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Aristotele e la teoria ‘linguistico-testuale’ dell’arte

LA POESIA COME IDEA E COME DISCORSO *

2. Aristotele e la teoria ‘linguistico-testuale’ dell’arte

Platone, dunque, elabora una concezione trascendentale del Bello (associato al mondo delle idee) dalla quale la poesia rimane quasi completamente esclusa: sia perché il poeta ‘tecnico’ non sa cogliere le idee, sia perché il poeta ‘ispirato’, pur cogliendole durante la sua visione, non riesce poi a ricordarle e dunque a trasmetterle. Tale concezione, come si è visto, trova la sua ragion d’essere all’interno di una concezione della realtà ideale separata e distante dal mondo sensibile.

Per Aristotele, invece, il quadro è ben diverso: le idee o forme non sono separate, bensì unite alla materia in quel connubio noto come sostanza o essenza (ousía).27 La produzione artistico-artigianale (poíe-

sis) unisce in sé forma e materia allo stesso modo in cui la generazione

naturale (genésis) le unisce nel processo riproduttivo. Nella riflessione

aristotelica, l’idea mentale dell’artista si traduce testualmente nella forma dell’opera (come nel su ricordato esempio dell’idea di sfera che, nel passare dalla mente dell’artista alla materia del bronzo, produce una sfera di bronzo):

Ad opera dell’arte (apó téchnes) sono prodotte tutte quelle cose la cui

forma (eĩdos) è presente nel pensiero (psyché) dell’artefice (Metafisica,

VII,7, 1032b).28

Si può ben comprendere, dunque, come e perché la riflessione ari- stotelica sull’arte non escluda le idee, che diventano forma dell’opera, né svilisca la materia artistica che viene nobilitata, per così dire, dalle

27 Come per Platone, anche per Aristotele un’interpretazione della sua teoria estetica

non può prescindere da una considerazione del pensiero nella sua globalità. Alla separa- zione platonica tra mondo delle idee e mondo sensibile Aristotele contrappone la teoria di un’unione − o sinolo − dell’idea o della forma (eĩdos o morphé) con la materia (hýle). Così, all’immutabilità delle forme ideali platoniche vengono opposte forme vitali naturalmente unite alla materia; all’idea platonica come principio ultimo viene opposta l’essenza (ousía) che è appunto il prodotto di tale unione dialettica. In breve, le idee o forme determinano la materia facendone una realtà concreta o ‘essenza’ e indirizzandola verso un fine (télos). In breve, il carattere dialettico dell’ontologia aristotelica, fondata sul principio del divenire o del movimento (kinéo), ha implicazioni decisive sulla sua teoria dell’arte. Va peraltro pre- cisato (come nota anche Panofsky) che, rispetto a Platone, in Aristotele viene accentuato il senso psicologico-interiore dell’idea (definita, appunto, éndon eĩdos, idea interiore) su quello metafisico (Idea, p. 15).

28 Aristotele, Metafisica, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2000, pp. 312-

13. Ciò significa, come peraltro osserva Panofsky, che le opere d’arte “si distinguono dai prodotti di natura sol perché la forma loro, prima di penetrare la materia, pre-esiste nell’animo dell’uomo” (Idea, p. 14).

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idee ivi impresse dall’artista. Ciò vale non solo per le arti figurative e le tecniche artigianali, ma anche per la poesia che è essenzialmente linguaggio (léxis).

È in tal senso che (obbedendo a uno schematismo classificatorio che semplifica la complessità dei fenomeni ma al tempo stesso ce li rende più comprensibili) possiamo definire le riflessioni aristoteliche come una teoria ‘linguistico-testuale’ dell’arte. La teoria artistica di Aristotele non esclude dal suo ambito una teoria della bellezza; non- dimeno, lungi dall’occuparsene su un piano ideale o trascendentale, se ne occupa nella misura in cui essa si realizza concretamente nell’o- pera d’arte finita: nella misura in cui, appunto, si trasmette dall’idea

dell’artista alla forma dell’opera. Le riflessioni aristoteliche sull’arte e

sulla poesia, è noto, sono sia descrittive (descrivono il mondo in cui l’opera funziona, ovvero si occupano della sua struttura) sia valutative e prescrittive (indicano gli aspetti più riusciti di un’opera, prescrivo- no gli ideali estetici da raggiungere). Da tale punto di vista, l’aspetto valutativo-prescrittivo della teoria artistica di Aristotele può conside- rarsi parte del suo contributo a una riflessione sul bello.

