D. LGS N 155/2006
VI. LA NUOVA IMPRESA SOCIALE
6 GIUGNO 201, N 10
6.4. L’ ASSENZA DELLO SCOPO DI LUCRO NELLA SUA NUOVA RIFORMULAZIONE
Esattamente come nella precedente normativa, all’articolo 3, si trova la clausola non lucrativa che deve essere apposta allo statuto dell’impresa sociale seppur il lucro sia inserito fin da subito tra gli elementi definitori dell’impresa stessa194
.
Il testo previgente, stabiliva: “L’organizzazione che esercita un’impresa sociale destina gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio.
189 D. lgs 3 luglio 2017, n. 117, art. 5, lett. u).
190 Ai sensi dell’art.2, numero 99, regolamento UE n.651 del 2014 della Commissione Europea. 191Ai sensi dell’articolo 122, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50.
192Ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n.251. 193Legge 24 dicembre 1954, n.1228.
194 In argomento Rivetti G., “Enti senza scopo di lucro. Terzo settore e impresa sociale. Profili di
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A tale fine è vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi di gestione, comunque denominati, nonché fondi e riserve in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori195.”
Non esistevano margini per assegnare (tra amministratori, dipendenti e volontari) gli utili o gli avanzi di gestione dell’impresa che dovevano necessariamente venir impiegati all’interno della stessa per perseguire lo scopo statutario o al massimo per incrementarne il patrimonio.
Il nuovo articolo 3 adotta inizialmente la medesima impostazione vietando la distribuzione di utili ed avanzi di gestione e ampliando il la casistica delle attività che saranno considerate “distribuzione indiretta di utili.”
In merito e quest’ultimo aspetto, dalla lettura del testo si evince come nelle prime tre ipotesi richiamate la normativa sia solo leggermente variata. Ad esempio, in merito alla retribuzione per i lavoratori subordinati o autonomi196, è stabilito che la stessa non possa superare del 40% quella percepita sulla base dei contratti collettivi da parte di lavoratori con medesime caratteristiche.
Ai tre casi già noti vanno ad aggiungersi:
“l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale197”. Suddetta disposizione pone un argine al proliferare di acquisti ad un prezzo di molto superiore a quello ordinario e che potrebbero mascherare un canale di “finanziamento” a favore di determinati soggetti legati all’i.s.
La lettera e198), in linea con la logica appena esposta, stabilisce l’impossibilità ad effettuare cessioni di beni o prestazioni (da parte dell’impresa sociale), a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, a favore di soci, amministratori e di tutti coloro che, a qualunque titolo, operino per l’impresa. Si cerca di limitare il più possibile tentativi di cattiva gestione dell’i.s. e/o d’impiego della stessa come strumento per favorire i guadagni di soggetti ben individuati.
“la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi,in dipendenza di prestiti di ogni specie,
195
Decreto legislativo 24 marzo 2006, n.155, art. 3.
196 Confronta articolo 3, comma 2, lett. b) del d.lgs.24 marzo 2006, n.155 con art.3, comma 2, lett. b)
d.lgs. 3 luglio 2017, n.112.
197 Decreto lgs. 3 luglio 2017, n. 112, art.3, comma 2, let. d). 198
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superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento199.” L’i.s. può accedere a prestiti erogati da parte di qualunque ente, ma gli interessi legali potranno avere la misura massima fissata dalla normativa.
Il vero aspetto innovativo della riforma è, però, da rinvenirsi al terzo comma in cui si ammettono, esplicitamente, delle forme di distribuzione di una quota degli utili (se l’i.s. è una società) e degli avanzi di gestione annuali (se è un’associazione, una fondazione o un comitato), in deroga al generale divieto sancito dal primo comma e nel rispetto dei parametri stabiliti.
Innanzitutto la quota in questione deve essere inferiore al 50% degli utili e degli avanzi complessivi, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti.
A seconda della forma in cui saranno costituite le i.s., tali somme potranno essere impiegate in modi differenti200.
Quelle imprese sociali che siano costituite nelle forme di cui al libro V del Codice civile (quindi le i.s. costituite in forma di società), potranno impiegare la quota secondo le modalità riportate dalla lettera a)201.
Nella prima ipotesi possono essere impiegate per aumentare gratuitamente il capitale sociale sottoscritto e versato dai soci (entro i limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolate dall’ISTAT per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio).
