• Non ci sono risultati.

C ASI PARTICOLAR

Quasi in appendice, aggiungo due esempi, che si trovano nella Resurressioni di Marcu di Grandi.110 Il primo è del tutto anomalo, perché l’interpretatio data non è quella

tradizionale e neppure innovatrice. Un apostolo, dopo la resurrezione, rimprovera Tommaso, con una espressione il cui significato appare misterioso. In uno stato fluido strofico e di rime non sempre perfette, questa è la quartina (di endecasillabi):

Sempri, Thomasi, fusti cussì incredulu et discribanti di omni altra persuna;

106 Bonfantini (cur.), Le sacre rappresentazioni italiane cit., p. 546. Lastaroc è Astarot con concrezione

dell’articolo. Così la Leg. aurea: «erat ydolum nomine Astaroth» (CXIX. De sancto Bartholomeo, 11; l’apparato ha la variante demon per ydolum).

107 Ib., p. 549. La forma Farfalletto potrebbe essere una vera interpretazione popolare del nome dantesco;

cfr. per questo la voce di V. Presta in E.D.

108 Malacoda è anche il diavolo che il mago Teone invoca per aiutarlo a soddisfare le richieste del re

Belisario; e a Maria, che gli comanda di confessare dove voglia portare Onorio, risponde Libicocco: «I’ t’avevo a menar colla tuo corte | dinanzi al mie signor, gran Belzebù», nella Rappresentazione d’uno

miracolo di nostra Donna che per mezzo d’uno peregrino risuscitò il figliuolo d’uno re che cascava di quel malmale, detta La rappresentazione di Cassiodoro, in N. Newbigin (cur.), Dieci sacre rappresentazioni inedite fra Quattro e Cinquecento, «Letteratura italiana antica» X, 2009, pp. 262-295. 109 Si veda la rispettiva voce di V. Presta in E.D.

ben ti fu misu lu to nomu di dannu,

ca tu non cridi may cosa nixuna (vv. 846-849).

‘Nome di danno’ non è né interpretazione nuova né una facilior, ma semplice svista di lettura. Nulla, infatti, se non un errore giustifica la lezione. Nella Leg. aurea, V. De

sancto Thoma apostolo, 1-11, si legge:

Thomas interpretatur abyssus vel geminus, quod et Grece Didimus dicitur; vel Thomas a thomos, quod est divisio sive sectio. Dicitur ergo abyssus eo quod profunditatem divinitatis penetrare meruit quando ad sui interrogationem Christus sibi respondit: ‘Ego sum via, veritas et vita’. Dicitur geminus eo quod resurrectionem Christi quasi geminate et in duplum quam alii cognovit; nam illi cognoverunt videndo, iste videndo et palpando. Divisio autem sive sectio dicitur quia mentem suam ab amore mundi divisit vel quia ab aliis in fide resurrectionis divisus et sectus fuit. Vel Thomas quasi totus means in dei, scilicet amore et contemplatione […] Vel dicitur Thomas a theos, quod est deus, et meus, quasi deus meus, et hoc propter illud quod dixit cum certificatus credidit: ‘Deus meus et dominus meus’.

L’incipit proviene da Isidoro, Etym. VII, ix, 16: «Thomas abyssus, vel geminus, unde et Græce Didymus appellatur», che ripete Girolamo del Liber interpretationis, e si trova anche nell’innologia: «Abyssus letitiæ» (v. 22) canta la sequenza Salve Thoma didyme.111

La lunga citazione della Legenda, però, non chiarisce il ‘nome di danno’. La rima è irrelata, per cui abbiamo ABCB, mentre dovremmo trovare ABAB; il terzo verso è ipermetro (ripeto, pur nella incertezza generale di metro e rime). La rima in A, sdrucciola, suggerisce l’ipotesi risolutoria. Poiché di dannu non trova il conforto in possibili fonti o nel significato, e poiché depongono contro anche la giustezza metrica e la rima, ho supposto di dovere leggere Didamu. Graficamente l’espressione ha solo un’asta in più, e ciò spiegherebbe la facile svista del copista (che forse, psicologicamente, voleva attribuire all’apostolo chissà cosa!). La parola sdrucciola supplisce alla rima assente, la metrica diventa regolare e c’è un senso. Il nome, pur se dissimilato, è evangelico: «Dixit ergo Thomas, qui dicitur Didymus» (Io 11, 16; e ancora 20, 24; 21, 2).112

