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Il gergo nasce come linguaggio segreto, aggregante e al tempo stesso esclusivo di una determinata classe di individui che vuole estraniarsi e contrapporsi alla società. Uno scopo di questo tipo è perseguito in modo ancora più tenace dai criminali e dai malviventi, da coloro i quali vogliono creare un’anti società, servendosi di una antilingua come il gergo, per difendersene e frattanto per attaccarla.

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gergo rendono difficile la compilazione di un dizionario dei gerghi della malavita che risulti completo ed esaustivo.

Uno studio interessante sul gergo dei criminali è stato condotto da Niceforo il quale ha analizzato l’aspetto atavico e selvaggio che emerge dall’uso di simboli e geroglifici. Proprio come l’uomo primitivo, il criminale, non usa la scrittura alfabetica, ma segni ideografici e come il pazzo, ha una psiche primitiva, non del tutto evoluta. Le pareti delle carceri sono i loro fogli preferiti di cui si servono per comunicare, per progettare nuovi schemi di “gioco” e complotti. La sua è una lotta contro l’intera società, vuole minarla e distruggerla, per questo ha bisogno di un gergo complesso rispetto agli altri.

Le organizzazioni malavitose nascono, come è noto, sottoforma di associazioni i cui membri si fanno garanti di un sistema politico e socio economico alternativo e, a loro dire, più efficiente di quello legale offerto dallo Stato. Creano un microcosmo fatto di frasi, codici, gesti e riti segreti, comprensibili solo dagli associati che se ne servono, oltre che come elementi aggreganti, anche come strumento di difesa rispetto alla società dei “normali”. Come afferma Ferrero, il loro linguaggio «vuole rivaleggiare con la società degli onesti offrendole un’alternativa linguistica totale...l’ambizione a porsi come un’anti società che imita, in tutto, modi e forme della società che li ha esclusi o da cui si sono esclusi».

Lombroso sosteneva che a un sistema delinquenziale altamente organizzato non poteva che corrispondere un sistema linguistico complesso, la cui acquisizione è requisito preliminare se si vuole entrare a far parte della cerchia. Pensiamo alle difficoltà riscontrate nell’interpretazione di pizzini38

o intercettazioni telefoniche, in cui una terminologia di uso comune può assumere significati diversi rispetto a quelli ufficiali. Ne è un esempio il termine battesimo, preso in prestito dal mondo religioso e utilizzato dalle associazioni mafiose e camorristiche come rito di iniziazione per i nuovi associati. Un giuramento che avviene attraverso un patto di sangue col quale si

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Pizzino , in siciliano pizzinu piccolo pezzo di carta o bigliettino, usato dagli esponenti mafiosi per mandare messaggi in codice o per impartire direttive. Pizzino è registrato nelle Nuove parole italiane

dell’uso (GRADIT 2007), mentre mancava all’edizione del 1999 del GRADIT e viene definito nel

gergo giornalistico “messaggio contenente comunicazioni segrete che i detenuti mafiosi passano di nascosto ai complici o viceversa”. I pizzini più noti, in parte cifrati, sono quelli scritti dal capo mafia B. Provenzano, arrestato nel 2006.

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promette fedeltà alla cosca poco ha in comune con il significato che il mondo cattolico attribuisce a questo sacramento.

Le tre maggiori organizzazioni malavitose presenti in Italia e ormai diffusesi a livello internazionale sono la camorra, la ‘ndrangheta e la mafia.

