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Arte in cornice: opera d'arte, storia dell'arte e museo

In esordio di questa ricerca ci siamo apertamente dichiarati in debito verso il principio di Preposterous History di Mieke Bal. Tuttavia, bisogna precisare che Bal si è occupata della co-presenza di determinate preoccupazioni nella temporalità condivisa90 dell'arte da un punto di vista sostanzialmente formale e semiotico, in una 88 Ibidem.

89 Ivi, p. 79.

dimensione specifica di visione barocca e neobarocca. Noi invece ci proponiamo di indagare opere che non sono espressioni di continuità di un preciso linguaggio artistico, ma rielaborano opere provenienti da un arco cronologico più ampio: dal Rinascimento, passando per il Barocco, fino al Settecento. Questo dunque pone un problema diverso, a cui abbiamo già parzialmente accennato nelle pagine precedenti: l'oggetto di re-visione qui non è solo una questione di un linguaggio, uno stile, una migrazione di motivi iconografici, ma di intere opere d'arte come sistemi e funzioni di quanto usiamo chiamare tradizione visiva e, a un livello ancora più astratto, di immaginario culturale. Questo comporta ammettere che l'oggetto della traduzione interartistica opera a un doppio livello del testo artistico come sistema delle sue tensioni strutturali interne e come sistema di relazioni culturali che di tale testo artistico hanno fatto ciò che esso oggi è per la nostra cultura, cioè un'opera d'arte. Abbiamo già lavorato nella prima sezione su questo aspetto dell'opera d'arte in termini di mediatore della memoria culturale. Ora invece dobbiamo indagare su un'altra questione complessa, su come cioè un'opera d'arte diventa espressione di una tradizione, secondo quali meccanismi essa entra a far parte dell'immaginario.

Divideremo la nostra indagine in due parti. Nella prima cercheremo di fare il punto della situazione di quell'ambito di ricerche che ha avuto come oggetto di studio le dinamiche dello sviluppo e dell'affermazione dell'infrastruttura culturale che oggi ci mette in condizione di considerare il lascito artistico dei secoli passati secondo una griglia concettuale unitaria: la relazione tra il museo e la storia dell'arte.

Nella seconda parte, invece, cercheremo di ripercorrere alcuni tentativi di sistematizzazione delle pratiche artistiche citazionistiche contemporanee così come configurate nel recente dibattito critico. Anticipiamo anche qui, per dare sin dall'inizio una direzione alla nostra analisi, che si tratta di un cambiamento di paradigma delle pratiche di ripresa e rielaborazione interartistica storicamente configurate come pratiche di citazione, copia o d'aprés incentrate su una logica che si potrebbe definire meta-pittorica, verso una invece di matrice meta-artistica91. Si tratta sostanzialmente di una tendenza quasi critico ermeneutica interna alla prassi artistica

Objectivity Revisited: From Rigor to Vigor, in Rethinking Objectivity, a cura di Allan Megill,

Durham, London, Duke University Press. 1993, pp. 81-108, ristampato in ID., Antropology with an

attitude: critical essays, Stanford, Stanford University Press, 2001, pp. 11-32.

91 Cfr., CHRISTOPH ZUSCHLAG, Von Kunstzitat zur Metakunst, in Wettstreit der Künste. Malerei und

che ruota non solo intorno alle problematiche legate alle questioni di autoconsapevolezza del fare artistico92, ma di una tendenza caratteristica dell'arte del XX secolo di portare la prassi autoriflessiva del processo creativo a un metalivello successivo93; in altre parole dell'introduzione nelle pratiche di citazione e parafrasi anche dei dintorni extra-testuali come condizioni della sua produzione, distribuzione, presentazione e ricezione94.

