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Valutazione dell'efficacia del pre-warming nel mantenimento della normotermia perioperatoria nei pazienti candidati ad interventi di chirurgia addominale maggiore

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Scuola di specializzazione in Anestesia, Rianimazione, Terapia intensiva e del

dolore

Direttore: Prof. Francesco Forfori

Tesi di laurea specialistica:

VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEL PRE-WARMING NEL MANTENIMENTO DELLA

NORMOTERMIA PERIOPERATORIA NEI PAZIENTI CANDIDATI AD INTERVENTI DI

CHIRURGIA ADDOMINALE MAGGIORE

Candidato: Relatori:

Dr.ssa Camilla Lisorini Prof. Francesco Forfori

Correlatori:

Dr. Paolo Roncucci

Dr. Massimo Frediani

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INDICE

CAPITOLO 1: TERMOREGOLAZIONE

 Cenni di fisiologia della termoregolazione ………pag 3

 Termoregolazione normale ……….pag 5

 Schematizzazione dei meccanismi di controllo centrale ……….pag 12

CAPITOLO 2: TERMOREGOLAZIONE DURANTE ANESTESIA

 Cenni storici ………pag 14

 Termoregolazione durante anestesia generale ……….pag 15

 Termoregolazione durante anestesia neuroassiale ………pag 19

CAPITOLO 3: METODI DI MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA CORPOREA

 Siti di monitoraggio .……….pag 20

 Tipologie di termometri ……….pag 22

 Quando è richiesto il monitoraggio della temperatura ………pag 23

CAPITOLO 4: EFFETTI DELL’IPOTERMIA PERIOPERATORIA ……….pag 24

CAPITOLO 5: FATTORI DI RISCHIO PER LO SVILUPPO DI IPOTERMIA ………..pag 28

CAPITOLO 6: PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELL’IPOTERMIA PERIOPERATORIA ………pag 29

CAPITOLO 7: BUONE PRATICHE CLINICHE SIAARTI ……….pag 37

CAPITOLO 8: STUDIO CLINICO

 Obiettivo dello studio ………..………..pag 40

 Popolazione dello studio ….……….pag 40

 Materiali e metodi ……….pag 41

 Risultati ……….pag 44

 Discussione ……….pag 47

 Conclusioni ………pag 49

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Capitolo 1

CENNI DI FISIOLOGIA DELLA TERMOREGOLAZIONE

La termoregolazione consiste nel mantenimento di una temperatura corporea relativamente costante.

La normale temperatura corporea interna è circa 37°C ed è controllata in un ristretto range (33.2 - 38.2°C) con delle fluttuazioni che avvengono durante il giorno (ritmo circadiano), nel mese (ciclo mestruale), durante la vita (età).

Deviazioni anormali della temperatura corporea anche di un paio di gradi attivano il meccanismo termoregolatorio, ed oscillazioni della temperatura al di fuori del normale possono rilevarsi fatali. Ad esempio, una temperatura maggiore di 42°C comporta citotossicità, denaturazione delle proteine e alterazione della sintesi del DNA che porta all’insufficienza multiorgano; se la temperatura è inferiore a 27°C le alterazioni neuromuscolari, cardiovascolari, ematologiche e respiratorie possono egualmente essere fatali.

Nonostante la necessità di una stretta regolazione della temperatura corporea, gli esseri umani possono sopravvivere in condizioni ambientali avverse estreme attivando la loro capacità di termoregolazione.

Gli uomini sono omeotermi endotermici, ovvero producono il loro stesso calore e possono regolare la propria temperatura. L’elevata temperatura interna è raggiunta principalmente attraverso la produzione di calore data dal metabolismo. Il trasferimento di calore avviene secondo un gradiente termico (da caldo a freddo) attraverso il processo di irraggiamento, conduzione e convezione.

Dal momento che gli uomini sono spesso gli elementi più caldi in un ambiente, la normale direzione del trasferimento del calore è dal corpo all’ambiente circostante. Comunque, alla salita della temperatura centrale, la perdita di calore per evaporazione diventa il principale meccanismo di dissipazione del calore.

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4 Accumulo di calore= metabolismo – lavoro - evaporazione ± irraggiamento ± conduzione ± convezione

Dove:

1. Metabolismo: reazioni chimiche che avvengono nell’organismo e determinano la produzione di calore

2. Lavoro: lavoro esterno compiuto

3. Irraggiamento: con scambio termico per irraggiamento si intende il trasporto di energia sotto forma di calore tramite onde elettromagnetiche. Perché avvenga la trasmissione del calore tra due corpi non è necessaria la presenza di un mezzo trasmissivo interposto. 4. Evaporazione: perdita di calore verso l’ambiente come vapore acqueo dal tratto

respiratorio e dalla superficie cutanea. Il sudore che viene vaporizzato sulla superficie cutanea dipende dai seguenti 3 fattori:

1) La superficie esposta all’ambiente

2) La temperatura e l’umidità dell’aria ambientale

3) Correnti d’aria convettive attorno al corpo

5. Conduzione: movimento del calore da o verso il corpo da oggetti in contatto, senza movimento macroscopico di materia. Solitamente il calore scambiato in questo modo è minimo.

6. Convezione: trasferimento del calore che ha luogo quando almeno uno dei due corpi che si scambiano calore è un fluido (gas o liquido); condizione necessaria perché il fenomeno avvenga è che il fluido sia in moto relativo rispetto all’altro corpo con cui scambia calore. Quando un corpo è caldo, le molecole d’aria a contatto vengono scaldate riducendo la propria densità perciò salgono e vengono sostituite da molecole più fredde. Il trasferimento convettivo del calore è favorito dai movimenti del corpo in aria o in acqua o dai movimenti dell’aria o dell’acqua attraverso la pelle.

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5 La temperatura del corpo non è omogenea. La temperatura centrale riflette la temperatura negli organi profondi (torace, addome, sistema nervoso centrale). La temperatura esterna è influenzata dal flusso di sangue alla cute che aumenta con una elevata temperatura centrale e ambientale; viene solitamente misurata alla cute delle mani e dei piedi. Il rapporto tra superficie e massa di questi siti è alto e questo è un fattore che favorisce il trasferimento di energia termica. Avendo un rapporto superficie-massa più alto, le mani si raffredderanno più rapidamente del dorso. Nonostante ciò la temperatura esterna è un importante indicatore dello status termico dell’organismo. La temperatura esterna è circa 4°C inferiore rispetto a quella interna. In un ambiente caldo la differenza di temperatura tra esterno e interno si riduce poiché il flusso sanguigno alla cute è aumentato e la temperatura cutanea si avvicina a quella ambientale. Solitamente l’essere umano è più caldo dell’ambiente che lo circonda, per cui il flusso di calore si sposta dalla cute all’esterno. Con l’esposizione al freddo il flusso sanguigno alla cute è ridotto determinando riduzione della temperatura esterna e conservazione del calore interno. Il gradiente di temperatura tra il centro e la periferia può essere un utile indice non specifico dello stato termico.

Termoregolazione normale

La temperatura corporea è normalmente strettamente regolata, ancora più rispetto alla pressione arteriosa e alla frequenza cardiaca. Il sistema di controllo è complesso e coinvolge paralleli sistemi a feed-back positivo e negativo, così ampiamente distribuiti che praticamente tutto il sistema nervoso autonomo partecipa in qualche misura. Fin dal 1912 i fisiologi hanno riconosciuto che l’ipotalamo è il principale centro termoregolatorio nei mammiferi, poiché un suo danneggiamento implicava la compromissione del controllo termico (negli uccelli, ad esempio, questa funzione è svolta dal midollo spinale). È interessante notare che ci è voluto circa un altro mezzo secolo prima di capire l’importanza degli input provenienti dalla cute. Adesso è noto che una varietà di segnali provenienti da vari tessuti e strutture contribuiscono ad inviare i segnali all’ipotalamo e che c’è una notevole pre-elaborazione delle informazioni termiche dalla periferia al centro. Perciò la termoregolazione è basata su segnali multipli e ridondanti provenienti da praticamente ogni tipo di tessuto. Il processo di termoregolazione avviene in 3 fasi:

1) segnali termici afferenti; 2) regolazione centrale; 3) risposte efferenti.

