dall’attrazione per le cose sensibili e mutevoli. È dunque necessario che l’anima si
eserciti e si purifichi perché sia possibile la contemplazione delle pure forme che
facerent, in superbia et invidia remanentes, nescio utrum possent ad ea ipsa quae appetenda et desideranda esse dixerant, cum istis sordibus viscoque revolare.». Ivi, 4.7.
177
«Illi enim si reviviscerent, quorum isti nominibus gloriantur, et invenirent refertas ecclesias, templaque deserta, et a cupiditate bonorum temporalium atque affluentium ad spem vitae aeternae et bona spiritalia et intellegibilia vocari et currere humanum genus; dicerent fortasse (si tales essent, quales fuisse memorantur): Haec sunt quae nos persuadere populis non ausi sumus, et eorum potius consuetudini cessimus, quam illos in nostram fidem voluntatemque traduximus». Ivi, 4.6. L’invito di Agostino a seguire l’esempio di ciò che avrebbero fatto i filosofi platonici, se avessero conosciuto la religione cristiana, ovvero aderire ad essa considerandola il compimento storico delle loro dottrine filosofiche, ha sicuramente un valore retorico – esortativo che viene segnalato da Van Fleteren, il quale sostiene che questa sollecitazione possa essere diretta ad alcuni platonici milanesi, destinatari, accanto a Romaniano, di quest’opera (F. Van fleteren, Background… cit. nota 150, in part. p. 50); tale affermazione segnala però anche la convergenza di filosofia e di religione che si realizza nel cristianesimo. La sottolineatura di tale congruenza è significativa della ricezione agostiniana del messaggio cristiano che appare, in particolare nelle prime opere, intesa «in base alle categorie metafisiche della cultura in cui egli matura la sua esperienza di fede» (M. Ruggenini, “Quaerere Deum”. La ricerca di Dio e la comprensione della fede in Agostino, in Agostino e il destino dell’Occidente, a cura di l. Perissinotto, Carocci, Roma, 2000, p. 28). Lo stesso Ruggenini sostiene che Agostino sia l’autore «della fede nel cristianesimo a cui risale l’origine dell’Europa» e che risulterebbe dal concepire Dio in termini fortemente condizionati dalla metafisica greca, come essere immutabile, e nello stesso tempo «la fede di Agostino traduce nei termini di un’antropologia greca l’impulso a ripensare l’essere dell’uomo, che scaturisce da una tensione con l’essere del Dio inaudita per il mondo greco, dominata com’è dai motivi della colpa e della redenzione». Allo stesso tempo comunque la concezione greca di dio e dell’uomo vengono trasformate dai contenuti della fede cristiana: «fatalmente egli forza l’antico, fino ad abusare della sapienza che i filosofi della Grecia gli mettono a disposizione. Ma al contempo imprigiona il nuovo nella potenza metafisica delle categorie con cui tenta di pensare il messaggio della salvezza cristiana». Di opinione diversa è Cipriani, che oppone a questa tesi l’idea che «sant’Agostino abbia accolto molte idee della metafisica greca solo perché non le ha trovate in contrasto con la fede cristiana, anzi era convinto che lo potessero aiutare a comprendere meglio la sua fede» (N. Cipriani, Molti e uno solo in Cristo..., cit. nota 1, in part. p. 191) e cita in proposito l’opinione di Ratzinger secondo il quale «l’incontro tra pensiero greco e fede biblica non si è attuato soltanto nella Chiesa primitiva, bensì all’interno stesso del cammino biblico» e che «l’incontro tra la fede della Bibbia e la filosofia greca è stato veramente “provvidenziale”» (J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2005, pp. 94 e 98). Questo tema è di grande interesse anche al fine di decifrare l’aspetto filosofico della conversione agostiniana, ovvero rientra nella dibattuta questione se la conversione del 386 sia stata effettivamente religiosa in senso pieno, oppure se si sia trattato di una conversione al platonismo.
permangono, invece di lasciarsi ingannare dal molteplice e dal caduco.
