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L’anima si attacca alle cose che si susseguono nel tempo, ma gli oggetti che brama non permangono: per poter essere liberi dalla molteplicità dalla quale gli uomini vengono

posseduti è necessario mortificare il desiderio per i beni sensibili.

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L’uomo è reso

invincibile dal vincere i suoi vizi, perché giunge al punto in cui ciò che gli dà gioia non

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Deriva dalla divina provvidenza ed in qualche modo rientra nel piano salvifico anche la pena inflitta all’umanità in seguito al peccato originale: il corpo umano nella condizione edenica era perfetto. La debolezza e la mortalità sono castighi che sono inflitti a causa della prima trasgressione, ma hanno un valore pedagogico. Tali sofferenze inducono nell’uomo la disperazione dei piaceri carnali e dall’altra parte lo sollecitano a rivolgersi a Dio per avere soccorso. In questo modo il corpo soggetto a corruzione (che in opere più tarde è presentato come stimolo al peccato in quanto fonte di tutte quelle pulsioni contrarie all’anima) diviene uno stimolo per la giustizia, poiché fa crollare la presunzione di sé dell’uomo che si affida al Creatore: «Quod vero corpus hominis, cum ante peccatum esset in suo genere optimum, post peccatum factum est imbecillosum et morti destinatum, quamquam iusta vindicta peccati sit, plus tamen clementiae Domini quam severitatis ostendit. Ita enim nobis suadetur a corporis voluptatibus, ad aeternam essentiam veritatis amorem nostrum oportere converti. Et est iustitiae pulchritudo cum benignitatis gratia concordans, ut quoniam bonorum inferiorum dulcedine decepti sumus, amaritudine poenarum erudiamur. Nam ita etiam nostra supplicia divina providentia moderata est, ut et in hoc corpore tam corruptibili ad iustitiam tendere liceret, et deposita omni superbia uni Deo vero collum subdere, nihil de seipso fidere, illi uni se regendum tuendumque commettere». Ivi, 15.29.

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Tr. it. Aurelio Agostino, La vera religione, introduzione, traduzione, note e apparati a cura di O. Grassi, Rusconi, Milano 1997, pp. 83-84. «Temporalium enim specierum multiformitas ab unitate Dei hominem lapsum per carnales sensus diverberavit, et mutabili varietate multiplicavit eius affectum: ita facta est abundantia laboriosa, et, si dici potest, copiosa egestas, dum aliud et aliud sequitur, et nihil cum eo permanet». Augustinus, De vera religione, 21.41.

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«Loca offerunt quod amemus, tempora surripiunt quod amamus, et relinquunt in anima turbas phantasmatum, quibus in aliud atque aliud cupiditas incitetur. Ita fit inquietus et aerumnosus animus, frustra tenere a quibus tenetur, exoptans». Augustinus, De vera religione, 35.65.

gli può essere tolto.

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A questo punto è in grado di amare il prossimo come se stesso,

poiché non invidia nulla. Tuttavia, mette in guardia Agostino, il prossimo non deve

essere amato secondo il legame temporale che ci lega all’individuo singolo. I vincoli

carnali sono frutto della trasgressione originaria che lega l’uomo al ciclo di nascite e

morti e quindi per rivolgersi veramente a Dio è necessario respingere i legami carnali.

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«Sed nec ab homine vinci potest, qui vitia sua vicerit. Non enim vincitur, nisi cui eripitur ab adversario quod amat. Qui ergo amat id solum quod amanti eripi non potest, ille indubitanter invictus est, nec ulla cruciatur invidia». Ivi, 46.86.

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«Sed nec sic quidem ab homine homo diligendus est, ut diliguntur carnales fratres, vel filii, vel coniuges, vel quique cognati, aut affines aut cives. Nam et dilectio ista temporalis est. Non enim ullas tales necessitudines haberemus, quae nascendo et moriendo contingunt, si natura nostra in praeceptis, et imagine Dei manens, in istam corruptionem non relegaretur». Ibidem. L’idea che la procreazione sia una conseguenza della caduta e non propria dell’uomo nella condizione originaria fu successivamente respinta da Agostino, come egli stesso riferisce commentando quest’opera nelle Retractationes (I, 13.8): «Hunc sensum prorsus improbo, quem iam et superius improbavi in primo libro De Genesi contra Manichaeos. Ad hoc enim ducit, ut credantur illi coniuges primi non generaturi posteros homines nisi peccassent; tamquam necesse fuerit ut morituri gignerentur, si de concubitu maris et feminae gignerentur. Nondum enim videram fieri potuisse, ut non morituri de non morituris nascerentur, si peccato illo magno non mutaretur in deterius humana natura, ac per hoc, si et in parentibus et in filiis fecunditas felicitasque mansisset, usque ad certum sanctorum numerum, quem praedestinavit Deus, nascerentur homines non parentibus successuri morientibus, sed cum viventibus regnaturi. Essent ergo etiam istae cognationes atque affinitates, si nullus delinqueret nullusque moreretur». Osserva in questo senso Van Fleteren: «Sebbene Agostino giunga a rifiutare la nozione della distinzione sessuale come conseguenza della caduta su basi bibliche, tale concezione fu però presa in considerazione, seppure di sfuggita, nelle sue opere giovanili. [...] Tra i padri della Chiesa, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo erano a disagio sulla nozione della sessualità umana precedente la caduta. Evidentemente Agostino era al corrente di tale opinione, pur non conoscendone forse la provenienza». [F. Van Fleteren, Background and commentary on Augustine’s De vera religione, cit. nota 150, in part p. 63, tr. it. A cura di G. Ciccanti].

L’affermazione agostiniana del De vera religione a proposito dell’uomo soggetto alla concatenazione terrena delle nascite e morti a causa del primo peccato mostra delle affinità con un’idea caratteristica dell’encratismo, ovvero che la riproduzione fisica sia una conseguenza della trasgressione dei protoplasti, estranea al piano divino primitivo. Tipicamente in questo contesto culturale la circolarità di nascita – corruzione – morte deriverebbe dall’episodio biblico della caduta che darebbe origine alla pratica delle nozze. Molto precise in questo senso le indicazioni di Sfameni Gasparro, di cui si può vedere, per es., G. Sfameni Gasparro, Doppia creazione e origine del male nella tradizione cristiana antica: osservazioni storico – religiose, in La domanda di Giobbe e la razionalità sconfitta, Atti del convegno, Trento, 25-26 novembre 1992, Trento 1995, pp. 53-76: «Questi ultimi [i protoplasti], proprio in quanto non destinati alle nozze, si rivelano strutturalmente diversi dall’umanità attuale la quale è immersa, con il ciclo di generazione – corruzione, in una dimensione “altra”, “seconda” e secondaria rispetto all’originario progetto divino» [Sfameni Gasparro, Doppia creazione… cit., in part. p. 63]. Tale tematica, osserva la studiosa, fu elaborata anche nella tradizione patristica, nella quale: «l’unione fisica e la procreazione, pur istituite da Dio e legittimamente praticabili dai cristiani, sono tuttavia motivate dalla trasgressione dei protoplasti, senza la quale non sarebbero state necessarie». [G. Sfameni Gasparro, Il tema della concupiscentia in Agostino e la tradizione dell’enkrateia, in «Augustinianum» 25 (1985), pp. 155-183 e in Agostino tra etica e religione, Morcelliana, Brescia 1999, pp. 15 – 43, in part. p. 16].

Nelle Retractationes Agostino prende le distanze dall’idea che la procreazione sia una conseguenza della caduta anche nella riconsiderazione del De Genesi contra manichaeos: «Quod vero ibi legitur benedictionem Dei, qua dictum est: “Crescite et multiplicamini” in carnalem fecunditatem post peccatum conversam esse credendam; si non potest alio modo dictum videri, nisi ut putentur illi homines non habituri fuisse filios homines nisi peccassent, omnino non approbo» [Retractationes I, 10.2]. In quel commento dei primi tre capitoli del libro della Genesi si legge l’affermazione che la riproduzione carnale

fu per gli uomini una conseguenza del peccato, poiché, nella condizione originaria, si può parlare di riproduzione solo in senso spirituale. Scrive Agostino: «Quemadmodum accipienda sit coniunctio masculi et feminae ante peccatum, et ista benedictio qua dictum est: “Crescite et multiplicamini, et generate, et replete terram” [...]. Licet enim nobis eam etiam spiritaliter accipere, ut in carnalem fecunditatem post peccatum conversa esse credatur». De Genesi contra manicheos I, 19.30. Appare del massimo interesse in questo senso anche ciò che si legge nel secondo libro della medesima opera a proposito della mortalità come castigo per la trasgressione dei protoplasti: tutti coloro che nascono dalla stirpe di Adamo sono destinati alla morte, che era stata minacciata quale pena della disobbedienza del precetto e tale mortalità, che fu innanzitutto il castigo di Adamo ed Eva, sarebbe simbolicamente espressa dalla narrazione genesiaca delle tuniche di pelle con le quali Dio riveste i primi uomini prima di escluderli dal giardino dell’Eden. La motivazione attribuita da Agostino per tale gesto è che i progenitori non avrebbero potuto nascondere la menzogna di cui si erano macchiati in illis celestibus corporibus e così, già di loro iniziativa, si erano coperti con le foglie di fico. Pertanto, quasi come se divenisse opportuno, dopo la caduta, nascondere i moti dell’animo, Dio mutò i loro corpi da celesti a carnali. «Nam illa mors, quam omnes qui ex Adam nati sumus, coepimus debere naturae, quam minatus est Deus, cum praeceptum daret ne arboris fructus ille ederetur; illa ergo mors in tunicis pelliceis figurata est. Ipsi enim sibi fecerunt praecinctoria de foliis fici, et Deus illis fecit tunicas pelliceas: id est, ipsi appetiverunt mentiendi libidinem relicta facie veritatis, et Deus corpora eorum in istam mortalitatem carnis mutavit, ubi latent corda mendacia. Neque enim in illis corporibus coelestibus sic latere posse cogitationes credendum est, quemadmodum in his corporibus latent: sed sicut nonnulli motus animorum apparent in vultu, et maxime in oculis, sic in illa perspicuitate ac simplicitate coelestium corporum omnes omnino motus animi latere non arbitror». De Genesi contra manicheos II, 21.32.