Ciò consentirà all’impresa di avere un aumento202
di capitale sociale senza comportare per i soci il versamento di ulteriori conferimenti, aumentando in egual modo la propria affidabilità ed credibilità nei confronti dei creditori e dei terzi.
Per comprendere l’importanza che questa possibilità assume all’interno di questa figura, è opportuno fare un breve focus sul concetto di “capitale sociale203” per cercare di comprendere appieno la portata della modifica204.
199
Decreto lgs. 3 luglio 2017, n. 112, art.3, comma 2, let. f).
200 Visconti G., “Le imprese sociali e la distribuzione degli utili”, sul sito Fisco e Tasse, 2017,
consultabile all’indirizzo https://www.fiscoetasse.com/approfondimenti/12894-le-imprese-sociali-e-la- distribuzione-di-utili.html ; Pagamici B., “Riforma impresa sociale: la mappa delle novità”, su IPSOA, 2017, consultabile all’indirizzo http://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti- dimpresa/quotidiano/2017/07/21/riforma-impresa-sociale-la-mappa-delle-novita
201 Decreto lgs. 3 luglio 2017, n. 112, art.3, comma 3.
202 L’aumento gratuito di capitale, all’interno delle società, si realizza attraverso l’imputazione a capitale
delle riserve disponibili (eccezion fatta per la riserva legale) e dei fondi disponibili. In questo caso saranno proprio gli utili ad essere riversati nel capitale.
203 Campobasso G. F., “Diritto commerciale”, vol. n.2, UTET Giuridica, Milano, 2015, pp. 6-8.
204 In argomento Cosentino A., Magistro A., “Il modello dell’impresa sociale: aspetti critici nel rapporto
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Il capitale sociale, per una qualsiasi società, consiste in un dato numerico espressione del valore in denaro che è stato attribuito ai conferimenti versati dai vari soci al momento della costituzione della società. È un valore “storico”, iscritto nello statuto, che rimane ordinariamente immutato durante la vita della società, salvo espressa delibera di modifica da parte dell’assemblea straordinaria.
È un dato rilevante, cui sono attribuite due funzioni: una vincolistica ed una organizzativa. In riferimento alla prima, indica l’ammontare delle attività patrimoniali che i soci si sono impegnati a non distrarre dall’attività d’impresa e che, di conseguenza, non è possibile ripartire alla fine di ogni esercizio.
Rappresenta quella frazione di patrimonio che rimane intangibile e vincolata al raggiungimento degli obiettivi statutari, forma di garanzia di adempimento delle obbligazioni nei confronti dei terzi.
Il valore organizzativo del capitale sociale lo cogliamo nel suo essere funzionale all’accertamento periodico dell’andamento della società e della rilevazione di utili o perdite.
Gli utili potranno di conseguenza essere impiegati anche per colmare eventuali passività e saranno soggetti a tutta la disciplina codicistica vigente.
Si porta l’impresa sociale a ragionare sempre più come come una s.p.a.: per attrarre investimenti aumento il capitale sociale (con gli utili che dovrei, invece, utilizzare per lo svolgimento delle mie attività statutarie), come farebbe una qualunque altra società, e raggiungo una migliore stabilità economica ed affidabilità sul “mercato”.
Altra modalità d’impiego degli utili è rappresentata dalla distribuzione (sempre attraverso l’aumento gratuito del capitale sociale) di dividendi ai soci e l’emissione di strumenti finanziari (obbligazioni), in misura non superiore al tasso d’interesse massimo dei buoni postali, aumentato di due 2,5 punti rispetto al capitale effettivamente versato.
Come si nota agevolmente, sia il primo che il secondo limite sono uguali a quelli previsti dalla disciplina delle società cooperative per la distribuzione di utili ai soci tramite aumento gratuito del capitale sociale (valido per tutte le cooperative) o per mezzo di dividendi (obbligatorio solo per le cooperative a mutualità prevalente) dal 1° comma dell’art. 7 della Legge n. 59/1992 e dalla lettera a) del 1° comma dell’art. 2514 del C.c.
Pertanto, entrambi questi limiti si applicano a tutte le società cooperative a mutualità prevalente (comprese le cooperative sociali) o non che abbiano assunto la qualifica di i.s.
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Ripetiamo, solo quelle imprese sociali che abbiano una struttura societaria vera e propria avranno la facoltà di operare sul proprio capitale sociale in tal senso mentre a tutte le i.s. è prevista l’applicazione della lettera b) in cui si prevede la possibilità di effettuare erogazioni gratuite in favore di ETS (diversi dalle imprese sociali), a condizione che gli stessi non siano fondatori, associati, soci dell’impresa o società da questa controllate.
