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ASCENSORE E PROPRIETA’ DI ALCUNI CONDOMINI

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51 SOLUZIONE PARERE 5

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 9 gennaio – 8 giugno 2020, n. 10850

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Università degli Studi di Sassari propone ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 244/2018 pronunciata il 5 giugno 2018 dalla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.

La Promozione Professionale s.r.l. resiste con controricorso.

La Corte d’appello, accogliendo il gravame contro la decisione resa in primo grado dal Tribunale di Sassari in data 27 maggio 2011, ha condannato l’Università degli Studi di Sassari a ripristinare la situazione di fatto in cui si trovava l’edificio condominiale di viale Umberto I n. 52, Sassari, reinstallando l’ascensore al servizio del condominio. A fronte della domanda in tal senso avanzata dalla Promozione Professionale s.r.l., la convenuta l’Università degli Studi di Sassari aveva eccepito che tale ascensore era stato realizzato dopo la costruzione dell’edificio a spese della famiglia del Presidente S.A., dante causa dell’Università, per alleviarne i disagi legati alle sue condizioni di salute, sicchè soltanto a titolo di cortesia veniva concesso ad altri condomini l’utilizzo dell’impianto. La Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha posto in evidenza come l’ascensore rientri tra i beni compresi nella presunzione di condominialità ex art.

1117 c.c., e come le prove testimoniali assunte (in particolare, quelle di T.P. e di C.P.) avessero confermato il dato dell’asservimento funzionale e del costante utilizzo dell’ascensore al servizio altresì della unità immobiliare in proprietà Promozione Professionale s.r.l. Secondo la sentenza impugnata, nella distribuzione dell’onere istruttorio, occorreva considerare altresì che l’Università non aveva prodotto il proprio titolo di acquisto, mentre alcun rilievo poteva svolgere la circostanza che l’ascensore fosse stato installato dopo la costruzione del fabbricato, comunque operando la presunzione ex art. 1117 c.c..

L’unico motivo di ricorso della Università degli Studi di Sassari deduce la violazione degli artt.

1117 c.c. e art. 1121 c.c., comma 3. Viene esposto come l’ascensore era stato installato dopo la costruzione dell’edificio a spese del Presidente Segni, per dargli possibilità di raggiungere senza eccessive difficoltà l’abitazione sua e quelle dei suoi parenti, sicchè doveva prendersi in considerazione l’art. 1121 c.c., che esclude la condominialità dell’innovazione realizzata da un solo condomino.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

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L’oggetto di lite è se sia o meno legittima la rimozione dell’impianto di ascensore esistente nell’edificio del condominio di viale Umberto I, Sassari, rimozione attuata dalla condomina Università degli Studi di Sassari sul presupposto che tale ascensore, giacchè installato non all’atto della costruzione del fabbricato, ma successivamente per iniziativa del Presidente Segni e della sua famiglia, danti causa dell’Università, fosse di proprietà esclusiva di quest’ultima; sicchè, in difetto di dichiarazione espressa di partecipare alla innovazione manifestata successivamente dagli altri condomini, non sarebbe precluso al proprietario individuale dell’impianto l’esercizio dello “ius tollendi”.

L’azione proposta dalla Promozione Professionale s.r.l. era qualificata come domanda di risarcimento in forma specifica volta a chiedere la reintegrazione dell’ascensore rimosso dalla Università degli Studi di Sassari.

Trattandosi, allora, di azione di riduzione di pristino, l’indagine sulla spettanza all’attrice del diritto di (com)proprietà si sostanzia nell’accertamento della qualità di titolare del credito risarcitorio, che, pur non implicando la rigorosa dimostrazione del diritto dominicale prescritta in tema di rivendicazione, impone comunque alla stessa di dar prova di un valido acquisto del bene danneggiato, in quanto fatto costitutivo della sua pretesa.

Le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata circa la ripartizione dell’onere probatorio sono perciò errate, sia quanto al funzionamento della “presunzione di condominialità”, sia quanto alle conseguenze tratte dalla mancata dimostrazione di un “asserito diritto di proprietà esclusiva”

ad opera della convenuta Università degli Studi di Sassari.