Luigi Carrozzi [Introduzione a La Genesi difesa contro i Manichei, in Genesi I, Roma, Città Nuova, 1988, pp. 3-46, in part. p. 30], seguendo le indicazioni di Altaner [Augustinus und Origenes, in «Historisches Jahrbuch» 70 (1948), pp. 15-41, ristampato nei Kleine patristiche Schriften , Berlin, 1967, pp. 224-252] rileva una probabile dipendenza di questo testo agostiniano da Origene, che Agostino avrebbe letto nella traduzione latina di Rufino. Vi sarebbero infatti numerose somiglianze tra la prima Omelia sul Genesi di Origene ed il De Genesi contra manichaeos di Agostino, ma la prova più stringente consisterebbe proprio nell’interpretazione data alle tuniche di pelle. «La spiegazione figurata dei vestiti di pelle procurati da Dio ai progenitori si trova unicamente in Origene [nell’Omelia sul Levitico], anche se non è un’idea sua propria e originale» [Carrozzi, Introduzione…, in part. p. 30].

L’antropologia elaborata da Agostino intorno al 390 avrebbe in questo modo alcuni tratti in comune con quel «versante “moderato” della tradizione dell’enkrateia a fondamento protologico, nel quale rientrano a vario titolo numerosi e autorevoli rappresentanti della Grande Chiesa, da Origene e Tertulliano fino a Girolamo e Ambrogio» la quale «non indica nelle nozze la materia del primo peccato [a differenza dell’encratismo “radicale”] solitamente motivato dalla disobbedienza e dall’orgoglio dei protoplasti» [Sfameni Gasparro, Il tema della concupiscentia…, in part. p. 21]. Ed infatti Agostino, coerentemente con le altre opere in cui ha toccato la questione, anche nel De Genesi contra manichaeos ribadisce che è propriamente la superbia il peccato dei protoplasti: vedi nota 108.

«La tradizione patristica che afferma il carattere post-lapsario delle nozze [...] esprime con varie accentuazioni e gradazioni diverse, una visione antropologica strutturata in due piani secondo uno schema di “doppia creazione”. Secondo tale concezione, infatti, una dimensione specifica dell’uomo attuale, implicante nozze e procreazione, è posta in diretto rapporto con la colpa adamitica che ne rappresenta la motivazione, sia pure nel quadro di un intervento provvidenziale di Dio il quale permette l’esercizio di tali attività ad una umanità ormai debole e mortale, priva della capacità di attendere esclusivamente alla vita dello spirito. Senza essere peccaminose queste attività sono l’espressione privilegiata del decadimento originario da cui tutta l’umanità attuale è profondamente segnata» [Sfameni Gasparro, Il tema della concupiscentia…, in part. p. 22]. Tale concezione antropologica non è quella cui Agostino aderì in via definitiva, ma l’esegesi allegorica delle tuniche di pelle come attribuzione ai progenitori di una corporeità unitamente alla considerazione espressa nel De vera religione che l’uomo a causa del peccato adamitico si trova immerso nella concatenazione della nascita corruzione e morte rivela una non completa estraneità di Agostino a tali dottrine.

Come rileva Sfameni Gasparro, dopo questo breve periodo di adesione a tale concezione lapsaria della procreazione, Agostino approdò ad una soluzione radicalmente diversa secondo la quale la corporeità e la riproduzione sessuale sarebbero state caratteristiche della condizione originaria, negando radicalmente la

4.1. L’ignoranza nel De vera religione

L’attrazione per i beni divenienti che è conseguenza e segno della caduta, oltre alla