Il raffronto ed il coordinamento della disciplina degli assetti organizzativi bancari con la norma-principio sulla procedimentalizzazione d’impresa di cui all’art. 2381 c.c. illumina, già in termini generali, sulla centralità dell’impresa come variabile per il perseguimento dell’adeguatezza dei relativi modelli, cui fa da pendant la necessaria implementazione di una struttura di controlli interni. Nel caso di specie, infatti, la natura dell’attività non si limita ad orientare la politica amministrativa circa l’adozione o meno di questi ultimi com’è nel comune diritto commerciale, ma induce addirittura lo stesso sistema giuridico a compiere una scelta d’ufficio nel senso della loro obbligatorietà.
Così ragionando, si avverte l’esigenza di prestare particolare attenzione a “cosa sia” l’attività bancaria, essendo essa, per l’appunto, l’impresa che comporta l’allestimento di un assetto organizzativo sui generis.
Ai nostri fini, emergono due profili rispetto ai quali ci si deve confrontare avendo a riferimento l’attività esercitata dalle banche. Su un piano generale, dapprima, sorge spontanea una riflessione intorno alle possibilità operative ammesse dall’odierno quadro legislativo, atteso che queste influenzeranno il giudizio di adeguatezza sulle strutture societarie. In secondo luogo e più nello specifico del presente studio, risulta fondamentale inquadrare le caratteristiche dell’impresa riferibile alle cooperative bancarie a mutualità prevalente, chiedendosi se questa forma imprenditoriale debba considerarsi in tutto assorbita nel concetto di attività bancaria ovvero se, pur ascrivendosi in esso, presenti e mantenga una sua specificità.
Dal punto di vista operativo, è a tutti noto che il soggetto-banca, pur esercitando di certo il minimo della raccolta del risparmio tra il pubblico congiuntamente all’erogazione del credito – che è l’attività bancaria in senso stretto –, quasi sempre vi abbina pure altre attività finanziarie, di modo che l’impresa bancaria intesa tradizionalmente rappresenta il più delle volte soltanto una parte del più ampio oggetto sociale (186).
(186) L’art. 10 t.u.b. si può dire contenga una duplice definizione: quella di attività bancaria, come testimonia la stessa rubrica della norma, che emerge positivamente dal primo comma della disposizione, in base al quale «la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha
Come si è rilevato, tuttavia, nel ragionare sul profilo organizzativo societario deve guardarsi alla banca non già quale “soggetto” bensì in quanto titolare dell’attività bancaria, siccome è l’esercizio di quest’ultima che richiede l’approntamento di presidi interni atti a governare il rischio (imprenditoriale) nelle sue diverse manifestazioni. Su tale scia, l’istituzionalizzazione della struttura dei controlli compiuta dal settore creditizio pertiene all’attività bancaria per come è concepita e dedotta nell’art. 10, co. 1, t.u.b., sicché negli enti creditizi l’esistenza di un apparato di controlli interni ha ragione di esistere a fronte dell’intermediazione tra risparmio e credito, attività di per sé nient’affatto nuova, per vero, ad attenzioni particolari del nostro ordinamento e così pure dell’intero panorama giuridico su scala internazionale (187).