La decisione della Corte d’appello di Sassari, come visto, ha affermato la condominialità dell’ascensore alla stregua dell’art. 1117 c.c., nonchè della prova conseguita dell’utilizzo dell’ascensore al servizio altresì della unità immobiliare in proprietà Promozione Professionale s.r.l. In tal modo, i giudici di secondo grado hanno risolto la questione di diritto affrontata senza tener conto del consolidato orientamento interpretativo di questa Corte. Si è infatti più volte affermato che l’installazione “ex novo” di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese, a differenza di quelle relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente, vanno ripartite non ai sensi dell’art. 1124 c.c., ma secondo l’art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino: Cass. Sez. 2, 25/03/2004, n.

5975; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264) costituisce innovazione, che può essere deliberata dall’assemblea condominiale con le maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c., oppure direttamente realizzata con il consenso di tutti i condomini, così divenendo l’impianto di proprietà comune. Trattandosi, tuttavia, di impianto suscettibile di utilizzazione separata, proprio quando l’innovazione, e cioè la modificazione materiale della cosa comune conseguente alla realizzazione dell’ascensore, non sia stata approvata in assemblea (come si desume dallo stesso

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art. 1121 c.c., che, al comma 2, parla di maggioranza dei condomini che abbia “deliberata o accettata” l’innovazione), essa può essere attuata anche a cura e spese di uno o di taluni condomini soltanto (con i limiti di cui all’art. 1102 c.c.), salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20713; Cass. Sez. 2, 18/08/1993, n. 8746; Cass. Sez. 2, 18/11/1971, n. 3314; Cass. Sez. 2, 13/03/1963, n. 614). A differenza di quanto supposto nella impugnata sentenza della Corte d’Appello di Sassari, dunque, “l’ascensore, installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, analoga alla situazione avuta a mente dall’art. 1123 c.c., comma 3, comunione che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. L’art. 1121 c.c., comma 3, fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale” (così Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20713).

Se l’art. 1117 c.c., n. 3, come sottolinea la Corte di Sassari, ricomprende gli ascensori fra gli oggetti della proprietà comune, è anche da considerare che la presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’art. 1117 c.c., si basa sulla loro destinazione all’uso ed al godimento comune, e deve risultare da elementi obiettivi, cioè dalla attitudine funzionale della parte di cui trattasi al servizio od al godimento collettivo. Tale necessaria relazione strumentale tra la singola parte (nella specie, l’impianto di ascensore) e l’uso comune deve comunque sussistere sin dal momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale tra le res, se eseguito successivamente. In tal senso, ove dimostrato che l’impianto di ascensore sia stato realizzato per iniziativa ed a spese solo di uno o di alcuni condomini dopo la costituzione del condominio, trova applicazione il regime presupposto dall’art. 1121 c.c., e non assume rilievo giuridicamente determinante la circostanza che il bene sia stato poi di fatto utilizzato anche a servizio delle unità immobiliari di proprietà di quei condomini che non avevano inizialmente inteso trarre vantaggio dall’innovazione. Neppure rileva quanto dedotto dalla controricorrente circa l’esistenza dell’ascensore – installato, si assume nel medesimo controricorso, intorno al 1960 – al momento del subentro nelle rispettive proprietà ad opera delle parti in lite (risalente al 1996/1997 per l’Università degli Studi di Sassari ed al 1986 per la Promozione Professionale s.r.l.). La mera circostanza che i successivi titoli d’acquisto delle singole unità immobiliari non contengano alcuna espressa menzione delle vicende delle parti altrimenti sorrette dalla presunzione posta dall’art. 1117 c.c., non comporta che essi possano

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validamente includere pro quota il diritto di comproprietà di beni originariamente sottratti alla presunzione e rientranti perciò nella proprietà esclusiva di uno o più condomini.

Poichè, dunque, è l’attrice Promozione Professionale s.r.l. onerata di dar prova di un valido titolo di comproprietà del bene danneggiato, essa potrà anche avvalersi della presunzione ex art. 1117 c.c., ove però abbia dimostrato che l’ascensore destinato all’uso comune fosse già esistente al momento della nascita del condominio, ovvero che l’impianto, benchè installato successivamente alla costruzione dell’edificio, fosse stato comunque realizzato con il consenso della medesima condomina Promozione Professionale s.r.l. o del suo dante causa.

