L. Frusteri*, P. Iacovacci**, C. Novi*, G. Di Felice**, C. Pini**, M. Maroli***, R. d’Angelo*
* INAIL - Direzione Regionale Campania - Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione
** Laboratorio di Immunologia, Istituto Superiore di Sanità.
*** Laboratorio di Parassitologia, Istituto Superiore di Sanità.
Premessa
Negli ultimi decenni, le patologie di natura allergica hanno subito un forte incremento e, tra queste, soprattutto quelle da allergeni indoor. Il fenomeno trova una spiegazione plausibile in diversi fattori, tra cui anche cambiamenti nelle abitudini di vita, un’aumentata percentuale di tempo trascorso in ambienti chiusi (case, scuole, uffici, palestre, cinema, ecc.), abitazioni sem-pre più protette dagli agenti atmosferici esterni e quindi semsem-pre più “sigillate”, abitudine di tenere animali domestici in casa.
Se è già stato ampiamente dimostrato come gli acari della polvere siano coinvolti nella genesi e nello sviluppo di asma e riniti, sempre più numerose sono le segnalazioni sul ruolo svolto anche da altri allergeni indoor, quali i derivati epidermici di animali domestici, le muffe e gli insetti.
In Italia sono state condotte diverse indagini sulla presenza degli acari in ambienti domestici, ma poco si conosce sulla presenza di questi o di altri allergeni in ambienti di lavoro indoor. Tali allergeni, per una serie di caratteristiche ambientali e per il fatto che un lavoratore vi trascor-re buona parte della giornata, possono costituitrascor-re sia un rischio di sensibilizzazione che di indu-zione di una crisi allergica.
I generi di acari più frequentemente riscontrati nelle polveri domestiche e importanti da un punto di vista allergologico sono Dermatophagoides, Euroglyphus ed Acarus. Negli ultimi anni, sono state studiate e caratterizzate soprattutto le componenti sensibilizzanti del genere Dermatophagoides che, con le specie pteronyssinus (Fig. 1) e farinae risulta essere il più rap-presentato nelle nostre abitazioni. Gli allergeni cosiddetti “maggiori” di D. pteronyssinus e D.
farinae sono: Der p 1 e Der f 1, glicoproteine presenti essenzialmente nelle deiezioni fecali, Der p 2 e Der f 2 , estratti dal corpo dell’acaro.
Figura 1: A, femmina; B, maschio; C, spermateca (importante nella diagnosi di specie) di D. pteronyssinus.
In alcuni Paesi, tra cui quelli scandinavi, le allergie dovute a derivati epidermici di animali domestici sono in numero superiore rispetto a quelle dovute agli acari (Perzanowski et al., 1999). In modo particolare Fel d 1, l’allergene maggiore del gatto, si è rivelato tra i più poten-ti allergeni responsabili di attacchi acupoten-ti di asma.
Anche le blatte rappresentano una significativa fonte di allergeni in alcune parti del mondo e soprattutto negli edifici con scarso livello igienico (Chapman, 1993). Le specie più comune-mente riscontrate in Italia negli ambienti indoor sono Blattella germanica, segnalata spesso quale fonte di infestazione domestica, Periplaneta americana che predilige grandi magazzini e depositi di derrate, Blatta orientalis, frequentemente riscontrata in luoghi più freschi come gli scantinati. Il fenomeno della sensibilizzazione nei confronti delle blatte in Italia è ancora in fase di valutazione e la maggior parte dei dati proviene da studi svolti in altri Paesi europei o negli Stati Uniti (Custovic et al., 1996, 1998).