Il secondo caso riguarda il modo di interpretare, che rimanda ad un fatto, un evento biblico o della tradizione. In questa categoria rientra una quartina, in cui parla Esaù rivolto a Cristo, giunto nel limbo a liberare i santi padri:

111 Mone, n. 717.

112 Ho già discusso questa correzione in Proposte per la Resurressioni di Marcu di Grandi, AA.VV., Studi Testuali 5, Alessandria 1998, pp. 179-180; a p. 173 ho scritto, ma per motivi diversi, anche della quartina

Eu su quillu Esaù, chi fuy gabbatu di meu frati Iacòb supplantaturi, chi drittamenti fu chamatu,

chì voli denotari ‘ingannaturi’ (vv. 145-148).

Per il testo si noterà che al v. 147 mancano due sillabe per l’endecasillabo (nonostante la «metrica a fisarmonica», secondo l’espressione di Sesini) e il senso non pare completo; forse andrebbero integrate due sillabe (cusì, Iacob?), dato che, ripristinando solo la forma non sincopata dell’avverbio, siciliana sì ma non strettamente necessaria, si arriva al decasillabo. In supplantaturi, che forse discende dalla Leg. aurea, è evidente ciò che aveva scritto Isidoro: «Iacob subplantator interpretatur, sive quod in ortu plantam nascentis fratris adprehenderit, sive quod postea fratrem arte deceperit» (Etym. VII, v. 5). La definizione di Isidoro sviluppa, con preciso ricordo circostanziale, ciò che in Girolamo è solo un accenno: «Iacob, supplantator»; «Iacob, supplantator, sive supplantans», aggiungendo anche Gn 25, 25 («Protinus alter [Iacob] egrediens, plantam fratris tenebat manu»). Isidoro, anzi, ripete Gn 27, 36, in cui Esaù, saputo l’inganno, dice al padre: «Iuste vocatum est nomen eius Iacob: supplantavit enim me in altera vice: primogenita mea ante tulit, et nunc secundo surripuit benedictionem meam» L’ascoltatore di Marco, a cui il poeta dice «chì voli denotari ‘ingannaturi’», doveva ricostruire il senso, ricordandosi degli eventi biblici che Isidoro compendia, cioè del piatto di lenticchie (Gn 25, 29-34) e della cacciagione con la conseguente benedizione carpita con l’inganno al vecchio padre (Gn 27); e per essere aiutato in questa decifrazione del difficile latinismo biblico, il poeta pone la glossa a supplantaturi. Ritroviamo un lemma simile nella Rappresentazione dell’Annunziazione di Feo Belcari, quando l’angelo si volge a Giacobbe, dicendogli: «Vieni, o padre Jacob, che supplantasti | per gran divin consiglio il tuo fratello» (5.1-2); ma supplantasti resta latineggiante, velato di mistero, per dare un’aura più solenne e più sacrale al testo volgare.113

BREVECONCLUSIONE

Come si vede, i laudisti hanno interpretato, spesso seguendo la tradizione canonica. L’importanza di questo fatto sta nell’uso stesso delle laude, che ebbero vita e larga

diffusione almeno fino al Quattrocento avanzato: esse furono dunque, pur quasi sempre senza innovare, un sistema di divulgazione delle vite dei santi, dei loro nomi, delle loro interpretazioni e spesso dei loro patronati. L’interpretazione assume quasi sempre importanza esegetica, a livello letterario e iconografico, e può essere talora utile ai fini della ricostituzione del testo. Il che non è poco.

Mutans Evae nomen

… nel nome di Maria…

(Purg. V, 101)

Franco Mancini ha dedicato un breve articolo all’anagramma Ave-Eva-Vae114 e ha

congiunto, rifacendosi ad antiche tradizioni, in modo inscindibile e teologico le tre parole, l’ultima delle quali è sentita quasi come tertium necessarium; anzi, per concludere con lo studioso (che per le sue osservazioni prende spunto o sviluppa accenni di Mari e di Roncaglia, dei quali riporta in nota le allegazioni, tratte soprattutto dagli

Analecta Hymnica):

Seguendo una direzione siffatta [da Eva ad Ave], resta plausibile come da Eva, per ulteriore scambio di lettere, possa ricavarsi la dolorosa, severamente ammonitrice interiezione VAE, quale rinveniamo in un

Antifonario del Museo civico medievale di Bologna: «Non viderunt et crediderunt. EVAVAE» [cioè: EVA,

VAE!]115.