Il ricorso va perciò accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, la quale, in diversa composizione, esaminerà nuovamente la causa, uniformandosi ai principi richiamati e tenendo conto dei rilievi svolti, e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

55 6) PRESUPPOSTI DELL’ACCESSIONE.

Traccia parere

Con atto di citazione del dicembre 2019 il sig. Mevio conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Potenza, il Ministero dell'economia e delle finanze unitamente all'Agenzia del Demanio esponendo che:

- egli era proprietario, dal 1977, di un terreno sito nel comune Alfa, iscritto in catasto alla partita n. ______, confinante con l'alveo del fiume Gamma;

- nel corso degli anni detto fiume aveva in parte ridotto e parzialmente spostato il proprio alveo, trasferendosi verso la sponda opposta ed abbandonando, perciò, un appezzamento di terreno confinante con le particelle del suo fondo;

- che il nuovo appezzamento era stato censito con intestazione al Demanio dello Stato e che, tuttavia, si sarebbe dovuto ritenere acquisito, per intervenuta accessione (ai sensi dell'art. 946 c.c.), alla sua proprietà, ma egli aveva inutilmente chiesto, sin dal 1980, al Catasto di Matera le conseguenti modifiche catastali;

- che era insorto contrasto con il Dipartimento del territorio di Matera, il quale aveva erroneamente ravvisato l'applicabilità della L. n. 37 del 1994 e l'appartenenza del suolo al demanio, laddove il mutamento dell'alveo si era verificato anteriormente all'entrata in vigore di tale legge.

Sulla base della rappresentazione dei riportati fatti, il Mevio chiedeva l'accertamento del proprio diritto di proprietà sulle particelle del suddetto appezzamento intestate al Demanio dello Stato.

Costituitisi il Ministero e l’Agenzia del demanio, evidenziavano l’infondatezza della domanda proposta dal Mevio, la quale si riferiva propriamente alla fattispecie giuridica di cui all'art. 942 c.c., poichè, le particelle oggetto di controversia si erano formate anteriormente alla novella introdotta con la L. n. 37 del 1994 (non retroattiva) per effetto del progressivo spostamento "in sponda destra" dell'alveo del fiume Gamma il quale, però, si era venuto a verificare per opere antropiche, ovvero a seguito dell'intensivo sfruttamento agricolo del suolo e non, quindi, per cause naturali.

Il candidato assunte le vesti di legale di Mevio renda a quest’ultimo parere motivato sulla fondatezza dell’avviata azione giudiziale, alla luce delle difese delle amministrazioni convenute.

56 SOLUZIONE TRACCIA 6

Cassazione civile sez. II, 17/02/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 17/02/2020), n.3854

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione del dicembre 2001 il sig. B.N. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Potenza, il Ministero dell'economia e delle finanze unitamente all'Agenzia del Demanio esponendo che:

- egli era proprietario, dal 1977, di un terreno sito in (OMISSIS), iscritto in catasto alla partita n.

(OMISSIS), confinante con l'alveo del fiume (OMISSIS);

- nel corso degli anni detto fiume aveva in parte ridotto e parzialmente spostato il proprio alveo, trasferendosi verso la sponda opposta ed abbandonando, perciò, un appezzamento di terreno confinante con le particelle del suo fondo;

- che il nuovo appezzamento era stato censito con intestazione al Demanio dello Stato e che, tuttavia, si sarebbe dovuto ritenere acquisito, per intervenuta accessione (ai sensi dell'art. 946 c.c.), alla sua proprietà, ma egli aveva inutilmente chiesto, sin dal 1980, al Catasto di Matera le conseguenti modifiche catastali;

- che era insorto contrasto con il Dipartimento del territorio di Matera, il quale aveva erroneamente ravvisato l'applicabilità della L. n. 37 del 1994 e l'appartenenza del suolo al demanio, laddove il mutamento dell'alveo si era verificato anteriormente all'entrata in vigore di tale legge.

Sulla base della rappresentazione dei riportati fatti il B. chiedeva l'accertamento del proprio diritto di proprietà sulle particelle del suddetto appezzamento intestate al Demanio dello Stato.

