di Roberto Barzanti
La Biblioteca comunale degli Intronati ai primi del Novecento era un luogo privilegiato d’incontro degli intellettuali in vista: una specie di club. Ed era assiduamente frequentata da quanti, nel ceto dirigente o nel mondo delle libere professioni, ritenevano l’aggiornamento culturale un dovere e, magari, un piacere da soddisfare con continuità. Sfogliare i registri nei quali sono annotati i libri presi in prestito o chiesti in lettura induce a immaginare contatti e abitudini, preferenze e costumi. Federigo Tozzi, ad esempio, il 23 agosto 1913 prende in prestito il “Decameron”, il
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ne ho scritto dettagliatamente e non è qui il caso di abbozzarne la cronaca. Il danese Johannes Joergensen la ricorda con ammirazione in sue pagine di memoria.
I titoli dei volumi che Anita preleva dagli scaffali della Comunale per portarseli a casa – via Ricasoli 2, oggi via Pantaneto – ci aiutano non poco a capirne sensibilità e vivacità. Tanto per fare qualche esempio: il 5 novembre 1913 chiede “La vita” di Benvenuto Cellini, quindi è la volta della “Vita di Cola di Rienzo” romanzata da D’Annunzio, e poi di Sem Benelli, di Grazia Deledda. Più avanti – nel luglio 1916 – segue John Ruskin per le sue “Mattinate fi orentine”, da poco uscito in traduzione italiana presso Bemporad. I consigli che ne ricava sono piuttosto esigenti. È preferibile farsi una gita alla Certosa che perder tempo in chiacchiere: “Ivi godrete le luci e le ombre evanescenti della vita monastica fi no a che le lucciole usciranno a volo nel crepuscolo[…] meglio assai che se passaste la serata in una riunione mondana facendo chiacchiere sentimentali sull’Italia e ascoltando le ultime novità di Londra e di Nuova York”. Lina Tamburini, sempre nel ’13, ha in
prestito giusto l’antologia curata da Tozzi sugli “Antichi scrittori senesi”, fresca di stampa. Bruna Guarducci, tanto per non cambiare, consulta i “Mistici senesi” del Misciattelli, quasi un libro di testo, destinato a enorme fortuna. Tra tutte le eleganti frequentatrici del bel salone spicca Anita Renieri. Nata ad Allerona, in provincia di Terni, Anita aveva seguito gli spostamenti del padre, impiegato delle Ferrovie. Aveva insegnato come maestra a Tarcento, vicino Udine, e collaborato con poesie e interventi ad un periodico di tendenze irredentiste: “La patria del Friuli”. Forse anche per questo veniva fatto di individuarla come “triestina”. A Siena prese dimora nella torretta di Palazzo Sansedoni. Frequentò l’Istituto d’arte e lì conobbe da allieva il futuro marito: lo scultore Fulvio Corsini. Tozzi fu invaghito di Anita e non fu il solo ad essere attratto dal fascino di una donna bellissima, dal temperamento forte, desiderosa di conoscenze, attenta a ogni novità artistica. Anche con il giovane Ranuccio Bianchi Bandinelli ella ebbe un intenso rapporto:
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2009/2010, nn.118-119, pp. 46-55). Già una giovane studiosa fi orentina, Costanza Geddes da Filicaia, aveva fornito l’elenco dei titoli presenti nella biblioteca delle casa rossa di Poggio al Vento, ma curiosamente risultavano soltanto 24 volumi di letteratura russa. Invece sono ben 51 i testi russi che Tozzi possedeva. La correzione non è banale. Di per sé il dato non autorizza certo illazioni o deduzioni meccaniche. Un libro custodito in uno scaffale non deve essere automaticamente promosso a fonte. Eppure in questo caso non si può far a meno di osservare che l’eccezionale densità attesta una predilezione del resto riscontrabile nella tematica tozziana: nella sua religiosità angosciata e atterrita e nella “pietas” per un’umanità travolta da un imperscrutabile destino. Insieme a Dostoevskij, il più rappresentato (15 titoli), si allineano Cechov e Gogol, Gorkij e Lermontov, Tolstoj e Puskin e altri di minor fama. La questione del peso di Dostoevskij in Tozzi e, in genere, dello spazio da lui accordato a autori russi, era stata accennata o trattata, tra gli altri, Anita Renieri è una testimone preziosa
e attendibile dell’attenzione – da lei stessa condivisa – che Tozzi aveva per gli scrittori russi. E non è affatto vero che Dostoevskij lo lesse tardissimo, addirittura nell’inverno del 1919 come sostenne Orio Vergani. Proprio in una chiosa vergata a margine di un numero di “Solaria”, dove furono pubblicate lettere di Tozzi indirizzate a lei e a Lina, la Renieri chiarì che da tempo Federigo le aveva regalato “Dal sepolcro dei vivi”. L’opera di Dostoevskij, nota con il titolo “Memorie dalla casa dei morti”, era di quelle che meglio esprimevano la concezione del mondo del grande romanziere, così consentaneo alla sensibilità del narratore senese. Una traduzione in francese è tra le molte di letteratura russa che fi gurano nella biblioteca tuttora conservata a Castagneto e reca sul frontespizio l’annotazione: “Comprato a Campo di Fiori la mattina del 24 gennaio 1916”. Traggo questa indicazione dal saggio di Elena Gori su “Gli scrittori russi nella biblioteca di Federigo Tozzi” (in “Erba d’Arno”, autunno-inverno
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devozione, alludono a corteggiamenti, producono sensazioni, sigillano amicizie. Paolo Cesarini ha tagliato corto: dalla ricercata relazione con Anita Tozzi “ne ricavò soltanto una sconfi tta”. “Tutte le arti – aggiunge – da lui usate magistralmente, fi n gli aggressivi toni romantici, per andare oltre l’amicizia spirituale che gli stava stretta, furono ineffi caci contro l’ironica allegria di Anita, della quale furono sempre apprezzate con il fascino femminile le acutissime doti intellettuali”. Il fi glio Sergio ha confessato di non essere più in possesso del non galeotto libro dostoevskiano, del quale Federigo fece omaggio alla mamma, “una fanatica dei russi”. Forse non estranea, pertanto, al tenace interesse verso una letteratura che incise a lungo nel faticoso lavoro di Tozzi, nel suo inoltrarsi nel buio del “sottosuolo”, nei misteriosi tormenti dell’anima.
da Glauco Tozzi, Paolo Cesarini, Eurialo De Michelis e, da ultimo, con contributi di perspicace scavo documentario, da Riccardo Castellana. Dunque il saggio di Elena Gori è un ulteriore corredo fi lologico, fondato su uno scrutinio di prima mano della bibliografi a “domestica”.
Al di là del valore critico che appro-fondimenti di questo taglio contengono, non secondario è l’arricchimento che apportano a chi abbia il gusto di rievocare stagioni e relazioni non abbastanza esplorate: non si fi nisce mai di scoprire, come fossero un racconto aperto, al quale via via aggiungere una pagina, un nome, una data. In fi ligrana compaiono a frammenti vicende di libri tramandati e sottaciuti amori, in anni di furente creatività e turbolente passioni. I libri non viaggiano da sé: i loro percorsi manifestano
La sala principale
della Biblioteca Comunale degli Intronati con al centro il tavolo di lettura