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Sistema dei controlli interni e salvaguardia delle specificità delle Banche di Credito Cooperativo

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Scuola Dottorale di Ateneo

Graduate School

Dottorato di ricerca

in Diritto europeo dei Contratti civili, commerciali e del lavoro

Ciclo XXVI°

Anno di discussione 2013-2014

Sistema dei controlli interni e salvaguardia delle

specificità normative delle Banche di Credito

Cooperativo

SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE DI AFFERENZA

: ius/05

Tesi di Dottorato di Andrea Minto, matricola 955784

Coordinatore del Dottorato

Tutore del Dottorando

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Sistema dei controlli interni e salvaguardia delle specificità

normative delle Banche di Credito Cooperativo

CAPITOLO PRIMO

IMPRESA BANCARIA, ASSETTI ORGANIZZATIVI ADEGUATI E GOVERNO DEL RISCHIO

pag. 1.1. L’indagine intorno il sistema dei controlli interni delle banche: alcune iniziali

riflessioni sulla previgente regolamentazione di settore e sul coordinamento con il diritto comune... 1 1.2. (Segue) Il sistema dei controlli interni delle banche ed il principio generale

dell’adeguatezza degli assetti organizzativi... 10 1.3. (Segue) L’istituzionalizzazione del sistema dei controlli interni nell’ordinamento

creditizio in ragione della natura dell’attività bancaria... 18 2.1. Ragionando intorno alla nozione di controllo interno. Considerazioni preliminari 27 2.2. (Segue) Controllo “azione” e controllo “reazione” nell’esercizio dell’impresa.... 29 2.3. (Segue) Sistema dei controlli interni e gestione del rischio... 43 2.4. (Segue) Finalità del sistema dei controlli interni e riflessioni critiche sulla teoria

dell’agenzia... 51 3.1. Attività bancaria, impresa cooperativa e assetto dei controlli interni tra tratti di

peculiarità e processo di despecializzazione... 78 3.2. (Segue) Il principio di adeguatezza dell’assetto organizzativo declinato

all’interno dell’impresa bancaria cooperativa: “gradazioni” mutualistiche ed effetti sul sistema dei controlli interni... 89 3.3. (Segue) Sistema dei controlli interni e piccole banche locali: il principio di

proporzionalità... 99

CAPITOLO SECONDO

CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA E SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI: RECENTI INTERVENTI DI MODERNIZZAZIONE DELLA MATERIA

1. L’interazione tra scienze economiche e scienze giuridiche: il lento processo avviato dalle seconde di metabolizzazione degli esiti conseguiti dalle prime in materia di organizzazione efficace ed efficiente dell’esercizio dell’impresa... 105 2. Le ultime tendenze regolamentari, oscillando tra tutela della libertà privata ed

iniezioni di autorità pubblica... 112 3. Il tema del governo del rischio: il trait d’union tra rinnovate disposizioni in

materia di sistema dei controlli interni e regole sull’adeguatezza patrimoniale.. 132 4.1. Il sistema dei controlli interni quale strumento a supporto dell’azione

amministrativa... 135 4.2. (Segue) Sistema dei controlli interni e ruolo degli organi aziendali... 140 4.3. (Segue) Le funzioni aziendali di controllo: interventi di riordino “a sistema”

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delle risorse preesistenti... 149 4.4. (Segue) L’internal audit e l’attività di controllo sui principi tecnici quale

categoria intermedia tra controllo di legalità e controllo di merito... 157 4.5. (Segue) Sistema dei controlli interni e modelli alternativi: governo dualistico e

riorganizzazione degli uffici aziendali... 162 4.6. (Segue) Sistema dei controlli interni, norme giuridiche e norme “sociali”:

principio di corretta amministrazione e profili reputazionali... 166 4.7. (Segue) Valutazione delle attività aziendali, processo di gestione del rischio e

Risk Appetite Framework (RAF)... 170 4.8. (Segue) Il nuovo quadro regolamentare in tema di sistema dei controlli interni e

le banche di credito cooperativo: direttore generale, esternalizzazione e principio divisionale delle risorse umane... 177 4.9. (Segue) Diffusione della cultura del controllo: il codice etico... 184

CAPITOLO TERZO

IL GOVERNO DEL RISCHIO

NELLE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO

1.1. Le banche di credito cooperativo ed i rischi bancari emergenti dalla loro specifica operatività... 189 1.2. (Segue) Le banche di credito cooperativo ed il rischio di reputazione... 202 1.3. (Segue) La definizione del perimetro della funzione di conformità nelle banche

di credito cooperativo... 206 2. Adeguatezza patrimoniale, organizzazione e rischio: alcune suggestioni intorno

alla qualità del patrimonio di vigilanza detenuto dalle banche di credito cooperativo... 208 3. Network federativo e (de)specializzazione organizzativa... 213 4.1. Governance cooperativa e sistema dei controlli interni: influenze corporative

sulle dinamiche imprenditoriali... 218 4.2. (Segue) Attività di rischio, conflitto di interessi e competenze assembleari:

riflessioni a margine dello Statuto tipo... 223 5. Sistema dei controlli interni e vigilanza cooperativa... 230

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CAPITOLO PRIMO

IMPRESA BANCARIA, ASSETTI ORGANIZZATIVI ADEGUATI E GOVERNO DEL RISCHIO

1.1. L’indagine intorno al sistema dei controlli interni delle banche: alcune iniziali riflessioni sulla previgente regolamentazione di settore e sul coordinamento con il diritto comune

Il tema dei controlli interni rappresenta uno degli ambiti disciplinari attualmente più fecondi del settore bancario e finanziario quanto a copiosità di interventi normativi (1). Tale