1.2.1.La “cornice” della tradizione visiva

Per trattare le problematiche relative alla costruzione dell'immaginario storico artistico, cominciamo riportando la domanda così configurata da Kirsten Dickhaut nel suo saggio sull'iconologia della memoria:«Quali segni culturali sono sono sufficientemente allusivi da poter essere riconosciuti da un lettore/osservatore, che appartiene a un determinato quadro sociale della memoria, come attivatori del ricordo?»95

Hans Belting, nella seconda edizione del suo testo sulla fine della storia dell'arte, intitolato Das Ende der Kunstgeschichte: eine Revision nach zehn Jahren96, nel quale

92 Cfr. VICTOR STOICHITA, L'invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea, 1993,

tr.it., Milano, Saggiatore, 1998; ID., Malerei und Skulptur im Bild – das Nachdenken der Kunst

über sich selbst, in Wettstreit der Künste. Malerei und Skulptur von Dürer bis Daumier... cit.;

STEFANIA CALIANDRO, Images d'images: le métavisuel dans l'art visuel, Paris, Harmattan, 2008; per il

concetto di intertestualità nella pittura cfr. WENDY STEINER, Intertextuality in Painting, in

“American Journal of Semiotics”, vol.3 (1975), n. 4., pp. 55-67. 93 ZUSCHLAG, Von Kunstzitat zur Metakunst... cit. p. 177.

94 Ibidem.

95 DICKHAUT, Iconologia della memoria... cit., p.292; sul rapporto tra le immagini e la storia si veda

anche FRANCIS HASKELL, Le immagini della storia. L’arte e l’interpretazione del passato, 1993, tr. it.

Torino, Einaudi, 1997.

96 La tesi della fine della storia dell'arte è stata espressa da Beling in due saggi a ditanza di dieci anni: nel 1984 in La fine della storia dell'arte?, nel quale l'autore, sulla scia di numerosi sintomi di crisi disciplinare storico artistica ad adeguarsi alla trattazione di nuove correnti dell'arte contemporanea, ma soprattutto sulla base dei sentori della fine di un certo modo di fare e intendere l'arte che si stavano verificando proprio all'interno della pratica artistica stessa, fa una diagnosi di rottura nel paradigma di continuità e unità artistica come base di sviluppo e trasformazione stilistica. La “Storia dell'Arte” è infatti considerata da Belting con il duplice significato di storia dell'arte come come pratica artistica, ovvero della consapevolezza di chi produce arte di produrre anche la storia dell'arte, e la storia dell'arte come disciplina che ha l'arte come oggetto di proprio studio, che ha il compito cioè di collocare storicamente ogni singola manifestazione creativa all'interno di questa ininterrotta linea temporale. Per Belting nel contemporaneo qualcosa in questo rapporto si è spezzato: la visione unitaria dell'Arte come categoria storica transtemporale inquadrabile storicamente in termini di continuità e rotture, ma in ogni caso nel senso del progresso. La morte presente nel titolo non è quindi un necrologio alla disciplina in termini assoluti, ma l'invito a

lo storico dell'arte tedesco continua ed elabora ulteriormente la sua riflessione intorno alla fine della storia dell'arte, ci ricorda che l'idea di una storia dell'arte generale non era stata stata istituita che nel XIX secolo. Si tratta di una doppio movimento di due dinamiche correlate: il materiale intorno al quale questa idea unitaria stava prendendo forma si stava contemporaneamente accumulando nei musei, proveniva da tutte le epoche, anche molto lontane nel tempo97:

