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Lo spazio e il tempo propri e altrui: ansambl', interieur, coevità

3. Scomode contiguità, scomode distanziazioni: combinazione e integrazione Uncomfortable Proximity di Graham Harwood e Col Tempo-The W Project di Péter

3.1. Lo spazio e il tempo propri e altrui: ansambl', interieur, coevità

Secondo Jurij Lotman «uno dei tratti distintivi fondamentali di ogni cultura è la distinzione dello spazio universale (universum) in: sfera interna (interna alla cultura, “propria” [svoja]) e sfera esterna (esterna alla cultura, “altrui” [čužaja])»546. Quando queste due dimensioni vengono a contatto, principalmente per tramite di testi artistici provenienti da epoche o da culture diverse, quando esse si combinano e si intersecano, ossia entrano in una relazione di reciprocità, si avrà ciò che lo studioso russo definisce come “insieme”, ansambl'547, termine che in accezione russa, come

notano i traduttori del testo, contiene «l'idea di una marcata confluenza del diverso in un complesso interrelato»548. Il concetto di “insieme” nella teoria lotmaniana dunque, «non accoglie... un unico significato, ma un coacervo di significati»549, spiega Silvia Burini, poiché costituisce per Lotman

un elemento archetipico della cultura umana dal momento che il singolo individuo non “usa” testi artistici separati ma tende verso insiemi. Peculiarità degli elementi che costituiscono l'insieme è la loro eterogeneità, a cui si ricollega direttamente la teoria dell'intérieur. Secondo Lotman qualsiasi intérieur culturale realmente esistente non sarà mai composto da un agglomerato di oggetti contemporanei rispetto al tempo della loro “produzione”. L'”insieme” [ansambl'] è per Lotman un concetto strutturalmente “dialogico”, poiché le varie arti, modellizzando in maniera differente gli stessi oggetti, conferiscono al pensiero artistico una dimensione essenziale: il 545Per un'ampia panoramica sul tema cfr. Identità e alterità. Figure del corpo 1895-1995, catalogo

della 46a Esposizione Internazionale d’Arte (Venezia, 11 giugno-15 ottobre 1995) Venezia, Marsilio, 1995.

546LOTMAN, Il girotondo delle muse... cit., p. 28

547ID, L'insieme artistico come spazio quotidiano... cit.; sulla teoria dell'ansabl' nell'arte

contemporanea cfr. ANGELA MENGONI, Sulla teoria lotmaniana dell'ansambl'. Esplosioni

anacronistiche da Burden a Manet, in Incidenti ed esplosioni: A.J. Greimas, J.M. Lotman per una semiotica della cultura, a cura di Tiziana Migliore, Roma, Aracne, 2010, pp. 115-148.

548Nota del traduttore in LOTMAN, in Il girotondo delle muse.... cit., p. 35

poliglottismo artistico550.

Su questo presupposto si costituisce dunque uno dei principi fondamentali del pensiero del semiologo russo, quello cioè che la dinamica che scaturisce dai rapporti contrapposti tra “proprio” e “altrui” nell'interieur, inteso in senso ampio come «legame diretto tra oggetti e opere d'arte diverse all'interno di un determinato spazio culturale»551.

Se dunque per Lotman la dialogicità tra le opere eterogenee, provenienti da culture e tempi altri rispetto al mondo culturale dell'individuo, e dal cui comportamento non si possono considerare in maniera separata, avviene entro uno spazio, per l'etnologo Johannes Fabian, tale dialogo culturale rientra piuttosto nelle dinamiche del tempo552.

Abbiamo avuto modo di parlare dell'accezione dello shared time di Fabian per come è stata declinata da Mieke Bal553: della sua interpretazione ci siamo serviti in più di un'occasione in riferimento a determinate preoccupazioni artistiche che legano gli artisti del passato e quelli di oggi, nel nostro specifico caso di quelle tendenze da parte dell'arte contemporanea a far ri-emergere e sovravisualizzare le latenze costitutive nella tradizione visiva. Ora invece ci serviremo direttamente delle riflessioni di Fabian per indagare più a fondo il concetto di coevità [coevalness] e della sua negazione, cioè dell'allocronismo, termine con cui Fabian si riferisce alla rappresentazione degli Altri (delle società e delle culture studiate dall'antropologia) in termini di un sistematico allontanamento dal tempo dell'osservatore, cioè del collocamento dell'Altro «in un Tempo altro rispetto al presente di chi produce il discorso [antropologico]»554. Il problema di fondo degli studi etnologici e antropologici che viene individuato da Fabian non consiste tanto nel lavoro “sul campo”, dove necessariamente entrano in gioco meccanismi intersoggettivi tra chi studia e chi è studiato, quanto nella produzione discorsiva e nella conseguente “ricezione” dell'immagine attraverso le forme mediante le quali l'Altro viene veicolato555. Nonostante Fabian parli delle culture extra-occidentali, soggetto degli 550Ivi, p. 137-138.

551Ivi, p. 138.

552FABIAN, Tempo e gli altri... cit., 60.

553BAL, Quoting Caravaggio... cit., p. 7.

