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Le principali versioni intorno al dibattito sui beni comun

IV. L’ascesa dei nuovi beni comun

È noto come la letteratura mondiale in tema di beni comuni abbia da sempre rivolto la propria attenzione ai beni comuni materiali, tuttavia, nel dibattito contemporaneo si sta affermando la tendenza ad approfondire il tema dei “commons” immateriali.39

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Sul punto, SHIVA V. op. cit. pag. 51 “con l’approvazione dei diritti di proprietà intellettuale,

significativamente definiti con il prefisso TR-trade related- attinenti al commercio, il Wto ha stabilito un nesso tra commercio e proprietà intellettuale in contrasto radicale anche con il consueto approccio giuridico dei paesi occidentali. Tradizionalmente, le normative sui brevetti erano di competenza dei singoli stati, che decidevano al contempo di premiare l’ingegno individuale pur tenendo conto delle esigenze della nazione. Anche le limitazioni venivano definite dalle singole comunità in funzione del contesto specifico: volta per volta si poteva distinguere tra ciò che costituiva un patrimonio collettivo inalienabile e ciò che invece poteva essere accordato, per un breve periodo, con diritto di esclusiva. Prima del 1995, nessuno avrebbe mai pensato di attribuire un diritto di proprietà intellettuale su un organismo vivente. Con l’applicazione delle leggi relative ai TRIPS, ovvero, ai diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, non soltanto le cellule, i geni, le piante, le pecore e le mucche possono invece diventare oggetto di proprietà intellettuale, ma la vita stessa deve essere posseduta. Questo è ciò che l’articolo 27.3 (b) dell’Accordo sulla proprietà intellettuale sancito dal Wto haimposto al mondo. Le implicazioni, ovviamente, sono gravissime. Rispetto agli altri esseri viventi, noi ci

34 Questa tendenza è certamente da attribuire allo sviluppo impetuoso della tecnologia, del digitale e della rete come mezzo dominante nel panorama dei mezzi di comunicazione, che ha determinato la nascita e l’affermazione di nuove tipologie di commons.

I nuovi beni comuni non sono quindi risorse naturali, ma virtuali, appartenenti alla dimensione dell’incorporeo, tanto da includere la stessa conoscenza. È proprio in questi termini che la conoscenza viene intesa dalla studiosa statunitense Charlotte Hess, la quale ha dedicato le proprie ricerche, inizialmente insieme a E. Ostrom, alla definizione e inquadramento del bene comune della conoscenza. 40

Dalle ricerche della Hess emerge una visione della conoscenza che racchiude in sé tutte quelle forme di sapere acquisite mediante l’esperienza e lo studio, in qualsiasi forma esso sia stato espresso. Il concetto di conoscenza come bene comune, è inclusivo anche delle opere creative e d’ingegno come la musica, le arti visive e il teatro; per la Hess “tutta la conoscenza che si è sedimentata nel corso della storia dell’umanità rappresenta sia il risultato di una competizione di interessi ma anche e soprattutto un bene comune, ovvero risorsa condivisa dalla collettività”.

È evidente, allora, che definire la conoscenza come patrimonio comune della collettività conduce a nuovo modo di pensare i beni comuni.41

qualifichiamo ormai unicamente come consumatori, mentre le multinazionali si arrogano il ruolo di creatori.

40

CHARLOTTE HESSE e ELINOR OSTROM (2009) “La Conoscenza come bene comune. Dalla teoria

alla pratica”, Mondadori, Milano.

41

Si evidenzia, al riguardo “La Convenzione per la Salvaguardia dei Beni Culturali Immateriali”, approvato dalla Conferenza Generale dell’UNESCO, il 17 ottobre del 2003, a Parigi. Con il termine “Patrimonio Culturale Immateriale” s’intendono “le prassi, le rappresentazioni , le espressioni, le

conoscenze, il know-how- come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi- che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro

35 La viralità, l’interattività e non scarsità, quali peculiarità proprie della rete, favoriscono la creazione di una comunione sui beni della cultura e su tutto ciò che si colloca nella dimensione dell’immateriale, permettendo un uso degli stessi “non rivale” e cooperativo, intendendosi per “rivalità” la possibilità che il consumo da parte di un soggetto riduca o impedisca il godimento del medesimo bene da parte di un altro soggetto.

Per questi motivi, si ritiene che in ordine a questa nuova tipologia di beni comuni, frutto della “società dell’informazione e della comunicazione”, la gestione comunitaria favorita dalla rete dovrebbe rappresentare la soluzione ideale per garantire la produttività e la tutela delle risorse immateriali, nonché, la garanzia di un libero accesso a favore del beneficio di tutti. L’uso del condizionale è d’obbligo perché nella realtà odierna sussistono tutta una serie di ostacoli che turbano la naturale vocazione dei beni comuni del sapere e della conoscenza a essere governati cooperativamente.

Infatti, da anni ormai, si assiste ad una applicazione inarrestabile del modello proprietario, che silenziosamente sta trovando spazio anche nella dimensione della cultura, delle idee e della conoscenza. Si pensi in particolare ai vincoli di carattere privatistico in materia di Intellectual Property, imposti non solo da fonti nazionali ma anche internazionali ed europee, nonché, a tutti quegli strumenti con cui si vuole dare un assetto privatistico, e quindi, a vantaggio di pochi, a risorse che per loro stessa natura debbono essere sottratte a politiche di mercificazione.

Allora, alla luce di quanto evidenziato, è possibile affermare come l’ascesa di questi new commons, accresce la necessità di intraprendere un percorso opposto rispetto

patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso di identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.

36 a quello che si va percorrendo a partire dal periodo liberale e che trova fondamento nelle stesse carte costituzionali ottocentesche, perché se la struttura istituzionale di stampo liberista era pensata per salvaguardare l’ideale di proprietà/libertà, la società moderna, diversamente, necessita di salvaguardare i beni comuni dal saccheggio e dalla privatizzazione.

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CAPITOLO TERZO