Kunst war schon lange produziert worden, aber ohne di Vorstellung, daß sie eine besondere Kunstgeschichte erfüllte. Da bietet sich noch einmal der Vergleich mit prendere consapevolezza dell'esaurimento e caduta di determinate categorie culturali che stavano alla base del nostro modo di organizzare il mondo e il sapere, e indica quindi la fine di una certa storia dell'arte che su questo paradigma culturale si è formata e al di fuori del quale non ha più ragione di essere. La tesi della morte della storia dell'arte è quindi quella della crisi della disciplina storico artistica che, sulla base di tale riconfigurazione in senso ampio, necessitava di un riesame del proprio statuto epistemologico. Nella riedizione del saggio del 1995, che è una vera e propria revisione del primo testo, Belting riformula con più precisione le ragioni della rottura in atto. Le trasformazioni politiche e sociali intercorse nel frattempo – la caduta del blocco sovietico e la dilagante diffusione delle tecnologie digitali – e, quelle artistiche che ne sono conseguite – l'apertura dei mercati ai paesi fino ad ora restati esclusi dalle dinamiche di scambio nell'arte contemporanea e l'avvento delle nuove tecnologie come forma espressiva artistica - portano Belting a far cadere il punto interrogativo del titolo originale, per esporre la fine della storia dell'arte come come una certezza. Il punto di svolta è collocato da Belting in prospettiva dell'esaurimento del Modernismo come categoria culturale, come espressione sociale, che ha avuto le sue fondamenta nel credo della continuità e universalità dell'Arte. Sulle tracce di un altro testo importante pubblicato da Arthur Danto, col significativo titolo di Fine dell'arte, in cui l'autore americano mette a fuoco le differenze tra l'arte modernista e quella contemporanea, Belting conclude che la Storia dell'arte canonica come grande narrazione ha avuto compito di inquadrare (Rahmen) sia l'arte antica che le opere moderniste dal momento che queste seguivano la linea di evoluzione e progresso. La crisi del modernismo quindi incide sulla pratica della scrittura storico artistica e la fiducia nell'ininterrotta continuità dell'arte. Per Belting dunque si è verificata una frattura quando la storia dell'arte, nell'accezione creativa, è esplosa dai suoi consueti confini geografici, istituzionali, materiali e il modello tradizionale della storia dell'arte, come disciplina che studia l'arte, si è trovato inadeguato ad affrontare con i suoi strumenti tale nuovo panorama. Belting propone perciò un'apertura multidisciplinare all'arte, in realtà già presente nei diversi approcci metodologici nella storia dell'arte canonica, ovvero la possibilità di coesistenza di più storie dell'arte. La storia dell'arte tradizionale si vede così non annullata, ma limitata a un'area spazio-temporale circoscritta all'occidente moderno, e con la fine di quello si esaurisce anche essa. In tal senso, la metodologia classica può continuare a esistere all'interno della propria sfera di dominio, ovvero studiare gli aspetti storici dell'arte storicizzata. Cfr. BELTING, Fine della Storia

dell'arte?... cit.; ID., Das Ende der Kunstgeschichte... cit. Tuttavia, come dimostra il dibattito in

atto sullo statuto disciplinare e il proliferare delle tendenze interdisciplinari, che stanno mettendo sempre più in questione la purezza e l'indipendenza della storia dell'arte come storia dello stile o iconologia, il modo di studiare le opere del passato sta profondamente cambiando. La “crisi” quindi non ha investito solo il contemporaneo, ma di riflesso retrospettivo ha rimesso in discussione anche lo statuto dell'opera d'arte del passato.

97 Il tema della nozione moderna dell'arte è stato già anticipato da Belting nel 1990 nel suo fondamentale libro Bild und Kult: Eine Geschichte des Bildes vor dem Zeitalter der Kunst, espresso con forza nel sottotitolo. Curiosamente nella traduzione italiana, si è optato per un titolo più rassicurante. Cfr. ID., Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo

dem Museum an. Auch die Museen füllten sich mit einer Kunst, die längst vorher und ohne Bezug zu dieser Institution entstanden war. Seither leben auch die Künstler im Bewußtsein des Museums und im Hinblick auf die Idee der Kunstgeschichte oder im Widerspruch zu ihr. Wir können ein Zeitalter der Kunstgeschichte von allen Zeiten davor unterscheiden, die noch kein geschlossenes Bild vom Kunstgeschehen, also noch keinen Rahmen Besaßen98.

Questo paradigma culturale, soprattutto in relazione alla consapevolezza della produzione artistica stessa che entro tale linea di continuità e progresso – che Belting fa iniziare con la sistematizzazione delle vite vasariane99 e culminare nella sistematizzazione tassonomica del museo - ha prodotto l'idea della storia dell'arte fondata sulla logica interna di un discorso coerente. La conseguenza è stata una costrizione di questa molteplicità di manufatti sotto un unico grande concetto di stile, ed è precisamente questo paradigma a essere oggetto di analisi del controverso testo di Belting sulla fine della storia dell'arte a cui stiamo facendo riferimento. La “storia dell'arte” di Belting è dunque un tipo di discorso sull'arte, strettamente legato all'idea moderna dell'autonomia dell'Arte.

Die Kunst ist, wie ich im Vorwort skizziert haben als Bild eines Geschehens verstanden, das in der Kunstgeschichte seinen passenden Rahmen besaß. Das Ideal, das im Begriff der Kunstgeschichte lag, war die gültige Erzählung vom Sinn und vom Ablauf einer allgemeinen Geschichte der Kunst. Die autonome Kunstgeschichte, die nicht mit der übrigen Geschichte kontaminiert war, sondern ihren Sinn in sich selber trug. Wenn das Bild heute aus dem Rahmen genommen wird, weil der Rahmen nicht mehr paßt, ist das Ende eben jener Kunstgeschichte erreicht, von welcher hier die Rede ist100.

