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La protesta dei liberi di colore contro le discriminazioni razziali fu uno dei fattori che rese possibile la rivoluzione di Haiti. I principali protagonisti di questa lotta politica, tra cui spiccano le figure di Julien Raimond (1744-1801) e Vincent Ogé (c. 1755-1791), non avevano inizialmente alcuna intenzione di abolire la schiavitù ma miravano all’ottenimento dei diritti politici. Essi intendevano così difendere la loro posizione sociale di liberi e proprietari – spesso anche di piantagioni e schiavi – e riaffermare le gerarchie sociali interne alla colonia sul piano delle distinzioni di classe e di status. In altre parole, per i liberi di colore la razza non poteva più conferire un privilegio sociale e le disuguaglianze dovevano tornare a fondarsi esclusivamente sulla proprietà. La lotta per l’uguaglianza giuridica non fu quindi argomentata come un sovvertimento rivoluzionario dell’intero ordine coloniale ma come una riforma di quell’ordine, minacciato dal potere dell’«aristocrazia della pelle»21. Fu grazie all’attività degli abolizionisti francesi e, soprattutto, in seguito all’insurrezione degli schiavi che anche i liberi di colore si schierarono contro la schiavitù. La loro critica del razzismo può quindi apparire un allontanamento parziale dall’obiettivo di questa

20 Cfr. M. Ricciardi, Rivoluzione, cit., pp. 71-96; M. Vovelle, La mentalità rivoluzionaria. Società e mentalità durante la Rivoluzione francese (1987), Roma-Bari, Laterza, 1999. Sulla trasformazione del

concetto di popolo cfr. anche R. Chartier, Le origini culturali della rivoluzione francese, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 29-32. Sul rapporto tra guerra e politica nella rivoluzione cfr. C. Galli, Sulla guerra

e sul nemico, in S. Forti, M. Revelli (a c. di), Paranoia e politica, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pp.

30-31.

21 F. Gauthier, L’aristocratie de l’épiderme. Le combat de la Société des Citoyens de Couleur 1789- 1791, Paris, CNRS, 2007. Cfr. P. Geggus, Racial Equality, cit., pp. 1297-1299.

ricerca ma è indispensabile per comprendere come cambiò la questione della razza nell’impero francese e perché la rivoluzione di Haiti segna anche sotto questo profilo un momento di svolta.

2.1. La linea del colore a Saint-Domingue

Nel 1789 la popolazione di Saint-Domingue era composta da circa 465'000 schiavi, di cui una parte rilevante erano i cosiddetti bossales, ossia africani di recente ‘importazione’ non ancora abituati alla vita in schiavitù22; 31'000 bianchi, divisi tra petit blancs – la classe non proprietaria composta da marinai, commercianti, artigiani e amministratori di piantagioni – e grand blancs – i grandi proprietari terrieri, gli ufficiali dell’esercito, il governatore, l’intendente ed altri funzionari –; 28'000 liberi di colore (gens de couleur libres), divisi tra affranchis e mulatti nati liberi23.

In teoria le norme che disciplinavano la relazione tra padrone e schiavo erano ancora stabilite dal Code Noir del 1685. Scritto secondo un impianto romanistico, l’editto di Luigi XIV non conferiva alcuna qualità giuridica alla diversità di razza e riconosceva solo la distinzione tra libero e schiavo, definendo lo status di proprietà mobile degli schiavi e stabilendo i diritti e i doveri dei padroni24. Si trattava così di un insieme di norme che miravano ad affermare un maggiore controllo politico della Corona sulle colonie e a disciplinare la condotta di schiavi e padroni. In realtà il codice fu scarsamente applicato dai magistrati e, in seguito, completamente scavalcato dalle normative locali. Anzitutto, come ha scritto Yvan Debbash, l’editto non metteva seriamente in discussione la «sovranità domestica» dei padroni, ai quali era anzi demandata un’ampia giurisdizione sui propri schiavi. Anche il mancato