Relativamente agli allergeni acaridici e grazie alla disponibilità di allergeni purificati e caratte-rizzati, il I ed il II International Workshop on Indoor Allergens and Asthma (Platts-Mills et al., 1992) hanno proposto 2mg di allergene del gruppo 1 per grammo di polvere quale valore soglia per la sensibilizzazione, e 10µg/g di polvere quale limite per l’insorgenza di attacchi acuti di asma. Precedentemente, quali valori soglia venivano considerati rispettivamente 100 e 500 acari/g di polvere. Se sulla correlazione tra esposizione ad allergeni e sensibilizzazione c’è una certa unanimità di consensi, il rapporto tra esposizione e manifestazioni acute di asma è molto più complesso. Molti pazienti con asma sono esposti e sensibilizzati nei confronti di più aller-geni indoor ed è difficile definire il contributo di ciascuno di essi nello scatenamento di una sin-tomatologia acuta. La situazione è ulteriormente complicata dal ruolo giocato da fattori conco-mitanti o favorenti la crisi allergica, tra cui si possono annoverare l’inquinamento ambientale, l’attività fisica, le infezioni batteriche e virali (Custovic e Chapman, 1998). Per gli altri allerge-ni non esistono livelli soglia ben defiallerge-niti, ma sono stati suggeriti i valori compresi tra 2 e 8µg/g di Fel d 1 come importanti per la sensibilizzazione e superiori a 8µg/g per lo sviluppo di attac-chi acuti di asma (Raunio et al. 1998).
La valutazione del rischio allergeni in ambienti di lavoro indoor non può prescindere da proce-dure rigorose e standardizzate ma, ad oggi, non esiste un consenso unanime sulle modalità di campionamento, sul tipo di campionatore e di tecniche di estrazione da adottare.
Il campionamento degli allergeni può essere effettuato mediante la raccolta sia delle polveri sedimentate sia del particolato aerodisperso, in base alle quali si ottengono indici di esposizio-ne esprimibili, rispettivamente, in termini di mg di allergeesposizio-ne per grammo di polvere (µg/g) o mg di allergene per m3 di aria (µg/m3).
Il monitoraggio del particolato aerodisperso è influenzato dal fatto che la persistenza degli aller-geni nella frazione inalabile varia in funzione sia della forma e delle dimensioni delle particelle in cui sono contenuti (10 ÷ 40 µm per acari e blatte, inferiori ai 5 µm per gatto e cane) che della tur-bolenza dell’aria, per cui rimangono in sospensione per un periodo di tempo differente.
In letteratura, finora, il metodo più utilizzato risulta quello della raccolta delle polveri su super-ficie, che può essere effettuata secondo modalità diverse ed avere un grande impatto sui risul-tati finali. E’ importante, dunque, scegliere la procedura in base allo scopo prefissato, che può essere, ad esempio, lo studio della qualità allergenica della polvere (molto utile nel valutare il rischio in un determinato ambiente) o l’esposizione totale agli allergeni. Nel primo caso l’ana-lisi viene standardizzata per unità di peso e i risultati espressi come mg di allergene/g di pol-vere; nel secondo caso, viene standardizzata per unità di superficie e tempo, ed espressa in ter-mini di mg o ng di allergene/m2/minuto. Negli studi epidemiologici sembra più idoneo espri-mere il dato in termini di unità di peso/g di polvere; nel caso, invece, si vogliano verificare i risultati di determinati programmi di controllo, appare più opportuno esprimersi in termini di mg per unità di superficie. Esprimere i risultati per unità di peso/g di polvere, insieme alla setacciatura della polvere, rende più facile la standardizzazione e il confronto tra siti
differen-ti. Tra l’altro, è stata anche dimostrata una buona correlazione tra risultati espressi in µg/g o in µg/m2(Custovic et al., 1995).
In quanto ai campionatori, ci si può avvalere di aspirapolveri alle quali vengono di volta in volta cambiati i sacchetti oppure inseriti speciali “dust-trap”, ricettacoli per la polvere prov-visti di filtri.
Per quanto riguarda la misurazione degli allergeni indoor, i test più riproducibili e specifici sono quelli che si avvalgono dell’uso di anticorpi monoclonali e consentono di effettuare sia un’ana-lisi qualitativa sia quantitativa. Altri metodi usati in particolare per gli acari sono: i) conta al microscopio ottico, metodo che consente di valutare specie e densità ma, oltre ad essere piut-tosto laborioso, necessita di personale specializzato; ii) analisi semiquantitativa con anticorpi policlonali; iii) dosaggio della guanina, analisi semiquantitativa e piuttosto aspecifica.
