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B. Le cellule sono mobili e diploidi (dotate di nucleo) C Le cellule sono non mobili e diploidi.

2.3. I dinoflagellati fossil

Lo studio paleontologico fino ad oggi ha individuato più di 200 generi fossili di cisti di età mesozoica e cenozoica, appartenenti ad ambienti marini per la maggior parte ed in minor misura a quelli di acqua dolce. Fossili di dinoflagellati si trovano fin dal tardo Triassico e, come già detto precedentemente, la maggior parte dei dinoflagellati fossili sembra rappresentare la fase di resting

cyst. Le specie produttrici di cisti sono concentrate in poche maggiori categorie tassonomiche. In

particolare, i seguenti ordini producono cisti: Gymnodiniales, Suessiales, Gonyaulacales e Peridiniales. Le dinocisti fossili sono reperibili frequentemente nelle argille, nelle marne, nei calcari e nei fanghi carbonatici.

I primi esemplari fossili furono scoperti da Ehrenberg, che nel 1838 individuò un primo tipo come Peridinium ed un secondo tipo, con un corpo sferico centrale ricco di spine radianti, come istricosfere. Secondo Ehrenberg le istricosfere erano zigospore silicee del genere Xanthidium, un‘alga d‘acqua dolce, ma successivamente Mantell (1845) riuscì a dimostrare che gli xanthidi erano composti organici e furono pertanto inclusi nel nuovo genere Spiniferites.

La letteratura fa riferimento a sette linee filetiche di dinocisti fossili designate in base alle modalità di formazione dell‘archeopilo e alla paratabulazione. La linea cronologicamente più antica è la Gonyaulacysta, di cui fanno parte alcune specie tutt‘oggi viventi. All‘inizio del Giurassico si svilupparono le specie dotate di spine, probabilmente come adattamento per migliorare la fluttuazione nella colonna d‘acqua e la difesa.

Nel Cretaceo si ebbe un‘ulteriore evoluzione con individui a parete spessa: ciò testimonierebbe un innalzamento del livello marino segnalato anche dalla comparsa di cisti chorate e

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cavate che tendono a dominare (insieme alle Peridinioidi) alla fine del Cretaceo, periodo caratterizzato tra l‘altro dalla continua presenza della linea Dinogymnium.

L‘evoluzione nettamente più veloce dei dinoflagellati nel Paleogene, ha fatto sì che molte specie si estinguessero, mentre parallelamente se ne formavano di nuove come quelle del gruppo

Tuberculodinium, ed altre ancora, come Gonyaulacysta e Peridinium. Al contrario del Paleogene, la

forte crisi del Neogene segnò l‘inizio della fase di declino.

Infine la somiglianza tra gli acritarchi e le dinocisti dell‘attuale ordine Gymnodiniales ha indotto a ritenere che molti acritarchi possano essere dinocisti nude e che, pertanto, siano il ceppo ancestrale dei dinoflagellati tecati (Williams, 1978).

È necessario precisare che i dinoflagellati producono cisti con parete organica e cisti calcaree. Tuttavia, in questo studio verranno prese in considerazione esclusivamente le cisti con parete organica che si ritrovano all‘interno di preparati palinologici ottenuti partendo da campioni di roccia sedimentaria attraverso metodologie che saranno descritte in seguito.

2.3.1. Morfologia della ciste

Le cisti dei dinoflagellati sono morfologicamente assai varie. Esse, infatti, possono essere sferiche, ovoidali, ellissoidali, allungate o peridinioidi. Tuttavia sono tutte caratterizzate da un corpo detto autocisti, da una parete organica costituita di uno o più strati (autofragma, perifragma, endofragma, mesofragma, ectofragma ed exofragma) e da una cavità fra corpo e parete detta

autocele che, nelle dinocisti bistratificate, si divide in endocele più internamente e pericele più

esternamente. Le principali regioni della ciste, che corrispondono all‘epiteca, al cingolo, al solco ed all‘ipoteca, sono rispettivamente dette epicisti, paracingolo, parasolco ed ipocisti. La superficie della ciste può presentare parasuture in forma di creste (ridges) o altri elementi che simulano le suture della teca e che dividono la superficie in aree più o meno poligonali che assomigliano alle placche tecali. Queste forme poligonali sulla ciste vengono dette paraplacche. Così come la tabulazione comprende il numero e l‘arrangiamento delle placche sulla teca, la paratabulazione riguarda il numero e l‘arrangiamento delle paraplacche sulla ciste. Anche la ciste, inoltre, ha una parte apicale (anteriore), una antiapicale (posteriore), una ventrale (marcata dal parasolco), una dorsale, una destra ed una sinistra.

Le cisti possono avere superficie liscia o ornata da corni, s etti o processi variamente lunghi, esili o grossi. Il tipo di processo è un dato diagnostico importante perché permette di classificare a prima vista la ciste come proximata, chorata o proximochorata (Fig. 2.16).

Le cisti proximate, che si suppone formatesi a stretto contatto con la teca, sono le più semplici presentando una forma simile ad una teca e con la superficie liscia o, se presenti, con strutture la cui lunghezza è comunque inferiore ad 1/3 del diametro del corpo cellulare.

Le cisti chorate o proximochorate, invece, hanno un corpo centrale che porta una serie di processi colonnari o spinosi che variano per numero, posizione e morfologia.

