una megamostra esemplare.
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e rivalutazione dello specifi co linguaggio fi gurativo quattrocentista a Siena.
Una materia dunque molto delicata e articolata che questa mostra affronta in modo rifl essivo e, per quanto possibile, a tutto tondo per ciò che riguarda la produzione artistica nel suo complesso, dalla miniatura, ai tessili, alle orefi cerie, ai cassoni, non soltanto limitandosi alle pur notevoli opere di una costellazione di artisti tra i più raffi nati, ed anche a volte elusivi, vedi il caso dell’ancora aperto confronto tra Sano di Pietro e il cosiddetto “Maestro dell’Osservanza”.
Una dovuta rifl essione quindi su questo primo tempo del Rinascimento senese che all’inizio, soprattutto in pittura, è agro e poi via via si permea di sostanziosi contributi attribuibili alle presenze urbane importate quali quella di Gentile da Fabriano nel 1425 e soprattutto, dal 1427, quella di Donatello, oppure per esperienze dirette.
Diverso, ma complementare, il discorso sulla scultura, che giustamente si apre in mostra con la basilare fi gura del Della Quercia, quasi a riproporre il fi lo rosso dipanato dal 1938, con la mostra “di sculture d’arte senese” curata da Pèleo Bacci, fi no a quella sulla “Scultura dipinta” del 1987.
Per l’imponente numero di prestiti, ai quali bisogna pur dirlo ha contribuito in larga misura la Pinacoteca Nazionale di Siena, è stata determinante la compartecipazione dell’Opera Metropolitana di Siena e di tutti quei Musei Territoriali e Enti ecclesiali detentori di notevolissime testimonianze artistiche dell’epoca, ed inoltre di un numero considerevole di Istituzioni straniere che con la loro collaborazione hanno fornito alla mostra un respiro internazionale, sono il segno di una liaison culturale che non conosce frontiere.
Come ormai accade in queste grandi occasioni la realizzazione della mostra è stata anche stimolo ad una serie di restauri patrocinati dalla Fondazione Nella sua Prefazione al catalogo della mostra
“Painting in Renaissance Siena:1420-1500”, tenuta al Metropolitan Museum of Art nel 1989, Philippe de Montebello esordiva citando quale ampio antecedente in materia, fuori di Siena, “l’ultima mostra di simile ampiezza” organizzata dal Burlington Fine Arts Club di Londra con il titolo “Pictures of the School of Siena” nel 1904, stesso anno della mostra “L’arte antica senese” che per Siena fu un evento memorabile.
Gli eventi di Londra e di New York saranno presi come imprescindibili punti di riferimento anche nella ultima grande mostra in materia, quella tenutasi alla National Gallery di Londra tra 2007 e 2008 intitolata “Renaissance Siena: Art for a City”.
All’interno di queste date cardine comunque gli studi sull’argomento non sono mai mancati, a volte con determinanti avanzamenti storico-critici, portando avan-ti, come dimostrato dalle ragguardevoli bibliografi e in materia, una ricerca di alta tensione scientifi ca, contrassegnata tra l’altro dai nomi di Cesare Brandi e John Pope-Hennessy.
È su questi raggiungimenti che si basa l’attuale mostra curata da Max Seidel, nella quale peraltro viene preso in considerazione solo il momento fondante del Rinascimento senese, cioè la prima parte del Quattrocento locale, come il titolo della mostra ben chiarisce.
Non si trovi comunque pleonastico tornare ancora una volta sull’argomento, ed in una maniera così cronologicamente circoscritta e determinata nel quadro sto-rico, quando proprio de Montebello nella Prefazione sopra citata, ed in fondo non poi così tanto tempo addietro, poteva ancora affermare che “il Trecento era stato l’età aurea dell’arte senese” mentre “il Quattrocento fu un’età d’argento”, quasi come una eco, ma in maniera più manichea, di quel Trecento che a Siena era duro a morire con cui Brandi nel 1949 apriva un discorso che avrebbe comunque portato nell’esito fi nale a risultati di grande apertura
colpo al cuore davanti alla bellezza carnale di Valdambrino o alla maestà di Iacopo.
Una ultima annotazione. Concepire una parte di questa mostra tra Pellegrinaio e Sacrestia Vecchia dell’antico Ospedale, tra Domenico di Bartolo e Vecchietta, è stato un formidabile contributo per una doverosa contestualizzazione che ha reso ancora più imperdibile la compartecipazione a questo encomiabile sforzo culturale.
disdegnare particolari preziosi, “asole” fatte a mano, e, come è risaputo, Dio sta nel dettaglio.
Come dimenticare lo spazio semicircolare dedicato ad una infi lata di visionarie tavolette con Storie di S. Antonio Abate, dipinte dal Maestro dell’Osservanza, dove i cieli o gli orizzonti si curvano in fi abesche absidi di nuvole al tramonto o profi li alberati di colline; oppure quella incredibile presenza di Gabrieli e Vergini annunciate, sculture lignee a scala naturale, che ci coglie a sorpresa girando in una sala, come un
Si ripropone in nota la citazione della Introduzione istituzionale redatta da G. Borghini per il
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Monte Paschi di Siena, tra i quali mi pare doveroso ricordare quello, diretto da Anna Maria Guiducci, di un’opera fondamentale, conservata nella Pinacoteca Nazionale di Siena: il cosiddetto polittico dei Gesuati, fi rmato da Sano di Pietro e datato 1444, grande macchina pittorica di elevatissima qualità fi gurativa, e uno dei testi paradigmatici della pittura a Siena poco prima della metà del secolo.
Non sarà di poco conto inoltre che l’alveo natu-rale della mostra sia stato individuato, per le sezioni principali, nel grande edifi cio, ora sede museale, dell’antico Ospedale di Santa Maria della Scala,
per-mettendo così una dovuta allitterazione tra le opere esposte e i monumentali e notissimi cicli di affreschi quattrocenteschi di Domenico di Bartolo e del Vecchi-etta, ma inoltre trovando una straordinaria ragione d’essere non come frutto di una pur esperta formu-lazione a tavolino ma lontana dalla realtà cogente di un contesto, bensì come folgorante riproposta di un intero sistema formale esemplifi cativo dell’altissima tensione culturale che in quel momento ancora con-nota il profi lo di Siena e che durerà fi no alla metà del secolo successivo.