Di conseguenza, qualsiasi banca sarà certo munita delle strutture interne prescritte dalla regolamentazione di settore essendo per lo meno esercente l’attività bancaria, senza per ciò stesso, tuttavia, potersi dire sempre dotata di un assetto organizzativo adeguato alle sue complessive possibilità operative. In effetti, se le strutture indicate dalla Vigilanza scaturiscono dalle esigenze poste dall’attività bancaria secondo la sua stretta accezione giuridica, è ben possibile, a rigore, che queste stesse non risultino sufficienti a governare il rischio imprenditoriale insito nell’esercizio di un’impresa più ampia, che oltre a quella bancaria annoveri cioè anche ulteriori attività finanziarie (188). Sicché, ad esempio, una società bancaria che presti pure servizi d’investimento non può limitarsi ad osservare le disposizioni emanate dalla Banca d’Italia per ottemperare al principio di adeguatezza degli assetti organizzativi, dovendo integrare la specifica disciplina dettata rispetto all’attività bancaria con quella dedicata
carattere di impresa»; e la nozione di attività delle banche, la quale si ricostruisce invece in via interpretativa dal
combinato disposto del primo e del terzo comma: quest’ultimo, quindi, allarga la fattispecie dell’attività bancaria, il c.d. “binomio” raccolta-impieghi, stabilendo la facoltà di esercitare «ogni altra attività finanziaria, secondo la
disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse e strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge». La misura dell’estensione di cui è foriero il terzo comma viene fornita dall’elenco di attività
compendiato nell’art. 1, co. 1, lett. f), relativo alle «attività ammesse al mutuo riconoscimento». Sulla individuazione e distinzione delle nozioni cfr. P. FERRO-LUZZI, Attività bancaria e attività delle banche, in Banca,
impr., soc., 1996, p. 15 s.; A. URBANI, Banca, attività bancaria, attività delle banche, in L’attività delle banche, a cura del medesimo, Padova, 2010, p. 11 ss.; R. COSTI, op. ult. cit., p. 207 ss.; M. PORZIO, L’attività non bancaria
delle banche, Milano, 1993,p.2.
(187) P.O.MÜLBERT, op. cit., p. 10.
(188) Qualche riserva si vanta invece rispetto all’esercizio delle attività connesse e strumentali di cui parla l’art. 10, co. 3, t.u.b., atteso che queste spesso difettano del carattere dell’imprenditorialità e quindi – in linea di principio – pure dei connessi rischi che l’assetto dei controlli interni è preordinato a governare.
a questo diverso tipo di attività. Di tal modo, è immediato comprendere l’interesse per le caratteristiche che assume l’attività rispetto alla quale deve conformarsi il vestito organizzativo societario, dal momento che quest’ultimo – anche in ambito bancario – non è già stato confezionato dal sistema giuridico con una fisionomia idonea ad applicarsi ad ogni manifestazione imprenditoriale, ma deve strutturarsi di volta in volta conformemente ad essa (189).
È di tutta evidenza che il discorso va poi approfondito, concentrandoci fino a questo punto soltanto a riconnettere la necessità di un sistema dei controlli interni con la “natura” dell’attività bancaria in senso stretto. Da qui, il passaggio successivo attiene alla configurazione concreta del sistema dei controlli, giacché pur essendo imprescindibile questo sistema tanto in una piccola banca di credito cooperativo quanto nella grande società bancaria quotata (in quanto entrambi ugualmente titolari di un’impresa avente natura bancaria), la “dimensione” del relativo fenomeno imprenditoriale richiede e comporta un assetto interno di tipo diverso (190). In proposito, per la verità, subentra ed interviene in maniera sostanziale altresì il principio di proporzionalità, elaborato dalla legislazione di settore proprio nell’ottica di consentire alle banche di ottemperare alle prescrizioni dettate sul punto in modo congruente ed appropriato rispetto alle loro singole specificità. Su tale principio, che molta rilevanza assume nell’ambito della cooperazione di credito e che non si poteva omettere almeno di menzionare in questa fase, avremo modo di soffermarci diffusamente nel paragrafo subito che segue.
Con riferimento al secondo profilo, ovvero allo studio delle caratteristiche dell’attività bancaria esercitata da una banca di credito cooperativo, si rende necessario muovere da una considerazione sull’attuale struttura del mercato creditizio.
Più di preciso, nel valutare dal punto di vista imprenditoriale la cooperazione di credito deve in primo luogo darsi conto degli effetti in generale apportati dal noto processo di
(189) Cfr. E.GUALANDRI, Basel III, Pillar 2: the role of bank’s internal governance and control function, in
ssrn.com/abstract=1908641.