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Input afferenti: sebbene tutti i processi fisiologici siano, in una certa misura,

temperatura-dipendenti, ci sono delle cellule specifiche che sono marcatamente attivate o inibite dalle variazioni termiche. L’ipotesi è che queste cellule siano dei sensori di temperatura e sono indicati come cellule sensibili al caldo o al freddo. I recettori al freddo, ad esempio, incrementano la loro attività quando i tessuti si raffreddano mentre il contrario avviene per i recettori al caldo. La cute umana è molto sensibile alla temperatura. Un incremento di temperatura a livello della fronte minimo, come 0.003°C, può essere rilevato. La temperatura cutanea, e soprattutto la capacità di influenzare la risposta termoregolatoria, non è uniforme sulla superficie cutanea. La faccia è circa 5 volte più sensibile di altre aree. La cute è inoltre più sensibile a variazioni termiche rapide rispetto a quelle che avvengono lentamente. I segnali al freddo dalla cute viaggiano principalmente attraverso le fibre nervose del tipo A delta mentre i segnali al caldo sono trasmessi medianti fibre C amieliniche. Fino a poco tempo fa sapevamo poco riguardo a come le fibre A delta e C percepissero effettivamente la temperatura cutanea. Adesso sembra che TRP (Transient Receptor Channels, recettori canale che determinano variazioni transitorie di potenziale) Vanilloide e Mentolo possano essere elementi di rilevamento della temperatura fondamentali sia nella cute che nei gangli dorsali. Questi recettori, che sono stati ben caratterizzati solo negli ultimi anni, sono una famiglia di recettori particolari per avere una sensibilità alla temperatura insolitamente elevata. TRPV1-4 sono recettori attivati dal caldo mentre TRPM8 e TRPA1 sono attivati dal freddo. La maggior parte delle informazioni termiche ascendenti attraversa il fascio spino-talamico nel corno anteriore del midollo spinale, ma nessun singolo tratto è fondamentale per il trasporto delle informazioni termiche. Infatti, recentemente è stata scoperta una via somato-sensitiva afferente attraverso i neuroni parabrachiali che trasmette i segnali direttamente al centro termoregolatorio preottico. Di conseguenza, l’intero cordone anteriore dovrebbe essere distrutto per cancellare la risposta termoregolatoria. L’ipotalamo, altre parti del cervello, il midollo spinale, i tessuti profondi addominali e toracici e la superficie cutanea, ciascuno contribuisce approssimativamente per il 20% dell’input totale al sistema regolatorio centrale. Per cui, anche se l’ipotalamo è il più importante e preciso controllore termico, la sua temperatura di per sé non è particolarmente importante.

Controllo centrale: il modello termoregolatorio più semplice è il sistema “set-point”, nel

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7 alla temperatura ipotalamica. Questo modello è risultato inadeguato per vari motivi: 1) le risposte sono determinate dagli input termici provenienti da praticamente ogni parte del corpo, 2) le risposte non avvengono simultaneamente e alla stessa temperatura, 3) il modello non incorpora una “zona nulla” nella quale non avvengono risposte termoregolatorie, 4) questo modello non spiega l’adattamento termico e una miriade di altri fenomeni osservati.

Un modello alternativo è il “modello termoregolatorio centrale”: in questo modello gli input termici dai tessuti di tutto il corpo sono integrati in vari centri (tra cui il midollo spinale e il tronco encefalico) di cui il più importante è l’ipotalamo. Risposte individuali sono coordinate in base alle medie ponderate dei diversi input. La temperatura è regolata da strutture centrali che comparano input termici integrati dalla superficie cutanea, dal nevrasse e dai tessuti profondi con soglie per ciascuna risposta termoregolatoria. L’input termico è integrato a vari livelli nel nevrasse ma nei mammiferi il controllo principale è nell’ipotalamo, con il controllo autonomico collocato nel nucleo anteriore e il controllo comportamentale in quello posteriore. Il controllo autonomico è determinato per l’80% dagli input provenienti dalle strutture centrali, mentre circa la metà dell’input che controlla le risposte comportamentali proviene dalla superficie cutanea. L’organismo tollera un intervallo di temperature nel quale le risposte autonomiche (al caldo e al freddo) non vengono attivate, questo intervallo è normalmente di circa 0.2°C. L’intervallo inter-soglia (temperatura centrale che non innesca le risposte termoregolatorie autonomiche) è delimitato alla sua estremità superiore dalla soglia della sudorazione e a quella inferiore dalla soglia del brivido. Entro questo intervallo le temperature sono percepite accuratamente ma non innescano risposte regolatorie. Normalmente questo intervallo è di soli 0.2 - 0.4°C. In quale modo l’organismo determini la soglia assoluta di temperatura non è completamente noto ma sembra coinvolgere potenziali postsinaptici inibitori nei neuroni ipotalamici che sono modulati da noradrenalina, dopamina, acetilcolina, prostaglandina E1 e neuropeptidi. Le soglie variano giornalmente da 0.5°-1°C (ritmo circadiano) e approssimativamente 0.5°C con il ciclo mestruale nelle donne. L’esercizio, la nutrizione, le infezioni, l’ipotiroidismo, l’ipertiroidismo, i farmaci (tra cui alcol, sedativi e nicotina) alterano la soglia, ma ciascuno di questi effetti è minimo se paragonato alla profonda alterazione determinata dall’anestesia generale. Evidenze mostrano che le temperature centrali e periferiche influenzano circuiti effettori individuali indipendentemente. I neuroni

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8 termocettivi sono attivati quando viene raggiunta la soglia di temperatura di quel neurone e il potenziale d’azione ascende tramite sinapsi all’area preottica ipotalamica. Questi segnali agiscono su diverse vie effettrici. Le risposte al freddo, in generale, sono più sensibili alla temperatura cutanea (riflettendo la preponderanza di recettori al freddo), mentre le risposte al caldo sono più sensibili alla temperatura centrale (dove i recettori al caldo sono più numerosi).

Esistono infatti variazioni distinguibili nella sensibilità dei meccanismi di specifici effettori tra la periferia e il centro. Ad esempio, la risposta caratterizzata da brivido e attivazione del tessuto adiposo bruno è più reattiva alla temperatura cutanea comparata con quella della vasomotilità che è più influenzata dalla temperatura interna. Ci sono evidenze che i circuiti effettori hanno soglie di temperatura distinte. Il contributo di tutti i pathway effettori relativamente indipendenti, contribuisce collettivamente al determinare la temperatura di equilibrio di 37°C. In questo modo, il concetto di set point è stato aggiornato in un modello più sfumato e il termine di “punto di equilibrio” al posto di set point è stato proposto come alternativo.

Il modello termoregolatorio è complicato dalle interazioni con altre risposte regolatorie (ad esempio il controllo del volume vascolare). Un’area di continuo interesse per i fisiologi è come gli esseri umani gestiscano stress ambientali che normalmente provocherebbero risposte compensatorie opposte. Ad esempio, il colpo di calore si manifesta con disidratazione in un ambiente eccessivamente caldo. La disidratazione normalmente attiverebbe i meccanismi di ritenzione d’acqua, mentre l’ipertermia determinerebbe sudorazione. Il colpo di calore si sviluppa infatti solitamente poiché il corpo non riesce a compensare adeguatamente le due alterazioni.

Risposte efferenti

1. Vasomotilità: in risposta ad un aumento o diminuzione della temperatura ambientale o interna, il flusso sanguigno cutaneo si modifica con una vasodilatazione o vasocostrizione mediata dal sistema autonomo. Il calore viene dissipato dal corpo quando il sangue è in prossimità della superficie cutanea, ciò si verifica mediante la vasodilatazione. La vasocostrizione cutanea, il più importante meccanismo effettore autonomico, riduce questa perdita. Quando si verifica vasocostrizione in risposta al freddo, il sangue è deviato lontano dalla superficie

