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Assimilazionismo e multiculturalismo: due modelli di politica criminale a confronto

Le diverse reazioni alla diversità culturale

2. Assimilazionismo e multiculturalismo: due modelli di politica criminale a confronto

A partire dalla seconda metà del Novecento gli Stati Europei si sono trovati ad affrontare questioni del tutto nuove, connesse al fenomeno migratorio, come la concessione della cittadinanza, l’attribuzione di diritti civili, sociali, politici allo straniero, la disciplina della famiglia, dell’istruzione, del lavoro.82

Differenti sono stati gli approcci al fenomeno della nascita della società multiculturale e le reazioni alla diversità culturale. Schematicamente in Europa essi possono essere ricondotti a due modelli: il modello “assimilazionista” o alla francese e il modello “multiculturalista” all’inglese.

Il primo modello cd. assimilazionista o integrazionista, diffuso in Francia, è volto ad una politica di inclusione delle diverse etnie, tendenzialmente votato all’eliminazione di ogni barriera culturale. Il modello si ispira a una logica di eguaglianza formale, di assoluta neutralità di fronte alle differenze culturali. Esso si basa sulla scelta di non riservare trattamenti speciali alle minoranze o ai gruppi etnici, rendendo la loro diversità culturale irrilevante

82 Facchi, I diritti, cit. p12

in ambito giuridico.83 Solo per fare un esempio, la legge francese n.228 del 2004 vieta l’ostensione di simboli religiosi all’interno della scuola, allo scopo precipuo di imporre a tutti l’assoluta uguaglianza nello spazio

pubblico.84

In Francia, le politiche di integrazione sono tradizionalmente orientate all’obiettivo della condivisione di valori pubblici comuni, al raggiungimento di una certa omogeneità culturale. Secondo l'Haut Conseil à l’Intégration del 1993, la via francese all’integrazione dovrebbe conformarsi a una logica di uguaglianza tra individui e non a una logica di riconoscimento di diritti collettivi delle minoranze. L’inclusione dovrebbe avvenire su base individuale attraverso un accesso relativamente facile alla cittadinanza, e al conseguente riconoscimento dei diritti (quelli politici in particolare) e dei doveri propri del cittadino (incluso il servizio militare). La strategia francese si fonda sull’ “uguaglianza degli individui di fronte alla legge, indipendentemente dalle loro origini, dalla loro razza e religione”. L’interazione è favorita dalla condivisione di una lingua comune, dall’accesso all’istruzione pubblica sulla quale è incardinato fare un

esempio il sistema educativo nazionale.85

83 Basile, Immigrazione e reati culturalmente motivati, cit. p. 57-60

84 Tega, Il Parlamento francese approva la legge anti-velo, in Quad.Cost.2004

Il secondo approccio cd. multiculturalista o all’inglese si fonda sul riconoscimento e sul mantenimento delle differenze in ambito nazionale, esigendosi dai gruppi etnici solo il rispetto delle regole fondamentali per la convivenza civile. Esso si ispira a una concezione sostanziale dell’uguaglianza ed è quindi caratterizzato dall’accettazione delle diversità, con conseguente adozione di strategie tolleranti e pluraliste, che consentono

agli immigrati di conservare la loro identità, la loro unicità.86 In questo

modello, infatti, l’obiettivo ideale consiste nel permettere ai membri delle minoranze etniche di partecipare liberamente e pienamente alla vita economica, sociale e pubblica del paese, con tutti i benefici e le responsabilità che ciò comporta, ma essendo ancora in grado di mantenere

la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria lingua e i propri valori.87

A livello legislativo, l’adesione a tale modello in Inghilterra ha comportato l’adozione di alcune norme che prevedono deroghe, esenzioni o comunque regimi giuridici speciali in virtù dell’appartenenza ad un gruppo etnico di immigrati (ad esempio: legge che consente ad ebrei e musulmani di macellare gli animali secondo le loro tradizioni seppur in deroga alle disposizioni, anche penali, vigenti in materia; disposizioni che consentono agli indiani sikh di portare il turbante al posto dell’elmetto protettivo nei

86 Basile, Immigrazione e reati culturalmente motivati, cit. p.60-61 87 Zincone, ibidem

cantieri edili e al posto del casco quando sono alla guida di motoveicoli, etc.).

Secondo il penalista Bernardi, entrambi i modelli perseguono, seppur ricorrendo a metodi antitetici, lo stesso scopo, ossia l’integrazione degli immigrati nella società d’accoglienza, ma in entrambi i casi si può

affermare che esso non sia stato raggiunto. 88 L’autore ritiene che sia

impossibile considerare i due modelli in una versione per così dire “pura”. Ciascuno di essi conosce innumerevoli sfumature e forme di contaminazione. Il tentativo di schematizzare i diversi approcci scelti dagli Stati corre il rischio di apparire semplicistico, se si tiene conto della mutevolezza delle opzioni attuate dai legislatori e dai giudici anche all’interno dello stesso Paese.