Le convenute Amministrazioni pubbliche si costituivano in giudizio, eccependo, in via pregiudiziale, l'incompetenza del giudice adito, dovendosi ritenere competente il Tribunale regionale delle acque, e, in ogni caso, instavano per il rigetto della domanda.

Con sentenza pubblicata il 14 maggio 2004 il Tribunale di Matera respingeva la domanda.

2. Decidendo sull'appello interposto dal B. e nella costituzione del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Agenzia del Demanio (che formulavano, a loro volta, appello incidentale), la Corte di appello di Potenza, con sentenza n. 290 del 2015 (depositata il 17 luglio 2015), rigettava il gravame principale e dichiarava l'inammissibilità di quello incidentale, compensando le spese del grado, ad eccezione di quelle occorse per l'espletamento della c.t.u., le quali venivano poste a definitivo carico del B..

A fondamento dell'adottata decisione la Corte territoriale osservava che formatosi il giudicato sul

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rigetto dell'eccezione di incompetenza e rilevato che, effettivamente, come da suo chiarimento, la domanda proposta dal B. si riferiva propriamente alla fattispecie giuridica di cui all'art. 942 c.c. - la stessa dovesse essere ritenuta infondata, poichè, per quanto emergente dalla disposta c.t.u., le particelle oggetto di controversia si erano formate anteriormente alla novella introdotta con la L. n. 37 del 1994 (non retroattiva) per effetto del progressivo spostamento "in sponda destra" dell'alveo del fiume (OMISSIS), il quale, però, si era venuto a verificare per opere antropiche, ovvero a seguito dell'intensivo sfruttamento agricolo del suolo e non, quindi, per cause naturali.

3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, il B.N., la cui difesa ha anche depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Gli intimati Ministero dell'economia e delle finanze e Agenzia del Demanio hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e falsa applicazione dell'art. 947 c.c. in riferimento all'art. 942 c.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. 5 gennaio 1994, n. 37, nonchè dell'art. 12 cc.dd. preleggi, avuto riguardo all'individuazione - da parte della Corte territoriale - del concetto di "altre simili cause"

impeditive dell'acquisto della proprietà per alluvione impropria in relazione al precedente testo dell'art. 947 c.c., "ratione temporis" applicabile (ovvero in quello precedente alla sostituzione operata con la L. n. 37 del 1994, art. 4).

1.1. Con la seconda doglianza il ricorrente ha dedotto - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - un'ulteriore violazione e falsa applicazione dell'art. 947 c.c. in riferimento all'art. 942 c.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. 5 gennaio 1994, n. 37, oltre che, ancora, dell'art.

12 cc.dd. preleggi, con riferimento alla valutazione compiuta nella sentenza impugnata sempre in ordine al predetto concetto, con specifico riguardo alla ravvisata rilevanza prevalente delle attività agricole rimaste accertate nel caso di specie compiute sulle cause naturali determinatrici dello spostamento dell'alveo del fiume (OMISSIS).

1.2. Con la terza censura il ricorrente ha prospettato - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n.

3 - un'altra violazione e falsa applicazione dell'art. 947 c.c. in riferimento all'art. 942 c.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. 5 gennaio 1994, n. 37, nonchè dell'art. 12 cc.dd.

preleggi, in ordine all'asserita illegittimità del ricorso al procedimento analogico stante l'univocità della previsione dei presupposti - desumibili dal combinato disposto degli artt. 942 e 947 (precedente testo) c.c. - per l'accertamento dell'acquisto della proprietà invocato da esso ricorrente.

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1.3. Con il quarto mezzo il ricorrente ha denunciato - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - un'ennesima violazione e falsa applicazione dell'art. 947 c.c. in riferimento all'art. 942 c.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. 5 gennaio 1994, n. 37, oltre che dell'art. 12 delle cc.dd. preleggi, sul presupposto che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte lucana, la dizione della parte finale del precedente art. 947 c.c. - laddove si rinveniva il riferimento alla nozione di "altre simili cause" - non avrebbe potuto essere utilizzata in via analogica per impedire la produzione di effetti giuridici contemplati dall'art. 942 c.c. e cioè l'acquisto dei terreni emersi per alluvione indiretta, oggetto di causa.