In base a quanto espresso precedentemente, risulta necessario, ai fini della valutazione del rischio, approfondire le problematiche relative al campionamento e alle tecniche relative al dosaggio degli allergeni al fine di stabilire dei criteri analitici rigorosi. In tale contesto e da tale esigenza nasce il nostro studio, avente lo scopo di focalizzare meglio la questione allergeni indoor e di riuscire, avvalendoci del confronto di metodologie standardizzate disponibili com-mercialmente, ad effettuare opportunamente la valutazione del rischio nelle svariate tipologie di ambienti lavorativi confinati. E’ naturalmente opportuno, quale fase preliminare, esaminare le peculiarità delle diverse realtà lavorative con gli eventuali cicli produttivi, tenendo conto di tutti quei fattori bio-ecologici e fisici che possono influenzare la diffusione degli allergeni.
Lo studio è stato avviato in alcuni uffici nei quali, sia per le particolari condizioni microclima-tiche, sia per la lunga permanenza dei lavoratori, si possono verificare situazioni di rischio molto simili a quelle domestiche, già ampiamente documentate in letteratura. Obiettivo princi-pale è stato quello di valutare la “qualità allergenica” delle polveri campionate, mediante: 1) analisi qualitativa e quantitativa degli allergeni Der p 1, Der f 1, Mite group 2 (Der p 2, Der f 2), Bla g 2, Fel d 1 con la tecnica del Dustscreen (CMG-HESKA, Fribourg, Switzerland); 2) identifi-cazione di specie e studio della densità acaridica; 3) studio dei fattori microclimatici ed ambien-tali potenzialmente in grado di influenzare la diffusione degli allergeni.
Materiali ee mmetodi Area ddi sstudio
Lo studio è stato effettuato in quattro edifici INAIL della Regione Campania, corrispondenti a tipologie edilizie ed ubicazioni diverse: 1) Centro Polifunzionale di Via Nuova Poggioreale, Napoli: un edificio di 14 piani completato nel 1989, situato nella periferia est della città; 2) COT di Via De Gasperi, Napoli: un edificio di 5 piani ultimato negli anni ’30; 3) COT di Fuorigrotta, Napoli: un locale seminterrato di un’abitazione ad uso civile, area nord-ovest; 4) sede di Aversa (CE): edificio completato nei primi anni ‘90.
In ciascun edificio sono state scelte quattro tipologie di stanza al fine di valutare anche l’in-fluenza del “fattore umano” nella diffusione degli allergeni: ufficio con un solo impiegato, uffi-cio con più impiegati, uffiuffi-cio aperto al pubblico, archivio senza alcun impiegato.
Campionamento
La raccolta dei campioni di polvere ed il monitoraggio ambientale sono stati effettuati il 30 e 31 maggio 2000, mediante aspirapolvere (1300W). Per evitare contaminazioni tra i vari cam-pioni, ad ogni campionamento si è sempre provveduto a sostituire i sacchetti e a mantenere pulito il tubo dell’aspirapolvere.
La polvere è stata raccolta da pavimenti, scrivanie, sedie e scaffali situati nel raggio d’azione degli impiegati; negli archivi da pavimenti e scaffali.
Durante le raccolte sono stati compilati una scheda tecnica riportante le caratteristiche del sito ispezionato (presenza o meno di aria condizionata, riscaldamento, tipo e numero di finestre, ecc.) e un questionario per ciascun impiegato nel quale venivano richiesti dati sulla percezione di disagi di tipo microclimatico o la eventuale presenza di malattie allergiche.
I dati microclimatici sono stati rilevati mediante la centralina microclimatica Babuc/A, LSI.
Estrazione ee aanalisi ddegli aallergeni
In laboratorio la polvere è stata setacciata (35 mesh) al fine di eliminare le particelle più gros-solane.
Un’aliquota di 100mg è stata utilizzata per l’estrazione e l’analisi degli allergeni mediante il kit
“Dustscreen” e un’altra aliquota da 100mg è stata invece impiegata per l’identificazione e la conta degli acari; la polvere restante è stata conservata a –20°C.
Per quanto riguarda l’analisi quantitativa degli allergeni, è stato seguito il protocollo previsto dal Dustscreen, metodo che si avvale di strisce di nitrocellulosa su cui sono adsorbiti gli anti-corpi monoclonali specifici per gli allergeni Der p 1, Der f 1, Mite group 2, Bla g 2, Fel d 1. Il procedimento è essenzialmente il seguente: estrazione degli allergeni dalla polvere mediante un tampone a base di bicarbonato di ammonio; incubazione delle strisce di nitrocellulosa con 1ml di estratto, lavaggi, incubazione con una miscela contenente anticorpi monoclonali marca-ti con perossidasi, lavaggi, incubazione con cromogeno e substrato per la rivelazione colorime-trica. La durata complessiva del test è stata di poco più di 4 ore.
Una volta completato il test, le strisce di nitrocellulosa sono state lette al densitometro; i risul-tati sono srisul-tati resi quantirisul-tativi mediante l’impiego degli standard forniti dal kit, i quali con-sentono di trasformare tramite analisi densitometrica valori di assorbimento ottico in concen-trazioni di allergene misurato.
Isolamento ddegli aacari ee iidentificazione ddelle sspecie
L’isolamento degli acari è stato eseguito secondo il metodo descritto da Bigliocchi et al. (1996).
Un’aliquota di polvere è stata trasferita in un beaker contenente 30 ml di una soluzione satura di NaCl con 5 gocce di detergente e lasciata in un agitatore ad ultrasuoni per 10 minuti.
Successivamente, la miscela è stata colorata con una soluzione di cristal violetto all’1% e fatta decantare con l’ausilio di una pompa a vuoto su tre filtri di carta assorbente. Allo stereomicro-scopio (ingrandimento 25 x 10) sono stati esaminati i tre filtri, gli acari sono stati estratti e montati in liquido di Hoyer. Una volta lasciati ad essiccare i vetrini in stufa a 37°C per due-tre giorni, gli esemplari sono stati contati e identificati al microscopio ottico in base a chiavi dico-tomiche e pittoriche (Fain et al. , 1990; Ottoboni e Piu, 1990; Colloff e Spieksma, 1992).
Risultati ee ddiscussione Analisi ddegli aallergeni
L’analisi della polvere ha dimostrato la presenza di almeno uno dei cinque tipi di allergeni in ciascuno dei siti ispezionati (Tab. 1): la presenza degli allergeni da acari è stata riscontrata nell’87.5 % dei campioni, quella di Fel d 1 e di Bla g 2 rispettivamente nel 93.7 % e 37.5 %.
Se ci si riferisce ai singoli edifici, la più alta concentrazione allergenica è stata osservata a Fuorigrotta AM 17.3, range (0,17 ÷ 34.37), le concentrazioni più basse presso il Centro
Polifunzionale (AM 6.8, range 3.67 ÷ 9.91), seguito dalla Sede di Aversa (AM 11.5, range 2.82 ÷ 20.08), cioè nei due edifici di più recente costruzione.
Considerando invece le diverse tipologie di stanze campionate, l’archivio è risultato in assoluto il sito meno infestato (AM 3.5, range 0.46 ÷ 6.51); quello a più alta concentra-zione allergenica è stata invece la stanza con più persone (AM 18.9, range 3.39 ÷ 34.37).
Tra i fattori che potrebbero spiegare un tale risultato c’è sicuramente quello “umano”, ossia la presenza o meno di impiegati fissi in tali ambienti; gli acari, infatti, si nutrono essen-zialmente di frammenti organici presenti nella polvere quali residui di cibo, fibre naturali e spoglie di artropodi, nonché i prodotti della desquamazione cutanea dell’uomo, sufficienti per lo sviluppo e la diffusione di migliaia di acari. Quanto detto potrebbe essere in con-traddizione con il fatto che nelle stanze aperte al pubblico, dove sicuramente l’afflusso di pubblico è maggiore che in altre stanze, il livello di allergeni è risultato più alto solo degli archivi (AM 5.0, range 0.17-9.91); tuttavia, se si tiene conto delle diverse modalità con cui vengono svolte le pulizie emerge che nei locali aperti al pubblico tutti i giorni i pavimenti vengono lavati con detersivi.
Tabella 1
Livelli degli allergeni riportati per edificio e tipologia stanza (A, stanza con una persona; B, stanza con più persone; C, stanza aperta al pubblico; D, archivio).
Der p1* Der f 1* Mite group2 * Fel d 1 * Bla g 2 *
Nella Tabella 2 sono riportate le percentuali dei campioni positivi e i relativi livelli di allergene riscontrati.
Tabella 2
Numero e percentuale dei campioni positivi con i relativi livelli di allergene (µg/g di polvere).
N° CCampioni ppositivi
Se si prendono in considerazione i singoli allergeni, la concentrazione più alta è quella relativa agli acari della polvere: i livelli di Der f 1 e di Der p 1 sono stati superiori a 2µg/g di polvere nel 56.3 % e 62.5 %, rispettivamente, dei campioni esaminati; addirittura, nel 18.7 % dei campioni, Der f 1 ha superato il limite di 10µg/g, valore considerato ad alto rischio di sintomatologia acuta.
E’ un dato che si discosta da altri studi presenti in letteratura sulla presenza di allergeni in edifi-ci pubbliedifi-ci (scuole, uffiedifi-ci, edifi-cinema, ecc.) dove sembrano prevalere quelli di cane e gatto (Almqvvist et al., 1999; Custovic et al., 1996; Perzanowski et al., 1999; Raunio et al., 1998) o, comunque, i livelli di allergeni da acari della polvere risultano significativamente più bassi rispetto a quelli domestici (Wickens e coll., 1997; Menzies e coll., 1998). Talvolta, una presenza consistente è risul-tata limirisul-tata solo ad alcuni siti specifici, tra cui le sedie di stoffa (Janko e coll., 1995).
Per quanto riguarda gli altri due allergeni presi in esame, sono stati ottenuti mediamente valori infe-riori a quelli che identificano in linea teorica la soglia di sensibilizzazione (circa 2µg/g di polvere).
I bassi valori di Fel d 1 potrebbero trovare una spiegazione sia nel fatto che nessuno degli impie-gati interpellati possedeva gatti in casa, sia al fatto che per un tale allergene dalle dimensioni inferiori ai 5mm, un campionamento aereo si sarebbe rivelato probabilmente più sensibile.
In uno studio condotto da Perzanowski et al. (1999) in alcune scuole e case svedesi, è risulta-to che la concentrazione media di Bla g 2 era sempre inferiore a 0,2µg/g di polvere, mentre quella di Fel d 1 variava tra 0.76 µg/g di polvere nelle scuole, fino a 33 µg/g nelle case in cui era presente un gatto. In alcune classi in cui erano presenti bambini con gatti in casa, il livello di Fel d 1 saliva in modo significativo; la diffusione di tale allergene, infatti, è molto legata al trasporto passivo soprattutto tramite il vestiario.
Le basse concentrazioni di Bla g 2 ben si accordano con il fatto che tali allergeni sono legati a particelle di dimensioni maggiori e non è ancora dimostrato che aderiscano alle pareti o al vestiario (Chapman, 1993), per cui è irrilevante il ruolo giocato dal trasporto passivo. I valori leggermente più alti riscontrati in un campione di Aversa e in due di Fuorigrotta, potrebbero essere dovuti all’effettiva presenza di blatte.
Vista l’esiguità del nostro campione, dall’esame dei rilievi microclimatici, non emergono delle relazioni ben definite tra i fattori presi in esame e le concentrazioni di allergeni. Se si prendo-no in considerazione umidità relativa e temperatura, i quali rappresentaprendo-no i fattori che influen-zano maggiormente lo sviluppo degli acari, emerge che la percentuale media di umidità relati-va nelle stanze in cui prerelati-vale D. farinae risulta pari al 51.5 % (range 42.3 ÷ 63.7), mentre per D.pteronyssinus è pari al 58.3 % (range 53.9 ÷ 65.6).
Dai questionari compilati dagli impiegati, è emerso che solo un’impiegata aveva effettuato delle prove allergiche ed era risultata positiva ad acari e parietaria, ma non lamentava un peggiora-mento della sintomatologia nell’ambiente di lavoro. La maggioranza degli impiegati
intervista-ti ha manifestato, invece, solo un generico fasintervista-tidio ed irritazione da parte delle polvere pre-sente su pratiche o altro materiale.