Con questa nota si infoltisce il numero dei riscontri, che attestano la frequenza con cui anonimi poeti o maestri illustri ornavano il loro discorso; e ciò non solo per eleganza retorica dell’antitesi o per il gusto dell’anagramma, ma perché così l’opera salvifica di Maria, ‘corredentrice’, si incardinava nell’historia salutis, partendo da un vae-guai da

Eva, e l’iter giungeva con l’Ave alla novella Eva, così come da Adamo si arrivava al

nuovo Adamo, Cristo,116 affinché «unde mors oriebatur, inde vita resurgeret: et qui in

ligno vincebat, in ligno quoque vinceretur», come canta il prefazio «in Missis de Passione et de S. Cruce». Il parallelismo deve necessariamente essere costante: ad Eva si

114 In «SPCT» 33, 1986, pp. 5-7; ristampato poi in F. Mancini, Saggi e sondaggi. Letteratura Italiana e Cultura Religiosa, Roma 1993. Nella n. 2, Mancini riporta Roncaglia, che cita il Mari. L’unico esempio del

Mari, in verità, proviene dall’Ars rithmica di Giovanni di Garlandia, che più volte scrive: «Eva mundum deformavit, | Ave mundum reformavit, | Christum pariendo»; così commentata: «La prima strofa di questo inno [Verbum bonum et suave] ricordò forse a Giovanni il giochetto Eva e Ave» (G. Mari, I trattati

medievali di ritmica latina, Milano 1899; rist. anast., Bologna 1971; cito da quest’ultimo: pp. 37-38, e n.

7). Il testo di Roncaglia, racchiuso in una nota, viene riportato da Mancini: vi si leggono, oltre all’Ave

maris stella, due esempi degli Analecta hymnica Medii Aevi (herausgeben von G.M. Treves, New York adn

London, Reprint by J. Reprint Corporation 1961), e un rimando a Lanfranco Cigala. Per l ’aspetto storico- teologico, cfr. la voce Nuova Eva di R. Laurentin, S. Meo, in Nuovo dizionario di Mariologia, a cura di S. de Fiores e S. Meo, Cinisello Balsamo 1986.

115 Mie le inserzioni tra quadre.

sostituisce Maria, Cristo soppianta Adamo.117

Ecco dunque i brani.

Dall’antologia innologica mediolatina del Mone traggo i primi riscontri;118 fra essi si

noterà un gruppetto, in cui il tema si amplifica quasi naturalmente, poiché vi si trovano citazioni letterali, parafrasi e sviluppi dell’Ave, maris stella, dove (come ricordato da Roncaglia e da Mancini) appare una strofe ad hoc:

Sumens illud AVE

Gabrielis ore, Funda nos in pace Mutans HEVAE nomen.119

Da una sequenza del secolo XIII:

Alma redemptoris mater,

quam de caelis misit pater, propter salutem gentium,

tibi dicunt omnes AVE!,

quia mundum solves A VAE

mutasti vocem flentium (n. 483, vv. 1- 6):

si noti il gioco della rima composta (preceduta nei due casi da -unt omnes|-um solves: rima ricchissima, si direbbe), per cui la pronuncia identica ripete la parola, ma la grafia (forse il dittongo è dell’editore) e il significato sono profondamente divergenti. Si leggano poi i Versus super Ave maris stella, sec. XV: trattandosi di parafrasi dell’inno mariano, come già detto, appare evidente il richiamo (il corsivo del Mone mette in risalto l’inno):

Sumens illud AVE, tanquam procul A VAE,

sic es salutata,

117 Questo parallelismo si coglie, da altra angolatura, nell’esposizione dei vangeli di Sacchetti: «Chi fu

l’Angelo che salutò Maria? Fu l’Angelo Gabriel de l’ordine de’ Serafini, però che del’ordine de’ Serafini fu Lucifero, il quale venne a Eva a farla peccare; ché volle Dio che, come il Serafino ci diè morte, così il Serafino ci desse vita» (F. Sacchetti, La battaglia delle belle donne, Le lettere, Le sposizioni di Vangeli, a cura di A. Chiari, Bari 1938, p. 198); lo scrittore non si fa scrupolo di costringere Gabriele ad essere serafino, e non arcangelo come dovrebbe; e per conseguenza obbliga anche Lucifero.