(1) Oltre ad un’intensa regolamentazione del fenomeno, la viva e pregnante sensibilità della Vigilanza per i controlli interni dà luogo pure ad un costante e mirato monitoraggio a posteriori, soprattutto in sede ispettiva, vòlto a presidiare una materia nella quale gli operatori spesso si dimostrano incapaci di tradurre ed applicare i dettami normativi nel concreto della loro realtà imprenditoriale. L’osservatorio offerto dai Bollettini di vigilanza -

Provvedimenti rilevanti di carattere particolare delle autorità creditizie Sezione XII - Sanzioni della Banca d’Italia, induce a riflettere proprio sul diffuso ricorrere di «carenze nell’organizzazione e nei controlli interni» e

ne rappresenta una sorta di materiale testimonianza, per quanto evidentemente “viziata” dal fatto di essere rappresentativa di un campione di soggetti in re ipsa privi di una buona struttura di controlli, ma non per questo meno idonea a riferire della problematicità che comunque assume il sistema dei controlli interni nel dialogo tra Vigilanza ed intermediari. In proposito, v. altresì la recente Analisi della qualità del credito in Italia: principali

caratteristiche e risultati, svolta dalla Banca d’Italia il 19 luglio 2013 e, con specifica attenzione alla categoria

delle banche di credito cooperativo, lo studio condotto da FEDERCASSE,Osservatorio nazionale sulla compliance,

dell’11 febbraio 2011, sui risultati delle attività di controllo di conformità – funzione che appartiene al sistema dei controlli interni – poste in essere dalle bcc nel corso dell’anno 2010, con particolare riferimento alle anomalie accertate ex post dall’Organo di vigilanza (l’indagine statistica, tra i numerosi dati di rilievo, conferma che «la carenza nell’organizzazione e nei controlli interni è ancora l’ambito più critico», il quale «ha comportato sanzioni amministrative per un ammontare di € 1.617.000» (con una frequenza percentuale pari al 43,75%), seguito al

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nutrita produzione si è venuta determinando e – fino a poco tempo fa, per vero (2) – ha continuato ad implementarsi in modo molto spesso disorganico, con provvedimenti incentrati e focalizzati soltanto sul loro ben preciso segmento applicativo senza invece rendere esplicitamente conto della propria appartenenza ad un processo di più ampio respiro in atto nell’ordinamento e riguardante la progressiva trasposizione in norme di diritto positivo delle regole tecniche relative al momento organizzativo e di procedimentalizzazione dell’agire imprenditoriale invalse nel campo delle best practice aziendali. Da qui, questi primi passi dal regolatore, mossi non avendo propriamente piena cura di seguire un percorso lineare di sviluppo, paventavano il rischio d’incorrere in una sorta di fenomeno di “diaspora regolamentare”, dove l’assoluta autonomia di cui, di per sé, sembravano godere taluni singoli provvedimenti su argomenti specifici, tendeva ad allargare i confini della materia potenzialmente fino a disperderne l’essenza.

Di là dell’unico passaggio regolamentare espressamente dedicato all’argomento, ossia il previgente Tit. IV, Cap. 11, delle Istruzioni di vigilanza per le banche intitolato proprio «Sistema dei controlli interni, compiti del collegio sindacale» (3), infatti, si annoverava altresì un articolato ventaglio di norme, la maggior parte delle quali sempre di rango secondario,



secondo posto, con netto distacco, dalla categoria sanzionatoria della «vigilanza informativa sulle banche» (€ 537.331 di sanzioni, con un’incidenza di tale ambito del 28,13%) e al terzo dal «mancato rispetto dei requisiti patrimoniali» (con sanzioni per € 108.082 e una frequenza del 6,25%)).

Più in generale, non può tuttavia mancarsi di anticipare fin d’ora la sempre maggiore valorizzazione che l’ordinamento dell’impresa nel suo complesso attribuisce al sistema dei controlli interni e, amplius, all’intero assetto organizzativo: per citare un esempio tra tutti, mette conto notare come la bontà delle scelte adottate in merito alle strutture di controllo interno rappresenti uno dei principali parametri per valutare il rating di legalità delle imprese in sede di concessioni di finanziamenti da parte delle Pubbliche amministrazioni e di accesso al credito bancario (v. art. 5-ter, d.l. 24 gennaio 2012, n.1, come modificato dal d.l. 24 marzo 2012, n. 29 e dalla conversione in l. 24 marzo 2012, n. 27 e cfr. art. 3 del Regolamento di attuazione emanato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in data 14 novembre 2012).

(2) Fintantoché nel luglio 2013 non sono state emanate le nuove regole, le quali si caratterizzano per un notevole ed encomiabile sforzo di razionalizzazione della materia: v. infra, cap. 2, par. 4. Dal punto di vista topografico, la novella è stata posizionata nel Tit. V, Cap. 7, Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le

banche, Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006.

(3) Si tratta della nota Circolare n. 229 del 21 aprile 1999. Si avverte da subito che la sezione relativa al sistema dei controlli interni di cui si sta discutendo non è oggi più vigente, essendo stata da breve sostituita dal Tit. V, cap. 7, delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006, come rinnovato nel 2013.

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sussumibile nell’alveo dell’assetto dei controlli interni, innestandosi ciascuna di quelle medesime norme su quest’ultimo dato come riferimento di base (4).

L’iniziale atteggiamento del legislatore rispetto al tema della struttura dei controlli interni si spiega forse con la complessità e le diverse sfaccettature che esso presenta, così che non venne considerato in un’ottica unitaria e sistematica prestandogli la dovuta attenzione una volta per tutte. Almeno nei primi tempi, al contrario, fu affrontato e disciplinato per passi successivi, quasi che si prendesse gradualmente coscienza della portata del fenomeno, il che, d’altro canto, rappresentò proprio il lento maturare di una sensibilità verso influssi e suggestioni provenienti dalle scienze economiche oltre che dalle migliori prassi di uso concreto. Di tal modo, tuttavia, l’emergere di nuovi aspetti comportava che il loro inquadramento regolamentare avvenisse in maniera eccessivamente focalizzata sulla singola questione in quel momento assurta quale priorità, omettendo, per “eccesso di zelo” nel codificare quel profilo, di coordinarla con il restante contesto legislativo entro il quale s’andava comunque ad innestare. Un siffatto tipo di approccio si è dunque spesso tradotto nella scrittura di provvedimenti dedicati al solo aspetto sotto osservazione, finendo in qualche modo per enfatizzarlo (in quanto tale) forse oltre al



(4) In particolare può farsi riferimento, tra i provvedimenti di più immediata pertinenza con l’oggetto dei controlli interni, alle «Disposizioni di vigilanza in materia di conformità (compliance)» del 10 luglio 2007 (poi abrogate nel 2013), a quelle relative all’«Organizzazione e governo societario delle banche» del 4 marzo 2008, alle Disposizioni concernenti «Organizzazione, procedure e controlli interni volti a prevenire l’utilizzo degli

intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività finanziaria a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo» dell’11 marzo 2011, nonché al Provvedimento congiunto Banca d’Italia-Consob denominato

«Regolamento in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o

di gestione collettiva del risparmio» del 29 ottobre 2007.

La proliferazione normativa in parola aveva perciò inizialmente configurato un quadro disorganizzato e frammentario delle disposizioni concernenti i controlli interni inducendo G. PRESTI, Società del settore finanziario e collegio sindacale: un puzzle normativo per un’identità sfuggente, in Collegio sindacale e sistema dei controlli nel diritto societario comune e speciale, a cura del medesimo, Milano, 2002, p. 4, a parlare di «“selva oscura”

normativa», polverizzata «in una miriade di disposizioni […] che disegnano per ciascuno dei rami in cui si segmenta il complesso settore finanziario una regolamentazione ad hoc, simile ma non eguale a quella degli altri». Nonostante negli ultimi tempi si sia assistito ad un’opera di razionalizzazione e di snellimento delle fonti normative (in particolare con l’espunzione degli specifici provvedimenti dedicati agli intermediari finanziari), il coordinamento tra normativa primaria, regolazione secondaria e sfera dell’autoregolamentazione (i Codici di autodisciplina delle società quotate, per esempio, contengono importanti raccomandazioni sul tema) sembra continuare a realizzare anche in tempi più recenti un «quadro confuso e disarmonico»: cfr. M. REBOA, Il monitoring board e gli amministratori indipendenti, in Giur. comm., 2010, I, p. 663; R. MASERA, La crisi

finanziaria e i modelli di corporate governance delle banche: implicazioni e prospettive, in Bancaria, 2009, n. 1,

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dovuto e trascurando invece l’importanza pure di integrarlo adeguatamente – ed in maniera esplicita – con l’assetto di regole sulle quali lo stesso riposa (5).

Di fronte ad un tessuto regolamentare in allora percorso da vettori disciplinari apparentemente chiusi in loro stessi ed orientati a specifiche finalità svincolate da un contesto più ampio, l’interprete correva dunque il serio rischio di non cogliere l’architettura d’insieme, così perdendo non soltanto il contributo che le diverse fonti sinergicamente viste assieme potevano apportare su uno stesso punto, ma anche il sostanziale significato e valore del singolo

corpus ove non valutato in modo coordinato con una finalità più generale (nel caso di specie, si

dirà, un assetto organizzativo adeguato) che lo stesso, per sua parte, concorreva a perseguire (6). Dal punto di vista dogmatico, perciò, la presenza di interventi normativi dislocati, tanto nel tempo quanto soprattutto nello spazio del complessivo sistema giuridico (7), ostacolava, suo malgrado, una visione integrata del fenomeno giuridico in parola, dal momento che l’entità della frammentazione disciplinare venutasi a percepire non consentiva sempre una piana e coerente ricostruzione in chiave organica, con il pericolo che la matrice comune retrostante ai diversi prodotti normativi finisse trascurata con evidenti ripercussioni sul grado di consapevolezza circa la loro stessa effettiva portata.

L’ampia ed eterogenea cornice legislativa che si è venuta componendo con generale pertinenza agli assetti interni bancari richiedeva dunque il compimento di uno sforzo ricostruttivo del molteplice materiale elaborato nel tempo dal legislatore affinché si potesse giungere ad apprezzare un quadro strutturato davvero funzionale alla comprensione dell’oggetto specifico dei controlli interni. Qualora, al contrario, si fosse ricercato il significato del sistema controlli interni unicamente nella singola sezione normativa riservatagli, esso sarebbe senz’altro risultato opaco se non addirittura privo, ratione materiae, di una propria piena dignità quale istituto giuridico.



(5) Sintomatico in tal senso sembra essere il provvedimento della Banca d’Italia concernente la funzione di

compliance, oggi opportunamente espunto e fatto confluire nelle recenti disposizioni di vigilanza sul sistema dei

controlli interni.

(6) Su questo rilievo, cfr. G.ROSSI, Dalla Compagnia delle Indie al Sarbanes-Oxley Act, in Riv. soc., 2006, p. 892.

(7) Come appresso si dirà nel testo, la materia dei controlli interni dev’essere affrontata non soltanto muovendosi nell’ambito della legislazione di settore, ma anche coordinando quest’ultima con il generale diritto delle società contenuto nel codice civile.

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In una prospettiva del genere, come appena accennato, la lettura isolata delle richiamate previgenti Istruzioni non esauriva – ma altrettanto può continuare in parte a dirsi, per la verità, pure con riguardo alle attuali Disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche: sistema dei

controlli interni, sistema informativo e continuità operativa – la vastità dell’argomento né

poteva quindi appagare in toto l’interprete che vi si accostasse senza allargare l’orizzonte d’indagine, giacché questa disciplina valutata in sé scontava una visione soltanto parziale del problema e, anche se di specifica e precisa pertinenza, non era comunque idonea a restituire la sostanza e la ratio delle regole sull’organizzazione interna dell’impresa bancaria.