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9 cutanea verso le vene profonde. In questo modo il calore viene conservato e si verifica un maggior gradiente tra centro e periferia. Il flusso sanguigno digitale totale si suddivide in nutritivo (principalmente capillare) e termoregolatorio (principalmente shunt arterovenosi). Circa il 10% della portata cardiaca attraversa gli shunt arterovenosi, di conseguenza la vasocostrizione di questi aumenta la pressione arteriosa media di circa 15mmHg. Gli shunt arterovenosi sono collocati solo alle estremità (dita delle mani e dei piedi, naso). Questi vasi specializzati nella termoregolazione sono sotto controllo alfa adrenergico e vengono vasocostretti dal rilascio di noradrenalina dal sistema nervoso simpatico. I fattori circolanti sembrano avere una minima influenza diretta sebbene ormoni come l’angiotensina sono noti facilitare la risposta ad un dato stimolo simpatico. La maggior parte dei vasi si contrae in risposta ad una ipotermia locale ma gli shunt arterovenosi sono relativamente resistenti alle variazioni di temperatura regionali e sembrano essere controllati quasi esclusivamente dallo stato termoregolatorio centrale. La cute non glabra è innervata sia da fibre noradrenergiche (vasocostrizione) sia fibre colinergiche (vasodilatazione). La cute glabra (presente ad esempio a livello dei palmi e delle labbra) è innervata solo da fibre vasocostrittrici. In condizioni di normotermia c’è un tono vasocostrittore basale. A livello della cute glabra la principale risposta al calore è l’aumento del flusso ematico mediante la vasodilatazione passiva determinata da una riduzione del tono simpatico. La presenza di numerose anastomosi arterovenose nella cute glabra può portare a importanti cambiamenti del flusso in queste regioni: ad esempio, con il calore si aprono le anastomosi arterovenose per cui il sangue passa direttamente dalle arterie alle vene, bypassando i circoli ad elevata resistenza di arteriole e capillari. A livello della cute non glabra, se la perdita di calore convettiva derivante dalla riduzione del tono vasocostrittore non è sufficiente a raffreddare il centro, allora un ulteriore aumento del flusso sanguigno cutaneo si può verificare mediante la vasodilatazione attiva, incrementando così la perdita convettiva di calore. Il più importante mediatore chimico per la vasodilatazione attiva è l’acetilcolina.

2. Regolazione comportamentale: quando le risposte autonomiche non sono sufficienti a mantenere la temperatura centrale, le risposte comportamentali diventano cruciali per la sopravvivenza. Vi sono diverse forme che consistono in

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10 manovre semplici come lo spostarsi verso zone ombreggiate, vestire indumenti più caldi o utilizzare condizionatori. Le risposte comportamentali richiedono la percezione cosciente della temperatura corporea. Gli esseri umani sembrano percepire scarsamente la temperatura centrale mentre minime modifiche della temperatura cutanea sono facilmente percepite.

3. Termogenesi senza brivido: consiste nell’ aumento dell’attività metabolica non associata all’attività muscolare. Questo incremento avviene principalmente nel tessuto adiposo specializzato chiamato grasso bruno, localizzato soprattutto a livello interscapolare e nell’area perirenale, la cui colorazione è determinata dalla elevata presenza di ferro associato ai citocromi nei mitocondri. Questo tessuto è specializzato nel processo di termogenesi non da brivido mediante metabolismo ossidativo non accoppiato alla produzione di ATP, processo nel quale vi è dispersione di energia. Questo tessuto è termogenico aumentando il tasso metabolico. Fino a poco tempo fa si pensava che il tessuto bruno avesse importanza solo nei piccoli mammiferi e nei neonati. Recentemente è stato dimostrato il suo ruolo anche nella termogenesi degli adulti. L’attività del sistema nervoso simpatico, in risposta ad impulsi provenienti dai termocettori centrali e periferici, può stimolare la termogenesi del tessuto adiposo bruno.

4. Brivido: quando l’organismo è esposto a temperature lievemente fredde, conserva il calore mediante l’attivazione di meccanismi come la vasocostrizione e la piloerezione, che sono energicamente non dispendiosi. Se queste misure non sono sufficienti per mantenere la temperatura, si ha l’attivazione del brivido. La comparsa del brivido è utilizzato come indicatore che è avvenuto il grado massimo di vasocostrizione. Viene iniziato dall’area preottica ipotalamica mediante la corteccia motoria somatica in risposta a segnali dai recettori al freddo, a livello della cute in particolare. Perciò lo stimolo per il brivido è dato dalla temperatura cutanea piuttosto che dalla temperatura interna. Il brivido consiste nella contrazione rapida, oscillante, involontaria della muscolatura scheletrica. Viene idrolizzato ATP ma non viene prodotto lavoro attraverso la contrazione, per cui l’energia prodotta è rilasciata sotto forma di calore, determinandone l’aumentata produzione del 50-500%.

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11 5. Piloerezione: i muscoli erettori dei peli sono innervati dal sistema nervoso autonomo. In risposta all’aumento della scarica nervosa simpatica i muscoli erettori dei peli si contraggono e i peli si ergono intrappolando l’aria, aumentando perciò lo strato isolante di aria attorno al corpo e minimizzando la perdita di calore. Questo fenomeno si chiama piloerezione. Poiché gli esseri umani hanno solo pochi peli e sono solitamente vestiti, la conservazione di calore mediante piloerezione è solitamente considerata insignificante. Tuttavia, può essere più rilevante in associazione al brivido, aumentando potenzialmente l’efficacia della risposta con il brivido.

6. Sudorazione: la sudorazione e la conseguente evaporazione sono le principali modalità di perdita di calore quando la temperatura ambientale sale e durante l’esercizio. Infatti, il raffreddamento per evaporazione è l’unico meccanismo di perdita di calore quando la temperatura ambientale supera quella corporea. L’esposizione ad un ambiente caldo o l’esercizio fisico determinano un aumento della temperatura centrale e periferica che determinano entrambe aumento della sudorazione. La soglia per la sudorazione normalmente supera la soglia per la vasocostrizione di circa 0.2°C. Comunque, è noto che la sudorazione inizia entro pochi secondi dall’inizio dell’esercizio, prima di un qualsiasi cambiamento della temperatura interna misurabile. Il sudore viene rilasciato dalle ghiandole endocrine che sono distribuite in largo numero su tutta la superficie del corpo. La sudorazione è mediata dall’attivazione delle fibre colinergiche simpatiche. L’evaporazione del sudore permette il trasferimento del calore nell’ambiente così come il vapore acqueo dal tratto respiratorio e dalla cute. La maggiore limitazione nell’abilità a mantenere la temperatura corporea a fronte di un cambiamento ambientale è la disponibilità d’acque per la produzione di sudore.

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Schematizzazione dei meccanismi di controllo centrale:

I neuroni sensibili al freddo nel nucleo preottico mediano sono attivati da afferenze cutanee/viscerali così come dalla diretta stimolazione dei neuroni del nucleo stesso. Questi neuroni inibitori attivati proiettano all’ipotalamo mediano preottico. Nel caso del controllo neurale dei vasi sanguigni, questi neuroni inibitori attivati riducono l’attività nelle proiezioni inibitorie al nucleo pallido del rafe. La disinibizione permette la piena espressione dell’attività in corso del flusso simpatico vasocostrittore (attraverso il midollo spinale e le fibre simpatiche pre e post gangliari). Allo stesso modo, la disinibizione si verifica nel flusso al muscolo scheletrico e al tessuto adiposo bruno ma a livello dell’ipotalamo dorso mediale, permettendo l’attività senza ostacoli dei neuroni derivanti dall’ipotalamo dorsomediale e che proiettano a questi target attraverso il nucleo pallido del rafe. Ciò determina la produzione di calore nel muscolo scheletrico mediante il brivido e l’aumento del metabolismo nel tessuto adiposo bruno (vedi Fig 1).

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13 I neuroni sensibili al caldo nel nucleo preottico mediano sono attivati dalle afferenze cutanee-viscerali così come dalla stimolazione diretta dei neuroni del nucleo stesso. Questi neuroni proiettano al nucleo preottico ipotalamico mediale dove attivano l’input inibitorio che viaggia verso il nucleo pallido del rafe attraverso l’ipotalamo dorso mediale. Infine, questo segnale inibitorio rallenta o ferma l’attività in atto dei neuroni che proiettano al midollo spinale per controllare l’output ai vasi sanguigni cutanei; tessuto adiposo bruno e muscolo scheletrico (vedi Fig 2). (Jhonson, 2015) (Daniel I. Sessler, 2008).

