• Non ci sono risultati.

La rilevanza del fattore culturale

7. Le circostanze del reato

Le circostanze del reato sono elementi che stanno intorno (dal latino circum

stant) o accedono ad un reato che è già provvisto di tutti i suoi elementi

costitutivi. Esse sono elementi accidentali, che hanno la funzione di determinare una modificazione della pena, elevando o diminuendo la pena edittale prevista o determinando un vero e proprio mutamento della pena stessa. Il legislatore con la previsione di questo sistema ha inteso incidere sulla gravità astratta del reato e al tempo stesso meglio adeguare la pena al

singolo caso.252

A questo punto della trattazione, non resta che interrogarsi sulla possibilità di dare rilievo, in sede di commisurazione “in senso lato”, al fattore culturale ai fini dell’applicazione di alcune circostanze attenuanti o della non applicazione di alcune circostanze aggravanti.

Qualora l’autore dell’illecito, che di per sé resta un fatto antisociale per l’ordinamento, abbia compiuto il fatto per motivi di particolare valore morale o sociale, ovvero di per sé apprezzabili e condivisibili, l’ordinamento consente al giudice di concedere l’attenuante di cui all’art. 62 c.1.c.p.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante, il parametro oggettivo cui ancorare la valutazione del comportamento deve

corrispondere alla coscienza etica della generalità dei consociati253, con

conseguente irrilevanza dei motivi approvati solo da alcuni ambienti sociali.

La dottrina più sensibile ha criticato questo orientamento, ritenendo che l’accoglimento dello stesso porti in concreto alla disapplicazione dell’attenuante e ritenendo che un simile atteggiamento sia in contrasto con i valori del pluralismo ideologico, religioso e culturale cui si ispira la

Costituzione Italiana.254

In particolare, Veneziani ha proposto di applicarla laddove “si tratti ad un tempo di non rinunciare ad elevare il rimprovero giuridico- penale e di personalizzare però il limite della reazione punitiva statuale, tenendo contro di un conflitto di doveri in capo a colui che non possa dirsi pienamente inserito nel nostro contesto socio culturale (e analogamente è a dirsi nei casi in cui il soggetto abbia agito nella consapevolezza della doverosità della condotta in base alle prescrizioni religiose, morali, sociali proprie della

253 Cass. 22 febbraio 1990 ced 183431, in Riv, Pen. 1990, p. 1063, Cass. 6 luglio 1988, ced.178833; Cass. 13

marzo ed.224077, in Riv. Pen.2004, p.93

254 Padovani, Circostanze del reato, voce in Dig.disc.pen, II, 1988. p.220; Fiore, Diritto penale. Parte

comunità di appartenenza e nell’ignoranza -pur colpevole- del contrasto tra

quelle e la normativa penale).255

Questa soluzione appare condivisibile, fermo restando che sarebbe sicuramente inutile e svantaggioso per la cultura dominante rifiutare la contaminazione esterna, chiudendosi in una roccaforte, per conservare a tutti i costi la propria identità.

Naturalmente questa soluzione solleva tanti dubbi. Da una parte infatti si propone di dare rilievo a valori di particolare valore o sociale. Ma dall’altra ci si chiede se, ad esempio, possa ritenersi tale il motivo che induce il padre a picchiare la figlia per punirla di una relazione adulterina o sottoporla a mutilazioni genitali, in entrambi i casi per garantire una migliore prospettiva di vita e integrazione.

Si tratta invero di fatti gravemente e oggettivamente in contrasto con i valori fondamentali. Dall’impasse si può uscire forse solo seguendo le

indicazioni di Fiandaca e Musco.256 Bisogna infatti ricordare di tenere

distinta la valutazione della condotta da quella del motivo. La condotta, essendo illecita, è sempre antisociale e inaccettabile per l’ordinamento, ma anche il più riprovevole dei reati può essere contraddistinto da un motivo

255 Veneziani, Motivi, e colpevolezza, 2000, p.240 256 Fiandaca, Musco, Il diritto penale,cit. p.444

meritevole. Solo attraverso questa via si può trovare uno varco per l’applicazione dell’attenuante.

Le circostanze possono essere anche aggravanti e comportare un rimprovero maggiore. L’aver agito per motivi futili o abietti (art.61 n.1.c.p.) può infatti comportare un aumento di pena fino a un terzo, in luogo di una diminuzione. “Abietto” è il motivo che appare “turpe, ignobile, totalmente spregevole, tale da suscitare una diffusa ripugnanza”, mentre “futile” è il motivo che risulta “del tutto sproporzionato rispetto al reato al quale ha

dato origine”.257

In relazione a questa aggravante, valgono perlopiù le stesse considerazioni fatte in proposito dell’attenuante precedentemente descritta. Per un primo orientamento, dominante, si deve fare riferimento a una persona di media

moralità o alla generalità delle persone.258 Secondo un orientamento

minoritario ma più innovativo, i motivi andrebbero sindacati in base a un parametro maggiormente aderente alla persona agente, i valori della “media

dei delinquenti” o l’ambiente in cui vive il reo.259

Per quanto concerne invece la circostanza attenuante della provocazione (art. 62. n.2 c.p.), possiamo dire che essa ricorre quando l’agente commette il fatto in una situazione di grave turbamento emotivo. Affinché essa si

257 Marinucci, Dolcini, Manuale, cit. p.481 in Basile, Immigrazione, cit. p.435-436 258 Basile, Immigrazione, cit.p. 435 ss.

configuri devono ricorrere i seguenti elementi: 1) lo stato d’ira, 2) il fatto ingiusto altrui e 3) il rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione. Non deve necessariamente ricorrere il requisito della proporzionalità tra l’offesa e la reazione. Il fattore culturale potrebbe essere messo in rilievo a causa del fatto che l’ingiustizia del fatto può essere determinata anche dalla contrarietà a norme culturali, oltre che da norme dell’ordinamento giuridico. A detta di Basile, con l’aggravante della provocazione, ci troviamo di fronte a un “elemento normativo culturale di fattispecie”.260

Analogamente a quanto detto in relazione alle precedenti attenuanti, l’applicabilità dell’attenuante dipende strettamente dal sistema di valori che si richiama come parametro di riferimento.

Se si considera possibile fare riferimento solo al sistema di norme diffuso in Italia, si finisce per negare ogni funzione alla cd. provocazione putativa

dell’immigrato,261 rischiando però di trascurare un effettivo perturbamento

emotivo che ha di fatto influenzato la colpevolezza.

In alcune pronunce si è tenuto conto dell’ambiente socio-culturale in cui vive l’imputato262 e delle qualità personali dei protagonisti della vicenda,

260 Capitolo primo; Basile, ibidem

261 Basile, ibidem, Mantovani, Diritto penale, cit.p.595 262 Cass.10 agosto 1987, ced 176527

dei loro rapporti, delle circostanze di tempo, luogo in cui si è verificato il fatto.263

In altre, i giudici hanno categoricamente escluso la possibilità di riconoscere l’attenuante della provocazione. Di recente la Cassazione ha integralmente confermato le statuizioni della Corte d’Appello di Brescia che ha escluso la sussistenza dell’attenuante, affermando che “se anche l’imputato possa avere considerato come un’offesa a lui e alla sua gente il comportamento della figlia, tale obiettivamente detto comportamento non era, e soprattutto la reazione è stata talmente abnorme da escludere la circostanza”, valutando così il requisito dell’ingiustizia sulla scorta del

sistema di norme proprie della maggioranza.264

263 Cass. 16 Marzo 2004, n.; Cass. 30 marzo1982, in Riv. Pen.1982, p.1029;