2. Rileva il collegio che i formulati motivi - siccome tra loro strettamente connessi, riguardando la medesima questione giuridica sotto più profili possono essere esaminati congiuntamente.

Essi - in effetti ridondati - ruotano tutti intorno alla contestazione della ritenuta ricomprensione - nella sentenza impugnata - nel concetto di "altre simili cause" (presente nella precedente versione dell'art. 947 c.c., applicabile "ratione temporis" con riferimento alla fattispecie esaminata) anche degli interventi antropici (ritenuti dal giudice di appello effettivamente eseguiti dal B. nel caso dedotto in giudizio), che sono stati poi testualmente contemplati dalla stessa norma solo nel testo novellato dalla L. 5 gennaio 1994, n. 37, art. 4 quale causa da comportare la persistenza dell'assoggettamento del terreno abbandonato al regime proprio del demanio pubblico (secondo la previsione dell'antecedente art. 946 c.c.).

2. Ritiene il collegio che le censure sono infondate e vanno, perciò, rigettate.

Il testo precedente (recante la stessa rubrica di quello attuale) dell'art. 947 c.c. così disponeva: le disposizioni degli artt. 941, 942, 945 e 946 non si applicano nel caso in cui le alluvioni e i mutamenti nel letto dei fiumi derivano da regolamento del loro corso, da bonifiche o da altre simili cause.

E' pacifico - come ritenuto dalla Corte lucana e senza che il ricorrente lo contesti - che le disposizioni della L. 5 gennaio 1994, n. 37, artt. 3 e 4 (recante "Norme per la tutela ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque pubbliche"), sostitutive degli artt. 946 e 947 c.c. - le quali escludono la sdemanializzazione dei terreni comunque abbandonati per fenomeni di inalveamento, a seguito sia di eventi naturali che di fatti artificiali indotti dall'attività antropica - sono prive di efficacia retroattiva, ragion per cui, con riferimento alla vicenda di cui trattasi, trova applicazione la versione precedente di detti articoli e, in particolare, quella di cui all'art. 947, come appena prima riportata (cfr., per tutte, Cass. n.

2608/2007).

Ciò premesso, osserva il collegio che la ricostruzione e la soluzione interpretativa prospettate dal ricorrente non sono accoglibili e, pertanto, meritano condivisione il percorso logico-giuridico e il conseguente risultato emergenti dalla sentenza di appello qui impugnata.

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Occorre rilevare che le norme degli artt. 941, 942 (nel vecchio testo), 944 (nella versione antecedente), 946 e 947 (sempre con riguardo al vecchio testo), c.c., disciplinavano anche anteriormente alla L. n. 37 del 1994 (che - come già chiarito - non viene in rilievo nella presente controversia) i fenomeni dell'accessione, dell'alluvione, dell'avulsione e dell'insula in flumine nata, secondo il principio romanistico essenzialmente mirato di dirimere i conflitti tra titoli di acquisto originario.

In questa prospettiva i fenomeni naturali a seguito dei quali venivano ad aumentare le superfici dei terreni emersi, oppure emergevano terreni prima coperti dalle acque ovvero, ancora, si distaccavano dai terreni parti riconoscibili come tali, davano luogo a fattispecie acquisitive in favore di quel proprietario di fondi che, caso per caso, si trovava in una situazione ritenuta meritevole di rilevanza.

Pertanto il precedente testo dell'art. 946 c.c. regolamentava una forma di accessione in base alla quale il conflitto possibile tra due rivieraschi opposti in ordine alla proprietà del terreno lasciato libero dalle acque del fiume per essersi questo naturalmente formato un nuovo alveo, veniva risolto con la divisione del medesimo tra i predetti. L'art. 947 c.c. (vecchio testo) stabiliva, quindi, che le norme di cui ai citati artt. 941,942,945 e 946 c.c. non si dovevano applicare "nel caso in cui le alluvioni e i mutamenti del letto dei fiumi derivano da regolamento del loro corso, da bonifiche o da altre consimili cause".