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Capitolo 2

TERMOREGOLAZIONE DURANTE ANESTESIA

Cenni storici

Fino agli anni ’80 l’ipotermia era considerata una normale conseguenza della chirurgia e non si pensava fosse particolarmente dannosa. Solo pochi pazienti venivano scaldati, e comunque con metodiche relativamente inefficaci. La temperatura centrale dopo chirurgia addominale maggiore era tipicamente intorno a 34.5°C. A quei tempi c’erano circa una trentina di articoli riguardo alla temperatura e l’anestesia, la maggior parte review della stessa persona. Tutti questi portavano le medesime conclusioni: 1) l’anestesia elimina le difese termoregolatrici, rendendo i pazienti poichilotermici, 2) i pazienti diventano freddi durante la chirurgia per l’eccessiva perdita di calore, 3) la ripresa postoperatoria del controllo termoregolatorio scatena il brivido che è anche l’unica seria complicanza dell’ipotermia perioperatoria. Nessuna di queste conclusioni era basata su dati. Il primo vero studio sulla termoregolazione è stato pubblicato su Anesthesiology nel 1988. Ci sono diversi aspetti interessanti in questo studio. Primo fra tutti, ha dimostrato che i mammiferi anestetizzati non sono poichilotermici, infatti dopo la somministrazione di alotano la risposta vasocostrittrice al freddo avviene ma non fino a che la temperatura centrale raggiunge i 34.4°C ± 0.2°C (normalmente avviene intorno ai 36.5°C). Un altro aspetto importante emerso da questo studio è stata la dimostrazione che la temperatura centrale si stabilizza quando si verifica la vasocostrizione. Perciò la vasocostrizione termoregolatoria è un importante evento durante l’anestesia e previene l’instaurarsi di ulteriore ipotermia.

A questo articolo sono seguiti centinaia di studi legati alla temperatura. Tutti questi studi concordano sul fatto che tutti gli anestetici indeboliscono il controllo termoregolatorio ma i pazienti rispondono costantemente a variazioni sufficienti della temperatura centrale e periferica. (Daniel I. Sessler, The thermoregulation Story, 2013)

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Termoregolazione durante anestesia generale

L’instaurazione di un’ipotermia intraoperatoria accidentale, il più delle volte moderata (≈34– 35 °C), è abituale in assenza di mezzi di prevenzione.

I pazienti anestetizzati non possono attivare le risposte comportamentali per cui restano affidati alle difese autonomiche e alla gestione esterna. Tutti gli anestetici generali, inoltre, indeboliscono il normale controllo termoregolatorio autonomico. L’alterazione indotta dagli anestetici ha una forma specifica: la soglia di risposta al caldo è leggermente elevata mentre la soglia di risposta al freddo è marcatamente ridotta. Di conseguenza l’intervallo tra le soglie aumenta 10 volte fino a circa 2° - 4°C.

 Soglie di risposta: propofol, alfentanil, dexmedetomidina, isoflurano, desflurano aumentano tutti la soglia di sudorazione leggermente. Per cui le risposte al caldo sono ben preservate durante l’anestesia generale. Di conseguenza, una ipertermia non voluta durante il riscaldamento con aria calda forzata è relativamente rara poiché i pazienti sono in grado di dissipare il calore in eccesso nel microambiente asciutto convettivo. Sono meno protetti dall’ipertermia con gli indumenti ad acqua circolante che non solo trasferiscono più calore ma sono impermeabili all’umidità impedendo perciò la perdita di calore con l’evaporazione. Propofol, alfentanil e dexmedetomidina producono una marcata riduzione lineare nelle soglie di vasocostrizione e di brivido. Invece isoflurano e desflurano riducono la risposta al freddo in modo non lineare. Di conseguenza gli anestetici inalatori inibiscono la vasocostrizione e il brivido meno del propofol a basse concentrazioni ma maggiormente ai tipici dosaggi anestetici. È interessante notare che la differenza di circa 1°C tra le soglie di vasocostrizione e brivido è mantenuta anche con l’anestesia generale. Uniche eccezioni: nefopam e meperidina i quali riducono la soglia del brivido due volte di più rispetto a quella vasocostrittrice. Midazolam ai dosaggi usati comunemente influenza minimamente il controllo termoregolatorio. La stimolazione dolorosa incrementa leggermente la soglia di vasocostrizione. La pressione positiva di fine espirazione aumenta la soglia di vasocostrizione.

 Pendenza dell’intensità della risposta e risposta massima: sia la pendenza che la massima intensità della sudorazione restano normali con isoflurano ed enflurano. Invece la pendenza della vasocostrizione degli shunt arterovenosi è ridotta di tre volte

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16 durante l’anestesia con desflurano anche se la massima intensità resta invariata. Per cui gli anestetici volatili non soltanto riducono marcatamente la soglia vasocostrittiva ma, una volta stimolata, occorre il triplo di ipotermia per raggiungere la vasocostrizione massima. Fortunatamente il massimo di intensità viene raggiunto ed è efficace per prevenire ulteriore ipotermia. Il brivido è raro con le normali dosi di anestetici, il che è coerente con la sua soglia di attivazione che è circa 1°C inferiore rispetto a quella vasocostrittiva. La ragione è che la vasocostrizione è efficace nel contrastare la perdita di calore e previene l’instaurarsi di ulteriore ipotermia. Di conseguenza è raro, anche per un paziente non scaldato diventare freddo abbastanza da indurre brivido. Quindi, la sudorazione è la difesa termoregolatoria meglio preservata durante l’anestesia. Non solo la soglia è solo leggermente aumentata ma la pendenza e la massima intensità sono conservati. Al contrario le soglie per la vasocostrizione e il brivido sono marcatamente ridotte per cui queste risposte sono meno efficaci.

Si possono individuare 3 fasi nell’ipotermia che accompagna l’anestesia generale:

FASE 1: avviene durante la prima ora di anestesia generale e l’80% del calo della

temperatura (0.5-1.5°C) si verifica in questa fase. All’induzione dell’anestesia generale si ha la perdita della vasocostrizione termoregolatoria con dilatazione degli shunt arterovenosi e ridistribuzione del calore dal centro alla periferia. Il grado di ridistribuzione è proporzionale al gradiente tra centro e periferia; si tratta pertanto non di una vera e propria perdita di calore, quanto di una ridistribuzione dal centro alla periferia che si verifica come risultato dell’azione vasodilatatrice degli anestetici generali (vedi fig 3). Di conseguenza il comparto periferico divenuto più caldo è a maggior rischio di perdere calore nell’ambiente freddo della sala operatoria.

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17 Figura 3. Variazioni nella distribuzione del calore nel paziente anestetizzato

FASE 2: avviene nelle successive 2-4 ore di anestesia. La lenta riduzione lineare della

temperatura centrale rappresenta la perdita di calore che eccede la produzione metabolica (DI, Sessler DI. Perioperative thermoregulation and heat balance, 2016).

FASE 3: fase di plateau che si verifica dopo 2-4 ore; l’ipotermia si stabilizza poiché la

temperatura centrale si abbassa abbastanza (33-35°C) da innescare la soglia della vasocostrizione termoregolatoria. (DI, 2016)

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Modalità di perdita di calore nell’ambiente

La perdita di calore nell’ambiente avviene attraverso diverse vie.

La più significativa (85%) avviene attraverso il processo di irraggiamento e convezione:

 Irraggiamento: con scambio termico per irraggiamento si intende il trasporto di energia sotto forma di calore tramite onde elettromagnetiche.

Perché avvenga la trasmissione del calore tra due corpi non è necessaria la presenza di un mezzo trasmissivo interposto, ma la si può ottenere anche attraverso il vuoto. La ridistribuzione che si verifica dopo l’induzione facilita questa modalità di perdita di calore.

 Convezione: è il tipico modo di scambio termico tra un corpo solido ed un fluido in movimento che ne lambisce la superficie ed è quindi vincolato al trasporto di materia. Normalmente, un sottile strato di aria immobile adiacente alla cute agisce come un isolante e limita la perdita di calore conduttiva alle molecole d'aria circostanti. Quando le correnti d'aria interrompono questo strato, le proprietà isolanti sono marcatamente diminuite e la perdita di calore aumenta (è la base del raffreddamento del vento). Nelle sale operatorie tipicamente c’è un ricambio d’aria maggiore (circa 15 volte all’ora anziché 4); questo movimento minimamente percettivo dell'aria fa sì che questi ambienti si sentano soggettivamente più freddi. I teli chirurgici fungono da isolanti termici per ridurre al minimo la perdita di calore per convezione, nonostante ciò, la perdita di calore per convezione è considerata la seconda fonte più significativa di perdita di calore in sala operatoria dopo l’irraggiamento ed avviene in particolare attraverso la ferita chirurgica.

 Conduzione: la conduzione termica si manifesta come scambio di energia termica all’interno di corpi o tra corpi solidi, liquidi o gassosi, in contatto tra di loro, senza movimento macroscopico di materia. Lo scambio termico è dovuto alla cessione di energia cinetica molecolare da zone ad alta temperatura verso zone adiacenti a più bassa temperatura. La velocità di trasferimento del calore dipende dalla differenza di temperatura tra i 2 mezzi e dalla conduttività termica del materiale. La conduzione svolge un ruolo minore nella perdita di calore durante l'intervento chirurgico perché il paziente è in contatto diretto con il materasso isolante in schiuma sul tavolo operatorio.