118 Mone. Con il maiuscoletto evidenzio i giochi di parola.

119 Questo è il testo oggi, come è riportato nel Liber usualis Missae et Officii pro dominicis et festis[...], a

Solesmensibus Monachis diligenter ornato, Parisiis-Tornaci-Romae-Neo Eboraci 1962, p. 1260. Si noti l’inversione «nomen Hevae», causata sicuramente dalla rima nei testi del Mone. Si ricordi, inoltre, che l’inno è stato a lungo attribuito a Venanzio Fortunato (morto nel 600 ca.; ma vedi la nota 36 a p . 000000000000); ciò depone per la sua vetustà.

Gabrielis ore [...] Mutans nomen EVAE ne facias breve,120

o dulcis Maria (n. 496, vv. 13- 24).

Ancora sullo stesso tema:

Sumens illud AVE, jocundum et suave,

Gabrielis ore,

cum summo honore,

Funda nos in pace,

tua sancta prece,

Mutans nomen EVAE,

ut dicamus ‘AVE’ (n. 497, vv. 9-16):

qui si vede nei distici la rima (talora inclusiva), altri assonanti, oltre al bisticcio

pace/prece; e poi un’Oratio super Ave maris stella:

Mutans nomen EVAE, confer onus leve, ne culpae primaevae nos corrumpat fel; nomen amorosum habes et formosum, spiritum favosum, tu coeleste mel. EVAE transfer fletum

in arrisum laetum, sic intremus coetum

ubi manet El (n. 498, vv. 85-96):

il peso diventa leggero («onus meum leve» Mt 11, 30); il fiele del peccato di origine (primeva, quasi ‘prima Eva’) non ci corrompa, fino al raggiungimento di Dio, ebraicamente El.

In queste Laudes b. Mariae si noti la cellula cordis, con spunto biblico (cfr. «Introduxit me rex in cellaria sua» ; «in cellam vinariam», Cant 1, 32; 2, 4):

VAE mutasti maledictum

Gabrieli credula,

120 Il Mone in nota ricorda anche Eva, ave e Evae, vae. Nell’Ave maris stella non si può anagrammare Hevae con Ave, dovendosi per ciò presupporre un nominativo (Heva indeclinabile?); l’autore di questi Versus super Ave maris stella intende il nome Evae che, fatto breve (accorciato di una sillaba, e

precisamente di quella iniziale), diventa vae, e prega che ciò non accada. Inutile ricordare che tutta questa ‘teologia nominale’ si può avere solo in latino, con Ave.

dum servasti benedictum

AVE cordis cellulâ (n. 586, vv. 33-6).

In tutti i casi il verbo mutare risuona come perno del ragionamento. In queste altre

Laudes Mariae si mette in risalto la figura etimologica in «salus salutata» e la ricchezza

dei titoli mariani di ascendenza biblica:

Tu mons, nubes, puteus, cella conquadrata,

coelum, thronus, oppidum, paradisus grata,

tu sensu tu literis Evae transformata,

tu fusca, tu vinea,

salus salutata (n. 600, vv. 33-40):

trasformare il senso e anche le lettere che compongono il nome di chi è il ‘monte santo di Dio’, la ‘nube’ che protegge il popolo eletto, il ‘pozzo’ di Giacobbe, la ‘cella’ del Cantico

dei cantici, etc.

Altri esempi provengono dall’Epithalamium beate virginis Marie di Giovanni di Garlandia, opera scritta tra il 1220 e il 1248;121 nei vari libri, più volte il poeta costruisce

parecchi versi sulle tre parole, e il vae (nella grafia senza dittongo), come cosa che gli sta a cuore, ha particolare risonanza:

Femina sumat AVE quo VE VE diluat EVE (I, 315);

[...] ex quo fratre cadit frater, VE filius EVE

sentit, nec nisi VE parturit EVA viro.