22 Tra il 1679 e il 1819 furono importati circa 774'000 africani in tutta l’isola (la maggior parte dei

quali sbarcarono dai porti francesi): 398'000 provenivano dall’Africa centrale (Congo, Angola), 237'000 dal Golfo del Benin, 90'000 dalla Costa d’Oro, 64'000 dal Senegambia, 48'000 dal Golfo del Biafra, 38'000 dall’Africa sudorientale e dal basso Madagascar, 26'000 dalla Sierra Leone e 11'000 dalla Costa Sopravento. Come si può facilmente notare, i gruppi dell’Africa centrale erano predominanti. Il picco delle importazioni fu raggiunto proprio nel 1790, quando sbarcarono 48'000 africani. Bisogna considerare però che non tutte queste persone rimasero sull’isola. Avendo porti importanti, Saint-Domingue fungeva anche da tappa di trasbordo verso altre colonie. Le navi negriere che rifornivano Santo Domingo provenivano da Nantes (circa 42%), Le Havre (13%), La Rochelle (14%), Bordeaux (10%), da altri porti delle colonie francesi e, in minima parte, dall’Inghilterra e dall’America. Cfr. L. Dubois, Avengers, cit., pp. 30, 39; D. Eltis (ed. by), Atlas of the Transatlantic

Slave Trade, cit., p. 248.

23 Adottiamo d’ora in avanti la definizione «liberi di colore» come traduzione di gens de couleur libres

per riferirci a tutti i liberi non bianchi. È bene precisare però che erano utilizzati diversi termini come

sang-mêlé o rouge per indicare i mulatti. Il termine quarteron identificava inoltre coloro che avevano

una discendenza solo per un quarto africana.

adempimento dei doveri previsti o le infrazioni ai limiti giurisdizionali – tortura, mutilazione e pena di morte potevano essere eseguite solo da un’autorità pubblica – non erano quasi mai sanzionate25. Inoltre, specialmente dalla seconda metà del Settecento, le autorità coloniali di Saint-Domingue – e in modo simile quelle di Martinica, Guadalupa e Guyana – emanarono una serie di norme che limitarono drasticamente i diritti dei mulatti e dei neri liberi26, ponendosi così in aperta contraddizione con l’articolo 59 del Code Noir, che invece riconosceva agli schiavi affrancati «gli stessi diritti, privilegi e immunità di cui godono le persone nate libere»27. Secondo John D. Garrigus, la svolta definitiva si verificò nel 1769 dopo una rivolta congiunta di proprietari bianchi e liberi di colore contro la riforma della milizia voluta dal governatore Rohan-Montbazon28. L’evento segnò l’ultima coalizione interrazziale dei creoli proprietari contro le politiche di controllo delle colonie volute dalla monarchia per contrastare le spinte autonomiste sorte dopo la guerra dei Sette anni29. Da quel momento in poi, l’amministrazione coloniale identificò nei bianchi il

25 Y. Debbash, Au Coeur du gouvernment des esclaves, la souveraineté domestique aux Antilles françaises (XVIIe-XVIIIe), «Revue française d’histoire d’outre-mer», vol. 72, n. 266, 1985, pp. 31-53. 26 Tra l’ampia normativa coloniale che determinò il razzismo giuridico di St. Domingue ricordiamo qui

la cronologia delle misure più significative: nel 1733 un’ordinanza del governatore Pierre Marquis de Fayet esclude i mulatti da incarichi giudiziari e uffici della milizia coloniale; nel 1758 un Arrêté del Consiglio di Le Cap prevede la perdita della libertà per neri e mulatti che offrono alloggio a uno schiavo fuggitivo; nel 1761 un altro Arrêté stabilisce che gli atti notarili dovevano precisare l’origine di neri e mulatti; nel 1762 il governatore Philippe-François Bart vieta a tutti i liberi di colore di portare liberamente armi; lo stesso anno il nuovo governatore Gabriel de Bory divide la milizia coloniale in tre corpi (bianchi, mulatti, neri liberi) riservando i gradi alti ai bianchi; nel 1764 un’ordinanza reale vieta professioni mediche e farmaceutiche; nel 1765 il governatore Jean-Baptiste d’Estaing vieta ai neri della milizia di superare il grado di soldati semplici; nel 1769 il governatore Rohan-Montbazon impone a tutti gli uomini di colore l’obbligo di contribuire con la maréchaussée alla caccia agli schiavi fuggitivi; nel 1773 due diversi regolamenti rendono illegale per un mulatto possedere il cognome di un bianco; nel 1778 un Arrêté prevede una sospensione temporanea dei matrimoni misti nell’attesa che venga legiferato sulla materia; il 9 febbraio del 1779 è infine emanato il regolamento sull’abbigliamento (F. Gauthier, L’aristocratie, cit., pp. 368-369). Uno dei primi studi sistematici sul tema è Y. Debbash,

L’Affranchi dans les possessions françaises de la Caraïbe (1635-1833), in Id., Couleur et liberté. Le jeu du critère ethnique dans un ordre juridique esclavagiste, Tomo I, Paris, Dalloz, 1967. Sullo stesso

tema nelle altre colonie dei caraibi francesi cfr. H. Bellance, La police des Noirs, en Amérique

(Martinique, Guadeloupe, Guyane, Saint-Domingue) et en France aux XVIIe et XVIIIe siècles, Guyane, Ibis Rouge, 2011.

27 «Octroyons aux affranchis les mêmes droits, privilèges et immunités dont jouissent les personnes

nées libres; voulons que le mérite d’une liberté acquise produise en eux, tant pout leurs personnes que pour leurs biens, les mêmes effets que le bonheur de laliberté naturelle cause à nos autres sujets» (Le code noir, ou Edit du roy, servant de reglement pout le gouvernement et l’administration de la justice et la police des isles françoises de l’Amerique, et pour la discipline et le commerce des negres et esclaves dans ledit pays, Donné à Versailles au mois de mars 1685…, A Paris, au Palais Chez Claude

Girard, 1735, p. 11).

28 J.D. Garrigus, Before Haiti: Race and Citizenship in French Saint-Dominque, New York, Palgrave

Macmillan, 2006, pp. 109-111, 311.

29 Sempre secondo Garrigus, le tensioni politiche interne all’assetto imperiale francese sarebbero

all’origine delle specificità razziali di St. Domingue, assenti invece in Giamaica, dove la comunità dei liberi di colore non subì una simile contrazione della libertà proprio perché non percepita come un

gruppo sociale su cui far leva per mantenere l’ordine, favorendo così le divisioni razziali già presenti. Questo processo fu anche una risposta al crescente potere economico dei liberi di colore che, essendo nati dalle relazioni dei padroni con le schiave (o da donne già libere), accumularono proprietà diventando spesso più ricchi dei petit blancs.

Per scongiurare l’assimilazione e il possibile sopravvento dei neri sulla popolazione bianca – sia sul piano demografico sia nell’accumulo di proprietà –, la discendenza africana fu così trasformata in un marchio indelebile e insuperabile. All’alba della rivoluzione si era quindi affermata una ridefinizione della complessa gerarchia sociale della colonia in tre categorie giuridiche nettamente separate: schiavo, libero di colore, bianco. Ciò significava un abbassamento della condizione dei liberi verso gli schiavi ma, soprattutto, un’equiparazione giuridica di mulatti e affranchis. Nel 1789 i liberi di colore erano ormai esclusi da ogni incarico pubblico di rilievo, non potevano praticare professioni mediche, possedere liberamente armi, conservare il cognome del padre se quest’ultimo era francese e nemmeno indossare gioielli lussuosi e abbigliamenti europei30. La normativa coloniale non aveva quindi solo un carattere escludente ma mirava anche a identificare e stabilizzare le razze rafforzando il prestigio sociale della bianchezza e disciplinando la condotta dei liberi di colore. A questi ultimi era infatti prescritto un codice di comportamento che imponeva, anzitutto, di «rispettare» pubblicamente i bianchi31.

rischio per la conservazione della colonia. Vedi J.D. Garrigus, «Affranchis» and «Coloreds». Why were

racial codes stricter in Eighteenth-Century Saint-Domingue than in Jamaica?, in «Quaderni Storici»,

148, 1, 2015, pp. 69-85.

31 Il regolamento del 1779 è particolarmente indicativo del legame tra la definizione dei confini di

razza e il disciplinamento dei comportamenti. Come recita il titolo della norma, i liberi di colore stavano adottando un abbigliamento troppo «lussuoso» e quindi «incompatibile con la semplicità delle loro condizioni e origini». Ciò era interpretato come una pericolosa imitazione e assimilazione ai bianchi che tradiva la volontà dei mulatti di scavalcare la gerarchia razziale: «c’est sur-tout l’assimilation des gens de couleur avec les personnes blances, dans la manière de se vêtir, le rapprochement des distances d’une espèce à l’autre dans la forme des habillemens, la parure éclatante et dispendieuse, l’arrogance qui en est quelquefois la suite». Per questo motivo, oltre a vietare oggetti di lusso, acconciature e vestiti europei, l’art. I imponeva a «gens de couleur, ingénus ou affranchis de l’un ou de l’autre sexe, de porter plus grand respect non-seulement à leurs anciens Maître, […] mais encore à tous les Blancs en général, à peine d’être poursuivis extraordinairement […], même par la perte de la liberté, si le manquement le mérite» (Réglement provisoire des Administrateurs, concernant

le Luxe des Gens de couleur, in L.-E. Moreau de Saint-Mery, Loix et constitutions des colonies françoise de l’Amérique sous le vent, vol. V, Paris, 1785, pp. 855-‘56). Sempre in questa direzione, nel

1780 la magistratura di Le Cap punì due donne mulatte alla pubblica gogna per atti di «insolenza» contro donne bianche (Arrêt du Conseil du Cap touchant des Mulâtresses insolentes , et l'évasion de

l'une d'elles des Prisons, 9 juin 1780, in L.-E. Moreau de Saint-Mery, Loix et constitutions, cit., vol.

VI, pp. 30-32). Per un’analisi specifica delle tensioni tra liberi di colore e bianchi negli anni precedenti la rivoluzione cfr. D. Rogers, Sguardi divergenti sull’assimilazione dei liberi di colore negli archivi del

A questo processo di produzione e stabilizzazione della gerarchia razziale nelle colonie corrispose anche una limitazione della libertà di movimento dei neri verso la metropoli. Come ha mostrato Sue Peabody, in Francia la legislazione regia sulla schiavitù tendeva a seguire il principio giuridico di origine medievale del «suolo libero», secondo cui «nul n’est esclave en France», analogo alla tradizione inglese del free soil, già discussa in merito al caso Somerset32. Nel corso del Settecento, con l’aumento della popolazione schiava nelle colonie, la monarchia tentò di regolamentare e limitare l’ingresso di schiavi in Francia – solitamente portati dai padroni come domestici o per svolgere servizi a bordo delle navi – per affermare una distinzione qualitativa tra i territori coloniali e metropolitani. Questa logica di contenimento del mondo coloniale raggiunse una svolta con la Déclaration du Roi pour la Police de Noirs, emanata il 9 agosto 1777, che vietava l’ingresso in Francia a tutti i «Noir, Mulâtre, ou autres Gens de couleur» e stabiliva norme più restrittive

sull’importazione degli schiavi domestici33. In realtà, il provvedimento fu del tutto

inefficace perché non fu applicato dal Parlamento di Parigi e dai magistrati che avevano già iniziato a boicottare l’attività legislativa della Corona. E tuttavia, la Police de Noirs registra l’affermazione della nuova logica razziale: non doveva essere controllata solo la mobilità degli schiavi ma di tutte le persone di colore. Questo non tanto per evitare la presenza di neri sul territorio francese ma perché un’eccessiva libertà di movimento era percepita come un pericolo per l’ordine coloniale, dato che «lorsqu’ils retournent dans les Colonies, ils y portent l’esprit d’indépendance et

d’indocilité et deviennent plus nuisibles qu’utile»34.

siniscalcato del Petit-Goâve, parte francese di Santo Domingo (1778-1786), in «Quaderni storici»,

148, n. 1, aprile 2015, pp. 87-114.

32 S. Peabody, There Are No Slaves in France: The Political Culture of Race and Slavery in the Ancien Régime, New York, Oxford University Press, 1996. Sulle origini medievali di questo principio

giuridico in Francia cfr. Id., An Alternative Genealogy of the Origins of French Free Soil: Medieval

Toulouse, in K. Grinberg, S. Peabody (eds), Free Soil in the Atlantic World, London, New York,

Routledge, 2015, pp. 11-32.

33 Déclaration du Roi pour la Police des Noirs. Donnée à Versailles le neuf Août 1777. Registrée en Parlement le vingt-sept Août 1777, Paris, P.G. Simon, Imprimeur du Parlement, 1777.

34 Ivi, p. 3. Non potendo impedire ai padroni di servirsi dei loro domestici, l’art. IV della Déclaration

concedeva l’imbarco, previa richiesta d’autorizzazione alla corte dell’Ammiragliato, di un solo nero o mulatto di ambo i sessi per svolgere servizi di bordo durante la traversata atlantica. Giunto sul suolo francese, il nero non poteva uscire dal porto e doveva essere reimbarcato sulla prima nave che rientrava nella colonia di provenienza. Gli articoli successivi specificavano le sanzioni per i capitani che imbarcavano senza permessi registrati. Questa normativa comportò l’introduzione nel 1778 dei certificati d’identificazione, detti Cartouche des Noirs, previsti solo per la città di Parigi dove risiedevano la maggior parte dei pochi neri presenti in Francia. Cfr. S. Peabody, There Are No Slaves in

France, cit., pp. 128-133. I passaporti furono nuovamente regolamentati da un Arrêt del 23 marzo 1783, secondo il quale chi ne era sprovvisto sarebbe stato arrestato e rinviato nelle colonie (cfr. l’Arrêt du Conseil d’état du Roi, pour le renouvellement des Cartouches des Noirs & autres gens de couleur

Per comprendere la natura politica della costruzione della linea del colore vale la pena richiamare le osservazioni di Jean-Félix Carteau, un piantatore di Saint- Domingue costretto a emigrare a causa della rivoluzione. Egli non si preoccupava di sostenere una differenza biologica tra le razze. Al contrario, riteneva che il razzismo fosse un «pregiudizio utile» alla conservazione dell’ordine coloniale. Il potere del bianco era così un potere «fittizio», fondato cioè su un’«illusione», in mancanza del quale sarebbe stato necessario ricorrere costantemente alla forza per sottomettere i neri. Per Carteau, l’idea della superiorità del bianco svolgeva così nelle colonie la stessa funzione svolta in tutte le comunità umane dalla credenza nell’immortalità dell’anima: era indispensabile che ognuno credesse nell’aldilà per evitare il crollo dell’intero ordine sociale e politico 35 . Nonostante queste considerazioni, l’affermazione del razzismo giuridico deve essere inserita anche nella formazione e diffusione del dibattito scientifico sulle razze, che a Saint-Domingue aveva tra i suoi

più illustri sostenitori Médéric-Louis-Elie Moreau de St. Méry (1750-1819), avvocato

