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Atteggiamento verso i sopravvissuti dell'Olocausto

Non solo i non ebrei, ma anche le stesse persone di fede ebraica in un primo momento non diedero troppa considerazione ai racconti fatti dai reduci dei campi di sterminio. C’è chi considerava quei racconti troppo terribili, forse esagerati. C’è chi vedeva nella Shoah un particolare episodio della guerra e quindi “giustificabile” proprio perché era la guerra. Col tempo in queste persone si è formata una nuova coscienza. La Shoah ha cominciato ad esser vista come un episodio unico che va sicuramente aldilà della comprensione umana. È un fenomeno che va ricordato e mai dimenticato perché una follia del genere potrebbe presentarsi di nuovo. Bastano pochi ingredienti: un popolo considerato

45 inferiore (non per forza quello ebraico); il carisma di un capo; la paura per il

diverso.

TESTIOMONE INTERVISTATORE LUOGO DATA

Foa Vittorio Manuela Consonni Gerusalemme 01/01/1996

«Solo nella primavera del Quaranta…. non ricordo bene, io allora lavoravo a Milano politicamente, arrivarono i primi reduci da Mauthausen, non ancora da Auschwitz, che raccontavano che l’85% dei prigionieri erano morti e ci dissero che era molto peggio quello che succedeva in Polonia. Poi nel ‘45 arrivarono quei pochissimi reduci da Auschwitz, tra cui mio cugino Primo Levi. […] Arrivarono e ci raccontarono queste cose terribili. Quale fu la nostra reazione? È importante vedere come questa cambia nel tempo rispetto alla Shoah. Devo dire che probabilmente le prime reazioni furono state di forte sottovalutazione. Noi la pensavamo con un episodio della guerra. La prima reazione, che durò qualche tempo, era in qualche modo una reazione di non valutazione della specificità di questo fenomeno, ci appariva come un episodio della guerra. Cominciavamo a contare quanti erano morti nella guerra. Si parlava di cinquanta milioni di morti, tra guerra, bombardamenti, deportazioni. E i sei milioni erano terribili, perché erano morti 6 milioni di ebrei, era terribile per come erano stati uccisi, ma era la guerra. “La guerra adesso è finita, pensiamo al futuro”, c’era un bisogno estremo di pensare al futuro. […] Ad un certo punto questa visuale ci è apparsa ingiusta rispetto a quello che era successo. […] E allora venne avanti una seconda fase: una fase che era quella di dire “va beh sono i tedeschi, è la barbarie tedesca”. I tedeschi producevano la barbarie della guerra, del massacro, del pogrom e via dicendo. Nella tradizione democratica italiana il tedesco era facilmente l’elemento su cui caricare tutta la responsabilità della storia. Era una visione sbagliata, perché la shoah non era una manifestazione della barbarie. La shoah era un fenomeno della modernità».

TESTIOMONE INTERVISTATORE LUOGO DATA

46 «Chiaro che ( questa intervista) mi ha stancato, chiaro che mi girerà la testa

per tutto il pomeriggio. Non è stato un divertimento né è un’esibizione, né posso dire di aver sofferto. Ho inteso parlare di revisionismo storico, ho inteso che i campi di sterminio vengono negati: “gli ebrei stavano benissimo e morivano eventualmente di tifo”. La cosa mi terrorizza come credo che abbia terrorizzato Primo Levi. Plaudo a questa iniziativa, perché essa andrà oltre me, oltre i miei figli, oltre i miei nipoti. Mi pare l’unica cosa giusta che possiamo fare noi salvati per ricordare i sommersi. Io sono sicura che ogni scampato ai campi nazisti ha lasciato un messaggio, porta con sé un messaggio. Ogni persona che è deceduta ha lasciato al suo vicino di branda un messaggio. I messaggi sono stati sepolti nel terreno, in vari luoghi, lungo un’impossibile via di fuga nei campi di sterminio. Cosa dicono questi messaggi? Vogliono che il mondo sappia, vogliono che il mondo ricordi, vogliono che la memoria di quello che è avvenuto non si cancelli mai, perché un simile orrore potrebbe ripetersi e non deve ripetersi e potrebbe ripetersi per un’altra popolazione, non è detto che si ripeta nei confronti degli ebrei; è terrorizzante questo pensiero. Se una persona parla in modo convincente e ti trascina nella sua follia tutto può avvenire e questo non deve succedere».

TESTIOMONE INTERVISTATORE LUOGO DATA

Tedeschi Natalia Anna Segre Torino 05/06/1998

«Aveva ragione Primo Levi quando diceva che non è detto che tutto quello che è successo non possa ripetersi. Quando sono tornata ho trovato poca comprensione, anche dai familiari. Non so, forse per pudore. Forse adesso i nipoti qualcosa vogliono sapere. D’altra parte non si può pretendere che una cosa successa tanti anni fa possa ancora far soffrire i giovani come abbiamo sofferto noi. C’è stato in tutti noi un blocco, quello che mi ha sbloccato un pochino è il CDEC di Milano, ma mi dà molta angoscia parlare».

TESTIOMONE INTERVISTATORE LUOGO DATA

Ducci Teo Pia Masnini Jarach Milano 14/02/1998

«Quanta gente ci dava credito quando siamo tornati? I familiari non volevano sentirne parlare. Vi rendete conto della situazione psicologica? Io ho avuto la

47 grande fortuna che la comunità fiorentina mi ha accolto con le braccia aperte.

Una comprensione che la comunità di Milano non ha avuto. Perché la comunità di Firenze è rimasta integra e perché è stata toccata in alcuni tra i suoi personaggi più importanti. Io ho trovato tutto un ambiente che era disponibile a sanare le mie ferite da deportato. Quando sono tornato a Milano questo non è accaduto. La comunità di Milano si basa su quello che noi abbiamo raccontato e ci crede fino ad un certo punto».