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L'Argentina e i suoi miti

Gianfranco Romagnoli

Sono oltremodo riconoscente alla Presidenza dell’Accademia per avermi concesso l’onore di aprire questa giornata di lavoro dedica-ta alla presendedica-tazione (e alla discussione) dei libri pubblicati e delle ricerche svolte, o in corso di svolgimento, da parte dei suoi Soci.

Rompere il ghiaccio è sempre e comunque impegnativo, ma cer-cherò ad ogni buon conto di offrire alla Vostra riflessione alcune considerazioni che possano servire a porre nella giusta luce i tratti della ricerca con la quale si apre questa mattinata di studio.

Sarà bene anche che mi si dia ragione del fatto che non con que-ste mie poche annotazioni si dà inizio ai lavori di un’intensa e varia carrellata di libri e di studi, bensì con un testo il cui spirito affonda le radici e trova alimento nel DNA del suo Autore, il Prefetto Gian-franco Romagnoli, del quale egli stesso dà ragione nella premessa del libro che ha inteso dedicare all’Argentina e ai suoi miti.

Romagnoli ha l’impronta marchigiana della nascita e dell’eredi-tarietà in linea paterna, ha un’impronta “totale” di italianità sia per aver ricoperto incarichi di altissimo rilievo al servizio della Repub-blica, sia per aver sperimentato a vasto raggio i tratti dell’italianità avendo vissuto in diverse regioni e città del nostro Paese: Ancona, Milano, Roma, in ultimo Palermo, per limitarsi alle principali; ma reca in sé anche l’impronta dell’Argentinità, che gli deriva dalla li-nea materna, ed è un’impronta che gli è rimasta fortemente impres-sa nel cuore.

Se ci spingiamo al di là delle parole che animano le due brevis-sime pagine poste in premessa al libro, si va a capire che il

Roma-gnoli della vita quotidiana, quello degli affetti familiari, quello del-la brildel-lante carriera percorsa, è in tutta sostanza italiano, italianissi-mo; e che è in particolare marchigiano il Romagnoli dell’infanzia e quello dell’amore per la regione di origine e per le amicizie che in essa ha coltivato e coltiva; ma il Romagnoli del sogno (si potrebbe dire del subconscio) è invece argentino (non anche argentino), al-trimenti non ci dichiarerebbe in tutta franchezza di essere frequen-temente assalito, e quasi sorpreso, da forti “crisi di argentinità”, co-me se egli portasse con sé, dentro di sé, un patrimonio promiscuo di identità, delle quali l’Argentina è e rimane in definitiva quella del cuore, dello spirito e del sentimento, quella di onda lunga e di segno profondo.

Ormai frequento da tempo l’amico Romagnoli, e posso dire – credo – di conoscerlo bene: come potrebbe non riconoscere in Montecarotto il suo nido di origine?

Come potrebbe non riconoscere nell’Italia la propria Nazione e la propria terra identitaria il Romagnoli alto funzionario dello Sta-to? Non potrebbe mai!

E Romagnoli è il primo a saper bene che le cose stanno così; tut-tavia questi fatti, queste componenti non suscitano in lui partico-lare turbamento, essendo elementi costitutivi di base della propria esperienza di vita. È invece di fronte all’Argentina che Romagnoli

“va oltre”, che si trasfigura, che il suo viso trascolora, come di fron-te a una sorta di memoria di un antico Paradiso, però non perdu-to. Semmai Romagnoli appare teso al ritorno costante verso quel Paradiso!

Il lavoro che Romagnoli dedica all’Argentina e ai suoi miti è racchiuso in un grazioso libriccino celeste, riccamente ed elegante-mente illustrato; celeste non a caso, direi, essendo quello il colore

“totemico” dell’identità di quella nazione; libriccino che sarebbe in-giusto definire libretto, o libello, tammeno opuscolo, o pamphlet. E allora cosa è mai? A mio avviso, anche se non reca segno marcato di

struttura diaristica, è una sorta di diario sentimentale e, se non dia-rio, è sicuramente un viaggio dell’anima, un percorso nell’anima.