e politico originario della Martinica, deputato all’Assemblea nazionale e tra i principali esponenti del Club de l’Hôtel de Massiac, il gruppo di pressione fondato a Parigi il 20 agosto 1789 per difendere gli interessi dei coloni bianchi. Moreau de St. Méry vedeva nei mulatti la principale minaccia all’ordine coloniale, l’esempio di una pericolosa contaminazione che avrebbe potuto portare alla scomparsa degli europei e all’insurrezione degli schiavi. In particolare, le donne mulatte erano ritenute l’elemento più pericoloso, considerate predisposte a comportamenti lascivi e narcisisti e quindi responsabili della corruzione morale e del decadimento dei costumi di tutta la colonia36. Inoltre, gli schiavi africani non avrebbero più obbedito ai padroni di fronte qui sont à Paris, Paris, De l’imprimerie royale, 1783, p. 2). Sulla nascita della polizia in Francia come elemento di controllo dei processi di urbanizzazione tra Sei e Settecento cfr. P. Piasenza, Polizia e

città. Strategie d’ordine, conflitti e rivolte a Parigi tra Sei e Settecento, Bologna, il Mulino, 1990. 35 «Le régime Colonial, ou la force qui contenait les esclaves dans l’ordre et dans la soumission,

dépendant ainsi bien plus de cet utile préjugé, que des moyens coërcitifs […] L’inaltérable suprématie de l’espèces blanche était donc une force fictive […] Otez de la société le dogme de l’immortalité de l’âme et celui des peines et des récompenses à venir, et vous verrez tous les désordres et tous les crimes s’y introduire avec une précipitation extrême. Vrais ou faux, il faut y croire : il y a des illusions nécessaires, indispensables pour le bonheur général» (J.-F. Carteau, Soirées bermudiennes, ou

entretiens sur les événements qui ont opéré la ruine de la partie française de l’Isle Saint-Domingue,

Bordeaux, Pellier-Lawalle, 1802, pp. 59-60).

36 Come ha sostenuto John D. Garrigus, le accuse d’immoralità ai mulatti erano speculari

all’assunzione dell’idea illuministica del cittadino virtuoso, che per Moreau de St. Méry doveva essere necessariamente un bianco. Gli aspetti biologici del razzismo di Moreau provenivano invece dalla teoria del vitalismo di Paul-Joseph Barther (1734-1806), esponente della scuola di medicina di Montpellier. Secondo questa scuola ogni individuo esibisce un bilanciamento specifico tra forze fisiche e morali che determina il suo temperamento. Moreau utilizzò questo elemento del vitalismo per descrivere il meticciato come lo squilibrio dei bilanciamenti delle razze pure. Il mulatto era quindi un

a un’inarrestabile ascesa sociale dei loro ‘simili’: «Comment persuaderont-on à l’esclave que son maître lui est supérieur – si chiedeva Moreau de St. Méry – s’il voit son compagnon sortir d’auprès de lui, pour être à l’infant-même, l’égal de son maître?»37. Moreau de St. Méry propose quindi una sua personale catalogazione delle diverse gradazioni di colore suddividendo l’essere umano in 128 parti e calcolando tutte le possibili combinazioni di sangue europeo o africano, disposte secondo un ordine gerarchico38. Considerato imperfetto dal suo stesso autore, questo calcolo deve essere letto come parte di un progetto di governo del meticciato orientato dalla cosiddetta teoria del néo-blanc. Consapevole che non era possibile eliminare completamente il fenomeno del meticciato, Moreau de St. Méry ne proponeva un’inversione tramite il graduale e selettivo sbiancamento di alcuni mulatti – appunto i néo-blancs –, che avrebbero così ereditato il temperamento morale dei bianchi inserendosi con maggiore facilità nella classe dominante39.

2.2. La lotta dei liberi di colore: critica del razzismo e inclusione nella cittadinanza La lotta dei liberi di colore si concentra tra i mesi precedenti la convocazione degli

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