Specie ee ddensità aacaridiche
La specie più diffusa è risultata D. farinae (44,8 %) seguita da D pteronyssinus (22,4 %) (Tabella 3). La prevalenza di D. farinae conferma una precedente indagine eseguita a Napoli nelle pol-veri domestiche (Noferi et al., 1974) e ben si accorda anche con alcuni studi effettuati nelle città di Roma (Bigliocchi et al., 1994; Bigliocchi et al., 1996) e Messina (Frusteri et al., 1998). Questa specie, infatti, è spesso riscontrata in microclimi più secchi rispetto a D. pteronyssinus, ed è in grado di sopravvivere in condizioni più avverse.
Osservando i valori di umidità relativa rilevati dai nostri campionamenti, emerge come proprio nei microclimi con valori di umidità relativa più bassi (range 40 ÷ 55%), D. farinae mostri una netta prevalenza sia in termini numerici (70÷140 acari/g di polvere) sia in termini di allergeni (12.4 ÷16.84 µg/g). D. pteronyssinus, invece, risulta prevalente in Sardegna e nell’Italia cen-tro-settentrionale (Ottoboni et al., 1978; Castagnoli et al., 1983; Nannelli et al., 1983; Piu et al., 1990; Mansi et al., 2000).
Tabella 3
Densità (numero di acari per grammo di polvere) delle specie acaridiche rilevate. D.pte, D.pteronyssinus; D.far, D.fari-nae; E.may, E.maynei, non id, frammenti di acari non identificabili.
D.pte. D.far. E. mmay. larve ninfe Non iid. Densità
Centro PPol.
Se si confrontano i dati ottenuti con i due metodi relativi agli acari (Dustscreen e metodo della conta al microscopio) si può, in via assolutamente preliminare vista l’esiguità del campione, dimostrare una correlazione positiva (R2= 0.858). La predominanza dei due allergeni Der p 1 e Der f 1 è equamente ripartita nei diversi campioni positivi; i livelli complessivi di allergene sono invece diversi, con una netta prevalenza di Der f 1 (Σ= 73.2µg/g di polvere) rispetto a Der p 1 (Σ= 41.6µg/g di polvere). Questo dato conferma nettamente la grande plasticità ecologica di D. farinae, in grado di resistere maggiormente a condizioni ambientali avverse quali bassi tassi di umidità relativa o a determinate misure prevenzionali e di controllo.
Il fatto, invece, che il numero di acari sia generalmente al di sotto dei livelli di rischio, a diffe-renza della quantità di allergeni, può essere spiegato dalla dinamica stagionale degli acari, con diversi picchi nelle differenti regioni o situazioni micro- e macroclimatiche, mentre il livello di Der p 1 e Der f 1 può persistere a valori costantemente elevati anche per lunghi periodi dopo la caduta dei livelli degli acari. Tale fenomeno, oltretutto, è uno dei fattori di primaria importan-za di cui bisogna tener conto nel caso di trattamenti degli ambienti con acaricidi sprovvisti di potere denaturante degli allergeni.
CConclusioni
La misurazione del livello di allergeni in un determinato ambiente rappresenta naturalmente la prima fase di una più ampia valutazione del rischio che richiede l’intervento di più competenze scientifiche e, ad oggi, di un numero maggiore di studi che possano validarne i metodi di ope-ratività.
Nell’ambito del rischio assicurato o, più in generale, in ambito prevenzionale, sarebbe sempre auspi-cabile riuscire a stabilire eventuali relazioni dose-effetto. Tuttavia, soprattutto nel caso del rischio biologico, stabilire tali relazioni risulta di difficile attuazione, dal momento che bisogna tener conto dell’interazione di una serie di fattori (fisiologici, immunologici, microbici, ambientali).
Tali difficoltà sono ben evidenti nella complessa valutazione del rischio allergologico che pre-vede un’accurata e standardizzata metodologia relativa a campionamento, estrazione e analisi quantitativa degli allergeni; un tale procedimento permetterebbe di meglio definire la
Tali difficoltà sono ben evidenti nella complessa valutazione del rischio allergologico che pre-vede un’accurata e standardizzata metodologia relativa a campionamento, estrazione e analisi quantitativa degli allergeni; un tale procedimento permetterebbe di meglio definire la