L’Argentina e i suoi miti: è appunto “mito” il termine che con più frequenza, e non a caso, corre e ricorre nel testo, come ad am-monirci che uno, anzi “il” mito di Romagnoli è l’Argentina, e se il mito è racconto velato di verità, l’Argentina è per lui mito vero e sostanziale, come il suo libro ci dimostra.

Esso tratteggia e percorre i miti di Argentina procedendo in li-bertà di sentimenti e di emozioni, senza il ricorso a schemi preco-stituiti o a misure di grandezze, come lo governasse una fantasia vo-lutamente, ma solo apparentemente, “disordinata”, fuori schema.

Cerco di spiegarmi. I miti sono dati, e si riscontrano, in figu-re della storia, alcune delle quali divenute leggendarie: Josè de San Martìn, Carlos Gardel, Astor Piazzolla, Evita Peròn, Martha Arge-rich, Daniel Barenboim, Jorge Luis Borges. E questi sono i ritrat-ti dei personaggi del mito argenritrat-tino di ieri e di oggi, ma ciascuno di loro è effigiato su un suo fondale caratterizzante: San Martìn, nel contesto delle vicende che dettero origine alla nazione argenti-na; Gardel, nel suo breve destino legato al successo del tango e suo

“promotore” a livello internazionale; Piazzolla, con il quale la mu-sica della tradizione si sublima e riesce a imporsi nei templi della musica classica; Evita, còlta nei tratti della sua esperienza a fianco di Peròn, ma anche in quelli della “madonna degli umili”, della donna ricca di un fascino immenso, vista in tutte le contraddizioni in cui può trovarsi una figura amata e odiata oltre ogni misura.

Nessuno dei personaggi che animano il mito argentino, e che in esso si identificano, è delineato da Romagnoli come creatura sta-tuaria, priva cioè del corredo di segnali di rimando: alcuni di essi sono mito nel mito, altri diventano figure del mito grazie alla qua-lità, raffinatamente evocata dall’Autore, del contesto storico e cul-turale nel quale hanno operato.

Ritratti di figure del mito, dicevamo. Ma anche e soprattutto grandi affreschi, nei quali si muove il mito più vero, quello che si

nasconde nel pensiero condiviso e nell’immaginario collettivo, che è poi quello delle tradizioni, degli ambienti, quello del paesaggio, quello delle etnie nascoste, del selvaggio, quello del gaucho e dell’e-roe masnadiero.

È piuttosto qui, che non nei ritratti, che il mito trova modo di emergere in forza del suo valore essenziale, ancestrale, in qualche caso archetipico. Sono esemplari, in proposito, le pagine dedicate all’Argentina india e ai Mapuches; al mondo dei Gauchos, inclu-so uno sguardo alla poesia gauchesca; alla Pampa e ai suoi orizzon-ti sconfinaorizzon-ti; al Mate, bevanda nazionale, e ai suoi cerimoniali; al Tango e alla sua ammaliante forza di seduzione. E in questi piccoli affreschi, in queste piccole scene d’insieme Romagnoli è stato all’al-tezza di porgerci gli esiti delle ricerche che stanno al fondamento del libro in una prosa piana, scorrevole, piacevole, di tono narrati-vo, di spirito lieve, che è il contrario della pedanteria.

Non solo: il libro va anche considerato un piccolo florilegio di testi, una minuta antologia, riferita scrupolosamente nelle fonti e allestita con cura certosina.