La prospettiva è quindi quella di un’impresa sociale che produce utili sul mercato e ne destina parte per la realizzazione d’iniziative socialmente utili intraprese da ODV o APS o altri soggetti del Terzo settore di natura erogativa.
Il legislatore ha inteso l’i.s., figura imprenditoriale per eccellenza del Terzo settore, come possibile strumento di supporto finanziario del T.s. stesso, cosa peraltro confermata anche dal successivo articolo 16 in cui si menziona la creazione di un “Fondo per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali205” costituito da una quota di utili annuali (pari al 3%) che le i.s. possono destinare ad appositi fondi gestiti da enti e associazioni di imprese sociali206, nonché dalla Fondazione Italia Sociale, di cui parleremo più diffusamente in un secondo momento.
Tali versamenti sono deducibili ai fini del calcolo della base imponibile dell’imposta sui redditi, cioè dell’IRES (Imposta sui redditi delle società, che si applica anche agli enti non commerciali come le associazioni, le fondazioni e i comitati), dell’impresa sociale erogante. Per le cooperative sociali e le altre cooperative che sono imprese sociali resta, invece, l’obbligo della contribuzione ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione previsto dal 4° comma dell’art. 11 della L. n. 59/1992.
La finalità è quella di favorire, tramite tali donazioni, la crescita e la realizzazione delle attività delle i.s. quali progetti di studio e ricerca, attività di formazione dei
205
La disposizione è ripresa dalla legge n. 59/1999 in tema di cooperative in cui si prevede per le stesse l’obbligo di destinare il 3% degli utili ad appositi fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. In caso di violazione si perdono i benefici fiscali riconosciuti.
206
È richiamata la disposizione del D. lgs. 3 luglio 2017, n.117, art.15, comma 3 “… enti associativi
riconosciuti cui aderiscano almeno mille imprese sociali iscritte nel registro delle imprese di almeno cinque diverse regioni o province autonome, e delle associazioni di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220.” L’ultimo decreto legislativo su citato è relativo a "Norme in materia di
riordino della vigilanza sugli enti cooperativi, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, recante: "Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore". L’articolo 3 si occupa delle Associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza, tutela e revisione del movimento cooperativo.
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lavoratori, costituzione di nuove imprese sociali oltre al finanziamento delle attività statutarie.
6.5. Il regime di distribuzione degli utili in altre esperienze europee.
Guardando ad altri paesi europei207, notiamo come il fenomeno dell’impresa sociale e delle risorse che la stessa matura grazie alle sue attività, sia stato affrontato in modo diverso da quello appena tracciato nella nostra nuova legislazione208.
Nel Regno Unito, nel 2005, fu introdotta la “Community Interest Company209” (è una società di capitali), caratterizzata da scopi benefici prevalenti e da una distribuzione degli utili atta a non intaccare la capacità di perseguire gli obiettivi sociali.
Ad oggi la somma complessiva dei dividendi non può superare il 35% dei profitti distribuibili della CIC. La misurazione del beneficio comune ottenuto dalla CIC è effettuata annualmente mediante la presentazione, da parte di quest’ultima, di un rapporto specifico al CIC Regulator, organo che ha il compito di valutarne la rispondenza con il “community interest statement” depositato in sede di costituzione della CIC.
Anche il Belgio ha introdotto nel proprio ordinamento una disciplina che si muove in questa direzione prevedendo che, sia le società di capitali che le cooperative, possano acquisire lo status di “Société à Finalité Sociale”. Nella fattispecie, la normativa prevede la possibilità per tali enti di distribuire tra i soci una quota di dividendi che non ecceda il 6% del capitale versato.
Questo vale anche nel caso in cui tra i soci figurino uno o più investitori (es. un fondo sociale d’investimento).
Più recentemente, con la legge n. 856, del 31 luglio 2014, la Francia ha introdotto la disciplina della “Entreprise Solidaire d'Utilité Sociale” (ESUS), uno status che può essere concesso a enti senza scopo di lucro, cooperative e società di capitali nel caso in cui questi rispondano a determinati requisiti. In particolare la normativa richiede che le
207 Delledonne G., “Le novità in materia d’impresa sociale: i profili finanziari”, in Non profit, n. 3, 2014,
pp. 179- 184.
