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Forme e spazi di potere nei territori feudali di Sinforosa Mastrogiudice

III.4 Assetto urbanistico e indotto economico a Pietracatella

Nel Regno di Napoli il rapporto tra i baroni e le città di provincia sulle quali si esercitava il potere feudale era, come abbiamo visto, connotato dalla pressione signorile tesa a rafforzare il controllo sulla vita sociale e amministrativa, nonché a salvaguardare la reputazione e l’onore del casato. Ciò richiedeva considerevoli sforzi economici da parte dei feudatari. Per le comunità contava, invece, quanto il baronaggio locale investiva nel feudo e nella propria corte. In tale contesto la rilevanza urbanistica della dimora signorile, il suo impatto visivo nel contesto cittadino e la minore o maggiore modernità architettonica dell’immobile e dello spazio che questo occupava, risultavano spesso segno anche della dinamicità dello sviluppo economico locale. Maggiore era il valore simbolico del quale il feudatario intendeva investire la propria dimora in uno dei propri centri di potere, tanto più elevati erano gli investimenti che nel feudo si facevano, soprattutto se questo era parte di un più esteso ed articolato sistema di possedimenti. Non è escluso, pertanto, che le scelte feudali relative alla compravendita di immobili, alle ristrutturazioni o a nuove edificazioni, potessero sollecitare, più o meno consapevolmente da parte dei signori, la promozione di un indotto economico a vari livelli, non ultimo lo sviluppo di particolari professioni che per loro stessa natura ruotavano intorno

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ASNA, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti onciari, Pietracatella, b. 7479, ff. 368r - 371v. Il Catasto onciario di Pietracatella è conservato nella sua interezza ai ff. 365r - 387v. Il nucleo familiare di cui era capofuoco Giuseppe Maria era così descritto «Illustre don Giuseppe Maria Ceva Grimaldi, marchese di Pietracatella d’anni 36; illustre donna Angela Maria Piasanelli, moglie d’anni 32; don Vincenzo Maria, figlio d’anni 6; don Francesco, figlio d’anni 3; don Diego, fratello d’anni 32; donna Sinforosa Mastrogiudice, madre d’anni 60».

all’economia edile280

. Operai, fornitori, artigiani, scalpellini ed altre maestranze erano in numero consistente laddove si registrava una certa floridità del mercato immobiliare. I cantieri edili, del resto, costituivano un indubbio punto di riferimento per il mercato del lavoro locale281.

Questa situazione era propria anche dei centri molisani di cui era titolare la marchesa Mastrogiudice. In essi le comunità partecipavano largamente alle attività edilizie finanziate da Sinforosa, le quali avevano principalmente lo scopo di ristrutturare immobili danneggiati dai terremoti che avevano devastato il territorio tra la fine del Seicento e gli inizi del secolo successivo. Ciò risulta, per esempio, dall’apprezzo relativo al feudo di Macchia Valfortore risalente al 1726 in cui si legge, nella parte relativa alla minuziosa descrizione del palazzo baronale, che l’Università stava contribuendo alla sua ricostruzione mediante la fornitura di manodopera e di materiali da costruzione. Nell’atto, infatti, è scritto:

il palazzo, seu castello di detta terra che serviva per abitazione del barone è sito nella parte più alta di detta terra attaccata la porta del convento. Colli passati terremoti se n’è cascato. La maggior parte di esso, e quello che è rimasto, buona parte sta lesionato e motivato al presente non vi è altro in piedi che il cortile coperto a lamia con una stanza a sinistra di esso. Ascendo al cortile scoverto vi è la cisterna, et a destra vi sono due magazzeni per granaro, sotto li quali vi è la cantina che vi si cala dalla parte di fuori della porta del convento. In cantone vi sono le carceri sotto la torre, quale è molto alta e sta in piedi. Sagghiendo per un vestigio di grada, s’impiana alle camere sopra detti magazzeni e cortile, quali tutte hanno bisogno di riparo, così nelle mura, come nelli tetti. Il detto palazzo, per quello [che] si vede dalle ruine di esso, era molto comodo e capace per l’abitazione del barone. L’Università di detta terra è obbligata, come dalla capitolazione al capo XII appare, dare calce, pietre, acqua et arena, e portare tutti li manami e legnami necessari per la reparazione di detto castello seu palazzo282.

A seguito del sisma che aveva sconvolto il Contado di Molise nel 1706 erano affluite nella regione numerose maestranze di muratori altosangrini ed altomolisani. Dopo il flagello occorreva ricostruire case e chiese, rinvigorire la classe artigianale ed i traffici commerciali e fu allora che si fece determinante ciò che d’altronde era già in atto da tempo, ovverosia una vera e propria

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A tal proposito G. Simoncini (a cura di), L‟edilizia pubblica nell‟età dell‟Illuminismo, Firenze, Olschki, 2000; A. Antinori (a cura di), Da Contado a Provincia. Città e architettura in

Molise nell‟Ottocento preunitario, Roma, Gangemi, 2006.

281 G. Labrot, Palazzi napoletani, cit; Id.,Quand l‟histoire murmure. Villages et campagnes du

Royaume de Naples (XVI-XVIII siécle), Roma, Écolè Française de Rome, 1995; E. Novi Chavarria, Tipologia della "forma urbis", in id., Sacro, pubblico e privato, cit., pp. 77-88.

immigrazione di maestranze, anche lombarde, in tutto il Regno283. Come abbiamo visto, infatti, a Montorio nei Frentani dopo il 1720, in concomitanza con la gestione diretta del feudo da parte della marchesa Mastrogiudice e degli investimenti da questa attuati finalizzati all’incremento delle attività cerealicole in quel centro, oltre al palazzo baronale furono ristrutturate intere parti dell’abitato diroccato e la principale chiesa del paese. Ciò fu possibile grazie anche alla presenza delle maestranze provenienti da Scanno che vi si erano trasferite a seguito della politica di ripopolamento attuata da Sinforosa. Tra essi ricordiamo Cristoforo e Nicola Carfagnini, che alla data del 1732 si trovavano già da dodici anni al lavoro in Montorio284. Tale fenomeno sembra obbedisse alla legge secondo la quale dove era possibile una redditizia coltivazione della terra l’artigianato fioriva meno, oppure veniva unicamente volto ad assecondare le richieste di coltivatori e allevatori. Dove, invece, l’attività agricola era poco remunerativa come nei paesi montuosi, i giovani cercavano di evitarla preferendo arti quali quella di muratore o scalpellino, forme di artigianato che però costringevano alla migrazione finalizzata alla ricerca di lavoro. Ciò determinò la specificità di mestiere di alcuni paesi dove l’apprendistato avveniva spessissimo in famiglia, con il relativo passaggio da padre in figlio dell’arte e della conoscenza dei segreti di essa285

.

E fu proprio questo che sembrerebbe sia accaduto a Pietracatella.

In quel feudo, successivamente al 1720, e in concomitanza con gli acquisti e le vendite di immobili attuati da Sinforosa, si registrò un incremento della presenza di tecnici specializzati, le cui attività principali pare ruotassero intorno agli investimenti della marchesa. Sinforosa era solita servirsi di “mastri fabbricatori” di fiducia, chiamati di volta in volta a stimare per suo conto l’uno o l’altro bene in fase di contrattazione tra l’erario incaricato di condurre l’operazione, e l’altra parte in causa. In gran parte degli atti notarili relativi a tali compravendite ricorrono, infatti, i nomi di Andrea Bea, Giuseppe e Nicolò Mastrogiorgio di Pietracatella, e di Giovanni Mastrocinque di Macchia

283 U. D’Andrea, Appunti e documenti sulla topografia storica di Campobasso, Frosinone,

Tipografia di Casamari, 1984, vol. II, pp. 116-117.