(190) Al pari, non deve dimenticarsi l’ulteriore parametro di riferimento per la realizzazione di assetti organizzativi adeguati, ossia quello delle dimensioni dell’impresa. Nel caso di una società bancaria con titoli negoziati in un mercato regolamentato, infatti, troveranno applicazione tutta un’altra serie di prescrizioni che impongono ex lege una determinata fisionomia del sistema dei controlli interni: si pensi, ad es., alla presenza della figura del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (cfr. art. 154-bis t.u.f.), oppure al Comitato di amministratori indipendenti richiesto dal recente «Regolamento recante disposizioni in materia di operazioni con parti correlate» emanato dalla Consob il 12 marzo 2010.
despecializzazione che interessò il settore bancario su scala europea in particolare tra gli anni ‘70 e ‘80 circa del secolo scorso (191). All’esito di tale processo, infatti, il mercato bancario italiano non risultò più organizzato in modo sezionale (192), assumendo piuttosto una conformazione frutto delle spinte competitive impresse dal legislatore comunitario e poi nazionale (193); competizione basata prevalentemente sull’apertura all’esercizio per tutte le banche dell’ampio ventaglio di attività ammesse al mutuo riconoscimento (194), così mirando il sistema giuridico europeo a cancellare le disparità imprenditoriali di chi fosse munito della licenza (non a caso definita «unica») richiesta per svolgere questo tipo di attività.
(191) In proposito, ex multis, v. F. CAPRIGLIONE, Evoluzione normativa ed individuazione delle
problematiche giuridiche dell’ordinamento finanziario, cit., p. 3 ss. e p. 35 ss.; G.RUTA, Analisi comparata tra la
legge bancaria del 1936 e il nuovo testo unico, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, p. 668 ss., partic. p. 679;P. MOTTURA, Il sistema bancario italiano: linee fondamentali di evoluzione del 1945 al 1994, in Banca, impr., soc.,
1994, p. 187 ss.; E. DE LILLO, M. SEPE, La despecializzazione degli istituti di credito: profili evolutivi, in
Despecializzazione istituzionale e nuova operatività degli enti creditizi, a cura diF. Capriglione, Milano, 1992, p. 23 ss.
(192) Fu M.S.GIANNINI, Istituti di credito e servizi di interesse pubblico, in Moneta e credito, 1949, p. 105 ss., come noto, ad elaborare la teoria dell’ordinamento sezionale riferendosi al settore disciplinare bancario: secondo l’A., vigente la legge bancaria del 1936-’38, nel sistema giuridico del credito «si aveva un gruppo concluso di figure soggettive bene determinabili, l’esistenza di un’organizzazione del gruppo, se non altro consistente nell’organizzazione reggente il gruppo; soprattutto, poi, l’esistenza di una normativa particolare promanante dall’Autorità […] il più delle volte avente contenuto tecnico. […]. L’ipotesi d’ordinamento [sezionale] quindi conduceva direttamente a riconoscere carattere ordinamentale a questi gruppi, in sostanza organizzati dallo stesso Stato, retti da organi di esso e ad esso fortemente legati, aventi fini pubblici speciali; il che riporta ad unità l’eterogeneità possibile di strutture». Per una ricostruzione del tema cfr., tra i contributi più recenti, S. AMOROSINO, Gli ordinamenti sezionali: itinerari di una categoria teorica. L’archetipo del settore
creditizio, in Dir. econ., 1995, n. 2, p. 363 ss.; D.SICLARI, Costituzione e autorità di vigilanza bancaria, Padova,
2007, p. 245 ss.; R. COSTI, L’ordinamento bancario5, cit., p. 243, il quale precisa che la teoria che vede nell’ordinamento del credito un ordinamento sezionale «postula un preciso contenuto per lo statuto giuridico dell’impresa bancaria. Ciò che, infatti, giustifica la riduzione ad unità di un complesso di norme organizzative e, quindi, l’esistenza di un ordinamento sezionale è presenza di un interesse pubblico che determina in positivo la conformità delle loro scelte all’interesse generale. […]. In altre parole, affermare che l’ordinamento del credito è un ordinamento sezionale […] comporta la qualificazione di quest’ultima come impresa-funzione», e quindi funzionalizzata al perseguimento di interessi di carattere generale sotto la supervisione dell’Autorità di settore.
