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L’Arco Calabro-Peloritano nel Miocene: inquadramento geologico dell’area di studio

successione marina miocenica della Sardegna

Capitolo 4. Studio delle associazioni a dinocisti e sporomorfi della successione marina miocenica della Calabria

4.1. L’Arco Calabro-Peloritano nel Miocene: inquadramento geologico dell’area di studio

L‘Arco Calabro-Peloritano è una struttura prominente a forma di arco, appartenente alla cintura orogenica del Mediterraneo. Tale arco connette le Magrebidi agli Appennini Meridionali. Esso rappresenta un prisma di accrezione, generato dalla collisione Africa-Europa (Amodio-Morelli et al., 1976; Tortorici, 1982). La sua architettura è costituita da una serie di falde del basamento e da unità tettoniche contenenti ofioliti di età giurassico-cretacica, considerate come rimanenze della vergenza europea. Nel Neogene tale movimento andò a coinvolgere la catena eo-alpina nella formazione della cintura orogenica degli Appennini (Amodio-Morelli et al., 1976). La recente evoluzione geodinamica dell‘Arco Calabro-Peloritano si correla strettamente all‘apertura del Mar Tirreno meridionale.

L‘Arco Calabro-Peloritano è limitato a nord dalla Linea di Sangineto e a sud dalla Linea di Taormina comunemente interpretate come binari di trascorrenza sinistra e destra rispettivamente. All‘interno dell'Arco si riconoscono importanti faglie normali (Ghisetti & Vezzani, 1982; Ghisetti et al., 1991) che separano i principali bacini plio-pleistocenici dalle strutture montuose sollevate (Aspromonte, Serre e Catena Costiera), e deformano profondamente i depositi pleistocenici superiori. Alvarez (1972, 1976), Dewey et al. (1972), Alvarez et al. (1974), Scandone (1982), Smith & Woodcock (1982), Boccaletti et al. (1984), Rehault et al. (1984), Dercourt et al. (1985), Courme & Mascle (1988), Ziegler (1988), Dewey et al. (1989) e Dercourt et al. (1993) hanno riconosciuto l‘alloctonia del blocco crostale calabro-peloritano indicando che esso potrebbe costituire uno dei frammenti di crosta continentale (al pari del Blocco Balearico, della Piccola e Grande Kabilia e del Blocco Sardo-Corso), distaccatosi progressivamente dal margine meridionale della placca europea a partire dall‘Oligocene. Vai (1992), al contrario, sostiene che al limite Oligocene-Miocene i vari terranes che ora costituiscono il blocco calabro-peloritano non erano ancora amalgamati. Il distacco della microplacca e il suo successivo avanzamento verso SE potrebbero essere collegati alla collisione tra la placca africana e quella europea, dalla quale sarebbe derivato l‘arretramento della zona di subduzione ionica e l‘aumento progressivo dell‘angolo di subduzione della litosfera oceanica a cui si accompagnerebbero i fenomeni distensivi che caratterizzano la microplacca sovrastante (Cavazza et al., 1997).

In tale contesto, l‘edificio dell‘Arco Calabro-Peloritano risulta formato da una serie di falde sovrapposte che iniziano con un basamento cristallino pre-Mesozoico (avente, secondo Bonardi et al. (1982) e Vai (1992), marcate analogie con la struttura Austro-sudalpina), coperto da una fascia meso- cenozoica con caratteristiche simili a quella delle Alpi. Si tratta di falde derivanti da tale margine alpino impilatesi inizialmente con ―vergenza‖ europea. Successivamente, la struttura di rocce molto antiche, è stata trasportata in blocco con ―vergenza‖ africana ed incorporata alla catena Appenninico- Maghrebide, in fase di costruzione. Questa tendenza evolutiva, fort emente attiva nel tardo Paleogene e Miocene, ha avuto forti impulsi nel Quaternario ed è ancora attiva.

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A grandi linee, i rapporti fra i vari complessi geologici che costituiscono l‘Arco Calabro- Peloritano sono caratterizzati da contatti di ricoprimento tettonico, il cui ordine di successione a partire dal ba

Complesso Sicilide, Complesso Calabride, Complesso Antisicilide, Complesso Crotonide. Sopra di essi poggiano i sedimenti postorogeni.

Il Complesso Panormide, formato da successioni sedimentarie mesozoiche di calcari con selce, dolomie ed evaporiti e con relativo basamento filladico (Amodio-Morelli et al., 1976; Ietto A. & Ietto F., 1998; Lorenzoni & Z. Lorenzoni, 1983).