178Il
Cristianesimo è la religione che afferma questa Verità, sostanziata nella Sapienza
Divina; le prescrizioni che si trovano all’interno del Vangelo hanno di mira la
liberazione dell’uomo dai desideri per le cose del mondo e dall’amore di sé in quanto
creatura terrena che implicano la brama di ricchezze, la lussuria, il desiderio di essere
esaltato tra gli uomini (la superbia), l’ira, la superstizione – che non rende giustizia al
culto dell’unico e vero Dio –, il desiderio di conoscenza fine a se stesso – che diventa
vana curiosità –. La finalità di queste prescrizioni è la purificazione dell’anima e
l’esercizio dell’intelligenza, condizioni indispensabili affinché l’uomo possa giungere
alla conoscenza della Verità.
179Si tratta quindi dei rimedi alla concupiscenza che la
Sacra Scrittura prescrive proprio perché la concupiscenza, in tutti i modi in cui si
manifesta, distrae l’uomo dalla conoscenza del Divino: «Non amate il mondo e ciò che
è del mondo, perché tutto quello che è nel mondo è concupiscenza della carne,
concupiscenza degli occhi e superbia mondana [1 Gv 2, 15-16]».
180L’errore in materia
di religione, cioè l’incapacità di riconoscere il vero Dio e rendergli culto, deriva
dall’amore per i beni creati, preferiti a Dio Creatore: le immagini delle cose create si
imprimono nell’anima e le loro rappresentazioni sono così presenti alla mente che,
sebbene l’uomo possa con grande facilità ricordarle così come ne ha avuto esperienza o
altrettanto agevolmente elaborarle, tuttavia non è in grado di liberarsene con un singolo
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178
«Si enim Plato ipse viveret, et me interrogantem non aspernaretur, vel potius, si quis eius discipulus eo ipso tempore quo vivebat, cum sibi ab illo persuaderetur, non corporeis oculis, sed pura mente veritatem videri; cui quaecumque anima inhaesisset, eam beatam fieri atque perfectam: ad quam percipiendam nihil magis impedire, quam vitam libidinibus deditam et falsas imagines rerum sensibilium, quae nobis ab hoc sensibili mundo per corpus impressae, varias opiniones erroresque generarent; quamobrem sanandum esse animum ad intuendam incommutabilem rerum formam». Augustinus, De vera religione, 3.3.
179
«Quae si facta sunt, si litteris monumentisque celebrantur, si ab una regione terrarum, in qua sola unus colebatur Deus, et ubi talem nasci oportebat, per totum orbem terrarum missi electi viri, virtutibus atque sermonibus divini amoris incendia concitarunt […] Si ad hoc percipiendum, diligendum, perfruendum ut anima sanetur, et tantae luci hauriendae mentis acies convalescat, dicitur avaris: “Nolite vobis condere thesauros in terra, ubi tinea et rubigo exterminat, et ubi fures effodiunt et furantur; sed thesaurizate vobis thesaurum in caelo, ubi neque tinea neque rubigo exterminant, neque fures effodiunt o: ubi enim est thesaurus tuus, ibi est et cor tuum [Mt, 6, 19-21]”; dicitur luxuriosis: “Qui seminat in carne, de carne metet corruptionem: qui seminat in spiritu, de spiritu metet vitam aeternam [Gal 6, 8]; dicitur superbis: Qui se exaltat, humilabitur; et qui se humiliat, exaltabitur [Lc 14, 11; 18,14]”; dicitur iracundis: “Accepisti alapam, para alteram maxillam [Mt 5, 39]”; dicitur discordiosis: “Diligite inimicos vestros [Mt 5, 44; Lc 6, 35]”; dicitur superstitiosis: “Regnum Dei intra vos est [Lc 17, 21]”; dicitur curiosis: “Nolite quaerere quae videntur, sed quae non videntur. Quae enim videntur, temporalia sunt: quae autem non videntur, aeterna [2Cor 4, 18]”». Ivi, 3.4.
180
«Postremo dicitur omnibus: “Nolite diligere mundum, neque ea quae in mundo sunt: quoniam omne quod in mundo est, concupiscentia carnis est, et concupiscentia oculorum, et ambitio saeculi [1 Gv 2, 15-16]”». Ibidem.
atto di volontà.
181Nella condizione mortale l’anima, avvolta nelle tenebre del peccato,
non trova da se stessa un appoggio grazie al quale risollevarsi e rivolgersi al Bene
Immutabile. L’adesione al Cristianesimo e l’osservanza dei precetti che propone è
dunque un primo passo per iniziare quel processo di purificazione che, una volta
realizzato, permette alla mente umana di avvicinarsi alla Verità.
