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Associazionismo transnazionale e Storia di genere: il caso italiano

In queste pagine si intende illustrare il contesto storiografico italiano e, mettendo in risalto i più recenti studi dedicati all’associazionismo femminile transnazionale, si cercherà di cogliere le sollecitazioni provenienti da poli di ricerca internazionali. Inserendosi in un filone analitico già ricco ed affermato ed adeguandosi a un dibattito estero in costante aggiornamento, nel 2012 è Maria Grazia Suriano a fare il punto sulla cultura della non violenza fra le due guerre mondiali, soffermandosi sul femminismo pacifista internazionale della Wilpf e sulle sue posizioni anti-totalitarie103. La documentata pubblicazione di Suriano, esito di precedenti studi dottorali, dà nuovo risalto alle attività della Wilpf che, date le sue numerose sezioni dislocate in tutto il mondo e, l’importanza da essa attribuita alle interconnessioni politiche ed istituzionali – come dimostra il forte legame con la Società delle Nazioni –, può essere considerata l’unica vera associazione transnazionale della prima metà del secolo. Una collaborazione, quest’ultima, che la Wilpf, più delle altre organizzazioni, aveva stretto con chiari intenti politici. Fu in nome dei medesimi orientamenti politici che essa abbracciò negli anni Trenta i principi dell’antifascismo, in risposta ai primi cenni di fallimento della Società delle Nazioni e di fronte all’avanzare del nazi-fascismo. Attive e radicate non solo in Europa, le wilpfers si mobilitarono appellandosi alla necessità del disarmo totale e dell’educazione alla pace, in nome di una sorellanza solidale «nonché di relazioni internazionali più rispettose dell’intelligenza dei cittadini e delle cittadine»104.

Non è solo Suriano ad inserirsi in questo filone di ricerca che, a livello nazionale, vede ancora ampi confini di indagine; nel 2014, anche la studiosa Elda Guerra si interessa del medesimo soggetto storico e, in prospettiva transnazionale, torna sul ruolo svolto dalle

wilpfers europee105. Nel suo caso, l’attenzione rivolta al Il dilemma della pace ricalca

l’importante legame che la Wilpf strinse con la Società delle Nazioni, allora il principale interlocutore sia per i comuni obiettivi di pace e di disarmo mondiale, sia per questioni di per sé transnazionali quali il traffico delle donne e dei bambini, il riconoscimento di

103 M. G. Suriano, Percorrere la nonviolenza. L’esperienza politica della Women International League for

Peace and Freedom (1915-1939), Aracne, Roma, 2012.

104 M. G. Suriano,Donne, pace, non-violenza fra le due guerre mondiali. La Women’s International League

for Peace and Freedom e l’impegno per il disarmo e l’educazione, Tesi di Dottorato, Alma Mater

Studiorum Università degli Studi di Bologna, 2007, p. 30; della stessa, Prove di diplomazia femminista tra

le due guerre mondiali, in “DEP”, n. 18-19, 2012, pp. 199-214.

105 E. Guerra, Il dilemma della pace, cit.; in precedenza Guerra è autrice del saggio Associazionismo

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nazionalità alle donne sposate e l’abolizione della regolamentazione statale della prostituzione. A questo contributo si attribuisce il merito di estendere il campo d’interesse ad altre associazioni femminili, quali l’Icw e l’Iaw, di inglobare nella medesima narrazione i travagli e le contraddizioni interne delle tre associazioni, e di aggiungere dettagli inediti alla già rilevante pubblicazione di Suriano. Privilegiando anch’essa un’analisi limitata all’arco cronologico compreso tra il 1914 e il 1939, Guerra conferma la presenza di un vero e proprio pacifismo di stampo femminista che, soprattutto in Europa, si era sviluppato in opposizione agli schemi di neutralità associativa ereditati dai modelli Otto-Novecenteschi. Tuttavia, l’innescarsi della Seconda guerra mondiale, sul finire degli anni Trenta, costituisce una grave battuta d’arresto per l’attivismo e l’antifascismo femminista e, infatti, «l’Alliance si fermò, ribadendo la sua posizione di neutralità», ma «anche le donne appartenenti alla Wilpf si fermarono sulla stessa soglia. Più forti in questa associazione erano le posizioni di pacifismo assoluto»106, ma anche –

aggiunge la studiosa – le debolezze e le cecità di un movimento ancorato ad un «gender

system dove un’immagine femminile ridotta a quella della madre era diventata icona della

potenza della nazione e del sacrificio per essa»107. Accogliendo una consolidata tradizione

internazionale, protesa ad indagare gli anni che precedono il secondo conflitto mondiale e a declinare il femminismo internazionale secondo il già citato binomio donne-pace, i lavori appena illustrati riflettono e confermano tale tendenza. A livello nazionale, tuttavia, non mancano contributi tesi ad allargare le maglie della ricerca per sviluppare i temi dell’associazionismo femminile nella seconda metà del XX secolo.