Sotto un profilo più strettamente penalistico, i contrapposti modelli di un modello orientato in senso assimilazionista o multiculturalista presentano diversi nodi critici. Una politica criminale che rispetta in modo ossequioso e rigido il principio di uguaglianza formale, senza tener conto del fattore culturale, rischia di mettere in ombra un aspetto centrale della personalità dell’autore e ciò sembra entrare in conflitto con il principio di colpevolezza

e con il principio di proporzionalità della pena e sembra non essere

opportuno neanche sotto il profilo della prevenzione generale e speciale.89

Al contempo, sul versante del modello multiculturalista, un’accentuata valorizzazione in sede penale dell’identità culturale diversa avrebbe delle ricadute sia sul principio di tassatività e determinatezza della norma, sia sulla funzione deterrente della norma penale e di quella di orientamento culturale. Inoltre, essa comporterebbe un sacrificio di beni giuridici di fondamentale importanza come la vita, la salute, la libertà persona, di

pensiero, espressione, religiosa.90

La più ricorrente obiezione al modello multiculturalista asserisce infatti che l’incoraggiamento di pratiche culturali diverse potrebbe essere causa di un attentato ai valori liberal-democratici degli Stati Europei. Di fatto tale obiezione risulta facilmente superabile, in quanto anche nel modello

multiculturalista sono ravvisabili dei limiti alla tolleranza.91 Esso infatti non

mostra accondiscendenza per comportamenti che, seppur radicati in una data cultura, mettono a repentaglio i diritti umani, così come sviluppati

nell’ordinamento internazionale e dei singoli paesi.92

89 Bernardi, Modelli, cit. p.68-69 90 Bernardi, Modelli penali, p.63-70

91 Bobbio, Le ragioni della tolleranza, in L’età dei diritti, Torino, 1992

92 Manifiesto sobre diversidad cultural y polìtica criminal, Bilbao, 1996; Olivares, El derecho penal ante la

Naturalmente la portata del riconoscimento del fattore culturale in sede penale non dipende soltanto da ragioni politico-ideologiche, ma anche dalla tipologia di reato commesso, specie in relazione al diverso coefficiente di offensività di ciascun fatto illecito e dal grado di soggettivizzazione

dell’ordinamento penale.93

Sotto il primo profilo, nel novero dei reati culturali possono rientrare, infatti, sia comportamenti dalla carica offensiva pressoché nulla o modesta, sia comportamenti offensivi di beni di rango non primario o primario sia,

infine, fatti gravemente offensivi di diritti fondamentali.94 Così il legislatore

e l’interprete tendono a valutare favorevolmente il condizionamento culturale solo qualora si tratti di comportamenti connotati da un modesto contenuto offensivo e non suscitanti particolare allarme sociale.

Sotto il secondo profilo, assume un grande rilievo lo spazio che un ordinamento riserva all’elemento soggettivo della condotta delittuosa. Quindi un’apparente contraddizione tra la politica criminale e la prassi giurisprudenziale trova spiegazione proprio in una maggiore attenzione

verso le componenti psicologiche che influenzano la condotta.95

93 Nuvolone, I fini e i mezzi della scienza penale, In Trent’anni di diritto e procedura penale, Padova, 1969,

p.152

94 Bernardi, ibidem, p.88 ss.

Anche le contingenze storiche e politiche possono avere un peso decisivo sulla rilevanza attribuita al fattore culturale, posto che la valutazione dell’allarme sociale gioca un ruolo non indifferente. Ciò ha un impatto determinante sia sulle politiche legislative che sulle decisioni giurisprudenziali.

Infine, ultimo fattore condizionante e ineliminabile delle scelte in sede di

applicazione della legge è la cultura del giudice.96

Nel panorama di giurisprudenza degli Stati Europei, con facilità si riscontrano oscillazioni tra l’atteggiamento di benevola tolleranza, caratterizzato dalla valorizzazione della matrice culturale della condotta ai fini dell’esclusione o dell’attenuazione della risposta punitiva nei confronti dell’autore e l’atteggiamento di indifferenza contrassegnato dall’assenza di qualsivoglia trattamento diversificato nei riguardi dell’autore culturalmente motivato o ancora l’atteggiamento di intolleranza, contraddistinto dalla valorizzazione della matrice culturale della condotta in senso sfavorevole all’autore, con il risultato di punire o punire più gravemente determinate

condotte commesse sotto l’influsso dell’appartenenza culturale.97

96 Pastore, Identità culturali, confini normativi e processo penale, in Pastore- Lanza, Multiculturalismo, cit.

p.50