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Gli artisti contemporanei e la maniera arcimboldesca in Occidente La maniera arcimboldesca è stata uno stile molto apprezzato da diversi artist

attraverso i secoli, compresi alcuni rappresentanti del panorama contemporaneo. Il procedimento artistico che ha reso celebre Arcimboldo consente loro di produrre insiemi fantastici mediante l’impiego di diversi oggetti, usati a mo’ di metafore e con un’attenzione speciale al dettaglio. Tale metodo artistico si esprime mediante l’applicazione del pensiero mitopoietico, con cui gli artisti hanno deciso di affrontare il reale. Questa parte dello studio si occupa degli assemblaggi mitopoietici eseguiti da Jan Švankmajer, Dustin Yellin e Enrico Baj, i quali mostrano un carattere polimaterico e una attenta cura nel momento di creazione dell’opera che possono essere paragonati alle teste composte ideate da Arcimboldo alcuni secoli fa. Ciascuno di questi artisti-collezionisti produce opere di grande potenziale visivo e comunicativo, che abbracciano una vasta gamma di discipline, come la scultura, l’animazione, il video, il disegno e la pittura sia tradizionale sia digitale. Questi autori sono stati scelti ai fini della presente ricerca, per la loro particolare metodologia, e perché in alcuni casi hanno condiviso i principali luoghi di azione del pittore cinquecentesco, ossia, Milano nel caso di Baj e Praga Švankmajer. Questi ultimi rappresentano il continente europeo, mentre Yellin quello Americano, ciò con l’obiettivo di coinvolgere nello studio due zone dell’emisfero occidentale, il vecchio e il nuovo mondo.

Questi autori hanno sviluppato un percorso molto diverso tra loro, ma, nonostante ciò, è ancora possibile ravvisarne fattori comuni, come l’interesse per il collezionismo, il loro modo di produrre le opere, eseguite soltanto usando elementi provenienti dall’ambiente circostante, le affinità visive tra i loro insiemi e la loro logica dualistica. Quest’ultima, secondo le idee di Lévi- Strauss, è un denominatore comune già presente nel pensiero degli uomini primitivi; ciò comporta che senza conoscersi tra loro in alcun modo, Švankmajer, Yellin e Baj abbiano ripetuto l'esperienza della corrente arcimboldesca. D’altro canto è vero che questi artisti hanno avuto dei punti di riferimento comuni che li hanno indotti ad impiegare tale modus operandi, oltre alla loro ammirazione per il pittore cinquecentesco, la loro curiosità per

la Wunderkammer e per le scoperte della scienza moderna e l'influenza di alcuni grandi artisti attivi nel secolo scorso come André Breton. Infatti, quest’ultimo apparteneva ad un’avanguardia con cui Švankmajer, Yellin e Baj si sono identificati in un momento del loro percorso artistico: il Surrealismo, un movimento per cui i capolavori di Arcimboldo hanno significato tanto. Infatti, nei vari assemblage di Švankmajer, Yellin e Baj spicca quel desiderio attuale di recupero sia della meraviglia che del proprio collezionismo enciclopedico, come viene rintracciato ugualmente sui lavori creati da altri autori attivi al giorno d'oggi1. Questo si potrebbe confermare prendendo

spunto dal saggio Nuove stanze della meraviglia. Musei e mostre che

incantano, scritto da Stefania Zuliani, nel quale la studiosa ha evidenziato la

nuova accezione che da qualche anno è stata data al temine Wonder o meraviglia, il quale è riconosciuto per il suo «carattere sovversivo e innovativo»2. Queste due particolarità possono essere ugualmente attribuite

sia alla produzione dei tre artisti esaminati che alle loro collezioni, che si potrebbero ritenere delle “meraviglie” contemporanee.