Il Complesso Liguride, che consta di due sequenze ofiolitiche, inferiore e superiore, entrambe interessate da effetti metamorfici (Cello et al., 1991). Il Complesso Liguride deriva da un bacino oceanico pre-orogenico (il dominio Ligure-Piemontese), apertosi nel Giurassico medio tra i domini Europeo-Iberico e Africano-Apulico (Dewey et al., 1989; Schmid et al., 2004). Il Complesso Liguride affiora largamente in tutta la Calabria settentrionale e centrale.

Il Complesso Sicilide affiora solo nell‘estremo settore nord-orientale della Calabria, nella zona di Amendolara, Oriolo e Rocca Imperiale. Le successioni dei Complessi Liguride e Sicilide ricoprono tettonicamente i terreni panormidi e sono costituite da prevalenti depositi terrigeni, in parte metamorfosati, che evolvono verso l‘alto ad una sedimentazione tipicamente fliscioide.

Il Complesso Calabride, che si compone di crosta continentale, affetta da metamorfismo da medio ad alto grado con intrusioni plutoniche, è considerato o un resto di margine di placca continentale africana, accumulatosi nel corso del Cretac eo-Paleogene alle falde ofiolitiche per formare la Catena eo-alpina con vergenza europea, sovrascorsa sulla cintura orogenetica appenninica nel Miocene inferiore (Haccard et al., 1972; Alvarez, 1976; Grandjacquet e Mascle, 1978); o un frammento del margine continentale europeo, accumulatosi ai materiali oceanici durante il Paleogene con vergenza africana, sovrascorso sul margine continentale africano nel Miocene inferiore (Ogniben, 1969, 1973; Bouillin, 1984; Bouillin et al., 1986).

Il Complesso Antisicilide, costituito dall‘Unità delle ―Argille Variegate‖ con inclusi blocchi e lenti del Flysch Numidico e del flysch tardiorogeno calabride, affiora sul versante ionico della Calabria, nell‘area delle Serre e dell‘Aspromonte.

Ad esso fa seguito il Complesso Crotonide, cui appartiene la falda di Cariati, costituita essenzialmente da argille variegate affioranti tra Punta Alice e Capo Trionto.

I depositi postorogeni iniziano con le arenarie e le sabbie tortoniane; si sviluppano verso l‘alto attraverso diversi cicli sedimentari fino ai terrazzi quaternari e terminano con le alluvioni recenti.

L‘Arco Calabro-Peloritano è costituito da due settori che si distinguono nell‘assetto tettonico e stratigrafico delle unità di cui si compongono, nelle caratteristiche strutturali e nell‘evoluzione tettonica (Bonardi et al., 1980, 1996, 2001; Messina et al., 1996a, 2002a). Avendo come riferimento il settore meridionale e ponendolo in contrapposizione al settore settentrionale, si notano le seguenti caratteristiche (Tortorici, 1982):

Mancanza di unità ofiolitiche,

Mancanza di metamorfismo alpino nelle unità cristalline,

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Sulla base dei dati ad oggi disponibili, l‘Arco Calabro-Peloritano può essere suddiviso in macrozone, separate dalle grandi strutture depressionarie trasversali originatesi a partire dal Plio - Pleistocene. Nel settore settentrionale vi sono il massiccio della Sila, la Catena Costiera, il Promontorio di Capo Vaticano e il Massiccio settentrionale delle Serre; nel settore meridionale vi sono il Massiccio meridionale e centrale delle Serre, il Massiccio dell‘Aspromonte e i Monti Peloritani. Il settore settentrionale dell‘Arco Calabro-Peloritano comprende unità tettono-stratigrafiche deformatesi durante l‘orogenesi alpina (Haccard et al., 1972; Amodio-Morelli et al., 1976; Scandone, 1982), mentre nel settore meridionale gli eventi metamorfici di età alpina sono documentati solo localmente (Bonardi et al., 1987; Platt & Compagnoni, 1990).