La norma, pertanto, implicava, in via di principio ovvero per tutte le fattispecie previste dalla legge e perciò anche per l'accessione, che a tal fine si dovesse porre riferimento al presupposto della naturalità dell'evento causativo.

La giurisprudenza di questa Corte, già in epoca più risalente (cfr. Cass. n. 2140/1950 e Cass. n.

5454/1980), richiedeva, infatti, la naturalità dell'abbandono da parte del fiume del vecchio letto (v., più recentemente, Cass. n. 4753/2002).

Il precedente art. 947 c.c., dunque, proprio in quanto diretto a regolare l'intero regime delle acque correnti, non era portatore di una regola eccezionale bensì, sia pure nella forma della deroga, esprimeva il principio dell'esclusione dell'intervento antropico dal novero dei fatti costitutivi di una fattispecie acquisitiva a titolo originario (cfr. Cass. S.U. n. 11102/2002 e Cass. n. 2314/2008).

Il contenuto dispositivo di detta norma, in conclusione, poichè indicava accanto alle opere di regimentazione, "altre consimili cause", intendeva per l'appunto rivolgersi - non già come sostiene il ricorrente - ad altre consimili opere, ma piuttosto ad altre ragioni dell'abbandono del letto da parte del fiume, consimili alle opere. Tali ragioni, perciò, avrebbero dovuto includere anche quelle riconducibili all'attività dell'uomo, potendosi ciò dedurre in via analogica, giacchè tale tecnica esegetica, non impedita dalla natura della norma, era tale da assicurare un risultato conforme alla ratio iuris. A riprova dell'esattezza della riferita soluzione la giurisprudenza di

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questa Corte ha sottolineato come solo tale lettura della norma avrebbe evitato il paradosso di premiare l'autore dell'intervento illecito con l'attribuzione alla sua attività del carattere di titolo acquisitivo della proprietà.

Quindi, deve trovare conferma in questa sede il principio - al quale ha aderito la Corte territoriale - secondo cui, in tema di accessione fluviale, il presupposto perchè possa originarsi il diritto di accessione in favore dei proprietari confinanti dell'alveo derelitto di un fiume o torrente, secondo il disposto degli artt. 942 e 947 c.c. (nel testo precedente alla novella introdotta con L. 5 gennaio 1994, n. 37 e applicabile "ratione temporis" qualora la situazione ambientale cui si fa riferimento si sia verificata prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina), è che il corso d'acqua abbia abbandonato il letto per una forza spontanea, e non per l'opera dell'uomo, ovvero che non sia stata determinata da attività antropica (v., da ultimo, Cass. S.U. n. 14645/2017).

Quanto, poi, alla contestazione delle risultanze e degli apprezzamenti emergenti dalla c.t.u. e alla loro influenza sulla decisione della Corte potentina, basta solo mettere in luce come quest'ultima, nello statuire correttamente sulla questione giuridica centrale nei termini prima specificati, si è avvalsa - proprio per confortare la soluzione giuridica adottata - della c.t.u. (peraltro conferita ad un collegio di periti) al solo fine di acquisire le conoscenze necessarie fattuali - sul piano della ricostruzione nel corso del tempo (in base alle conferenti documentazioni acquisite) e all'attualità - relative alla determinazione delle ragioni che avevano provocato lo spostamento dell'alveo del fiume.

A questo riguardo, perciò, il giudice di appello, valorizzando gli esiti della c.t.u., ha sì accertato che, per effetto del verificatosi spostamento, via era stata l'immissione in mappa delle particelle rivendicate dal B. (ancorchè rimaste catastalmente intestate al demanio), ma ha, altresì, appurato - con valutazione di merito sufficientemente motivata, insindacabile in questa sede di legittimità - che la modifica del corso era riconducibile anche agli effetti derivanti dall'azione antropica, ovvero allo sfruttamento intensivo a fini agricoli dei terreni costituenti il bacino imbrifero, che, nel caso di specie (v. pag. 9 dell'impugnata sentenza), si era sostanziato in rilevanti azioni di aratura e dissodamento, con la trasformazione dei siti interessati in seminativi, ancor più accentuatesi con gli interventi compiuti a seguito della meccanizzazione agricola, riguardanti anche il controverso appezzamento.

3. In definitiva, per le ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso