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3. Memoria e narrazione in La femme sans sépulture e Cette fille-là

3.1 LETTERATURA E NARRAZIONE DELLA MEMORIA

3.1.2 Assia Djebar e scrittura dell’urgenza

Assia Djebar ha fatto della storia della decolonizzazione algerina il fulcro della propria produzione letteraria sin dai primi 60, anticipando ogni periodizzazione del tema; ma è principalmente durante il periodo di silenzio che precede la pubblicazione di Femmes d’Alger dans leur appartement [1980] che l’autrice comincia un lavoro di recupero memoriale sotto forma di documentario che sarà il fulcro di tutta la sua produzione letteraria successiva. Nei tredici anni di assenza dalla scena letteraria, infatti, Assia Djebar raccoglie le testimonianze di donne algerine non occidentalizzate e spesso non alfabetizzate delle regioni agricole attorno ad Algeri.

Nel 1978 Djebar realizza un lungometraggio, La Nouba des Femmes du Mont Chenoua, che le farà vincere il Premio della Critica internazionale alla Biennale di Venezia nel 1979. Per mezzo della protagonista Lila, all’instancabile ricerca di testimonianze sulla sparizione di suo fratello, l’autrice raccoglie in questo film le memorie e i racconti delle donne che rievocano la guerra d’Indipendenza. Nel

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1982 realizza il suo secondo film, il cortometraggio La Zerda ou les chants de l’oubli, presentato nel 1983 al primo festival del cinema arabo di Parigi: la pellicola mescola immagini provenienti dagli archivi coloniali francesi a una traccia audio contenente le testimonianze dirette della popolazione algerina che racconta l’impero coloniale e la guerra d’Indipendenza. Il bagaglio esperienziale accumulato durante gli anni votati al cinema, che accorda la memoria personale dell’autrice con le memorie minuscole, a tratti afone e a tratti brulicanti, della popolazione algerina femminile, darà origine a una svolta letteraria evidente: la produzione letteraria dal 1980 in poi è infatti caratterizzata da un’ibridazione del genere del romanzo e da una piena vocazione al recupero della memoria collettiva algerina.

La scelta di farsi custode della tradizione orale esplicita un obiettivo ben preciso: non relegare nell’ombra le voci dei protagonisti ancora viventi della memoria, ovvero esplorare il territorio di confine tra memoria collettiva e memoria del singolo. Ciò si traduce, per forza di cose, nell’espressione di quella memoria immediata, attiva e compartecipe, che si fa carico di colmare il divario tra l’esperienza memoriale del vissuto personale e l’esperienza della memoria collettiva. La valorizzazione della memoria popolare, la volontà di dare spazio a quell’ultima eco – per usare le parole di Benjamin Stora – che è il racconto della popolazione non alfabetizzata e non francesizzata traduce un rifiuto dell’uniformità, si erge a baluardo della pluralizzazione del vissuto storico167. In

altre parole, registrare storie singole, parziali, personali vuol dire aprire l’orizzonte percettivo a una moltiplicazione del reale, a una visione plurale e inclusiva della memoria.

Tuttavia, la rielaborazione che è alla base della produzione del testo letterario può, per certi versi, costituire una criticità nella ricostruzione della memoria. Nella produzione letteraria di Assia Djebar, la finzione che è propria del romanzo è ibridata da elementi autobiografici, approcci documentaristici alle

167 B. Stora, La gangrène et l’oubli. La mémoire de la guerre d'Algérie, Paris, La Découverte, [1991]

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testimonianze, racconti storici. Se da una parte questo genere di ibridismo è proprio dell’estremo contemporaneo168, dall’altra il risultato finale rimane un

prodotto sorprendentemente innovativo, sospeso tra il verosimile, l’autobiografia e la finzione.

Lo stile ibrido e polifonico di Djebar si inserisce perfettamente nella definizione di scrittura dell’urgenza, valicando i confini dei generi letterari tipicamente occidentali per mettere al centro della propria letterarietà la costruzione di un “io” letterario che si rivela multiplo, sfaccettato, comprensivo delle esperienze collettive del popolo algerino. La narrazione alla prima persona non è esclusivamente legata a un vissuto autobiografico, ma si fa porte-parole di tutte le storie simili, verosimili e mai raccontate dello stesso contesto culturale dell’autrice. Questo tipo di processo artistico mette profondamente in discussione il principio della veridicità letteraria169: come spesso accade per

questo genere di letteratura, infatti, molte delle opere di Assia Djebar non rispettano interamente né il patto autobiografico né il patto romanzesco170,

smantellando le frontiere tra materiale reale e materiale di finzione. Benché siano presentati come romanzi e anche nel paratesto si faccia spesso esplicito riferimento all’uso della finzione, sono altrettanto espliciti i riferimenti autobiografici della maggior parte della sua produzione letteraria.

Si potrebbe parlare di un’opera letteraria all’insegna dell’entre-deux171, in

costante oscillazione tra un genere e l’altro, tra una lingua e l’altra, tra oralità e scrittura, tra autobiografia e finzione. Questo entre-deux che la stessa autrice cerca di descrivere nella raccolta di riflessioni Ces voix qui m’assiègent, è tra le altre cose terreno fertile per una poetica della relazione – per usare le parole di Édouard Glissant – per uno spazio di incontro e di ascolto dell’Altro che tenga

168 Vedi G. Rubino, (dir.), Voix du Contemporain. Histoire, mémoire et réel dans le roman français

d’aujourd’hui, Roma, Bulzoni, 2006.

169 A. Memmes, Signifiance et intérculturalité, Rabat, Okad, 1992, p. 59. 170 Vedi P. Lejeune, Le pacte autobiographique, Paris, Seuil, 1975.

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conto dell’opacità del suo vissuto172. Più che l’incontro tra l’atto del ricordare e il

ricordo stesso, si fa preponderante il rapporto tra l’atto del ricordare e l’esperienza dell’ascolto, della condivisione della memoria. Lasciando spazio alla moltiplicazione dei punti di vista e delle esperienze, Assia Djebar riesce a raccogliere un mosaico umano di voci, corpi e storie che diventa protagonista assoluto della sua produzione artistica.