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46 Grafico 4: tempi di risveglio nei due gruppi di studio

Variabili Gruppo Casi Gruppo Controlli

Età (anni) 75.2 ± 19.7 anni 71.0 ± 9.6

Sesso m/f 6/9 10/5 BMI ( kg/m2) 26.88±5.56 26.88±5.27 ASA I/II/III 1/10/4 1/9/6 Durata anestesia 183.33±44.59 171.53±45.15 Durata chirurgia 173.66±44.34 162.53±47.09 T0 (temperatura arrivo) media 36.43±0.27 63.44±0.34 Temperatura perioperatoria media 36.64 ± 0.12°C 36.08 ± 0.21 °C T7 (temperatura al risveglio) 36.77±0.22 36.10±0.40 Brivido post-operatorio - -

Tabella 2: Caratteristiche dei pazienti e variabili perioperatorie 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Tempo di risveglio (min) Gruppo controlli Gruppo casi

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DISCUSSIONE

L’ipotermia perioperatoria è associata ad una serie di effetti negativi. Diversi studi in letteratura hanno analizzato il ruolo del prewarming per prevenirla. La maggior parte di questi lavori evidenzia il ruolo efficace di questa pratica nel ridurre l’incidenza di ipotermia perioperatoria, e delle complicanze ad essa legate, sostenendo quindi che il solo riscaldamento intraoperatorio non è sufficiente a garantire il controllo ottimale della temperatura. In particolare, viene evidenziato come il prewarming agisca principalmente sull’ipotermia da ridistribuzione che avviene subito dopo l’induzione dell’anestesia generale. Solo un minor numero di studi sostiene che il prewarming non porti benefici. Occorre sottolineare che si tratta di studi profondamente disomogenei. (Trish Haley, 2017). La durata del prewarming è uno degli elementi non uniformi in questi lavori e varia da un minimo di 10 minuti a più di un’ora. Sebbene sembra che 10 minuti siano sufficienti ad avere dei benefici, è probabile che il migliore effetto si ottenga con tempistiche superiori. Per il nostro studio abbiamo applicato un prewarming della durata di 30 minuti, tempo considerato sufficiente da uno dei maggiori studiosi di questo argomento (Daniel Sessler). Una durata maggiore avrebbe comportato complicazioni dal punto di vista organizzativo legate al trasporto dei pazienti nel blocco operatorio. Come metodica di riscaldamento abbiamo adottato un sistema ad aria z<calda forzata poiché considerato uno dei più validi. Per la rilevazione della temperatura il sistema SpotOn rappresenta un metodo affidabile e permette la misurazione della temperatura in maniera non invasiva, senza rischio di incontrare difficoltà tecniche e permettendo di proseguire il monitoraggio anche al di fuori della sala operatoria. (Iden T, 2015)

In questo studio abbiamo riscontrato un guadagno in termini di normotermia perioperatoria utilizzando il protocollo di prewarming nei pazienti da sottoporre a interventi di chirurgia addominale maggiore. Come si evince dai risultati ottenuti, il gruppo sottoposto a questa procedura mantiene nel perioperatorio una temperatura significativamente più alta. Inoltre, osservando il grafico che riporta le temperature in funzione del tempo, si può notare che i pazienti del gruppo casi (prewarming) non scendono mai sotto i 36°C di temperatura (ovvero sotto la soglia della normotermia). In particolare, è interessante notare come le temperature medie del gruppo casi siano tendenzialmente più stabili rispetto al gruppo controlli. Questa osservazione è in accordo con quanto riportato da numerosi studi in letteratura, secondo i quali il prewarming previene l’instaurarsi dell’ipotermia da ridistribuzione che si verifica nella prima ora dell’anestesia

48 generale. Nella parte finale dell’intervento chirurgico le differenze nei due gruppi diminuiscono, espressione probabilmente dell’instaurarsi dei meccanismi di termoregolazione nel gruppo controlli: la riduzione della temperatura raggiunge la soglia che innesca la risposta vasocostrittrice termoregolatoria.

Il brivido post-operatorio è una complicanza che può avere conseguenze importanti soprattutto nei pazienti cardiopatici poiché determina un aumento del consumo di ossigeno. Nessuno dei pazienti arruolati nello studio ha presentato questo evento avverso. Questo dato può essere ricondotto al fatto che uno dei principali fattori di rischio per la comparsa di brivido post- operatorio è la giovane età mentre la popolazione arruolata in entrambi i gruppi ha un’età media maggiore di 70 anni. (Eberhart, 2005) Inoltre in nessuno dei due gruppi la temperatura al risveglio è risultata inferiore a 36°C e dalla letteratura sappiamo che il brivido post-operatorio si manifesta con una soglia di risposta di 1°C inferiore rispetto alla soglia della vasocostrizione ( (Jhonson, 2015), per cui occorrono temperature più basse perché si manifesti per motivi legati termoregolazione.

Per quanto riguarda la distribuzione dei sessi nei due gruppi, abbiamo una prevalenza di femmine nel gruppo prewarming ( 9 vs 5), fattore che determinerebbe un incremento del rischio di ipotermia, tuttavia la temperatura perioperatoria media in questo gruppo è risultata mediamente più elevata.

Per quanto riguarda i tempi di risveglio non abbiamo riscontrato differenze significative nei due gruppi.

Limiti del nostro studio sono l’esiguità del campione analizzato e la mancanza di standardizzazione della temperatura ambientale in sala operatoria.

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CONCLUSIONI

In questo nostro studio il prewarming costituisce un metodo valido per il mantenimento della normotermia perioperatoria. Oltre a mantenere i livelli di temperatura più stabili si associa ad un aumento del comfort per il paziente con riduzione dei livelli di ansia, tutto ciò è ottenibile con un minimo sforzo e senza determinare aumento dei costi. Questa esperienza è in accordo con quanto riportato in letteratura e dalle linee guida, dimostrando che tale pratica è valida e andrebbe applicata, quando possibile, a tutti i pazienti da sottoporre a chirurgia maggiore, in particolare in quelli a maggior rischio di sviluppare ipotermia.

Per il futuro il nostro progetto è ampliare il campione esaminato e valutare altre variabili che possono essere legate alla normotermia, quali l’entità delle perdite ematiche perioperatorie e le complicanze postoperatorie.

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