La difficoltà di correlare le unità tettono-stratigrafiche della Calabria settentrionale con quelle della Calabria meridionale e dei Monti Peloritani è stata riscontrata a partire dal 1980. Ciò ha portato a determinare che l‘Arco Calabro-Peloritano non è altro che il risultato della giustapposizione dei due settori (o subterranes) con una differente evoluzione metamorfica e tettono-stratigrafica (Bonardi et al., 1980; Scandone, 1982; Bonardi et al., 1982a, b; Boccaletti et al., 1984b; Dercourt et al., 1985; Bonardi et al., 1994; 1996). Secondo alcuni di questi autori, il settore settentrionale (che va approssimativamente dalla linea di Sangineto al graben di Mesima) rappresenta un frammento di catena eo-alpina. Il settore meridionale (dal graben di Mesima alla linea di Taormina) non mostra caratteristiche di trasporto orogenico con vergenza europea (Bonardi et al., 2001).

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Figura 4.1. Schema geologico della zona centrale del Mediterraneo, con la sezione geologica in basso (da van Dijk & Scheepers, 1995 e van Dijk et al., 2000, modificato). In cima, la localizzazione dell‘area di studio, e la mappa tettonica semplificata dell‘Arco Calabro-Peloritano (Tansi et al., 2007).

Dal basso verso l‘alto, partendo dai lavori di Amodio-Morelli et al. (1976), Bonardi et al. (1976, 1980, 1982), Giunta et al. (1998) e con i dati provenienti dai lavori di Messina et al. (1990, 1992, 1995, 1997a, b), di Giunta & Nigro (1999), di Lentini et al. (2000) e di Bonardi et al. (2001; 2002), si riconoscono nel settore meridionale dell‘Arco Calabro-Peloritano le seguenti unità tettoniche:

Unità di Longi-Taormina;

Unità di Fondachelli, Alì, Mandanici, Mela e Aspromonte; Unità di Stilo;

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Le Unità di Longi-Taormina e di Stilo sono suturate al tetto dai depositi terziari della Formazione di Stilo-Capo d‘Orlando (SCOFm). In particolare, la struttura delle Serre, porzione centrale dell‘Arco Calabro-Peloritano, viene suddiviso in due unità tettoniche principali: l‘Unità di Polia- Copanello (Fm. Dioritico-kinzigitica) e l‘Unità di Stilo (metamorfiti di medio e basso grado, granitoidi ercinici (Amodio-Morelli et al., 1976), le quali sono divise dalla subunità tonalitica di Cardinale.

L‘Unità di Stilo affiora estesamente nella parte meridionale ed orientale delle Serre, ove sovrasta tettonicamente l‘Unità di Polia-Copanello. Tale unità forma una serie di k lippen più o meno estesi nella Sila Piccola e nella Catena Costiera, i quali poggiano tettonicamente su quasi tutte le unità della Catena Alpina (Lorenzoni & Zanettin Lorenzoni, 1975). Il contatto con le unità sottostanti ha un andamento irregolare e marcatamente ondulato ed è caratterizzato da forte tettonizzazione.

Al di sopra della Formazione di Stilo Capo d‘Orlando vi è l‘Unità delle Argille Variegate Antisicilidi (Ogniben, 1960).

L‘Unità di Longi-Taormina è caratterizzata da una sequenza continua avente al top il Flysch Frazzanò, ritenuto in precedenza di età eo-oligocenica (Ogniben, 1960) e oggi attribuito all‘Oligocene superiore-Aquitaniano (de Capoa et al., 1997). All‘Unità di Stilo appartengono le formazioni di Palizzi e di Pignolo; quest‘ultima è stata considerata inizialmente come la base della formazione di Stilo-Capo d‘Orlando e poi come formazione a sé stante (Bonardi et al., 2002). Le formazioni terziarie di Palizzi (Rupeliano) e di Pignolo (Rupeliano superiore-Aquitaniano) non sono mai state trovate in contatto tra loro anche se è ipotizzata una discordanza angolare tra le due. L‘intera successione sedimentaria dell‘Unità di Stilo è caratterizzata da diverse lacune e dalla presenza di terreni cenozoici che sono ancora oggetto di dibattito.

Secondo Amodio-Morelli et al. (1976), si riconoscono nel settore settentrionale dell‘Arco Calabro-Peloritano (Catena Costiera, Serre settentrionali e Sila) le seguenti unità tettoniche nella Catena Alpina:

Unità di Polia-Copanello (Fm. Dioritico-kinzigitica), Unità di Malvito,

Unità di Diamante-Terranova, Unità di Castagna,

Unità di Bagni-Fondachelli, Unità del Monte Gariglione, Unità di Gimigliano, Unità del Frido,

Unità di Longobucco (Unità della Sila); nella Catena Appeninica vi sono le seguenti unità:

Unità di Verbicaro, Unità di San Donato.