Se durante il tragico intervallo bellico si era bruscamente interrotta ogni esperienza associativa, già nel novembre del 1945, in una Parigi liberata che accoglieva donne da tutto il mondo, riunite per il primo Congresso internazionale femminile del dopoguerra, la fondazione della Fdif segnava un entusiastico rinnovamento dell’attivismo femminile transnazionale, nato dalle ceneri di un vivo protagonismo negli anni della Resistenza108. Quello che va consolidandosi all’indomani del Congresso di Parigi è un processo di

106 A. Rossi-Doria, Universalismo e diritti delle donne nel pacifismo femminista, recensione al volume di E. Guerra, Il dilemma della pace, in “Genesis”, XIV/2, 2015, pp. 179-186, p. 186.

107 E. Guerra, Il dilemma della pace, cit., p. 226.

108 Nata sulla spinta di un trasversale rifiuto alle guerre e a tutte le forme di oppressione, la Fdif assurge immediatamente a soggetto internazionale fondato sui valori dell’antifascismo, dell’antirazzismo e dell’anticolonialismo. Per tutte le donne progressiste di sinistra da esso rappresentate - vittime di repressione nei neonati governi dittatoriali, oppositrici del nazifascismo prima e protagoniste della Resistenza poi - la condivisione dei principi dell’antifascismo appare ovvia conseguenza di una comune esperienza di guerra. Su questi temi rimando a T. Kirk, A. McElligott, Opposing Fascism. Community,

Authority and Resistance in Europe, Cambridge University Press, Cambridge, 1999. Richiami a riguardo

sono anche in P. Gabrielli, La pace e la mimosa. l’Unione Donne Italiane e la costruzione politica della

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formazione di un autentico associazionismo transnazionale. Oltre alla Fdif, il sorgere di numerose organizzazioni internazionali restituisce uno scenario di grande operosità, in cui realtà femminili provenienti da paesi prima d’ora esclusi danno vita a nuove reti associative. In Italia, ad esempio, il lavoro di ricostruzione di Anna Scarantino sull’Aimu, nel periodo della Guerra fredda, offre i primi riferimenti sulle organizzazioni con le quali la Federazione strinse rapporti109. Ciò nonostante, la storiografia italiana presenta ancora oggi gravi zone d’ombra su questa fase di rinascita. Dei tentativi che vanno a colmare tale lacuna e ad inserirsi nei contesti storiografici di più recente affermazione, sono i lavori di Chiara Bonfiglioli, Revolutionary networks del 2012110 e di Wendy Pojmann, Italian

women and international Cold War politics del 2013111. Beneficiarie dell’avanzamento avviato dagli anni Settanta da studi tesi al recupero del protagonismo femminile nei contesti bellici della Resistenza armata e civile, i due contributi ripartono proprio dagli esiti interpretativi da essi prodotti per condurre nuove ricerche sugli scenari associativi postbellici112. Nata nel settembre del 1944 a Napoli, ereditando le preesistenti strutture

organizzative dei Gruppi di Difesa della Donna, l’Unione Donne Italiane (Udi) è la prima associazione a risorgere sul finire del Secondo conflitto e, guidata dalle donne della Resistenza, ad unire le masse femminili appellandosi al bisogno di ricostruzione democratica del Paese, di emancipazione civile e politica e di uguaglianza nel rispetto delle differenze di genere113. L’inclinazione internazionalista, sempre alimentata dalle

109 A. Scarantino, Donne per la pace, cit.

110 C. Bonfiglioli, Revolutionary Networks. Women’s Political and Social Activism in Cold War Italy and

Yugoslavia (1945-1957), PhD dissertation, Institute at Utrecht University, 2012 e della stessa Cold War Internationalisms, Nationalisms and the Yugoslav-Soviet split. The Union of Italian Women and the Antifascist Women’s Front of Yugoslavia, in F. de Haan et al., Women’s Activism, cit., pp. 59-73.