(193) Cfr. G.CASTALDI,Il riassetto della disciplina bancaria: principali aspetti innovativi, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 36, Roma, 1995, p. 49 ss.
(194) Sul tema della licenza unica il dibattito all’epoca fu come prevedibile ampio e diversificato. Tra i molti, si torni a L.DESIDERIO, Riflessioni preliminari sulla proposta di seconda direttiva banche, in Banca, impr.,
soc., 1988, p. 424; COSTI R., Banca e attività bancaria nelle direttive comunitarie, ivi, 1989, p. 345; MINERVINI
G., Il diritto del mercato finanziario alla fine degli anni ‘80, in Giur. comm., 1989, I, p. 3 ss.; VELLA F.,
Di tal ché, una categoria di soggetti tra le altre che in effetti mutò le proprie modalità operative fu quella delle banche di credito cooperativo, atteso che l’entrata in vigore il 1° gennaio 1994 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – il corpo normativo che in Italia recepì e incarnò lo spirito dei cambiamenti in atto in quelle fasi storiche e che tutt’oggi continua in tal senso –, concesse loro di entrare nel mercato “equipaggiate” più o meno allo stesso modo dal punto di vista dell’operatività di tutti i relativi concorrenti, con soltanto taluni vincoli riguardanti l’attività di negoziazione di valori mobiliari per conto di terzi, l’attività in cambi e l’utilizzo di contratti a termine e di altri prodotti derivati (195).
È indubbio che la prospettiva verso la quale si mosse il ricordato processo fu dunque quella di una «omogeneizzazione della soggettività bancaria» (196), garantendo difatti a tutti gli enti creditizi la possibilità di confrontarsi operativamente alla pari l’uno con l’altro (197). Tuttavia ciò non vale ad implicare in automatico una reductio ad unum del modo di fare banca (198), ch’è una cosa diversa, riguardante in modo più specifico l’idea di imprenditorialità creditizia. A ben vedere, il tratto uniformante sotteso alla despecializzazione sembra attinente all’aspetto più circoscritto e particolare delle potenzialità operative (199), aspetto certo in stretta
(195) Per i dettagli delle limitazioni poste per questi ambiti operativi v. Istruzioni di vigilanza per le banche, Circolare n. 229 del 21 aprile 1999, Tit. VII, Cap. 1, Sez. III, Par. 3.
(196) Così F. CAPRIGLIONE; Evoluzione normativa ed individuazione delle problematiche giuridiche
dell’ordinamento finanziario, cit., p. 36.
(197) Cfr. G. CASTALDI, La nuova legge bancaria: suoi riflessi sulla disciplina delle casse rurali e
artigiane, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, p. 802 e G. RUTA, op. cit., p. 675.
(198) D’altronde, non sono mancate voci autorevoli che a fronte dell’imprescindibile processo di despecializzazione che ha attraversato l’ordinamento italiano hanno saputo apprezzarne la giusta misura, giungendo a ritenere che la novella non segnò in Italia l’ingresso della banca universale: v. R. COSTI,
L’ordinamento bancario², Bologna, 1994, p. 34. Nella Premessa alla relazione al d.lgs. n. 481/1992, di
recepimento della c.d. “seconda direttiva banche” 89/646/CEE, si legge tuttavia che «l’adeguamento
ordinamentale è stato guidato dai principi di despecializzazione istituzionale, operativa e temporale»; in
particolare, quella istituzionale mirò «a rimuovere le disparità dovute alla diversa forma giuridica» segnando così «l’ingresso della banca universale nell’ordinamento italiano».