Ciò, in generale, per quanto riguarda la teoria aristotelica dell’arte. Per quanto riguarda più specificamente la teoria poetica di Aristotele, la rivalutazione della materia si traduce, nell’analisi poetologica vera e propria, in una particolare attenzione nei confronti dell’aspetto lingui- stico della poesia. Sia nella Poetica che nella Retorica, obiettivo centrale

è lo studio della léxis poetica. E, com’è noto, quello stesso concetto

di mimesi che era stato deprezzato da Platone, diviene centrale nella definizione aristotelica della poesia.29

Attraverso l’analisi del metro e delle figure retoriche,30 Aristotele

elabora una concezione della poesia come linguaggio peculiare, dota- to di sue proprie strategie discorsive e marcato da una serie di tratti distintivi che lo separano dalla lingua ordinaria. Il linguaggio della tragedia, e della poesia in generale, è un linguaggio “arricchito” (o “condito”, edusménos logos) dalla presenza del metro poetico;31 tale

supplementarità semiosica lo rende anche straniato rispetto al linguag-

gio ordinario o prosastico.32

In generale, e pur senza entrare nel dettaglio dell’analisi della Po- etica che naturalmente richiederebbe uno studio a sé, si può dire che

29 Poetica, I.10.1447b.

30 Si confronti, ad esempio, l’analisi della metafora nella Poetica, XXI.7ss. 31 Poetica, VI.3.

TEORIE POETICHE: LA POESIA COME IDEA E COME DISCORSO 

l’attenzione che Aristotele rivolge al linguaggio, e in particolare alla sua manifestazione testuale, è alla base sia della moderna linguistica (soprattutto, della linguistica testuale) che delle teorie del testo arti- stico. Il concetto della poesia come linguaggio arricchito o ornato33 è

molto vicino alla moderna teoria semiologica dell’ipercodifica stilistica del testo artistico-poetico.34 A sua volta, il concetto di straniamento

della léxis poetica35 precorre le note tesi di Victor Šklovskij sulla defa-

miliarizzazione del linguaggio della poesia.36

Di fatto, le successive teorie estetiche si sarebbero fondamen- talmente scisse in due correnti principali. Quella linea dell’indagine estetica interessata all’idea di bellezza e al furor poeticus si sarebbe

rivolta, soprattutto, al Fedro e allo Ione; al contrario, i teorici inte-

ressati alla léxis − ovvero, alla manifestazione testuale della lingua

poetica − si sarebbero rifatti ad Aristotele e ai successivi sviluppi della scienza retorica. Pur entro le inevitabili commistioni e ibrida- zioni tra platonismo e aristotelismo rilevabili in buona parte della trattatistica estetica post-classica, tale dicotomia avrebbe sostanzial- mente informato anche la riflessione rinascimentale sulla bellezza e sull’arte.

33 Oltre all’aggettivo edusménos (‘piacevole’, ‘arricchito’, VI.3.), Aristotele usa anche

kósmos (‘ornamentale’, XXI.4).

34 Sul concetto di ipercodifica del testo estetico, cfr. Umberto Eco, Trattato di semio-

tica generale, Bompiani, Milano, 1975, pp. 328ss. Lo stesso Eco, nell’analisi del lavoro retorico, definisce la elocutio come una forma di ipercodifica (pp. 346-47), lasciando così intravvedere una continuità di riflessione estetica tra le teorie classiche dell’ornamento e la moderna analisi semiologica dell’idioletto estetico. Una continuità del genere mi pare si possa chiaramente leggere, ad esempio, nella teoria dello ornament elaborata da George Puttenham (cfr. infra).

35 Il termine usato da Aristotele, xenikós, straniero o estraneo (Poetica, XXII.3), è

omologo a quello šklovskiano (ostranenja). Hamilton Fyfe, nella sua “Introduction” all’edizione “Loeb” della Poetics, osserva: “What makes it [a poem] different from a piece of prose? Not only the metre. There is a difference in vocabulary as well. ‘Strange words’, the poet uses. Not strange words only, that would be jargon. A judicious mixture of strange and ordinary words. Then he will be both intelligible and ‘poetic’” (Aristotle, The Poetics; Longinus, On the Sublime; Demetrius, On Style, ed. by W. Hamilton Fyfe and W. Rhys Roberts, Harvard University Press-Heinemann, Cambridge [Mass.] and London [1927], 1982, p. XVIII).

36 Victor B. Šklovskij, Voskresenie slova, Sankt-Petersburg, 1914 (tr. it. parziale “Resurre-

zione della parola”, in Carlo Prevignano (a cura di), La semiotica nei Paesi slavi. Programmi, problemi, analisi, Feltrinelli, Milano, 1979, pp. 101-08) e “Iskusstvo kak priëm”, Poetika, 1917, pp. 101-14 (tr. it. in C. G. de Michelis e R. Oliva (a cura di), Teoria della prosa, Einaudi, Torino, 1976). Come si vedrà, anche Puttenham avrebbe messo in luce lo stra- niamento prodotto dalla parola poetica e il suo effetto di deautomatizzazione della lingua.

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