208 Borzaga C., Defourny J., “L’impresa sociale in prospettiva europea. Diffusione, evoluzione,
caratteristiche e interpretazioni teoriche (The Emergence of Social Enterprise)”, Routledge, Londra,
2001; Fici A., “Funzione e modelli di disciplina dell’impresa sociale in prospettiva comparata”, consultabile all’indirizzo http://www.juscivile.it/contributi/2015/20_Fici.pdf
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ESUS perseguano principalmente scopi di utilità sociale e che questi ultimi abbiano un sensibile impatto sul business dell’ente.
Almeno il 66% delle voci di costo deve essere dedicato al perseguimento delle
finalità sociali, in alternativa, nel corso degli ultimi tre esercizi, il rapporto tra la somma dei dividendi e della remunerazione degli strumenti finanziari non bancari (es. obbligazioni), da una parte, e la somma dei capitali propri e dei contributi finanziari non bancari, dall’altra, dovrà essere inferiore al tasso medio di rendimento delle obbligazioni di società private, aumentato del 5%.
Da questo breve excursus possiamo notare come la legislazione italiana arrivi decisamente in ritardo in questo settore, o meglio, pur essendo l’Italia tra i primi paesi ad aver introdotto le figura dell’impresa sociale, fino ad oggi si era limitata ad escludere aprioristicamente e semplicisticamente ogni forma di impiego degli utili. Ma l’i.s. rimane un’impresa ed in quanto tale produce utili ed è proprio la capacità di produrre un guadagno che riesce ad attrarre nuovi investitori i quali, diversamente, non avrebbero alcun interesse a partecipare ad i.s.
L’offerta di un servizio con finalità di tipo sociale e il percepimento di un certo reddito non sono necessariamente due situazioni in conflitto tra loro.
Le organizzazioni del T.s. che producono beni o servizi, nella grande maggioranza dei casi, si reggono anche sui ricavi della vendita dei servizi ai clienti e la presenza – tra le entrate – proprio di questo elemento, è una delle ragioni che giustifica la definizione di “impresa”.
Nel resto d’Europa la normativa ha tenuto fin da subito in considerazione tale aspetto ineliminabile e si è tentato di implementare lo sviluppo di queste nuove forme giuridiche proprio attraverso la possibilità di conseguire un guadagno anche da parte di coloro che le gestiscono.
In Italia ce ne siamo resi conto solo dopo diversi anni e dopo un decreto legislativo abbastanza fallimentare sul fronte degli incentivi.
Tuttavia, per assurdo, ora ci troviamo nella situazione di aver previsto una percentuale di utili impiegabili per incrementare il capitale sociale nettamente superiore rispetto a quella delle altre tre legislazioni illustrate, passando quindi da una fase di totale rifiuto di qualunque forma di remunerazione ad una di calcolo della stessa attraverso i parametri che tengano in considerazione gli indici ISTAT o gli interessi corrisposti sui buoni postali fruttiferi.
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6.6. Come si costituisce la nuova impresa sociale e gli adempimenti contabili cui è tenuta.
Le modalità di costituzione dell’impresa sociale rimangono essenzialmente le stesse: nasce tramite atto pubblico, in cui deve essere esplicitato il carattere sociale dell’oggetto e nella denominazione dell’ente dovrà essere riportata espressamente la dicitura “impresa sociale” (da indicare inoltre su tutti gli atti e sulla corrispondenza).
I documenti così redatti devono essere depositati nel termine di trenta giorni nel Registro delle imprese per l’iscrizione nell’apposita sezione mentre non è richiesta anche la successiva iscrizione al RUNTS.
L’atto costitutivo (o lo statuto dell’impresa) può riservare a soggetti esterni la facoltà di nominare alcuni membri all’interno degli organi sociali lasciando impregiudicato il diritto dell’assemblea degli associati o dei soci a nominare la maggioranza dei componenti (per quest’ultimi è, inoltre, previsto il possesso di determinati requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza).
L’unico divieto previsto in questione ci rimanda all’articolo 4, comma 3, dello stesso decreto e riguarda le società unipersonali (persona fisica), gli enti aventi scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche: costoro non possono occupare ruoli di direzione, coordinamento e controllo in modo diretto o indiretto nei confronti dell’impresa e tanto meno potranno assumerne la presidenza.