(199) F.CAPRIGLIONE, Cooperazione di credito e Testo Unico bancario, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 39, Roma, 1995, p. 7, disse infatti che il nuovo corpo normativo si poneva all’esito di un processo «volto a rinnovare la tipizzazione degli enti creditizi secondo modalità che riferiscono all’operatività l’essenza della loro realtà istituzionale».
connessione con i contenuti dell’impresa bancaria ed in larga parte condizionante le sue caratteristiche ma non tecnicamente coincidente con essa (200).
Tale osservazione interessa da vicino le banche di credito cooperativo, le quali, pur senza dubbio beneficiando – sicuramente sul fronte imprenditoriale, beninteso – dell’apertura al novero delle attività ammesse al mutuo riconoscimento (201), non paiono potersi reputare imprenditori bancari in tutto parificabili agli altri intermediari con finalità lucrative (202), là dove si pensi alla cifra mutualistica che le caratterizza e le mantiene distinte da questi proprio nel loro agire (203). In particolare, infatti, lo scopo mutualistico si manifesta non soltanto nell’ottica delle
(200) Sull’idea che il legislatore sia intervenuto sugli elementi contenutistici del modo di fare banche piuttosto che direttamente sull’imprenditorialità bancaria v. ancora F. CAPRIGLIONE, ibidem.
(201) Ciò non toglie, infatti, che il processo di despecializzazione abbia comunque profondamente mutato l’impresa delle banche di credito cooperativo, ampliando in modo notevole le loro possibilità operative. Da un punto di vista organizzativo, anzi, l’accrescimento delle attività esercitabili fu a quell’epoca decisamente
In passato, infatti, il profilo istituzionale della competenza territoriale ha inciso profondamente sul posizionamento di mercato e conseguentemente sugli assetti organizzati interni delle banche di credito cooperativo: cfr. G. FAUCEGLIA, Prime riflessioni sulla territorialità delle Casse di credito cooperativo, in
Bancaria, 1993, n. 5, p. 61 ss.; A.MAGLIOCCO, Banche di credito cooperativo. La competenza territoriale, in La
nuova legge bancaria, a cura diP. Ferro-Luzzi, G. Castaldi, cit., I, p. 556 s., evidenzia come l’art. 21 del TUCRA, attraverso il divieto della compresenza delle casse nello stesso territorio, «sanciva ex lege un sistema di “micromonopoli categoriali”, incompatibili con gli attuali principi a tutela della competitività dei mercati». Oggi, con l’abrogazione del Testo unico del 1937 e la caduta della limitazione territoriale, «l’enfasi si sposta quindi sulle scelte organizzative dell’azienda e sulle relative scelte di mercato».
(202) È invece di questo avviso E.CUSA,Introduzione, in Il credito cooperativo: storia, diritto, economia, organizzazione, a cura di A. Carretta, Bologna, 2011, p. 115 e 117.
(203) Si suole infatti riconoscere la permanenza di tratti di specialità alle banche che svolgano l’impresa bancaria in forma cooperativa: cfr. sul punto V. BUONOCORE, Riflessioni in margine al nuovo testo unico in
materia bancaria e creditizia, in Banca, impr., soc., 1994, p. 175; R.COSTI, op. ult. cit., p. 407; sulla specialità derivante dal fenomeno del localismo cfr. in particolare BUTTARO L.,Profili di riforma e suggestioni cooperative in tema di Casse rurali, in Banca, borsa, tit. cred., 1978, I, p. 18 ss.
Il tema del raccordo tra despecializzazione, impresa bancaria e società cooperativa è comunque assai delicato: sul punto, cfr. F. BELLI, Verso una nuova legge bancaria, Torino, 1993, p. 88 e G. NAPOLETANO,
Banche di credito cooperativo. Fusioni, in La nuova legge bancaria,a cura diP. Ferro-Luzzi, G. Castaldi., cit., I p. 554; F.CAPRIGLIONE, Cooperazione di credito e Testo Unico bancario, cit., p. 37, ritiene che «fissando la disciplina dell’operatività delle banche di credito cooperativo il testo unico bancario si è trovato di fronte ad uno dei più delicati aspetti del difficile problema della conciliazione tra funzione mutualistica ed esercizio dell’attività bancaria, dovendo adeguare quest’ultimo ai canoni della logica concorrenziale di derivazione comunitaria. Le soluzioni fornite appaiono coerenti con l’impostazione sistemica di tutta la normativa riguardante le istituzioni creditizie in esame: si è conservata la loro specificità cooperativa nel rispetto dei nuovi criteri ordinatori dell’ordinamento finanziario».
