incremento deve essere effet­ tuato su due distinti beni immobili:

a) sull’area, per il periodo intercorrente dall’acquisto della me­

desima all’inizio della costruzione;

b) sul fabbricato, per il periodo intercorrente dalla ultimazione

del medesimo al suo trasferimento.

Non vi è dubbio che, in questa ipotesi, il fabbricato è considerato un bene immobile autonomo e, come tale, viene assunto ad oggetto autonomo del rapporto di imposta.

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