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 Evaporazione: formazione di vapore da un liquido. Ciò avviene sulla superficie di un liquido in cui le molecole con la più alta energia cinetica sono in grado di fuoriuscire, riducendo l'energia cinetica e diminuendo la temperatura. Questo tipo di perdita di calore si verifica in genere quando vengono applicate soluzioni di preparazione sterili. Possono contribuire anche le perdite dalle ferite chirurgiche. (Daniel I. Sessler, Temperature Monitoring and Perioperative Thermoregulation, 2008) (Jhonson, 2015), (Torossian A, 2015)

Riassumendo: i pazienti chirurgici sono poco coperti, esposti ad un ambiente freddo, bagnati con

soluzioni che evaporano, inoltre la chirurgia di per sé aumenta la perdita di calore con l’incisione e l’anestesia generale riduce il tasso metabolico. Tuttavia, anche la combinazione di questi fattori raramente produrrebbe ipotermia in soggetti con difese termoregolatorie intatte. L’indebolimento del controllo termoregolatorio indotto dagli anestetici è la principale causa dell’ipotermia perioperatoria.

Termoregolazione durante anestesia neuroassiale

Anche l'anestesia neurassiale disturba la termoregolazione fisiologica, ma con un meccanismo diverso rispetto agli anestetici generali. L'anestesia epidurale e spinale diminuiscono le soglie di brivido e vasocostrizione di circa 0,6 ° C. Gran parte della regolazione della temperatura interna dipende in realtà dall'afflusso di calore proveniente dai sensori della cute nelle gambe. Nell'anestesia regionale, tuttavia, l'input termico viene arrestato in tutte le regioni bloccate. La risultante assenza di segnalazione al freddo viene interpretata centralmente come relativo riscaldamento delle gambe che alla fine riduce le soglie di brividi e di vasocostrizione. Quindi, un paziente sottoposto ad anestesia regionale si percepisce come caldo quando viene effettivamente raffreddato. L'anestesia neurassiale è spesso integrata con sedativi e analgesici che compromettono ulteriormente il controllo termoregolatore. L’alterazione autonomica è combinata con una alterazione della regolazione comportamentale così che i pazienti non riconoscono di essere ipotermici. Il risultato è che i pazienti tipicamente sono ipotermici senza saperlo. (Daniel I. Sessler, 2008) (Rajagopalan S, 2008).

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Capitolo 3

METODI DI MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA CORPOREA

Siti di monitoraggio

Il comparto termico centrale è composto da tessuti altamente perfusi la cui temperatura è uniforme ed elevata se comparata con il resto del corpo. I siti che forniscono la temperatura di questo compartimento in maniera più precisa sono: l’arteria polmonare, l’esofago distale, il nasofaringe e la membrana timpanica.

1. Arteria polmonare: i cateteri in arteria polmonare misurano direttamente la temperatura centrale. Tuttavia, vista l’elevata invasività e i costi, il loro utilizzo è riservato a casi selezionati che richiedono un monitoraggio invasivo.

2. Esofago: la temperatura esofagea distale è ottima ma può essere inficiata dall’uso di gas umidificati se la sonda non è posizionata abbastanza in profondità e può essere alterata durante la chirurgia cardiotoracica. Le sonde della temperatura incorporate nello stetoscopio esofageo devono essere posizionate nel punto di massima udibilità dei toni cardiaci o più distalmente per avere letture accurate.

3. Nasofaringe: la temperatura nasofaringea è misurata posizionando la sonda esofagea superiormente al palato molle, in questo modo la sonda è posizionata vicino al cervello. Tuttavia, la temperatura può essere alterata dai gas inspirati per cui risultano accurate solo nei pazienti che non respirano attraverso le narici.

4. Membrana timpanica: studi hanno rilevato che la misurazione della temperatura timpanica mediante termistore è altamente affidabile ed è il metodo preferibile nel preoperatorio. La membrana timpanica è vicina all’arteria carotide e all’ipotalamo. Le moderne termocoppie timpaniche sono soffici e flessibili; c’è perciò un rischio basso di perforazione. Inserire una sonda timpanica, tuttavia, non è semplice, soprattutto nei soggetti coscienti poiché il canale auricolare è lungo diversi centimetri e non è rettilineo.

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21 Poiché questi siti non sempre sono facilmente accessibili, la temperatura centrale può essere stimata con ragionevole accuratezza mediante dei siti alternativi: bocca, ascella, vescica, retto e superficie cutanea. Ognuno di questi ha delle distinte limitazioni ma possono essere usati in appropriate circostanze.

1. La temperatura orale: non è adatta nei pazienti che respirano attraverso le loro bocche o hanno recentemente ingerito liquidi caldi o freddi.

2. La temperatura ascellare è ragionevolmente accurata in modo particolare quando la sonda è collocata correttamente sull’arteria ascellare e il braccio è tenuto sul fianco del paziente. 3. La misurazione vescicale della temperatura è poco attendibile se il flusso urinario è basso,

altrimenti è un sito piuttosto affidabile. La temperatura vescicale eguaglia la temperatura rettale quando il flusso urinario è basso e quella polmonare quando è alto. Poiché la temperatura vescicale è fortemente influenzata dal flusso urinario, può risultarne difficoltosa l’interpretazione in questi pazienti.

4. la temperatura rettale correla bene con la temperatura centrale, tuttavia non aumenta in modo appropriato durante le crisi di ipertermia maligna.

5. Le temperature della superficie cutanea sono inferiori rispetto alla temperatura centrale. La temperatura della fronte ad esempio è tipicamente 2°C inferiore rispetto al centro. Anche l’intensa vasodilatazione associata alla sudorazione e la vasocostrizione associata al brivido altera solo leggermente il gradiente di temperatura tra centro e fronte. La temperatura cutanea è determinata dall’equilibrio tra il calore fornito dai tessuti sottocutanei e la perdita di calore verso l’ambiente. La dissipazione di calore dalla superficie cutanea, principalmente per irraggiamento e convezione, dipende dalla temperatura ambientale. La temperatura della cute della fronte è perciò una misura della temperatura centrale sorprendentemente accurata fino a che viene inclusa la compensazione di 2°C. Un caso particolare di monitoraggio della temperatura cutanea sono i termometri dell’arteria temporale. Si tratta di termometri infrarossi collocati nella regione dell’arteria temporale: il sangue dell’arteria è vicino alla temperatura centrale perciò la temperatura registrata è approssimabile alla temperatura centrale. Sebbene la teoria sulla quale si basano è invitante questi dispositivi sono inaccurati per l’uso clinico.

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Tipologie di termometri

I termometri al mercurio sono lenti e poco maneggevoli. I più comuni termometri elettronici sono quelli a termistore e termocoppia I termistore sono semiconduttori sensibili alla temperatura mentre le termocoppie dipendono dalla corrente minuscola generata quando metalli dissimili vengono uniti. Entrambi i dispositivi sono sufficientemente affidabili per l’uso clinico e abbastanza economici.

Termometri infrarossi lavorano misurando l’energia infrarossa emessa da tutte le superfici sopra lo zero assoluto. Possono pertanto essere usati senza venire a contatto con la superficie in questione. Quando i segnali infrarossi provengono realmente dalla membrana timpanica il risultato è la temperatura centrale. Tuttavia, circa tutti i sistemi disponibili sono troppo larghi per adattarsi a più di pochi millimetri nel canale auricolare e non “vedono” niente vicino alla membrana timpanica. Per come vengono usati (dentro il canale auricolare o vicino all’arteria temporale) i sistemi infrarossi non sono sufficientemente accurati per l’uso clinico.

Un metodo interessante per misurare la temperatura centrale dalla superficie cutanea è rappresentato da una tecnica che combina un riscaldatore con un trasduttore di flusso termico. Il riscaldatore è servocomandato fino a che il flusso è zero. A quel punto il calore e la temperatura cutanea sono per definizione uguali poiché vi sarebbe altrimenti un flusso di calore. Per lo stesso motivo non c’è flusso di calore dalla cute ai tessuti più profondi, altrimenti il calore si accumulerebbe (cosa che viola la seconda legge della termodinamica). Questa logica trascura la convezione la convezione laterale di calore trasmessa dal sangue ma in pratica questi termometri determinano accuratamente la temperatura dei tessuti fino a circa un centimetro al di sotto della superficie cutanea. In molte parti del corpo, principalmente il torace e la fronte, un centimetro è sufficiente per approssimare la temperatura centrale. (Insler SR, 2006) (Dybwik K, 2003) (Hooper V D, 2006) (Ikeda T, 1997) (MynY D, 2005)

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Quando è richiesto il monitoraggio della temperatura:

Il monitoraggio della temperatura centrale è appropriato durante la maggior parte delle anestesie generali poiché permette il riscontro di condizioni di ipo o ipertermia intraoperatorie.