regole struttural-societarie, cioè in una prospettiva prevalentemente “statica”, ma anche e forse soprattutto sul versante imprenditoriale, dunque relativo alle modalità ed alle dinamiche che contrassegnano la cooperativa vista “in azione” (204). In effetti, il riconoscimento ed il radicamento del “paradigma imprenditoriale” non implica un’integrale indifferenziazione del modo di svolgimento dell’attività rispetto alla natura e struttura giuridica del titolare dell’impresa, bensì importa soltanto una gestione che sia orientata al principio dell’economicità, quale tendenziale copertura dei costi sostenuti con i ricavi conseguiti (205).
Ora, sebbene l’attuale formulazione della disciplina codicistica dedicata al fenomeno cooperativistico vi si riferisce in termini di «società cooperative», nulla è mutato, di per sé, rispetto a ciò che accadeva prima del 2004, vigente cioè ancora il dettato risalente al ‘42 nel quale, sul punto, si adoperava l’espressione «imprese cooperative»: o meglio, il cambiamento lessicale intervenuto è servito e serve unicamente a riconoscere l’esistenza di tipologie associative, segnatamente le cooperative sociali, esercenti un tipo di attività economica non inquadrabile nella nozione di impresa, mancando il requisito della tendenziale copertura dei costi mediante il percepimento dei ricavi (206); al di là di questo, tuttavia, ove invece si tratti di società avente ad oggetto l’esercizio dell’attività d’impresa, non v’è dubbio che la cifra mutualistica si riverberi essenzialmente sull’agire imprenditoriale, ora come allora, quando la pristina terminologia impiegata ben lo rivelava (207).
Il riconoscimento di profili di peculiarità imprenditoriale in capo alla cooperazione di credito rappresenta un passaggio importante delle nostre riflessioni, sul quale è opportuno soffermarci.
(204) Sulla valorizzazione dell’anima imprenditoriale del fenomeno cooperativo cfr. G. BONFANTE, La
legislazione cooperativa, Milano, 1984, p. 135 ss.
(205) Cfr. le argute osservazioni di A.NIGRO, Impieghi ed investimenti nell’attività delle casse rurali ed
artigiane, in Mutualità e formazione del patrimonio nelle casse rurali, a cura di P. Abbadessa e A. Fusconi,
Milano, 1985, p. 132.
(206) Su tali aspetti, puntualmente, L.DE ANGELIS, Amministrazione e controllo nelle società cooperative, in Giur. comm., 2004, I, p. 862 s. e L.SALAMONE,Le banche popolari ovvero: «la mutualità che visse due volte» (evoluzione, diritto vigente, tipologia sociale tra «forma» e «sostanza» di società cooperativa),in Banca borsa tit.
cred., 2004, I, p. 608.
(207) Bene lo esprime M.C. TATARANO, La nuova impresa cooperativa, in Trattato di diritto civile e
Come si è spesso sottolineato nel corso del presente studio, la configurazione degli assetti interni deve rispecchiare l’impresa sulla quale gli stessi insistono, di modo che le strutture organizzative siano adeguate alle sue specifiche caratteristiche.
Una banca di credito cooperativo, dunque, soggiace di principio alle regole in materia di organizzazione e controlli interni dettate dall’ordinamento del credito in quanto esercente un’attività avente natura bancaria e come tale assolutamente bisognosa dei medesimi presidi richiesti per un qualsiasi altro soggetto che svolga attività di quell’identica natura. Allo stesso tempo, tuttavia, l’impresa bancaria esercitata in forma cooperativa presenta dei tratti peculiari,