111 W. Pojmann, Italian Women and International Cold War Politics, 1944–1968, Fordham University Press, New York, 2013; Ead., Join Us in Rebuilding Italy. Women’s Associations, 1946-1963, in “Journal of Women’s History”, Vol. 20, n. 4, 2008, pp. 82-104 anche il suo For Mothers, Peace and Family:

International (Non)-Cooperation among Italian Catholic and Communist Women’s Organisations during the Early Cold War, in “Gender & History”, Vol. 23, n. 2, 2011, pp. 415-429.

112 Per una storiografia di base sul protagonismo delle donne nella Seconda guerra mondiale e nella Resistenza al nazifascismo si rimanda almeno agli studi di A. Bravo, A. M. Bruzzone, ad esempio In guerra

senza armi: storie di donne, 1940-1945, Laterza, Roma-Bari, 1995; di P. Gabrielli come il suo Scenari di guerra, parole di donne. Diari e memorie nell’Italia della seconda guerra mondiale, il Mulino, Bologna,

2007 e della stessa Tempio di virilità: l’antifascismo, il genere, la storia, Franco Angeli, Milano, 2008; di D. Gagliani, uno fra tutti Guerra, Resistenza, politica. Storie di donne, Aliberti, Reggio Emilia, 2006. 113 Sulla storia dell’Udi si sono soffermate molte studiose e, ad oggi, la storiografia disponibile risulta essere molto ricca. Tra i numerosi studi si rimanda almeno a M. Michetti, M. Repetto, L. Viviani, Udi: laboratorio

politico delle donne. Idee e materiali per una storia, Cooperativa libera stampa, Roma, 1984; Archivio

centrale dell’Udi, I Gruppi di difesa della donna 1943-1945, Presentazione di Anna Bravo, Udi, Roma, 1995; P. Gabrielli, “Il club delle virtuose”. Udi e Cif nelle Marche dall'antifascismo alla guerra fredda, Il lavoro editoriale, Ancona, 2000; Ead., La pace e la mimosa, cit.; M. Ombra (a cura di), Donne manifeste.

L’Udi attraverso i suoi manifesti 1944-2004,con saggio introduttivo di P. Gabrielli, Il Saggiatore, Milano, 2005.

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dirigenti più esperte e preparate114, l’assimilazione nello scenario nazionale dei nuovi equilibri di politica internazionale, e viceversa la risonanza a livello mondiale di questioni interne, creano sin dai primi passi le condizioni per un intensificarsi dei rapporti oltre confine. Intenta a perseguire gli stessi sentieri già tracciati nel periodo resistenziale, l’Udi non solo contribuì alla fondazione della Federazione internazionale, partecipando alle riunioni preparatorie ed entrando da subito nei suoi organi direttivi, ma condusse un importante sforzo teso a mantenere saldi i rapporti bilaterali precedentemente stretti. Dal lavoro dottorale di Chiara Bonfiglioli, affiora un ampio spaccato sulle attività dell’Udi lungo il confine italo-jugoslavo: vengono analizzate strategie comuni e reciproche influenze, sorte dalla condivisione di programmi politici e della medesima genealogia femminista. Ma ad essere evidenziate sono altresì le tensioni che vanno incrinando i loro rapporti a partire dal 1948. Muovendosi nei primi anni della Guerra fredda, infatti, la loro vicinanza ripercorre certamente l’evoluzione di una collaborazione transnazionale antifascista, antirazzista, di matrice comunista. Nei perimetri associativi della Fdif, si rinsaldò una ritrovata amicizia ed antichi legami che, tuttavia, proprio in quegli stessi spazi, l’Udi fu costretta a tagliare all’indomani dell’espulsione delle donne jugoslave, imposta dal Blocco Sovietico e dalla leadership sovietica della Federazione. I mutamenti geo-politici e, nello specifico la rottura tra l’Unione Sovietica ed il governo titino – sostiene Bonfiglioli –, avevano generato «repercussions not only for women’s organization in the Balkans, but also for the relationship between Italian and Yugoslav antifascist activists, as well as for activists living in the Italo-Yugoslav border area» innescando, pertanto, una concatenazione di eventi115.

Se le dinamiche della Guerra fredda fecero registrare evidenti condizionamenti nelle vicende interne alle associazioni femminili nazionali ed internazionali116, i suoi

114 Per un lavoro di ricerca incentrato sulla prima generazione di militanti antifasciste e sulle loro attività attraverso le frontiere si rimanda a P. Gabrielli, Fenicotteri in volo. Donne comuniste nel ventennio fascista, Carocci, Roma, 1999; della stessa Col freddo nel cuore. Uomini e donne nell’emigrazione antifascista, Donzelli, Roma, 2004. Si veda anche G. De Luna, Donne in oggetto. L’antifascismo nella società italiana

(1922-1939), Bollati Boringhieri, Torino, 1995.

