• Non ci sono risultati.

Arricchimento del lessico e formazione delle parole gergali

Il lessico gergale è piuttosto ristretto, fa eccezione quello proposto da Mirabella sul lessico della camorra, poiché l’autore sceglie di mettere insieme forme gergali adoperate in momenti e da gruppi diversi.

La formazione gergale è legata all’oralità e, come avviene per altre forme di comunicazione popolare, il parlante sente la necessità di comunicare in modo immediato, senza la riflessione e i ripensamenti che la forma scritta concede. “Invenzione e comunicazione - come osserva Ferrero - si bruciano nello stesso attimo, non hanno ambizioni di interpretazione, di commento, di prospettiva storica”. L’aspetto dell’oralità rende difficile la registrazione e la documentazione dei termini gergali, molti infatti scompaiono col tempo. Produttivo e in piena proliferazione risulta invece il gergo delle organizzazioni criminali, sia perché la criminalità organizzata è in continua espansione sia perché le intercettazioni telefoniche e gli altri mezzi di rilevamento hanno permesso di poter documentare la loro lingua “segreta”.

Unico fine nella formazione gergale è la praticità, vengono esclusi la chiarezza, la creatività poetica e l’originalità che sono invece proprie del lessico comune. «L’invenzione gergale - per rifarci alle parole di Ferrero - è tutta plastica, strettamente figurativa, visiva: un mondo di “cose”, di colori sgargianti,di sensi spalancati e avidi … un mondo espressionista».

Poco spazio è dato all’invenzione verbale, il gergante sfrutta gli strumenti a sua disposizione, dalla suffissazione alla metafora, ma anche scambi di vocali e consonanti, similitudini, onomatopee e metonimie. Si tratta della cosiddetta

40

“formazione parassitaria”, com’è definita da Marcel Cohen, la tendenza del gergo a dipendere dalla lingua o dialetto dal punto di vista strettamente linguistico. Il gergante tenderà ad utilizzare le regole morfo-sintattiche del proprio gruppo sociale e linguistico d’appartenenza.

Tra gli ultimi decenni dell’ottocento e i primi del novecento si è avuta una forte fase inventiva da parte di ogni regione italiana che ha creato dei termini suoi propri su base dialettale. Questo momento di crescita ha avuto un freno dal secondo dopo guerra in poi con la diffusione di una lingua media e interregionale. I gerghi italiani con base dialettale restano comunque una lingua seconda, imparata seguendo i moduli dell’apprendimento orale, non può dunque essere considerata una lingua materna. L’oralità rappresenta un conduttore fondamentale per la diffusione di termini gergali che tramite gli spostamenti di girovaghi, mercanti, circensi per le piazze e le fiere delle città ne hanno permesso la conoscenza e la diffusione. Trattandosi di una trasmissione non scritta è frequente che si verifichi l’estinzione del gergo insieme al gruppo di appartenenza che lo ha prodotto, a meno che non sia stato documentato o fatto proprio da altri gruppi. Altro modo per arricchire il lessico gergale è quello dei prestiti da lingue straniere che, secondo la Ageno, non induce a scambi culturali o all’introduzione di concetti nuovi ma è solo la sostituzione di una successione di sillabe con un’altra. Voci gergali come chiaro, lanzì, rufardo, urto sono attestate già dal quattrocento in Francia, Spagna, Germania e Italia per via dei rapporti tra Val Padana, Provenza e Francia alla fine del Medioevo quando tra il 1356 e il 1455 la caduta di strutture sociali fino a quel momento solide portò alla diffusione del brigantaggio, di mendicanti e girovaghi tra i quali si diffuse il furbesco30.

Non vanno trascurati, per concludere, i cultismi, alcuni provenienti dal latino ecclesiastico e altri cultismi veri e propri, come sapienza “sale”, febo “sole”, bramoso “amante”.

Tornando all’aspetto meramente tecnico della formazione di voci gergali risulta utile la proposta dell’Ageno rispetto alle strategie che vengono messe in atto dai gerganti.

41

Palermo vinu diventa nuvi e soru “sorella” si trasforma in rusa.

• Aggiunta di prefisso o suffisso alla parola: nel gergo fiorentino quattrocentesco abbiamo avaletto da “avale”; i calderai di Locana usano

amisarro “amico”, cuntentarro “contento”, cafògni “caffè”, cartògni “carta”.

• Troncamenti in fine di parola: tassi “dadi” da tassilli, il gergo dei contrabbandieri di Varzo presenta burlo “doganiere” da burlanda “dogana”; nel gergo dei girovaghi grana “scopa” da granata.

• Metafore: non sono tantissime e quelle che vengono adottate prevedono dalle associazioni elementari. Abbiamo due tendenze: la prima è il paragone ingiurioso, per esempio nel furbesco ale “braccia”; barde de mocoleto “occhiali”; basto “giubbone”; della seconda fanno parte le metafore, usate sempre in senso inverso, già esistenti nella lingua.

• Sineddoche e metonimia: nel gergo camorrista si usa acciaro per pugnale (la materia per l’oggetto) e spavento per leone (l’effetto per la causa).

• Sinonimia: i sinonimi gergali sono scambiabili tra di loro, non esistono differenze di significato, di tono o stile come avviene nella lingua comune. L’interscambiabilità è dovuta alla ristrettezza dell’ambiente in cui il gergo vive. Le serie sinonimiche riguarderanno oggetti concreti e sfere concettuali definite: il cibo, il sesso,ecc.

Rispetto alle costruzioni gergali si è espresso anche il Biondelli in Studii sulle lingue

furbesche proponendo una classificazione dei gerghi suddivisa in tre forme: “gergo

di prima forma”, quello in cui avviene la trasposizione di sillabe o lettere o l’intromissione di un’altra sillaba; “gergo di seconda forma”, composto essenzialmente da metafore e il “gergo di terza forma”, quello di cui fanno parte termini o espressioni, nate senza seguire nessuna norma, ma che hanno come scopo quello della segretezza rispetto al proprio linguaggio, creano un frasario speciale che permette di mettere in comunicazione solo chi fa parte del gruppo.

42