EVA reformet AVE quod VEVE deleat EVE:

femina sit victrix: femina victa fuit (II, 323-6);122

Gratia quam complet, per quam VE demitur EVE,

victrix Hostis, AVE stella Maria maris (VI, 77-8):

negli ultimi versi Giovanni parla dell’Annunciazione e quelle citate dovrebbero essere le parole dell’angelo, parafrasate secondo lo stile dell’autore (ma gratia rinvia a Luca; e

121 Giovanni di Garlandia, Epithalamium beate virginis Mariae, cit.

122 Si osservi lo stile di Giovanni. Nei vv. I, 315 e II, 325 si noti il calco metrico-linguistico: «-mat Ave quo

ve ve diluat Eve | -met Ave quod ve ve deleat Eve»; ancora in II, 325, Eva, in posizione preminente e di chiusa, riferito prima a Maria e poi alla prima madre; il chiasmo di II, 326; il costruitissimo VIII, 217: il bisticcio (labe|labi), la rima equivoca (mali|mali), la rima perfetta (nos|dos); e al verso successivo rependit ripete, e con rima, tutto perpendit (eccettuata la lettera iniziale e con piccola inversione re|er); tralasciando lo scontato Eva|Ave.

stella maris, con Isidoro, è interpretatio del nome di Maria);123

Labi labe mali nos fecit dos mala mali:

VE perpendit EVA, Virgo rependit AVE (VIII, 217-8).124

Nel Libro X, dopo una triplice esclamazione epiforica di ave, il poeta conclude, rivolgendosi a Maria:

Evam restituis materque renascitur in te:

ad vitam matrem filia virgo paris (vv. 173-4):

non solo dunque viene mutato il nome di Eva, ma Eva stessa è rinnovata e riportata alla vita per la Vergine figlia.

Scritta nello stesso periodo dell’Epithalamium, ecco una preghiera del monaco francese Gautier de Coincy (1177 ca.-1236), che fra le lodi della Vergine non manca di inserire il gioco anagrammatico:125

Entendez tuit ensemble et li clerc et li lai le salu Nostre Dame, nus ne sait plus douz lai. Plus douz lais ne puet estre qu’est Ave Maria: Cest lai chanta li angres quant Diex se maria. 5 Eve a mort nous livra

Et Eve apporta ve, mais tous nous delivra et mist a port Ave.126

I vv. 5-8 sono il ritornello; l’anagramma, poiché si trova Eve, si deve leggere fra le righe, nella cultura latina del poeta.

Dello stesso sec. XIII è Alfonso X, che in una Cantiga de loor de Santa Maria,

123 Interpretazione ripetuta anche da san Bernardo: «Nomen Mariae interpretatum maris stella dicitur, et

matri virgini valde convenienter aptatur» (cfr. Mone, n. 326, nota al v. 165); correva un’altra interpretazione: «Maria interpretatur amarum mare», per cui cfr. alle pp. 000-000

124 Così traduce Saiani: «Una donna riceva l’ave, con cui il ve di Eva cancelli» (I, 315); «da quando per

mano del fratello cade il fratello, il figlio di Eva | sente il ve, e null’altro che il ve Eva genera all’uomo; || un’Eva inauguri l’ave che il ve di Eva cancelli; | sia vincitrice la donna: già la donna fu vinta» (II, 323- 326); «Ave, o Maria, Stella del Mare ricolma di grazia, | tu che riscatti la colpa di Eva, tu che vinci il nemico» (VI, 77-78); «La mala dote del melo ci fece cadere col male: | Eva ne ricavò il ve, la Vergine ottenne l’ave» (VIII, 217-218).

125 Traggo il testo dal libretto di un Cd, Chansons de femmes, XIIe et XIIIe siècles, Ave Eva, Opus 111, OPS

30-134, Paris 1995, p. 15; ed. di riferimento: J. Chailley, Les Chansons à la Vierge de Gautier de Coincy. Nell’anagramma minimo del titolo, Ave Eva, traspare l’intenzione di raccogliere canzoni per le donne (compresa la Vergine).