Circa le scritture contabili, dobbiamo fare riferimento al successivo articolo 9 in cui sono elencate le scritture contabili che devono essere tenute dalle i.s. in conformità con le disposizioni del Codice civile. Le i.s. dovranno tenere il libro giornale e il libro degli inventari (come già previsto) e dovranno redigere il bilancio di esercizio, a seconda dei casi, a norma degli articoli 2423 e seguenti o 2435-bis e 2435-ter210 del Codice civile.
È utile richiamare l’articolo 13 del CTS in cui si enuncia espressamente il contenuto del bilancio di esercizio, che dovrà essere composto da stato patrimoniale, rendiconto finanziario (con l’indicazione dei proventi e degli oneri dell’ente) e dalla relazione di missione (illustrerà le poste di bilancio, l’andamento economico e finanziario dell’ente e le modalità di perseguimento delle finalità statutarie).
210 Le norme codicistiche sono relative, rispettivamente, alla redazione del bilancio di esercizio per le
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In precedenza, alle imprese sociali, era richiesta solo la redazione di “… un apposito documento che rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale ed economica dell’impresa211.”
Un onere certamente meno incombente rispetto a quello attuale che, come già rilevato anche in altra sede, avvicina sempre più l’i.s. a un’impresa di carattere lucrativo.
Per quale ragione un ente non profit deve redigere il bilancio nelle forme di una s.p.a.? Almeno dal punto di vista dei principi ispiratori c’è parecchia discordanza tra ciò che muove un soggetto a costituire una i.s. e ciò che lo muove verso un’impresa commerciale ordinaria.
Al secondo comma si rinviene un ulteriore documento, il bilancio sociale. Anch’esso già presente nella normativa passata viene oggi ridefinito e rivisto alla luce della funzione preminente che assume. Il bilancio sociale dovrà essere redatto secondo le linee guida che dovranno essere adottate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali dietro parere del Consiglio nazionale del Terzo settore212 (ad oggi non sono ancora state emanate e nell’attesa si applicano quelle emanate con Decreto del Ministero della Solidarietà sociale del 24 maggio 2008, pubblicate in Gazzetta Ufficiale n.86 del 11 aprile 2008) e successivamente pubblicato sia sul sito internet che nel Registro delle Imprese.
All’interno del bilancio sociale213
si dovrà tenere conto: “… della natura dell’attività esercitata e delle dimensioni dell’impresa sociale, anche ai fini della valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte214”.
L’elemento su cui concentrare l’attenzione è, a questo punto, la “valutazione dell’impatto sociale215”, introdotta con la riforma ed uno dei nodi nevralgici di tutto il
sistema degli ETS.
Tale fattore, di cui parleremo più diffusamente in una fase successiva, si sposa perfettamente con l’affermarsi di una nuova mentalità imprenditoriale che trova, in parte, la sua realizzazione proprio nell’impresa sociale stessa.
211 D. lgs. 24 marzo 2006, n.155, articolo 10, comma 1.
212Organo nato in seguito alla riforma e che va a sostituire l’Agenzia per le organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, ex art.5, comma 1, lett. g), della legge 6 giugno 2016, n.106.
213 In merito al bilancio sociale si richiamo le considerazioni già svolte nelle pagine precedenti.
214
Decreto lgs. 3 luglio 2017, n.112, art.9, comma 2.
215 Rago S., Venturi P., Zamagni S., “Valutare l’impatto sociale. La questione della misurazione nelle
imprese sociali”, in Impresa sociale online, 2015, consultabile all’indirizzo
http://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/item/141-misurazione-impatto- sociale.html?showall=1&tmpl=print
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L’importanza assunta da forme imprenditoriali maggiormente inclusive e rispondenti ai bisogni della società ha condotto progressivamente ad un mutamento importante nella mentalità imprenditoriale in alcuni casi volontario in altri imposto dalla normativa. L’articolo 11216 della nuova disciplina avvalora e rafforza la necessità che si attui un passaggio a modelli d’impresa più partecipativi e democratici,“Nei regolamenti aziendali o negli statuti delle imprese sociali devono essere previste adeguate forme di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti e di altri soggetti direttamente interessati alle loro attività.”
Si è cercato di rendere l’impresa sociale maggiormente inclusiva, democratica ed innovativa rispetto al modello preesistente e per realizzare ciò sono stati messi al centro delle attività tutti coloro che gravitano intorno all’impresa: dipendenti subordinati e non,