D’altro canto, la banale considerazione per cui la struttura dei controlli in parola deve, almeno nelle mire del legislatore, realizzare un «sistema» induce ad apprezzarne la peculiare trasversalità, per cui essi, affinché assumano una configurazione organica, è naturale che finiscano col coinvolgere profili e princìpi appartenenti a piani disciplinari disposti su livelli formalmente disallineati ed eterogenei, ancorché poi in realtà tutti confluenti verso il tema di nostro interesse.

In effetti, il perseguimento della sistematicità non solamente quale tratto qualitativo di cui devono connotarsi i controlli interni ma altresì, ancor prima, sul piano delle fonti normative che, a vario titolo, quello stesso risultato mirano a far sì che venga raggiunto, si presta evidentemente a produrre un’omogeneità di linguaggi (a prescindere dai loci materiae da cui provengono i diversi disposti) e, soprattutto, di prospettive (accomunate dall’individuazione di un’unitaria finalità cui le specifiche discipline sono tese, sia pur per la via del loro singolo contributo) nei rapporti tra il regolatore e l’imprenditore bancario (8).

La previgente normativa secondaria dedicata al sistema dei controlli interni forniva una definizione al riguardo specificando che esso «è costituito dall’insieme delle regole, delle

procedure e delle strutture organizzative che mirano ad assicurare il rispetto delle strategie aziendali e il conseguimento delle seguenti finalità: efficacia ed efficienza dei processi



(8) La dottrina ha per lo più tralasciato il problema della ricognizione normativa ai fini della ricostruzione organica della materia preoccupandosi, piuttosto, di evidenziare l’anima spiccatamente organizzativa dei controlli, ossia la suddivisione di competenze tra le funzioni coinvolte e la coerente articolazione delle diverse fasi di verifica: cfr. ad esempio per tutti P. PIZZI, Sistema dei controlli interni: principi di base e aspetti evolutivi, in

Bancaria, 2004, n. 9, p. 46. Sembra tuttavia propedeutico alla sistematicità dell’assetto dei controlli far precedere

l’organigramma aziendale da una sorta di “organigramma disciplinare” al fine di enucleare un chiaro quadro delle relazioni esistenti tra i diversi momenti normativi concorrenti, come sembrano implicitamente presupporre, tra gli altri, P. MONTALENTI, Il sistema dei controlli interni nelle società di capitali, in Società, 2005, p. 294 ss.; G. PRESTI, op. cit., p. 3 ss.

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aziendali (amministrativi, produttivi, distributivi, ecc.); salvaguardia del valore delle attività e protezione dalle perdite; affidabilità e integrità delle informazioni contabili e gestionali; conformità delle operazioni con la legge, la normativa di vigilanza nonché con le politiche, i piani, i regolamenti e le procedure interne» (9). Il provvedimento della Banca d’Italia, dopo la formula definitoria riportata, procedeva con le disposizioni relative alla struttura e all’articolazione funzionale dell’assetto dei controlli, dedicandosi alla precisa ripartizione di ruoli e di competenze tra gli organi aziendali, senza null’altro aggiungere, tuttavia, in ordine alla natura ed al contenuto dei controlli interni, con ciò trascurando di enucleare in modo evidente e deciso le istanze emergenti nel quadro delle generali dinamiche imprenditoriali cui queste stesse strutture dovrebbero avere a mira di esaudire.

In particolare, il disposto appariva carente di apposite ed opportune coordinate che orientassero nella comprensione del ruolo che la fattispecie dei controlli interni ricopre nella sistematica del diritto dell’impresa societaria, quasi essa fosse appiattita sulla sua medesima definizione con la conseguenza che, stante questa dose di autoreferenzialità, finisse per soffrire di eccessiva astrazione (10). Concentrandosi sul mero dato regolamentare così com’era, dunque, si avvertiva la mancanza del richiamo espresso circa il contesto giuridico retrostante, dal momento che i relativi princìpi codicistici soggiacenti di certo agevolano ed accompagnano nel compito di comprensione ed assimilazione della specifica ratio legis.

La materia non poteva allora trovare completa né, quantomeno, soddisfacente risoluzione in se stessa, ma necessitava di una prospettiva più ampia che attribuisse la corretta collocazione al momento disciplinare dei controlli interni in quanto tale: esso, pur evidentemente dotato di una sua autonomia come precetto normativo, affondava infatti le proprie radici – com’è ancor



(9) Così Tit. IV, Cap. 11, Sez. II, Par. 1, Istruzioni di vigilanza per le banche, cit.; la novella regolamentare recentemente subentrata in questa materia è intervenuta sul profilo definitorio incidendo non tanto sugli elementi costitutivi del sistema dei controlli interni – pressoché reputabili immutati rispetto a quanto riportato dalla disciplina previgente – ma piuttosto, qui sì in modo sostanziale, rispetto all’enucleazione delle finalità sottese al sistema dei controlli stesso. Sul punto più dettagliatamente, v. infra cap. 2, parr. 4.3 e 4.4.

(10) Un monito simile era stato levato da V. BUONOCORE, Adeguatezza, precauzione, gestione,

responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, I, p. 16 con

riferimento all’adeguatezza degli assetti interni, che «almeno all’apparenza costituisce solo una mera enunciazione di principio». In termini critici sui controlli interni v. G. SANTONI, Gli obblighi degli esponenti

aziendali nel sistema dei controlli interni delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, p. 653, nt. 2, secondo il

quale, commentando la tecnica legislativa adottata dalla Banca d’Italia nel redigere uno dei primi provvedimenti in materia, «tornano alla mente gli arcieri di Macchiavelli, che puntano in alto affinché il bersaglio posto in basso venga colpito».