284 U. D’Andrea, Appunti e documenti sulla topografia storica di Campobasso, cit., p. 144. 285 Ivi, p. 136.

Valfortore286. A costoro fu affidato il delicato compito di stabilire il valore del bene ed è lecito supporre che gli stessi tecnici si occupassero anche di eventuali successive committenze relative al ripristino o all’adeguamento di interni, ristrutturazioni esterne, ampliamenti mediante aggiunta di ulteriori corpi di fabbrica. A conferma di ciò la presenza dei “fabbricatori” Bea e Mastrogiorgio all’interno degli atti del Catasto onciario redatto nel 1743 proprio per Pietracatella287. In particolare, nel novero dei capifamiglia del piccolo centro, compariva a quella data anche un quarto cittadino che svolgeva la professione di “maestro fabbricatore”. Si trattava di Pietro Cordone il quale, pur non essendo legato quanto i suoi colleghi alla marchesa perchè non compare mai tra quanti furono ingaggiati da lei per lavori o altro nell’ambito degli affari immobiliari, riusciva a svolgere regolarmente la propria professione a Pietracatella. Riuscendo, a 48 anni, a mantenere una moglie e sei figli essendo proprietario della casa in cui viveva, di due vigne, di un casale e di 6 tomola di terreno, Pietro Cordone godeva di un tenore di vita abbastanza alto, segno che, evidentemente, il suo lavoro doveva essere particolarmente richiesto288.

Il caso di Cordone è indicativo, del resto, di come la presenza di un palazzo baronale in via di espansione in una città come Pietracatella potesse agire da moltiplicatore dei consumi, oltre che delle attività afferenti ai comparti ad esso collegati. La presenza all’interno della dimora signorile di forno, cantine, magazzini per il grano testimoniavano, infatti, l’autosufficienza della struttura rispetto alla comunità e, si può ipotizzare, ne facessero il centro propulsore della protoindustria locale289. La manutenzione e le esigenze di tali strutture, così come quelle dei tanti immobili di proprietà marchesale siti in Pietracatella richiedeva, inoltre, un impegno costante di risorse e competenze che non sarebbero certo cadute in disuso nel tempo, vista la preminenza che le attività ivi collocate avevano nell’ambito della comunità. Fu questo stato di cose a creare i presupposti perchè a Pietracatella si formasse una sorta di piccola dinastia di tecnici adeguatamente specializzati, la cui arte si tramandò per più generazioni di padre in figlio. A capo di tale dinastia, nel 1743, si trovava il già

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A tal proposito si vedano, ad esempio, ASCB, Protocolli notarili, piazza di Montorio nei frentani, Notaio Giovannelli Francesco, 1740, f. 74r; ASCB, Protocolli notarili, piazza di Pietracatella, Notaio Mucci Antonio, 1718, f. 21v; Ivi, 1722, f. 3r.

287 ASNA, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti onciari, Pietracatella, b. 7479. 288

Ivi, f. 291r-v.

289 G. Cirillo, La trama sottile: protoindustria e baronaggi del Mezzogiorno d‟Italia (secoli XVI-

citato Andrea Bea, «fabbricatore di anni 60», il quale pagava per la propria “industria” 12 once l’anno, così come facevano i suoi due figli Carmine e Nicolò, di 27 e 22 anni, entrambi registrati nel catasto onciario con la stessa professione del padre, e il figlio minore Agnello, «bracciale d’anni 19»290

. Anche la famiglia Bea, così come quella di Cordone, viveva più che dignitosamente dei frutti del proprio lavoro il quale contribuiva all’espansione dell’indotto mediante l’esercizio e la trasmissione dell’arte. La stessa permetteva ai Bea di vivere in una casa in affitto, corrispondendo un annuo fitto di 6 ducati, pur essendo proprietari dei seguenti altri beni:

una casa di membri due in luogo detto la via del Forno; una vigna con canneto di trentali 4 sita in luogo Lo Soglione; tomola due di territorio attaccato alla vigna;

piedi due di olive nella sopradetta vigna;

una bestia somarrina ad menandum dal don Pietrangelo Fiorentino di S. Giovanni in Galdo;

un territorio azzionale di tomola nove e mezzo, nel luogo dicesi la Varnavaia;

un territorio azzionale di tomola due e mezzo, nel luogo detto la Varnavaia291.

Su questi beni Andrea Bea pagava once 63 all’anno, non poco se si considera che quanto versato in media dai suoi concittadini si attestava intorno alle 30 once, segno di un reddito e di un tenore di vita sicuramente più basso.

290 Ivi, f. 25-v. Andrea Bea aveva, inoltre, altri tre figli maschi: Antonio 12 anni; Federico, 10

anni; e Romualdo, 8 anni. Troppo piccoli per svolgere un qualsiasi lavoro, i tre probabilmente in futuro avrebbero seguito le orme paterne.

291 ASNA, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti onciari, Pietracatella, b. 7479, f.

CAPITOLO IV