Il gergo della mala varia da regione a regione e assume connotati influenzati dalle caratteristiche sociali, culturali e storiche dei gerganti e del luogo d’origine. Un gruppo malavitoso del nord, seppur utilizzi un gergo delinquenziale, si differenzierà da quello meridionale perché si servono di modalità espressive e comunicative diverse. Nel microsistema della camorra i rapporti gerarchici prevedono un formalismo esasperato e, come afferma Ferrero, «tutti i difetti e le carenze della società umbertina si ritrovano stravolti in una sorta di grottesco rovesciato di segno». Le stesse strutture sociali da cui si erano allontanati vengono riproposte nell’antisocietà delinquenziale. In Italia, il termine camorra è attestato a partire dal 1861, sul suo etimo ci sono ancora pareri discordanti39. Tra le ipotesi più recenti vi è quella che lo riconduce alla famiglia di camerarius, deonomastico da Gomorra attraverso una variante gamorra da morra esito di meridies. Per uno studio sul gergo camorristico di notevole interesse sono il lavoro di Montuori che nel 2008, servendosi di fonti ottocentesche, ha raccolto termini gergali della camorra e il tanto discusso romanzo di Roberto Saviano, Gomorra, pubblicato nel 2006, utile fonte dal punto di vista linguistico, documenta il fondo dialettale e le parole adoperate dalla camorra. Tra i termini gergali più in uso ricordiamo: masto, il capo; congiunti di man

dritta o manca, i graduati; contarulo, il contabile; carusiello, il cassiere; picciotti d’onore, picciotti di sgarro, gli affiliati; zio, il capo; nipoti, i camorristi; cugini, gli

aspiranti; camicia, la relazione tra l’affiliato e la setta; biancheria, il frutto dell’estorsione; impedito di rata, privato della propria parte; tirata, il duello di ammissione; nomina, il decreto di morte.

Per quanto riguarda il termine che designa l’associazione malavitosa calabrese, la

‘ndranghita, più conosciuta nella forma italiana ‘ndrangheta, ci sono parecchie

incertezze riguardo all’origine. Secondo alcuni è di provenienza greca, da

39 Nocentini riporta le due proposte etimologiche più accreditate. La prima, di Prati, è a favore di una derivazione dal napoletano mmorra “torma, banda” col prefisso rafforzativo ca(ta)-, passato a designare l’organizzazione malavitosa dedita all’estorsione, e la soluzione del prestito dalla spagnolo camorra rissa, lite, sostenuta da Corominas. Per ulteriori approfondimenti ved. l’articolo di Nocentini

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dialettale ndrànghitu “stupido, balordo”. Tante sono le pubblicazioni sulla lingua dell’associazione malavitosa calabrese, tra queste ricordiamo i volumi di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso sui codici segreti della ‘ndrangheta, della quale analizzano l’organizzazione interna, la lingua, i comportamenti, i rituali e la religiosità. Dal punto di vista linguistico è interessante Dire e non dire. I dieci comandamenti della

‘ndrangheta nelle parole degli affiliati, edito da Mondadori nel 2012, qui vengono

riportati i cosiddetti “aforismi”, parole ed espressioni dotate di significati referenziali, ma anche di valori ideologici di riferimento, a cui si rifanno gli affiliati per conoscere e attenersi alle regole di comportamento. Tra i termini gergali della

ndràgheta vi è ‘ndrina, la cosca familiare comandata da un capobastone, più ‘ndrine

formano un locale o società la cui cassa comune è detta baciletta; il compare, membro dell’organizzazione; i contrasti o carduni, ovvero gli esclusi; il contrasto

onorato, l’iniziato della ‘ndrangheta, che diventato picciotto d’onore deve compiere

il battesimo, rito di passaggio previsto anche dalle altre onorate società, che prevede un giuramento, vincolo dell’omertà e della solidarietà.

Abbiamo visto come una forte componente borghese appartenga al mondo camorristico, lo stesso non può dirsi per quello mafioso, meno cerimonioso e più concreto. La gestualità e l’uso parsimonioso delle parole sono un esempio di tratti distintivi del boss. La parola nella realtà mafiosa deve avere una funzione ben precisa all’interno dei rapporti, non deve mai sfociare in perdita di tempo o diventare segno di debolezza.

Il linguaggio della vecchia mafia, baccàgghiu, ha lasciato il posto negli anni ‘70 al

mafiese, questo passaggio è avvenuto in concomitanza con la trasformazione della

mafia in una grande multinazionale. Di questo aspetto si parlerà in modo più approfondito nel paragrafo successivo.

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