Così troviamo la Marcia di San Lorenzo a corredo delle figure di San Martìn e dell’eroico soldato Cabral; alcune pagine dedicate ai Gauchos da Borges, che Romagnoli propone in traduzione sua pro-pria; brani da El gaucho Martin Fierro di José Hernàndez; il testo di Adiòs pampa mia di Ivo Pelay, su musiche di Francisco Canaro e Mariano Mores; le Golondrinas, le mitiche “Rondinelle”, messe in musica da Carlos Gardel nel 1934.

Accennavo poco fa a un eventuale, non improbabile carattere di diario sentimentale che potrebbe riferirsi al testo in discussione e alla sua qualità; ma si osservava che propriamente diario il lavoro di Romagnoli non è e non può definirsi, quanto piuttosto viaggio in un mito dello spirito e in un mito di origine, la sua origine.

E invece, ecco che nelle ultime pagine appare anche l’elemento diaristico, quando, dopo aver riferito della breve e intensa parabo-la umana e politica di Eva Peròn, Romagnoli fa seguire un capitolo

che intitola Ricordi “peronisti”, nel quale egli racconta più a fondo di sé, come a mettere a nudo i tratti e le componenti della propria argentinità. Sono pagine belle (non ci vergogneremo ad usare que-sto termine), semplici, spontanee, ricche di fanciullezza, consenta-nee allo spirito del Romagnoli ragazzo e giovanottello negli anni Cinquanta.

Concludono il libro due ritratti magnificamente dipinti: quello di Jorge Luis Borges e quello di Sua Santità il Papa Francesco. Con loro Romagnoli ci accompagna nel contemporaneo appena trascor-so e in quello che governa il presente e il tempo prossimo venturo.

Del primo Romagnoli nota con acume che molti sostengono di conoscerlo senza mai averlo letto, altri sostengono di averlo letto, ma non tutto, e di non averlo approfondito; moltissimi critici, pur sostenendosene ammiratori, non ne hanno colto la portata univer-sale in quanto artista e pensatore. “C’è stato un tempo, alcuni de-cenni orsono, – osserva Romagnoli – che tutti citavano ed esaltava-no Borges, magari valorizzando alcuni aspetti più alla moda di ta-luni suoi scritti (zen e simili); oggi la sua figura è stata ridimensio-nata e pretermessa a favore di altri nomi. Una maggiore conoscenza di questo grande Autore varrà ad assegnargli definitivamente il po-sto eminente che gli spetta nella po-storia della cultura occidentale”.

Bene ha fatto Romagnoli a muovere queste considerazioni, ma io gli dico di riflettere che se Borges è stato ed è un mito, i miti sono destinati a riproporsi e a ricostruirsi, e che ci sarà pure per lui una stagione nuova.

Papa Francesco: il mito dell’inatteso, fin dalla scelta del nome;

un uomo nuovo, destinato a diventare mito. Sarà sicuramente un mito nuovo, c’è da crederlo, e io personalmente lo spero; sarà la sua semplice e cordiale impronta giovannea, misurata con questi tempi del disordine, del turbamento e di una angosciante nuova povertà, a portarne la figura e il messaggio sul piano del mito.

Questo libro è storia di sé e di chi lo ha scritto. È un testo ric-co di sentimento e di anima, quasi un libro di devozione. Tuttavia

all’Autore non è mancato il verso di saper concentrare, nel giro di neanche cento pagine, elementi che afferiscono alla propria espe-rienza di vita e al vagheggiamento del suo sogno e del suo ricordo;

eppure questo clima poetico è sostenuto da una ricerca condotta con rigore esemplare, ricerca che ci si propone tuttavia come storia narrata in pieno e sereno dominio; ricca di prosa snella e piacevo-le, di documentazione iconografica, di testi antologizzati proposti a commento e a documento di quanto di volta in volta in esso si va esponendo.

Quando un libro di memorie e di miti si apre nel segno delle fi-gure degli avi e dei genitori, come Romagnoli ci propone, possia-mo essere certi che quel libro merita di esser letto, perché in fondo ciascuno di noi vi ritrova se stesso e la sua storia.