I tre autori scelti per la tesi perseguono un collezionismo tipico dell’artista

bricoleur, ossia, ciascuno di loro mostra l'intrecciarsi del pensiero primitivo

con quello scientifico, al momento di scegliere, raccogliere, collegare, modificare e riprodurre minuziosamente la materia degli oggetti, per poter creare i loro insiemi. Perciò, attraverso i loro lavori, questi artisti sono riusciti a non seguire l’apparente tendenza al minimalismo presente nell’arte contemporanea. Quest’ultima pratica è stata descritta da Frank Stella, in un’intervista del 1964, con la sua celebre frase What you see is what you see3,

con attraverso la quale ha sottolineato come i suoi dipinti non nascondessero niente e al contrario mostrassero le sue idee senza margine di errore o confusione. Questo tema è stato ripreso nei primi anni Duemila da Didi-

1 Cfr. ZULIANI, S. “Oltre l’inafferrabile presente”. La fortuna in Italia degli studi sulle raccolte

d’arte e degli studi sulle raccolte d’arte e di meraviglia di Julius von Schlosser, in LORIZZO,

L. (2018) L’Italia di Julius Von Schlosser. Roma: De Luca Editori d’Arte, p. 132.

2 Idem. Nuove stanze della meraviglia. Musei e mostre che incantano, in «Storia della critica

d’arte. Annuario della S.I.S.C.A.». (2018) Milano: Scalpendi editore, pp. 533-545.

3 STELLA, F., GLASER, B. [interviewer], LIPPARD, L. (a cura di) Questions to Stella and Judd, in

«Art News», (1966), pp. 58-59, in BATTCOCK, G. (1995) Minimal Art: A critical Anthology. California: University of California Press, pp. 148-164.

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Huberman nel libro Il Gioco delle evidenze: la dialettica dello sguardo nell'arte

contemporanea. Qui lo studioso ha confermato l’attuale disposizione

tautologica di alcuni artisti, che intendono rappresentare i vari elementi che formano parte delle loro opere con un’identità raddoppiata: «l’oggetto non dà niente altro da vedere che se stesso». Nonostante questo, lo stesso Didi- Huberman ha lasciato intendere, in una parte del suo saggio, che la frase di Stella sia in parte contraddittoria4.

Anche a metà degli anni Sessanta del secolo scorso, Edoardo Sanguineti ha usato come chiave di lettura il concetto del bricoleur di Lévi-Strauss, per poter individuare e sottolineare un’altra tendenza, che, secondo lo studioso, imperava sull’arte contemporanea: quella del “ritorno all’oggetto”. Tale pratica impiega come base l’empirismo, ovvero «l’essenza di quella classicità, ormai da definirsi mitica», con cui si giunge ad una neutralizzata «museificazione del vissuto»5. Questo è precisamente il ragionamento seguito dagli artisti che

impiegano l’arcimboldismo, poiché questi sono riusciti a scomporre e ad astrarre i vari oggetti dalla loro funzione utilitaria, con lo scopo di capirli e progettarli in facsimili che evidenziano determinati concetti, e di conseguenza questi divengono al contempo prodotti artigianali che intellettuali. Ciò accade approfittando degli elementi presenti nella composizione arcimboldesca, oltre a completare una sinergia, hanno una grande forza visiva che spesso cela altri significati.

Da questa maniera, la conoscenza di Švankmajer, Yellin e Baj è emersa a mo’ di composizioni di carattere culturale, dove ognuno degli elementi acquista una grande forza visiva, attraverso un procedimento operativo con cui mostrano più di quanto è visibile. Così questi capolavori costituiti da vari oggetti, attraverso una sperimentazione mitica finiscono per formare una nuova immagine, senza che nessuno degli elementi inseriti all’interno del profilo perda le sue specificità individuali. In conclusione, il modo di distinguere e determinare messo in pratica nelle creazioni di Švankmajer,

4 DIDI-HUBERMAN, G. (2008) Il Gioco delle evidenze: la dialettica dello sguardo nell'arte

contemporanea, Roma: Fazi, p.82; Cfr. idem. p.76.

5 SANGUINETI E. Carol, o del bricolage, in VALLORA, M. (a cura di) (2008) Carol Rama:

L’occhio degli occhi. Opere dal 1937-2005. (2008). Catalogo della mostra (Milano, Palazzo

Yellin e Baj si collega non solo al pittore cinquecentesco, ma anche alle teorie di Lévi-Strauss.