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Figura 2.16. Uso dei termini descrittivi proximate, proximochorate e chorate basato sulla lunghezza dei processi come percentuale del diametro più corto del corpo centrale della ciste (da Fensome et al., 1996).

In aggiunta a queste caratteristiche morfologiche, gli autori identificano una ciste come

cavata, quando è formata da due corpi, uno più esterno ed uno più interno, a contatto limitato e con

spazi intercorrenti. Quest‘ultimo tipo è quello a cui si riconducono molte dinocisti peridinioidi come il genere Deflandrea.

Le dinocisti presentano un‘apertura di excistamento denominata archeopilo; esso si forma per la perdita parziale di una o più placche che formano l‘opercolo, oppure per la rottura della sutura fra le placche adiacenti. L‘archeopilo in termini generali può essere di tipo a fessura (slit-lik e) o più comunemente di tipo a lembo (flap-lik e) o può consistere nella rimozione di una completa sezione della parete, l‘opercolo appunto, corrispondente ad una o più paraplacche.

Anche l‘archeopilo costituisce un altro importante parametro classificativo in quanto può occupare posizioni differenti nelle varie specie. Se coinvolge una o più paraplacche di una singola serie è detto apicale, intercalare, precingolare, cingolare; se coinvolge due o più serie di placche è detto di combinazione (Fig. 2.17).

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2.3.1.1. Tabulazione e Paratabulazione

La tabulazione è senza dubbio la caratteristica morfologica più significativa nella sistematica dei dinoflagellati. Nello studio delle dinocisti le condizioni sono diverse e assai complesse in quanto la paratabulazione è spesso espressa in maniera incompleta o imperfetta e le cisti mostrano una grande diversità di dettagli morfologici (quali i processi o l‘archeopilo) che sono più facili da analizzare.

2.3.1.1.1. Le caratteristiche dei gymnodinioidi

La famiglia Gymnodiniaceae non ha conferme nei record fossili; ma le cisti a parete organica dei moderni generi Cochlodinium, Gyrodinium e Gymnodinium fanno supporre che le cisti potrebbero essere rappresentate nei record fossili probabilmente come acritarchi (Sangiorgi, 2000).

Harland (1981) e Matsuoka & Fukuyo (1986) riportano nei loro studi la presenza di cisti con affinità alle Polykrikaceae nel Neogene. La famiglia Suessiaceae era riportata unicamente nel record fossile del tardo Triassico-Giurassico fino al 1999, anno in cui Montresor, Procaccini e Stoecker scoprirono la presenza di un piccolo dinoflagellato gymnodinioide (Polarella glacialis) avente una notevole somiglianza alle cisti fossili della famiglia Suessiaceae. Le cisti sono pro ximate o proximochorate con tabulazione riflessa da creste suturali o da processi centrati nelle placche di forma e disposizione variabile a seconda della specie.

2.3.1.1.2. Le caratteristiche dei peridinioidi

Le principali caratteristiche sono: simmetria bilaterale, tre ampie placche intercalari anteriori, 7 placche precingolari, 5 postcingolari e 2 placche antiapicali. Questo è uno dei gruppi più comunemente riscontrati nei record fossili. I più importanti generi sono quelli appartenenti al complesso Deflandrea, esistente ancora oggi a partire dal Cretaceo, e al complesso Wetzeliella (Paleocene-Miocene). Hanno di solito una pronunciata compressione dorsoventrale e possono presentare due corni antiapicali. Quando questi ultimi sono presenti e divergono in dimensioni, il più grande è generalmente il sinistro. Le cisti peridinioidi sono proximate o cavate; le cisti chorate sono estremamente rare. La forma è variabile da subsferica a compressa dorsoventralmente. Esempi moderni di peridinioidi sono rappresentati da Protoperidinium spp. e Peridinium spp.. Le indicazioni di paratabulazione sono piuttosto rare o incomplete, in quanto in molte specie essa è ristretta alle suture associate all‘archeopilo sull‘epicisti dorsale. Va detto che il paracingolo e il parasolco sono generalmente indicati nella formula di tabulazione, ma le placche che compongono queste aree non posso essere distinte. È principalmente l‘archeopilo che fornisce la migliore evidenza di tabulazione.

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2.3.1.1.3. Le caratteristiche dei gonyaulacoidi

Si tratta di un gruppo molto complesso ed ampio, le cui caratteristiche vengono confrontate con quelle dei peridinioidi. In particolare vengono messe a confronto le caratteristiche dei moderni generi Peridinium e Gonyaulax.

Le placche intercalari anteriori in Peridinium sono larghe, dorsali e in posizione simmetrica, mentre in Gonyaulax sono assenti oppure piccole e asimmetriche. In Peridinium vi sono 7 placche precingolari ed in Gonyaulax le placche precingolari sono 6. Le placche posticingolari sono 5 in

Peridinium e 6 in Gonyaulax. Nessuna placca intercalare posteriore è presente in Peridinium, mentre

la singola placca presente in Gonyaulax ne accentua l‘asimmetria sul lato sinistro dell‘ipoteca. In

Peridinium, inoltre, vi sono due placche antiapicali quasi simmetriche che contrastano l‘unica placca

antiapicale presente in Gonyaulax.

Per semplificare tale complessità e per aiutare nell‘identificazione delle cisti, è utile suddividere le dinocisti gonyaulacoidi in 4 gruppi basandosi sulle differenze nella disposizione delle placche posteriori al cingolo:

1. quinqueformi: la configurazione dell‘ipoteca mostra una placca di grandi dimensioni