554FABIAN, Tempo e gli altri... cit., p. 62.

555Ibidem. In linea di principio tale ragionamento può essere interessante anche per riflettere intorno alle problematiche metodologiche della storia dell'arte: così come etnoantropologia tende studiare i propri soggetti in una dimensione del tempo condiviso ma relegarli poi, attraverso determinate

studi etnoantropologici, ci sembra che tale processo di creazione di alterità possa essere usato per descrivere anche le forme di alienazione interne alla cultura occidentale556 in relazione alle immagini dell'Altro presenti nell'opera di Graham Harwood e Péter Forgács. Infatti ambedue gli artisti creano insiemi anacronistici spazio-temporali - composti da immagini e ricordi di alienazione sociale e razziale, fattori che la storia tradizionale tende a sopprimere oppure a ridurre ai margini delle grandi narrazioni, in ogni caso a oggettivizzarli e allontanarli da una possibilità di esperienza condivisa nel nostro tempo - per restituire a essi coevità, al di fuori di una storia ufficiale557. Quanto ci preme, quindi, è cercare di capire in termini più generali come concetti di negazione di coevità e allocronismo possano inaspettatamente agire anche su un altro aspetto culturale, quello cioè del collocamento in un “altro tempo” di ciò che si ritiene invece essere proprio.

Il proprio nel nostro caso è l'immaginario storico artistico, espresso nelle sue forme del museo e del capolavoro della tradizione visiva occidentale. Tuttavia può succedere che, come scrive Belting,

La prospettiva odierna di una «etnologia del proprio ambiente» (Marc Augé) trova il suo corrispondente nello sguardo di chi si riscopre improvvisamente, in un museo tipologie del discorso in un tempo altro, cosi anche la storia dell'arte può porre un problema di allocronismo corrispondente, poiché scinde il tempo e modo della fruizione estetica dell'opera (la temporalità condivisa tra la presenza dell'opera e il fruitore) dal tempo e modo con cui invece la veicola mediante i propri canali discorsivi (restituzione dell'opera sull'asse della storia). Su questo tema aveva riflettuto già Panofsky, seppure con differenze, in una nota della sua “La storia dell'arte come disciplina umanistica”. Lo storico dell'arte infatti scrive: «... nell'esperire esteticamente un'opera d'arte compiamo due atti completamente diversi, che però psicologicamente si confondono in un'unica Erlebnis noi costruiamo il nostro oggetto estetico ri-creando l'opera d'arte secondo l'”intenzione” del suo autore e nello stesso tempo creando liberamente una serie di valori estetici […]. Privatamente lo storico dell'arte è pienamente giustificato se non vuol distruggere l'unità psicologica di Alters-und-Echtheits-Erlebnis e Kunst-Erlebnis (esperienza dell'età e dell'autenticità ed esperienza artistica). “Professionalmente” invece egli è tenuto a distinguere quanto più è possibile l'esperienza ri-creativa dei valori intenzionali... E questa distinzione spesso non è così facile come sembrerebbe.» PANOFSKY, La storia dell'arte come disciplina umanistica...

cit., p. 18, nota 1.

556Siamo consapevoli della complessità dell'argomento che non possiamo prendere in esame approfondito in questa sede, per cui rimandiamo almeno a MICHEL FOUCAULT, Storia della follia

nell'età classica, 1961, tr.it., Milano, Rizzoli, 1971. Sulla relazione tra la teoria di Fabian e

l'antropologia dell'arte invece cfr. MARIA LUISA CIMINELLI, Immagini in opera. Nuove vie in

antropologia dell'arte, Napoli, Liguori, 2007.

557Per un approccio diverso alla narrazione di stampo antropologico, che tiene conto anche delle storie non dette, cfr. MICHEL-ROLPH TROUILLOT, Silencing the Past. Power and the Production of

History, Boston, Massachusetts, Beacon, 1995; GERALD SIDER, GAVIN SMITH, a cura di, Between

History and Histories. The Making of Silences and Commemorations, Toronto, Buffalo, London,

o in un archivio, le immagini della propria cultura. Qui la tanto affidabile storia delle immagini risulta qualcosa di estraneo e di bisognoso di spiegazioni, come in precedenza le immagini di altre culture. La tradizione figurativa europea è sul punto di staccarsi da quello sguardo devoto che da ultima la cultura borhgese, sulla scia della Chiesa e della Corte, le aveva fornito. Questa tradizione si va trasformando a sua volta in materiale valido per un'apertura ermeneutica in cui entrano in gioco questioni antropologiche. L'antropologia eredita così l'obbiettivo di ricerca di quella storia dell'arte che il XIX secolo aveva ideato nel sentimento di una perdita della continuità storica e artistica558.

Abbiamo già sottolineato quanto l'antropologia delle immagini di Hans Belting abbia inciso su questo studio. Quanto ci proponiamo di fare ora è di affiancare al suo approccio quello di un etnoantropologo, Fabian per appunto, ma soprattutto di un artista, in modo tale da vedere come una re-visione del nostro immaginario possa, se non dare risposte, di certo porre domande sul nostro modo di intendere la tradizione visiva.