115 C. Bonfiglioli, Revolutionary Networks, cit., p. 150. Su queste questioni si veda C. Bonfiglioli, Women’s

Political and Social Activism in the Early Cold War Era: The Case of Yugoslavia, Aspasia, The

International Yearbook of Central, Eastern, and Southeastern European Women’s and Gender History, Vol. 8, numero speciale Gendering the Cold War, 2014, pp. 1-25.

116 Per una storiografia sulla Guerra fredda si vedano almeno R. Crockatt, Cinquant’anni di guerra fredda, Salerno, Roma, 1997;F. Romero, Storia della guerra fredda: l'ultimo conflitto per l'Europa, Mondadori, Milano, 2009; S. Romano, L’Italia negli anni della guerra fredda, Ponte alle Grazie, Milano, 2000; B. Bongiovanni, Storia della Guerra fredda, Laterza, Roma-Bari, 2016; M. Del Pero, La guerra fredda, Carocci, Roma, 2014; I. V. Gaiduk, Divided Together: The United States and the Soviet Union in the United

Nations, 1945-1965, Woodrow Wilson Center Press – Stanford University Press, Washington-Stanford,

2012; K. Mistry, The United States, Italy and the Origins of the Cold War: Waging Political Warfare, 1945-

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condizionamenti assumono una posizione di ancora maggiore centralità nello studio condotto da Wendy Pojmann sulle vicende dell’Udi e del Centro Italiano Femminile (Cif), tra il 1945 e il 1968. Fondato nel dicembre del 1944 e pensato come un organismo federativo per le preesistenti associazioni cattoliche, il Cif si attesta in alternativa all’Udi differenziando programmi e reti associative, sia sul piano nazionale che sull’arena internazionale117. Le ricostruzioni di Pojmann fanno luce sulle reciproche contrapposizioni politiche, riflesso ognuna di un preciso contesto socioculturale di riferimento. Sia l’Udi, vicina al Partito Comunista Italiano, che il Cif, collegato alla Democrazia Cristiana e alle istituzioni cattoliche, interiorizzarono fortemente gli andamenti e gli esiti della Guerra fredda, tanto da utilizzare linguaggi e ricreare assetti strategici propri della competizione tra i blocchi. Nell’orbita dei due partiti si venivano a riproporre le rigide divisioni mondiali. Benché nel 1945, in nome della pace e della democrazia, l’Udi e il Cif avessero accantonato temporaneamente la loro rivalità per avviare una fase di ricostruzione a partire da tematiche condivise – dalla maternità all’infanzia, passando per il lavoro, l’istruzione e i diritti delle donne –, già nel 1946 furono le loro specificità ad allontanarle l’una dall’altra.

Nella Storia delle associazioni transnazionali femminili si sono ciclicamente alternati momenti di coesione, in nome di una condivisione d’intenti più forte delle singole identità politiche, nazionali, razziali e di classe, a fasi di stallo e rotture da interpretare nel più ampio quadro della storia di Otto e Novecento e non tanto in quello della Storia di genere. Le interpretazioni offerte da questo studio rispetteranno, pertanto, il continuo dialogo tra gli eventi totalizzanti della Guerra fredda e quelli propri di una eredità storica indipendente delle donne italiane e delle associazioni femminili.

East Asia and the Middle East, Woodrow Wilson Center Press – Stanford University Press, Washington-

Stanford, 2015.

117 Una copiosa produzione si è soffermata sulla genesi e l’affermazione del Cif in Italia, si vedano almeno E. Bizzarri, L'organizzazione del movimento femminile cattolico dal 1943 al 1948, Quaderni della Fiap, n. 37, Roma, 1980; C. Dau Novelli (a cura di), Donne del nostro tempo. Il Centro Italiano Femminile (1945-

1995), Edizioni Stadium, Roma, 1995; P. Gabrielli, “Il club delle virtuose”, cit.; F. Taricone, Il Centro Italiano Femminile. Dalle origini agli anni Settanta, Franco Angeli, Milano, 2001; M. Chiaia, Donne d’Italia. Il Centro Italiano Femminile, la Chiesa, il Paese dal 1945 agli anni Novanta, Edizioni Studiorum,

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Capitolo 2