Il peso di questo modello è stato decisivo nella formazione dell'idea della tradizione perché si è riflessa in modo retroattivo su tutto il passato, ha modellizzato cioè il nostro sguardo su tutti i manufatti precedenti101. Ha creato quello che Belting ha 98 BELTING, Das Ende der Kunstgeschichte... cit., pp.23-24.

99 Per la lettura del ruolo delle Vite di Vasari per la storia dell'arte, cfr. la prima edizione di ID., Fine

della Storia dell'arte?... cit.; Nella seconda edizione tedesca, come in quella americana del 2002,

questa sezione è stata omessa dal autore.

100BELTING, Das Ende der Kunstgeschichte... cit., p. 23.

chiamato una “cornice [Rahmen] per vedere l'arte”, un telaio che tiene l'osservatore in una posizione di passiva distanza102, concetto da applicarsi sia alla prossemica dello spettatore con l'opera che al modello culturale delimitato entro cui tale specifica cultura si manifesta. Questo Rahmen museale e discorsivo ha creato dunque una “cornice”, un “quadro”, all'interno dei quali abbiamo imparato a vedere, ma anche a interpretare e creare arte. Il concettuale “quadro in cornice” dell'arte considerato da Belting è quello dell'epoca della storia dell'arte e del museo:

Der Rahmen war als kulturelle Leistung von ähnlich großer Bedeutung wie die Kunst selber, die im Rahmen eingefangen war. Erst der Rahmen schloß all das, was er enthielt, zum Bild zusammen. Erst die Kunstgeschichte faßte die überlieferte Kunst in das Bild ein, in dem an sie sehen lernte. […] Das Zeitalter der Kunstgeschichte fällt mit dem Zeitalter des Museums zusammen.103

Possiamo tentare di collegare questa nascita della cornice creata per contenere l'arte e la storia dell'arte alla riflessione che abbiamo sviluppato intorno alle dinamiche della formazione delle categorie della memoria e del ricordo. Abbiamo detto che il museo, uno dei principali e più riconoscibili mediatori della memoria, per essere riconosciuto come tale, come una dimensione carica di significato simbolico relativo alla memoria, deve essere istituzionalizzato e inserito in un sistema di autoaffermazione continua da parte degli esponenti del quadro sociale e culturale che esso rappresenta e che nel suo specchio a sua volta si riconoscono104. Vale a dire che la tradizione visiva che si autorappresenta mediante l'immagine del museo è da una parte, come tutti i ricordi, un oggetto performativo costruito, e questo è sostanzialmente analogo a quanto ci dice Belting. Dall'altra parte questa sua condizione performativa impone che esso sia in continuazione sottoposto a un processo di ritualizzazione e di ripetizione da parte della cultura al fine di mantenere la sua attualità e valore riconosciuti dalla stessa cultura che lo produce. Quando parliamo di ritualità istituzionalizzata da parte delle strutture autorevoli che producono grandi mostre, esposizioni ufficiali, circuiti di fruizione regolamentata, significa che stiamo perpetuando la “cornice” all'interno della quale abbiamo 102Ibidem.

103Ibidem.

imparato a guardare l'arte. Cosa invece succede quando la ripetizione rituale della storia dell'arte passa nelle mani degli artisti contemporanei, quando cioè l'arte deborda dalla sua cornice ufficiale [Ausrahmung]? Ce lo dice ancora Belting, secondo il quale la tradizione visiva e la produzione critica diventano oggetto di metariflessione artistica.