L‘Unità di Polia-Copanello affiora estesamente in tutta la Calabria, dalla Catena Costiera alla Sila, alle Serre. Questa Unità è la più elevata tra le unità attribuite con certezza alla Catena Alpina.

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Essa giace tettonicamente sull‘Unità di Castagna e, soprattutto nella parte settentrionale della Catena Costiera, su tutte le unità più basse.

L‘Unità di Malvito (Dietrich et al., 1977) affiora estesamente a cavallo della linea di Sangineto; è costituita da metabasiti (metabasalti verdi e rossicci a grana fine o media) con una copertura prevalentemente calcarea. Tettonicamente poggia sull‘Unità di Diamante-Terranova o sull‘Unità di Gimigliano ed è sottostante all‘Unità di Polia-Copanello.

L‘Unità di Diamante-Terranova (Dietrich et al., 1977) consiste di metabasiti massicce o scistose e serpentiniti di età supposta giurassico-cretacica inferiore (Amodio-Morelli et al., 1977). L‘unità poggia tettonicamente sull‘Unità del Frido ed è coperta tettonicamente dall‘Unità di Malvito.

L‘Unità del Frido, di età cretacica, affiora a sud della linea di Sangineto come la più bassa delle falde alpine; essa sovrasta le unità appenniniche di San Donato e Verbicaro, ed è costituita da un‘alternanza di argilloscisti quarzo-arenitici e calcari arenacei, il tutto affetto da metamorfismo di basso grado.

L‘Unità di Gimigliano (Dietrich et al., 1977) affiora diffusamente in Catena Costiera e in Sila Piccola dalla linea di Sangineto fino all‘allineamento Nicastro-Gimigliano. Nell‘ambito dell‘unità sono state riconosciute alcune differenze nelle metabasiti di cui è costituita e nella loro copertura calcarea sedimentaria (Amodio-Morelli et al., 1976).

L‘Unità di Bagni-Fondachelli è molto estesa ed affiora nella Catena Costiera, nelle Serre settentrionali e nella Sila; è tettonicamente interposta tra l‘Unità di Gimigliano a letto e le Unità di Mandanici e di Castagna a tetto (Amodio-Morelli et al., 1976).

L‘Unità di Castagna in Calabria è compresa tra l‘Unità di Bagni-Fondachelli e l‘Unità di Polia- Copanello e nei Monti Peloritani (eccetto i Peloritani nord-orientali), l‘Unità comprende tutte le metamorfiti di medio e alto grado sovrastanti l‘Unità di Mandanici. L‘Unità di Castagna affiora diffusamente nella parte meridionale della Sila, nella Catena Costiera e nelle Serre settentrionali ( e. g., Borsi & Dubois, 1968; Colonna & Piccarreta, 1975a, b, 1976; Amodio-Morelli et al., 1976).

L‘Unità di Monte Gariglione, istituita da Dietrich et al. (1977), affiora estesamente nella Sila. La superficie di contatto con le sottostanti unità di Longobucco, di Polia-Copanello, di Castagna e di Bagni-Fondachelli è contrassegnata da una fascia di cataclasi.

Le Unità appenniniche di Verbicaro e di San Donato sono in contatto con la Catena Alpina a nord e a sud della linea di Sangineto. L‘Unità di San Donato, di età triassica medio è la più bassa geometricamente ed è costituita da filladi con intercalazioni locali di calcare e metabasiti. L‘Unità di Verbicaro è la più alta tra le coltri dell‘Appennino calcareo e corrisponde alle ―serie a selce‖ di Grandjacquet & Grandjacquet (1962).

In questo studio particolare attenzione è stata data all‘Unità di Longobucco (Unità della Sila). Quest‘ultima si presenta suddivisa in una serie di scaglie di ordine inferiore, ciascuna costituita da porzioni di basamento e di copertura, la quale presenta, nelle varie scaglie, differenze di facies o di sviluppo seriale. L‘analisi delle facies permette di riconoscere l‘esistenza di un bacino di sedimentazione complesso con tettonica sinsedimentaria molto attiva. L‘Unità di Longobucco presenta vergenza africana in quanto la vergenza delle varie scaglie che la cos tituiscono è chiaramente orientale in Calabria e meridionale in Sicilia (Amodio-Morelli et al., 1976); è un‘unità alpina e non

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appeninica in quanto il momento della tettogenesi è precedente la deformazione di quella parte del margine continentale africano che ha generato l‘Appenino.