L’ipertermia maligna è una rara complicanza dell’anestesia generale; si tratta di una affezione genetica della muscolatura striata che si manifesta clinicamente con un grave quadro di catabolismo muscolare, quando i soggetti suscettibili vengono esposti ai farmaci trigger (Succinilcolina e Alogenati). Viene meglio identificata attraverso la tachicardia e l’aumento della CO2 di fine espirazione (EtCO2) in proporzione alla ventilazione minuto; sebbene il rialzo della temperatura non sia il primo segno di ipertermia, costituisce un elemento per la diagnosi. Assume pertanto particolare importanza monitorare la temperatura intraoperatoria nei soggetti a rischio, ovvero i pazienti nei quali emergono dall’anamnesi anestesiologica elementi di sospetto come episodi certi o sospetti di ipertermia maligna e morti perianestetiche inspiegabili nei familiari, precedente reazione avversa all’anestesia, sospetta per ipertermia maligna, precedenti complicanze nel postoperatorio riferibili ad ipertermia maligna (febbre elevata ad insorgenza precoce senza cause identificabili, reazioni con rabdomiolisi, etc..), rabdomiolisi dopo sforzi anche modesti, storia personale di crampi intensi, frequenti e facile faticabilità, affezioni neuromuscolari note o sospettabili, precedente episodio di sindrome maligna da neurolettici.

Più comune rispetto all’ipertermia maligna è l’ipertermia intraoperatoria da altre eziologie tra cui riscaldamento eccessivo, febbre di natura infettiva, sangue nel quarto ventricolo e trasfusioni ematiche non compatibili. Il disturbo più comune dello stato termico perioperatorio è l’ipotermia. La temperatura dovrebbe comunque essere monitorata nella maggior parte dei pazienti da sottoporre ad interventi la cui durata superi i 30 minuti e in tutti quelli che superano un’ora. Poiché l’anestesia neuroassiale altera le risposte comportamentali termoregolatorie (ad esempio la sensazione di freddo), pazienti e medici spesso non realizzano quando si verifica ipotermia. Per questo motivo la temperatura centrale andrebbe misurata anche nei pazienti a rischio di diventare ipotermici durante l’anestesia neuroassiale. (Daniel I. Sessler, Temperature Monitoring and Perioperative Thermoregulation, 2008).

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Capitolo 4

EFFETTI DELL’IPOTERMIA PERIOPERATORIA

L’ipotermia accidentale è un evento che si verifica frequentemente nei pazienti sottoposti ad interventi chirurgici.

Con il termine ipotermia intendiamo una TC inferiore a 36°C:

 Ipotermia lieve 36 - 35°C

 Moderata 32 - 34°C

 Severa <32°C (mortalità del 21%).

Ricerche dimostrano che anche una lieve ipotermia può essere associata a significativi effetti dannosi a vari livelli (sistema cardiovascolare, respiratorio, coagulativo, immunitario) oltre a causare discomfort al paziente e aumento dei tempi di metabolizzazione dei farmaci. Complessivamente ciò determina un aumento dei tempi di ospedalizzazione, un aumento della mortalità ed infine un aumento dei costi.

o AUMENTO DEL TASSO DI INFEZIONE CHIRURGICA:

Le infezioni del sito chirurgico (ISC) si verificano in una percentuale di pazienti che varia dal 2-5% e sono legate ad un aumento della mortalità da 2 a 10 volte; inoltre ogni ISC aumenta la durata dell’ospedalizzazione di circa 7-11 giorni e comporta un aumento dei costi. Prevenire l’ipotermia è stato dimostrato ridurre la possibilità che si verifichino del 64%. Le linee guida per la prevenzione delle ISC stabilite dalla “Association for Professional in Infection Control and Epidemiology” includono la prevenzione dell’ipotermia. (Mangram AJ, 1999). Studi effettuati sulla chirurgia del colon hanno dimostrato che anche piccole cadute della temperatura centrale triplicano il rischio di infezioni e aumentano la degenza ospedaliera del 20%. L’ipotermia causa vasocostrizione che determina ipossia tissutale e può causare ritardo nella guarigione delle ferite. Inoltre, l’ipotermia inibisce la funzione dei neutrofili e riduce l’efficacia dei macrofagi e dei linfociti predisponendo il paziente a infezioni del sito chirurgico. Nello sviluppo di queste infezioni sono coinvolte anche un’altra serie di variabili oltre all’ipotermia, alcune legate al paziente (età, compromissione sistema immunitario, diabete, infezioni pregresse non trattate, stato nutrizionale, uso di nicotina, obesità, uso di steroidi, durata della chirurgia), altre legate alla procedura (igiene delle mani, adeguata profilassi antibiotica,

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25 antisepsi chirurgica, caratteristiche della sala operatoria come la ventilazione e la sterilizzazione, tecnica chirurgica). Inoltre, è stato mostrato che evitare l’ipotermia tissutale con il riscaldamento riduce significativamente il rischio di piaghe da decubito. (Macario A, 2002) (Feinstein L, 2010) (Leslie K, 2003) (Kurz A, 1996)

o COAGULOPATIA:

L’ipotermia è causa di aumento del sanguinamento chirurgico. Questa reazione è il risultato di 3 diversi meccanismi nella coagulazione sistema: 1) funzione piastrinica, 2) cascata della coagulazione e 3) fibrinolisi. I difetti indotti dal freddo sulla funzione piastrinica derivano da livelli ridotti di trombossano B2 nel sito di danno tissutale. L' ipotermia inoltre altera direttamente la funzione enzimatica dipendente dalla temperatura nella cascata della coagulazione. È interessante notare che queste perturbazioni nella coagulazione non saranno evidenti durante lo screening di routine della coagulazione perché questi test sono eseguiti a 37°C. Quando i test vengono eseguiti a temperature ipotermiche, tuttavia, il difetto diventa evidente. La fibrinolisi è potenziata dall'ipotermia. Inoltre, l’ipotermia aumenta la viscosità del sangue con il rischio di formazione di coaguli ed emboli. Anche una riduzione della temperatura corporea di 0.5°C è stato dimostrato avere un effetto fisiologico sulla perdita ematica. (Tsuei BJ, 2004) (Rajagopalan S, 2008) (Winkler M, 2000)

o ALTERAZIONE DEL METABOLISMO DEI FARMACI

Riducendo il metabolismo dei farmaci, anche un'ipotermia lieve può portare a un ritardo del risveglio e ad un prolungato soggiorno in recovery room. L' ipotermia altera gli effetti di molte classi di farmaci, tra cui miorilassanti, agenti volatili e agenti anestetici per via endovenosa. Un prolungamento generale dell'effetto farmacologico deriva da molteplici cause. Sia il flusso ematico epatico che quello renale diminuiscono con l'ipotermia lieve, che a sua volta riduce il metabolismo e l'escrezione del farmaco, rispettivamente, con conseguente diminuzione della clearance plasmatica e aumento degli effetti del farmaco. La prolungata durata dell'azione osservata nei rilassanti muscolari non depolarizzanti è il risultato di cambiamenti nel volume di distribuzione, alterata affinità del recettore di diffusione locale, variazioni del pH nella giunzione neuromuscolare. Con gli anestetici volatili, la minima concentrazione alveolare di un

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26 agente (una misura della potenza) è diminuita. (Tsuei BJ, 2004) (DI, Complications and treatment of mild hypothermia, 2001) (Daniel I. Sessler, The thermoregulation Story, 2013) (SM., 2004)

o DISTURBI CARDIACI

Studi dimostrano che i pazienti chirurgici cardiopatici che diventano ipotermici hanno una probabilità tre volte maggiore di avere esiti miocardici avversi rispetto alle loro controparti normotermiche. L'ipotermia perioperatoria può innalzare la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e le concentrazioni plasmatiche di catecolamine. L'ipotermia sposta inoltre la curva di dissociazione dell'ossiemoglobina a sinistra, fatto che aumenta il legame dell'ossigeno all'emoglobina, riducendo così l'ossigeno disponibile per i tessuti .Questa combinazione di aumento della domanda di ossigeno miocardico (ipertensione e tachicardia) e diminuzione dell'offerta di ossigeno miocardico (tempo di riempimento diastolico più breve e maggiore affinità dell'emoglobina per l'ossigeno) possono spostare il bilancio dell'ossigeno miocardico in un deficit netto, con conseguente ischemia. Inoltre, la stimolazione del sistema simpatico in risposta all’ipotermia, così come le fluttuazioni dei livelli serici di potassio, aumentano il rischio di aritmie ventricolari. L’aritmia che si riscontra inizialmente all’elettrocardiogramma è la tachicardia sinusale. Con il progredire dell’ipotermia si verifica una bradicardia progressiva. Inoltre, l’ipotermia riduce il rilascio di ossigeno dall’emoglobina ai tessuti danneggiando, riducendone così la disponibilità. (CE., 2004) (Tsuei BJ, 2004)