Die Künstler, die sich so gerne von der Kunstgeschichte befreien wollten, waren anderseits ihre Komplizen und Nutznießer. Je weniger sie sich noch durch ihre Werke allein definieren konnten, desto mehr beschworen sie einte Geschichte, in welcher immer der Sinn von Kunst lag. Sie machten selber Geschichte, wenn sie Kunstwerke produzierten, und folgten wiederum der Geschichte, wenn sie daraus ihre Vorbilder reproduzierten. Manchmal erschließt sich der Sinn eines Werks eher aus der Zeit, auf die es sich beruft, als aus der Zeit, in der es entstand. Heute beschwören die Kunstler die Geschichte der Kunst, gegen die Low art und den Alltagsgeschmack, in Form einer kulturellen Erinnerung, um den Sinn von Kunst aufrecht zu erhalten. Die Kunst ist längst keine Eliteangelegenheit mehr, sondern übernimmt vertretungsweise alle die Rollen der Repräsentation von kulturellen Identität, die in den Institutionen der Gesellschaft inzwischen ausfallen. Wer über Kunst redet, trifft sie in allen möglichen Funktionen an, die sie heute erfüllt105.

A questa tendenza artistica contemporanea Belting dà il nome di “Rituale della memoria”. Essa deriva da una molteplicità di fattori che sono ragione e conseguenza della fuoriuscita dell'arte dalla sua cornice che si riflette sia sulla produzione artistica che alla produzione istituzionale degli spettacoli culturali. Secondo lo storico dell'arte tedesco la situazione culturale attuale non è più quella espressa dal modello contemplativo, come un quadro in cornice, bensì è fruita come uno spettacolo collettivo. Tra le varie ragioni di questo cambiamento c'è il fatto che oggi non si produce più cultura, ma si stanno sviluppando tecniche sempre più sofisticate per

riprodurre cultura di altri tempi. Gli artisti reagiscono a tale desiderio di

l'intrattenimento attraverso atti performativi nel segno del “remake”, in un misto di nostalgia e irriverenza verso l'autorità storica dell'arte. Invece di continuare a rappresentare la cultura e la storia, l'arte oggi è impegnata in un rituale di ricordo o di

resistenza106.

Prima di proseguire lungo il pensiero dello storico dell'arte tedesco, riteniamo tuttavia necessario approfondire ulteriormente gli aspetti legati alla formazione della cosiddetta “cornice” attraverso il paragone con il pensiero di un altro influente teorico e critico d'arte, Hal Foster.

1.2.2.Archivi dell'arte moderna

Questo ci impone di fare un passo indietro, nell'Ottocento per appunto, momento che vede delinearsi nel pensiero critico dell'arte e della storia dell'arte la formazione di quelli che il critico americano ha denominato gli “archivi dell'arte moderna”107. L'oggetto di riflessione di Foster è qui incentrata intorno ad alcuni significativi cambiamenti nelle relazioni archivistiche dominanti che hanno avuto luogo tra le pratiche dell'arte moderna, musei d'arte e storia dell'arte nella cultura occidentale tra il 1850 e il 1950108. I due parametri di indagine in Foster sono le “strutture della memoria” che questi tre fattori agenti hanno contribuito a co-produrre nell'arco di tale periodo e la descrizione de “la dialettica del vedere” all'interno di tali particolari strutture109. Il discorso di Foster è complesso, ma ci permette di capire alcune 106Cfr., Ivi, pp. 24-25.

107HAL FOSTER, Design & Crime, 2002, tr.it., Milano, Postmedia, 2003, p. 63. Gli archivi sono per

Foster da intendersi nel senso configurato dal pensiero di Foucault, ossia «”un sistema che governa l'apparizione delle affermazioni”, che struttura le espressioni di un particolare periodo. In questo senso un archivio non è mai affermativo né critico di per sé, semplicemente deve fornire i termini del discorso»: ibidem. L'intenzione di Foster è comunque quella di «mettere questi archivi in relazione al movimento storico... ai momenti in cui si verificano tali spostamenti»: ivi, nota n.1, p.74. In Foucault «L'archivio è anzitutto la legge di ciò che può essere detto, il sistema che governa l'apparizione degli enunciati come avvenimenti singoli. Ma l'archivio è anche ciò che che fa si che tutte queste cose dette non si ammucchino all'infinito in una moltitudine amorfa, non si inscrivano in una linearità senza fratture, e non scompaiano solo per casuali accidentalità esterne; ma che si raggruppino in figure distinte, si compongano le une con le altre secondo molteplici rapporti, si conservino o si attenuino secondo regolarità specifiche....L'archivio non è ciò che salva, malgrado la sua fuga immediata, l'evento dell'enunciato e conserva il suo stato civile di