126 Si notino i vari giochetti di rima equivoca (Maria : se maria), derivata (livra : delivra) e il complesso apporta ve : a port Ave.

intitolata Do departimento que à entre Av’e Eva, scrive:127

Entre Av’e Eva gran departiment’à.

Ca Eva nos tolleu o Parays e Deus; 5 Ave nos y meteu:

porend’, amigos meus:

Entre Av’e Eva...

Ave è diventato il nome della Vergine, nella semplicità dell’anagramma ripetuto dal

ritornello.

Una attestazione più complessa viene dalla XXXVIII predica di commento al cap. III del Genesi di fra Giordano (1260 ca.-1311), con il seguente argomento: Et vocavit Adam

nomen uxoris sue Eva eo quod mater esset cunctorum viventium; Eva, dunque, secondo

l’interpretatio, come ‘madre dei viventi’:

[...] Adam [...] la chiamoe Eva, perch’ella era madre di tutti li viventi. Or questo nome Eva è greco, et àe ad significare tre cose segondo li greci [...] Unde Eva è a.ddire ‘vita’, anco Eva è a.ddire ‘guai’, anco Eva è

a.ddire ‘miseria’ [...] Or, segondo modo spirituale, questa Eva significa la Vergine Maria [...] Eva significa

la Vergine Mari‹a›: vòlvesi lo nome, sì come lo rivolse l’angelo. Unde EVA, rivolto, è a.ddire ‘AVE’, cioè

‘sensa guai’ [...] Questo nome EVA, rivolto, è a.ddire ‘sensa guai’, però che la Vergine beata fue sensa

alcuna colpa et fue innocente et sensa colpa […].128

Leggendo con attenzione viene fuori un altro significato: per trarne infatti il ‘sensa guai’ non si deve ricorrere all’anagramma vae, ma alla parola Eva rivolta e letta ‘a ve’: così è ‘senza guai’! La sequenza EVA → AVE → A VE dà l’interpretazione.129

Invero, questa sequela, apertamente mariana, proviene dall’esegesi di Pietro delle Celle, benedettino morto nel 1183. In uno dei suoi Sermones sta scritto:

Quid est Ave? Pax tecum; qui pacem non amat, anathema sit. Ave. Quid est Ave? sine vae.130 Quis est sine

vae? Maria. Quare? quia gratia plena. Ave, id est sine vae; id est pax tecum. Quid est sine vae? Quid est pax tecum? Vae Adae, vae Evae; sed Mariae, Ave.131

L’autore continua con le interrogazioni, per dimostrare che, poiché Eva partorisce con dolore, per la promessa biblica Maria deve partorire «sine vae», perché «nescit

127 Nel libretto del Cd cit., p. 33; ed. di riferimento, H. Angles, La mùsica a Catalunya fins al segle XIII. 128 Giordano da Pisa, Sul Terzo Capitolo del Genesi, a cura di C. Marchioni, Prefazione di C. Delcorno,

Firenze 1992, pp. 240-243.

129 Non è perspicace il trapasso etimologico, eccetto che si voglia pensare ad una omissione per omeoteluto

del copista: «Unde ‘Eva’, rivolto, è a.ddire ‘ave’, cioè ‹‘a ve’, cioè›, ‘sensa guai’».

130 Evidentemente, se non vogliamo scrivere «A ve», bisogna sottintenderlo con un trapasso mentale, come

nel testo di fra Giordano.

interjectionem dolentis».132 Egli, forse, si rifà ad altro benedettino, Rabano Mauro, De

Universo:

Eva interpretatur vita, sive calamitas, sive vae. Vita, quia origo fuit nascendi; calamitas et vae, quia per praevaricationem causa extitit moriendi. A cadendo enim nomen assumpsit calamitas. Alii autem dicunt quod ob hoc Eva vita et calamitas sit appellata, quia saepe mulier viro causa salutis est, saepe calamitatis et mortis, quod est vae. Designat autem Ecclesiam sponsam Christi factam per lavacri ministerium, quod de latere morientis Christi profluxit.133

Importante mi pare l’accenno alla Chiesa, poiché ci fa vedere che in Rabano, morto

Documenti correlati