 BRIVIDO

Brivido da severo a moderato può verificarsi tra 34/36°C e causa un aumento della richiesta di ossigeno fino al 400% e un aumento del lavoro miocardico e della pressione arteriosa. Nei pazienti operati può inoltre causare un aumento del dolore. Indipendentemente dal brivido il consumo di ossigeno aumenta del 92% con una riduzione della temperatura centrale di 1.5°C. Inoltre, il mantenimento della normotermia è importante per tracciare il comfort del paziente; in particolare studi dimostrano che i pazienti riferiscono una maggiore soddisfazione e una riduzione dell’ansia con il preriscaldamento. (Tsuei BJ, 2004)

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 CONSEGUENZE SECONDARIE

L'ipotermia è associata a lieve ipokaliemia, ma il significato clinico di questa osservazione appare banale.

La cardiotossicità della bupivacaina è marcatamente aumentata dalla lieve ipotermia. L'ipotermia ha un lieve effetto sui potenziali evocati somatosensoriali, ma è improbabile che i cambiamenti alterino la gestione clinica. Né l'ipotermia né l'ipertermia alterano significativamente i valori elettroencefalografici.

La funzione del pulsossimetro è generalmente ben mantenuta anche in pazienti vasocostrittici. Tuttavia, una sufficiente vasocostrizione (di solito risultante dalla combinazione di ipotermia e deplezione del volume vascolare) può cancellare il segnale del saturimetro. Il segnale può essere ripristinato dal riscaldamento locale o da un blocco del nervo delle dita. (DI, Complications and treatment of mild hypothermia, 2001)

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Capitolo 5

FATTORI DI RISCHIO PER LO SVILUPPO DI IPOTERMIA

Fattori di rischio per lo sviluppo di ipotermia perioperatoria sono: BMI normale o basso, età (estremi), sesso femminile, durata dell’anestesia.

Oltre all’anestesia ci sono diverse condizioni mediche e lesioni traumatiche che predispongono il paziente all’ipotermia tra cui l’insufficienza surrenale, fratture della base cranica, tumori del cervello, ipoglicemia, lesioni ipotalamiche, ipotiroidismo, malnutrizione, lesioni del midollo spinale, ematoma subdurale. Anche alcuni farmaci alterano le funzioni termoregolatorie come ad esempio gli antipsicotici. (M., 2012) (Macario A, 2002) (KitamuraA, 2000) (Kudoh A, 2004)

La seguente tabella sintetizza i fattori di rischio per ipotermia:

FATTORI DI RISCHIO SPECIFICI DEL PAZIENTE FATTORI CHE CONTRIBUISCONO ALL PERDITA DI CALORE DAL CORPO

 Shock  Alcol  Trauma cranico  Tossine batteriche  Età estreme  Trauma spinale  Anestesia generale

 Anestesia spinale ed epidurale

 Patologie mediche: insufficienza surrenalica, disfunzioni cardiache, epatopatie, malnutrizione, distiroidismi.

 Procedure chirurgiche ad alto rischio: chirurgia cardiaca e toracica, trapianti d’organo, protesi totale d’anca e di ginocchio

 Ustioni

 Esposizione

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Capitolo 6

PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELL’IPOTERMIA PERIOPERATORIA

Senza un efficace riscaldamento, l’ipotermia è un evento praticamente inevitabile durante gli interventi chirurgici. L’attuale standard per evitare l’ipotermia perioperatoria consiste nel riscaldamento intra e post operatori, attraverso meccanismi attivi e passivi, tuttavia l’incidenza di ipotermia resta elevata.

Una volta che il paziente è diventato ipotermico, il riscaldamento attivo intraoperatorio con dispositivi ad aria forzata spesso non è sufficiente a ristabilire la normotermia per via del considerevole tempo che impiega il calore per raggiungere i tessuti centrali. Perciò l’arma migliore per combattere l’ipotermia è la prevenzione, o almeno la riduzione, dell’ipotermia che si verifica dopo l’induzione.

Prevenzione dell’ipotermia da ridistribuzione mediante PRE-WARMING

1. La ridistribuzione del calore che si verifica dopo l’induzione dell’anestesia è la più importante causa di ipotermia perioperatoria: l’80% del calo della temperatura si verifica infatti nella prima ora dopo l’induzione. Il grado di ridistribuzione è proporzionale al gradiente tra centro e periferia. Questo gradiente è influenzato da vari fattori tra cui la temperatura ambientale, il grado di adiposità e i farmaci concomitanti. Questo calo della temperatura non è quindi da dispersione di calore quanto da ridistribuzione del calore corporeo.

2. Con il termine PRE-WARMING si intende il riscaldamento del paziente prima dell’anestesia per aumentare il contenuto di calore dei compartimenti periferici. Il riscaldamento preoperatorio non altera la temperatura centrale poiché i pazienti non sono anestetizzati, perciò sono in grado di regolare la loro temperatura corporea. Il pre-warming trasferisce il calore nei tessuti periferici, riducendo così il gradiente dal centro alla periferia. In questo modo al momento dell’induzione dell’anestesia il calore non fluisce dal centro alla periferia; infatti la SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA afferma che il calore può fluire solo secondo un gradiente di temperatura. Uno dei principali interventi utilizzati per prevenire

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30 l’ipotermia perioperatoria è quindi il prewarming prima dell’induzione dell’anestesia. Da diversi studi effettuati emerge che questa strategia determina un miglioramento del comfort del paziente e ulteriori benefici, tra i quali: riduzione della perdita ematica, riduzione dei costi dell’anestesia, riduzione dell’incidenza di ricoveri in terapia intensiva, riduzione degli infarti del miocardio, miglioramento della coagulazione, stabilità dei livelli serici di potassio, ridotta necessità di ventilazione invasiva post-operatoria, ridotta incidenza di infezione del sito chirurgico e, in generale, riduzione della mortalità; altri invece riscontrano che non vi siano differenze significative nell’incidenza di ipotermia ; è da segnalare che è difficile trarre una conclusione definitiva poiché vi sono importanti differenze nei disegni di questi lavori , tuttavia, la maggior parte delle evidenze supporta l’utilizzo del pre-warming come misura efficace nel mantenimento della normotermia. (Roberson MC, 2013)

3. TIMING del pre-warming: da alcuni studi emerge che è sufficiente una durata di minimo 10 minuti per ridurre l’incidenza di ipotermia perioperatoria. Come suggerito da uno dei più importanti studiosi di termoregolazione (Daniel I. Sessler, M.D), il riscaldamento preoperatorio deve durare per almeno 30 minuti per essere efficace. (Sessler DI, 1995)

La sua ricerca in particolare mostra che un prewarming di un’ora o più previene l’ipotermia da 2 a 3 ore nella chirurgia addominale open senza necessità di riscaldamento intraoperatorio. (Akhtar Z. Hesler BD, 2016) (T. Perl, 2014).