182Agostino trova nella
sua stessa esperienza la conferma di ciò; egli dichiara infatti che la sua adesione al
manicheismo fu motivata dalla promessa che, presso di esso, avrebbe potuto
raggiungere la Verità, senza dover prestar fede alle dottrine bibliche, ma che tale
esperienza si risolse in un fallimento poiché neanche chi fra gli esponenti della setta gli
fu presentato come un illustre sapiente che avrebbe potuto dar risposta ai dubbi che lo
turbavano non si rivelò all’altezza del compito.
183La conseguenza dell’abbandono della
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181
«Phantasmata porro nihil sunt aliud quam de specie corporis corporeo sensu attracta figmenta: quae memoriae mandare ut accepta sunt, vel partiri, vel multiplicare, vel contrahere, vel distendere, vel ordinare, vel perturbare, vel quolibet modo figurare cogitando facillimum est, sed cum verum quaeritur, cavere et vitare difficile». Ivi, 10.18.
182
«Quae cum credita fuerit, mentem purgabit vitae modus divinis praeceptis conciliatus, et idoneam faciet spiritalibus percipiendis, quae nec praeterita sunt, nec futura, sed eodem modo semper manentia, nulli mutabilitati obnoxia; id est, unum ipsum Deum Patrem et Filium et Spiritum Sanctum [...] quantum in hac vita datum est cognita». Ivi, 7.13.
183
Fausto di Milevi era un personaggio carismatico all’interno della setta manichea, ed Agostino aveva atteso a lungo l’incontro con lui: «Et per annos ferme ipsos novem, quibus eos animo vagabundus audivi, nimis extento desiderio venturum exspectabam istum Faustum. Ceteri enim eorum, in quos forte incurrissem, qui talium rerum quaestionibus a me obiectis deficiebant, illum mihi promittebant, cuius adventu collatoque colloquio facillime mihi haec et si qua forte maiora quaererem enodatissime expedirentur. Ergo ubi venit, expertus sum hominem gratum et iucundum verbis et ea ipsa, quae illi solent dicere, multo suavius garrientem» (Augustinus, Confessiones V, 6.10), al fine di sottoporgli le perplessità scientifiche e religiose che la dottrina manichea iniziava a suscitargli ed infine ebbe la possibilità, insieme ad alcuni dei suoi amici e correligionari, di un colloquio con l’eletto della setta: «Igitur aviditas mea, qua illum tanto tempore exspectaveram hominem, delectabatur quidem motu affectuque disputantis et verbis congruentibus atque ad vestiendas sententias facile occurrentibus. Delectabar autem et cum multis vel etiam prae multis laudabam ac ferebam; sed moleste habebam, quod in coetu audientium non sinerer ingerere illi et partiri cum eo curas quaestionum mearum conferendo familiariter et accipiendo ac reddendo sermonem. Quod ubi potui et aures eius cum familiaribus meis eoque tempore occupare coepi, quo non dedeceret alternis disserere, et protuli quaedam, quae me movebant, expertus sum prius hominem expertem liberalium disciplinarum nisi grammaticae atque eius ipsius usitato modo. Et quia legerat aliquas Tullianas orationes et paucissimos Senecae libros et nonnulla poetarum et suae sectae si qua volumina latine atque composite conscripta erant, et quia aderat quotidiana sermocinandi exercitatio, inde suppetebat eloquium, quod fiebat acceptius magisque seductorium moderamine ingenii et quodam lepore naturali». (Ivi, 6.11). Trovò nel manicheo un buon oratore ed una persona affabile, la quale, con ammirevole modestia, ammise la sua ignoranza e non si inoltrò in nessuna questione scientifica con Agostino, né si lasciò coinvolgere in dibattiti che non ritenesse alla sua altezza: «Nam posteaquam ille mihi imperitus earum artium, quibus eum excellere putaveram, satis apparuit, desperare coepi posse mihi eum illa, quae me movebant, aperire atque dissolvere; quorum quidem ignarus posset veritatem tenere pietatis, sed si Manichaeus non esset. Libri quippe eorum pleni sunt longissimis fabulis de caelo et sideribus et sole et luna; quae mihi eum, quod utique cupiebam, collatis numerorum rationibus, quas alibi ego legeram, utrum potius ita essent, ut Manichaei libris continebantur, an certe vel par etiam inde ratio redderetur, subtiliter explicare posse iam non arbitrabar. Quae tamen ubi consideranda et discutienda