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oggi, beninteso – in un genus più ampio (quello degli assetti organizzativi interni, principio che trova positivo riconoscimento nel codice civile) e si diramava, a propria volta come categoria generale, in diverse e determinate direzioni frutto proprio delle molteplici sfaccettature che informano l’assetto dei controlli interni medesimo.

L’argomento di cui ci stiamo occupando potremmo allora dire si collochi “nel mezzo”, visto che le fanno da sfondo le regole inerenti l’assetto organizzativo (rectius, la sua adeguatezza (11)) ma che, in pari tempo, contribuisce essa stessa a disegnare la geografia di questa vasta sezione normativa concernente la struttura interna societaria: il sistema dei controlli rappresenta difatti un punto di discontinuità e di passaggio dal “generale” al “particolare” tra i diversi livelli disciplinari che insistono sull’area tematica più estesa di appartenenza, dunque assumendo, pure dal canto suo, il ruolo di crocevia di un ventaglio di specifici e puntuali profili tutti riconducibili alla categoria di riferimento dell’apparato dei controlli medesima (12).

In tale prospettiva, per prendere le misure del fenomeno in discorso non è di certo sufficiente circoscrivere l’ambito d’indagine alla legislazione di settore ma occorre invece muoversi nello spazio allargato che recuperi ed integri pure la matrice di regole del diritto commerciale, in particolare osservando con attenzione i punti di svolta che valgono in subiecta

materia a distinguere il regime speciale da quello comune. In considerazione di ciò, lo studio

del sistema dei controlli interni delle società bancarie sembra dover assumere un angolo di osservazione del tutto peculiare e cioè quello proteso a cogliere e valorizzare il coordinamento tra anima societaria (intesa come tratto che promana dalle norme codicistiche e ne mantiene quel suo carattere di generalità) ed anima bancaria (nel senso opposto della cifra specialistica)



(11) Il discorso è ben inquadrato da G. SCOGNAMIGLIO, Gli assetti organizzativi degli intermediari finanziari, in La nuova disciplina degli intermediari dopo le direttive MiFID: prime valutazioni e tendenze applicative,a cura di M. De Mari, Padova, 2009, p. 17 nel momento in cui rileva che «l’adeguatezza organizzativa […], che gli organi sociali sono tenuti a curare, valutare e verificare s’identifica, in buona sostanza, con l’adeguatezza del sistema dei controlli interni: quanto meno, si può sostenere che, nelle imprese di una certa dimensione e complessità operativa, il sistema dei controlli interni costituisce parte integrante di quell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, della cui adeguatezza il consiglio d’amministrazione da un lato e il collegio sindacale dall’altro […] sono a vario titolo responsabili».

(12) Se, ad esempio, la normativa della Banca d’Italia in materia di governance bancaria si pone a monte del tema dei controlli interni, racchiudendolo entro i suoi confini più ampi, il previgente momento disciplinare della funzione di conformità si collocava invece a valle rispetto allo stesso, giacché ne rappresentava una specifica determinazione.

(12)

che insistono sull’ente creditizio e che in questo caso dialogano con accentuata intensità, utile da cogliersi soprattutto, come si diceva, ai fini della ricostruzione organica del tema.

Sebbene la disciplina del codice civile sia tributaria dell’ordinamento bancario anche con riferimento alla fattispecie dei controlli interni (13), come già accaduto per altri ambiti (14), non è revocabile in dubbio che proprio il diritto comune possa agevolare l’opera di messa a fuoco dei contorni giuridici della figura in parola e, segnatamente, la collocazione del rispettivo assetto



(13) L’introduzione del tema dell’adeguatezza degli assetti interni della società nell’ordinamento italiano si suole ricondurre, secondo i più, al testo unico della finanza (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), il cui art. 149, co. 1, lett. c), prescriveva e prescrive, con riguardo ai doveri che incombono sull’organo di controllo delle società quotate, di vigilare «sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del

sistema di controllo interno e del sistema amministrativo contabile nonché sull’affidabilità di quest’ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione». V., al riguardo, F. MARCIANDI, La funzione di controllo interno

delle società, in Società, 2000, p. 827 ss.; P. AGOSTONI, Note sul controllo interno degli emittenti quotati nel diritto e nella pratica, ivi, 1999, p. 1420 ss.; ID., Ancora sul controllo interno e sul Codice di Autodisciplina, ivi, 2000, p. 221 ss.; A.DI CARO, Il sistema dei controlli interni e i compiti del collegio sindacale delle banche nella

circolare della Banca d’Italia 9 ottobre 1998, in Società, 1999, p. 797 ss.; L. DE ANGELIS, Commento sub art.

149, in Commentario al Testo Unico della Finanza, a cura di M. Fratini e G. Gasparri, Torino, 2012, p. 1995 ss.

Per la precisione, già in precedenza la legislazione bancaria, su impulso delle raccomandazioni contenute nell’Accordo sul Capitale Minimo delle Banche redatto dal Comitato di Basilea nel 1988 ed in attuazione del disposto dell’art. 53, co. 1, lett. d), t.u.b., aveva formalizzato degli specifici provvedimenti sul tema: dopo l’emanazione infatti della Delibera del Comitato del 2 agosto 1996, la Banca d’Italia aveva provveduto ad elaborare il Provvedimento del 9 ottobre 1998 – dapprima formulato come 145° aggiornamento alla Circolare n. 4 del 29 marzo 1988, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi e successivamente confluito nel Tit. IV, Cap. 11 della Circolare n. 229 del 21 aprile 1999, Istruzioni di vigilanza per le banche, attualmente in vigore – denominato appunto «Sistema dei controlli interni, compiti del collegio sindacale». La paternità di una disciplina organica del sistema dei controlli interni viene riconosciuta alla legislazione speciale del settore bancario da L. SCHIUMA, Le

competenze dell’organo di controllo sull’assetto organizzativo delle spa nei diversi sistemi di governance, in Riv. dir. civ., 2011, p. 57 ss.; V. BUONOCORE, op. cit., p. 14; G. SANTONI, op. cit., p. 652 ss.

Non possono infine sottacersi le precorritrici disposizioni con riflessi organizzativi contenute nella, non più vigente, l. 2 gennaio 1991, n. 1 destinata alle imprese di intermediazione mobiliare. Su tale provvedimento, cfr. le attente osservazioni di F.ANNUNZIATA, Intermediazione mobiliare e agire disinteressato: profili organizzativi

interni, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, p. 634 ss.; A. PATRONI GRIFFI, «Organizzazione interna» degli

intermediari immobiliari, in Giur. comm., 1993, I, p. 45 ss.; V. DI CATALDO, Lo statuto speciale delle Sim, in

Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, p. 765 ss.

(14) Come noto infatti ad esempio la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento contenuta nel Capo IX – introdotto con la riforma del diritto societario del 2003 – del Libro V del codice civile è stata “ereditata” dalle norme degli artt. 61 ss. del t.u.b.: la legislazione del settore bancario e finanziario, d’altronde, si è spesso prestata a rappresentare una sorta di laboratorio nel quale sperimentare fattispecie e istituti innovativi, come ricorda G.SCOGNAMIGLIO, Recenti tendenze in tema di assetti organizzativi degli intermediari finanziari (e

non solo), in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 144, partic. nt. 4 e G.MERUZZI, L’informativa endo-societaria

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normativo che ne garantisca quella “plasticità” di cui, almeno in prima battuta, pareva invece sprovvisto il disposto di diritto speciale considerato in modo isolato.

Non è qui il caso di prestare troppa attenzione a quale rapporto d’influenza intercorra tra l’ambito disciplinare comune e quello settoriale, tanto meno sotto il profilo dell’ordine cronologico di emanazione dei relativi testi, atteso che in questa fase ci si propone solamente di ottenere dal quadro di sintesi delle due dimensioni normative il senso pieno e compiuto dell’istituto dei controlli interni. È vero, in effetti, che la riforma del diritto societario del 2003 subì un profondo contagio da parte dell’elaborazione regolamentare e della successiva esperienza applicativa maturate al riguardo nel contesto dei mercati finanziari, ma, nel caso di specie, al contempo, il processo di “metabolizzazione” che il diritto societario portò a compimento rispetto al tema generale dell’assetto organizzativo non si risolse in una mera e passiva attività di “trapianto” da lì a qui, avendo invece contribuito anche tale passaggio, per sua parte, a sistematizzare la materia.

A ben vedere, dunque, il diritto societario “oggi” aiuta a capire aspetti della legislazione bancaria di “ieri” e comunque ancora attuali, in quella logica di sinergia tra le affini branche del diritto positivo di cui si è dato cenno poc’anzi e che investe da vicino l’argomento del quale ci stiamo occupando: in altri termini, allora, germi che furono innestati nel terreno del diritto speciale non solo diedero i propri frutti e trovarono conferma della loro bontà con una più larga diffusione su scala civilistica ma altresì, di rimbalzo, ottennero un vero e proprio perfezionamento pure nel luogo disciplinare della loro genesi, dove si trasse motivo per compiere una circolare chiusura a livello concettuale proprio grazie alla sponda con il diritto comune.

Alla luce del coordinamento in discorso, pertanto, è ora di tutta evidenza l’importanza del fatto che lo statuto di regole speciali concernenti l’assetto dei controlli interni delle società bancarie – quelle previgenti e quelle odierne, al pari – riposi sul quadro normativo che discende dal codice civile, di modo che quest’ultimo, operando come cornice di riferimento per quanto attiene ai princìpi ed agli istituti cui ricondursi e confrontarsi, imprime una cadenza esegetica più fluida e lineare rispetto alla lettura spezzata che produrrebbe per converso la considerazione delle singole fonti normative in modo autonomo.

Per vero, il diritto della società per azioni non si è profuso in termini quantitativi sul tema dell’assetto organizzativo, ma non per questo risulta meno utile ai fini della definizione dell’oggetto dei controlli interni: nonostante tale essenzialità, infatti, non può certo

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disconoscersi la portata sostanziale del momento disciplinare considerato in chiave sistematica. In particolare, le regole civilistiche sul punto integrano delle sorti di clausole generali, la cui natura elastica e di principio esplica la propria azione di orientamento e di guida pure se riguardati – come richiede il presente studio – nell’orizzonte della società bancaria.

1.2. (Segue) Il sistema dei controlli interni delle banche ed il principio generale dell’adeguatezza degli assetti organizzativi

Con la riforma del diritto societario del 2003 il momento organizzativo assunse una propria specifica dignità come fenomeno giuridico provocando non soltanto un riallineamento con il regime disegnato dal legislatore speciale in proposito – già mossosi in questa direzione e per tale motivo anche diretta fonte ispiratrice dell’allora novella –, ma altresì un vero e proprio processo di perfezionamento e di chiusura della materia in una prospettiva di sistema che conferì, di riflesso, maggior spessore e coerenza all’intervento riferito al settore dei mercati finanziari.

Il codice civile, come noto, non dedica una norma apposita al sistema dei controlli interni ma ne riferisce – in un certo senso “prendendola larga”, dato che ne rende conto in via solo indiretta ed implicita – nel contesto della disciplina concernente l’amministrazione delegata, là dove l’art. 2381, co. 3 e co. 5, stabilisce, rispettivamente, che il consiglio di amministrazione, «sulla base delle informazioni ricevute, valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo,

amministrativo e contabile» e che «gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa».

A rigore, pertanto, un’esplicita menzione dei «controlli interni» non si ritrova nel diritto comune (15), ma il principio giuridico di carattere generale dell’adeguatezza degli assetti interni



(15) Eccezion fatta per la disciplina del modello di governance monistico, nell’ambito della quale, invece, s’è data positiva evidenza al fenomeno: l’art. 2409-octiesdecies, co. 5, lett. b), infatti, specifica che «il comitato

per il controllo sulla gestione vigila sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare

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dell’impresa (16), oggetto di cura da parte degli organi delegati e di valutazione dei deleganti, costituisce, per vero, la più ampia categoria di appartenenza – ossia il «criterio a contenuto

aperto» (17) – cui doverli ricondurre: «il riferimento all’assetto organizzativo, amministrativo e contabile fatto dall’art. 2381 c.c.», dunque, «è idoneo ad includere anche i controlli interni, che determinano, in misura notevolissima, la qualità di un tale assetto» (18). L’inquadramento dei controlli interni nell’ambito delle strutture organizzative così come rappresentate dal codice



correttamente i fatti di gestione». Di là del peculiare tenore in generale della norma ove raffrontata con

l’“omologo” art. 2403 c.c., dovuto evidentemente al ruolo amministrativo comunque ricoperto dai controllori (da qui, si suole argomentare ad esempio l’omissione del dovere di vigilare sui principi di corretta amministrazione, incombente per contro sul collegio sindacale), l’espressa menzione del sistema del controllo interno non deve indurre a ritenere si tratti della sua istituzionalizzazione, di modo che, cioè, il legislatore ne prescriva l’obbligatorietà ex lege per l’impresa societaria governata secondo lo schema monistico. Il disposto va piuttosto inteso nel senso che il comitato per il controllo interno vigila sul sistema del controllo interno, se ed in quanto tale struttura vi sia, al pari di ogni altro tipo di assetto organizzativo adottato. Coerentemente, la spiegazione al fatto che sia stata resa “visibilità” ai controlli interni solamente nel contesto del sistema di amministrazione e controllo monistico è stata ricondotta ad un mero difetto di coordinamento legislativo: v. P. MONTALENTI, La società

quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto daG. Cottino, IV, 2, Padova, 2004, p. 246 ss.; ID., Gli obblighi

di vigilanza nel quadro dei principi generali sulle responsabilità degli amministratori di società per azioni, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, cit., II, p. 840; ID., La responsabilità degli

amministratori nell’impresa globalizzata, in Giur. comm., 2005, I, p. 444; ID., Il sistema dei controlli interni nelle

società di capitali, cit., p. 294 ss.; FERRARINI, Controlli interni e strutture di governo societario, Il nuovo diritto

delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, III, Torino, 2007, p. 16 s.;

ID., Controlli interni, governo societario e responsabilità, in Mercati finanziari e sistema dei controlli, Atti del Convegno di Courmayeur, a cura diC. Beria di Argentine, Milano, 2005, p. 101 ss.;

(16) Il principio generale dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile è stato salutato da V. BUONOCORE, op. cit., p. 5, come «la novità più “nuova” della recente riforma delle società di capitali»; secondo l’A., «con l’art. 2381 siamo in presenza di una situazione nuova che si concreta nell’imposizione normativa di adozione di un principio generale di adeguatezza organizzativa, contabile ed amministrativa, […], come canone generale di buona amministrazione» (p. 8, nt. 6). Sul «carattere di paradigma generale della corretta gestione» dell’obbligo di dotare la società di assetti organizzativi adeguati v. altresì P. MONTALENTI, Introduzione alla disciplina degli organi sociali, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella

giurisprudenza: 2003-2009, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2009, p.

357; ID., Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principi generali sulle responsabilità degli amministratori di

società per azioni, cit., p. 840.

(17) Con questa formula connota l’obbligo concernente gli assetti adeguati M. IRRERA, L’obbligo di corretta

amministrazione e gli assetti adeguati, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, cit., p. 559; v. altresì G.MERUZZI, op. cit., p. 746, il quale, con riferimento all’obbligo di predisporre un adeguato sistema di flussi informativi interni, si esprime in termini di «dovere a contenuto variabile».

(18) Così, sinteticamente, G. FERRARINI, Controlli interni e strutture di governo societario, cit., p. 14. Analogamente, sempre sul rapporto tra sistema dei controlli interni ed adeguatezza degli assetti organizzativi, v. P. MONTALENTI, Il sistema dei controlli interni: profili critici e prospettive, in Riv. dir. comm., 2010, I, p. 935 ss.

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civile li connota e li qualifica come fattispecie: essi, cioè, in tanto assumono rilevanza giuridica in quanto parte dell’organizzazione societaria (19). I controlli interni configurano perciò una determinazione nella quale gli assetti si articolano, essendo i primi un “di cui” dei secondi in virtù di un tipico rapporto di species a genus (20).

L’identificazione del rapporto sussistente tra organizzazione e controlli interni permette non solamente di chiarire il dialogo che, su questo aspetto, intercorre tra diritto comune, portatore della categoria generale, e legislazione bancaria, espressione di una rispettiva specificazione, ma altresì di cogliere la portata e l’estensione delle relative prescrizioni: quello di apprestare un assetto organizzativo adeguato, in quanto principio dell’ordinamento dell’impresa, costituisce infatti un dovere che incombe in termini assoluti su ogni realtà societaria, mentre l’allestimento dei controlli interni configura un obbligo, potremmo dire, di secondo livello, la cui attualità, detto altrimenti, emerge soltanto in applicazione del concetto complessivo di adeguatezza, il quale deve coniugarsi in ragione delle specifiche caratteristiche dell’iniziativa imprenditoriale.

Sicché, dalla prospettiva del diritto societario comune, il vincolo concernente la predisposizione del sistema dei controlli non può propriamente dirsi integrare, di per sé e cioè come autonomo istituto, lo statuto delle regole di corretta gestione sociale, potendovi tuttavia rientrare, se del caso, in esecuzione della precedente fase in cui viene richiesto di esprimere – nell’ambito, qui sì, dei compiti ricompresi nel canone dell’agere amministrativo – il giudizio valoriale di adeguatezza della struttura considerata nel dato d’insieme.