4. Un altro metodo per aumentare il contenuto di calore nei comparti periferici consiste nel somministrare vasodilatatori prima dell’anestesia (pre-dilatazione), determinando così una riduzione del gradiente. Ad esempio: nifedipina 20mg per os 12 ore prima della chirurgia oppure 10mg sublinguali 1 ora prima dell’induzione. Questa metodica implica una selezione attenta dei pazienti. (DI, Complications and treatment of mild hypothermia, 2001)

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Metodiche di riscaldamento

 Riscaldamento passivo: riduzione della perdita di calore mediante isolamento, mirano a prevenire il trasferimento di calore radiante coprendo il più possibile la superficie cutanea esposta. Ciò è ottenuto mediante l’uso di coperte calde, coperte di stagnola, teli sterili (non utilizzare borse dell’acqua calda). Nel migliore dei casi, l'isolamento passivo può ridurre quasi a zero la perdita cutanea. Così facendo si aumenterà la temperatura corporea media di circa 1°C °, in base al tasso metabolico e alle dimensioni del paziente. L'isolamento passivo riduce la perdita cutanea del 30% (uno strato) al 50% (tre strati). Si tratta quindi di metodiche scarsamente efficaci se non associate a metodiche attive

 Riscaldamento attivo: implica l’utilizzo di dispositivi:

 FAW (dispositivi ad aria forzata): sono efficaci. Sono costituiti da una unità di riscaldamento a ventilazione alimentata elettricamente da unire ad una coperta che solitamente è costituita da una combinazione di tessuti (plastica e carta) ed è monouso per il singolo paziente. Utilizzano il meccanismo della convezione e dell’irraggiamento del calore. L'aria forzata riduce le perdite radiative semplicemente sostituendo le superfici fredde della stanza con una copertura calda. Il movimento dell’aria calda trasferisce il calore alla superficie cutanea del paziente (meccanismo convettivo), ciò permette di trasferire più calore a temperature più basse. Il riscaldamento ad aria forzata trasferisce 30-50 W attraverso la superficie della pelle, invece l'isolamento passivo riduce la normale perdita cutanea da circa 100 a circa 70 W. Non è quindi sorprendente che l'aria forzata sia molto più efficace dell'isolamento passivo. Inoltre, il riscaldamento ad aria forzata trasferisce considerevolmente più calore rispetto all'acqua circolante, è quindi anche molto più efficace dei materassi ad acqua circolante nei pazienti chirurgici. Tuttavia, in pazienti ipotermici, in particolare nei politraumatizzati, la vasocostrizione periferica può limitarne l’efficacia e altri metodi, come le coperte ad acqua riscaldata possono essere più efficaci. Inoltre, questi riscaldatori funzionano meglio in fase intraoperatoria quando la periferia del paziente è vasodilatata. Senza preriscaldamento, tuttavia, le tecniche di

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32 riscaldamento intraoperatorio, comprese quelle che impiegano la tecnologia del riscaldamento forzato dell'aria in ogni caso, non riescono ancora a eliminare la caduta iniziale della temperatura. (Young VL, 2006) (DI., 2000)

NOTA: una critica mossa talvolta dai chirurghi è che l'aumento del flusso d'aria nelle sale operatorie possa aumentare la contaminazione all'interno delle incisioni chirurgiche, tuttavia questa osservazione appare infondata poiché tutto il riscaldamento ad aria forzata include filtri che eliminano essenzialmente i batteri nell'aria riscaldata; inoltre, studi hanno dimostrato che il numero di unità formanti colonie recuperate dalle sale operatorie non è aumentato dalla presenza di ventilatori ad aria forzata, al contrario, è stato dimostrato che l'uso del riscaldamento ad aria forzata riduce di tre volte l'incidenza dell'infezione del sito chirurgico migliorando la difesa dell'ospite. Non esiste quindi alcun supporto empirico alla teoria secondo cui il riscaldamento ad aria forzata aumenti il rischio di infezione. (Anesthesiologists, 2013)

 Materassi ad acqua circolante: sono il classico sistema di riscaldamento intraoperatorio attivo e sono stati usati per decenni. Sfortunatamente, la loro efficacia è limitata da una serie di fattori direttamente correlati alla loro posizione al di sotto dei pazienti. La parte posteriore è infatti una frazione relativamente piccola della superficie totale. Inoltre, i tavoli delle sale operatorie sono coperti con circa 5 cm di schiuma, che è un ottimo isolante termico. La conseguenza è che circa il 90% del calore metabolico viene perso dalla superficie anteriore del corpo. Inoltre, il flusso è limitato nei capillari che sono compressi dal peso del paziente stesso. Un ulteriore problema con il riscaldamento dell'acqua circolante è che la tecnica è associata alla necrosi da calore a pressione. La temperatura dell'acqua circolante è tipicamente impostata su 40 ° C o addirittura 42 ° C. Questa è una pratica pericolosa perché temperature fino a 38 ° C possono causare gravi lesioni a pazienti sensibili. Contrariamente al normale posizionamento posteriore, il

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33 riscaldamento dell'acqua circolante è relativamente efficace se posizionato sopra i pazienti. È anche molto più sicuro perché il rischio di necrosi da calore da pressione è marcatamente ridotto.

 Coperte elettriche: studi clinici suggeriscono che l'efficacia delle coperte elettriche è simile a quella dell'aria forzata. Il riscaldamento resistivo può essere particolarmente utile per il trattamento sul campo dell'ipotermia accidentale perché sono dispositivi altamente efficienti, cioè una grande frazione del calore generato dal dispositivo può essere trasferita al paziente. Questo diventa un fattore critico quando la corrente deve essere fornita dalle batterie.

 Riscaldatori radianti: usano speciali lampadine a incandescenza o superfici riscaldate per generare radiazioni infrarosse. Il vantaggio principale del riscaldamento radiante è che non è richiesto alcun contatto tra lo scaldino e il paziente perché l'energia termica è trasportata dai fotoni. Sotto questo aspetto, si differenzia da tutti gli altri riscaldatori cutanei che devono essere posizionati adiacenti alla superficie della pelle. Il riscaldamento radiante è quindi ideale per le unità di terapia intensiva neonatale, dove è importante che i pazienti rimangano visibili. Può anche essere utile durante la chirurgia pediatrica, in cui l'ipotermia è comune durante l'induzione anestetica, le inserzioni di catetere, la preparazione della pelle e del campo chirurgico. Un limite importante del riscaldamento radiante è che le perdite convettive continuano senza impedimenti. Una seconda limitazione del riscaldamento radiante risulta dal fatto che il trasferimento di energia diminuisce rapidamente quando aumenta la distanza tra lo scaldino e il paziente. Inoltre, diminuisce marcatamente quando la superficie di riscaldamento e la superficie della pelle non sono parallele tra loro. Nella maggior parte dei casi, i limiti del riscaldamento radiante si combinano per rendere il metodo relativamente inefficace rispetto ad altri sistemi di riscaldamento cutaneo. Probabilmente per questo motivo, il metodo non è diventato popolare al di fuori delle unità di terapia intensiva neonatale.

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34  Contenitori per l'acqua calda: I contenitori di plastica contenenti soluzioni di irrigazione vengono spesso tenuti nei forni vicino alle sale operatorie. La temperatura di questi forni supera spesso i 45°C. Si è tentato di riscaldare i pazienti posizionando questi contenitori in aree di flusso sanguigno elevato, come l'ascella. Questa pratica, tuttavia, è sia inefficace che pericolosa. La mancanza di efficacia è da relazionare al fatto che la superficie interessata è piccola. Anche quando i flaconi riscaldanti sono posizionati in regioni con flusso sanguigno elevato, il trasferimento di calore non è sufficiente a compensare la piccola area di trattamento totale. Ancora più importante, il fallimento dei tessuti per dissipare calore adeguato al resto del corpo significa che il calore si accumula localmente; di conseguenza, le temperature locali del tessuto si avvicinano rapidamente alla temperatura della bottiglia d'acqua causando danno termico alla superficie cutanea più sensibile. Pertanto, i contenitori di acqua calda non devono mai essere utilizzati per riscaldare i pazienti chirurgici (Torossian A, 2015)

Somministrazione di liquidi riscaldati: anche la perdita di calore dalla somministrazione di liquidi per via endovenosa fredda contribuisce all'ipotermia. Si stima che la somministrazione di 1 litro di cristalloidi a temperatura ambiente determini la riduzione della temperatura corporea di 0.25°C. Gli scaldafluidi sono comunemente usati in sala operatoria e sono raccomandati ogni volta che viene somministrato sangue o grandi quantità di liquidi (più di 2 litri in un’ora) per via endovenosa. Non sono raccomandati per il riscaldamento del paziente perché la temperatura del fluido non può sostanzialmente superare la temperatura corporea del paziente senza causare emolisi, limitando così materialmente l'efficacia del riscaldamento. (Prevention of inadvertent perioperative hypothermia, 2008)

Riscaldamento dei gas: semplici calcoli termodinamici indicano che meno del 10% della produzione di calore metabolico viene persa attraverso il tratto respiratorio. Pertanto, la perdita di calore attraverso le vie aeree è trascurabile e il riscaldamento e l’umidificazione dei gas hanno un impatto poco rilevante sulla temperatura corporea. Il beneficio apparente osservato clinicamente e in alcuni studi può derivare dal riscaldamento artefatto

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