(19) Tale rapporto a “cerchi concentrici” tra assetti organizzativi e controlli interni, per cui i primi “contengono” per così dire i secondi, senz’altro dona la giusta misura del fenomeno di cui son forieri questi ultimi, nel senso che ne esplica la matrice di appartenenza e quindi li colloca nel più ampio panorama del diritto societario. Ciò nondimeno, i termini della questione si atteggiano poi in maniera diversa nel diritto comune e nel diritto speciale, come subito appresso nel testo si dirà, sicché il rilievo giuridico dei controlli interni nel primo caso si appiattisce sostanzialmente sul rapporto stesso di derivazione dalla clausola generale di adeguatezza degli assetti interni mentre nella branca disciplinare bancaria acquisisce un diverso, autonomo, valore, che vale peraltro a testimoniarne la pregnante e peculiare importanza che acquisisce nello specifico settore.

(20) V. BUONOCORE, op. cit., p. 19 imposta in termini analoghi il discorso, proponendo anch’egli una sorta di classifica: «non v’è dubbio alcuno che il prius dell’adeguatezza è costituito dall’adeguatezza dell’assetto organizzativo, potendo serenamente sostenersi che anche le altre species di adeguatezza – amministrativa, contabile, patrimoniale, tecnica – fanno parte dell’assetto organizzativo o, quanto meno, contribuiscono a costituire un assetto organizzativo efficiente e competitivo, nel senso, cioè, che organizzare significa proprio dare ordine a una determinata cosa, armonizzando i vari elementi che la compongono»; sul punto, v. altresì G. MERUZZI,op. cit., p. 768, nt. 78.

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In effetti, la clausola dell’art. 2381 c.c. nel sancire il vincolo di dotare la società di una veste organizzativa adeguata, in quanto principio ad applicabilità generalizzata, non si esprime in termini puntuali ed analitici valevoli, se così fosse, solo per determinate e specifiche situazioni, ma identifica piuttosto la sottostante finalità che il momento gestorio è tenuto a perseguire, rappresentata per l’appunto dall’allestimento di un apparato organizzativo qualitativamente idoneo allo svolgimento dell’iniziativa economica su cui in concreto insiste. In tale prospettiva, dunque, il codice accompagna e completa l’identificazione dell’obiettivo in parola enunciando in pari tempo i parametri in virtù dei quali poi orientare le relative scelte amministrative: in particolare, allora, l’adeguatezza degli assetti interni deve ricercarsi avendo riguardo alla «natura e alle dimensioni dell’impresa», per cui la declinazione organizzativa che si articoli munendosi dell’appendice del sistema dei controlli interni dovrebbe allora trovare il proprio presupposto giustificativo nella particolare e specifica espressione di queste due caratteristiche – natura e dimensioni – inerenti l’attività esercitata.

Nel contesto del diritto commerciale, per rimarcare il ragionamento, i controlli interni non assurgono a necessaria componente degli (adeguati) assetti organizzativi societari, bensì divengono tali ove ne ricorrano le circostanze, ossia nel momento in cui le dimensioni e l’attività dell’impresa – i criteri di riferimento dell’adeguatezza indicati nell’art. 2381 c.c. – lo richiedano; l’obbligo di istituire l’apparato dei controlli interni potrà dunque sorgere unicamente a fronte del concreto atteggiarsi del fenomeno imprenditoriale, valorizzato – come lo stesso buon senso indurrebbe a ritenere –, sia rispetto alla sua natura sia con riferimento al relativo dato dimensionale.

Come argutamente precisato sempre a questo proposito, «tra i significati che nella lingua italiana il verbo “adeguare” […], ha, v’è quello di “commisurare”. […]. Il verbo “adeguare”, in qualunque altra parola di significato equipollente lo si voglia tradurre – ad esempio “comparare”, “ragguagliare” –, non è pienamente autosufficiente ed ha, perciò, bisogno di essere “rapportato” ad un quid – categorie, grandezze, valori – che, nella specie, è appunto rappresentato dalla “natura” e dalle “dimensioni” dell’impresa» (21). La relatività del concetto di adeguatezza giustifica dunque la ragione per cui il diritto comune omette di esplicitare la fattispecie dei controlli interni e la legislazione bancaria la richiama invece espressamente: mentre, infatti, il primo si limita ad indicare la categoria generale dell’adeguatezza degli assetti interni lasciando che siano poi gli organi delegati a curare che l’impianto organizzativo sia



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commisurato alle caratteristiche dell’impresa esercitata e, in tale sede, pure a vagliare l’opportunità di predisporre un sistema dei controlli interni (sempre sotto la supervisione dei deleganti), la seconda compie un passo in avanti giacché sancisce che l’attività bancaria richiede sempre l’istituzione di un articolato sistema dei controlli interni, per cui, i membri dell’organo amministrativo, a seconda dei ruoli ricoperti, cureranno e valuteranno rispettivamente non già la “convenienza” – se così può chiamarsi – di costituire tale apparato (scelta compiuta a monte ex lege) ma la sua specifica determinazione. Facendo leva sul parametro della natura dell’attività, pertanto, la normativa di settore impone l’approntamento dell’apparato dei controlli interni nella logica degli assetti adeguati, con l’importantissima conseguenza che lo stesso ordinamento creditizio, così facendo, istituzionalizza il sistema dei controlli interni, il quale acquisisce perciò un proprio autonomo spessore e rilievo giuridici in questa sede disciplinare.

È questo dunque un ambito del regime speciale – così come quello più esteso della

corporate governance nel quale lo stesso s’inserisce (22), sia pur con modalità peculiari (23) – dove si manifesta in maniera tangibile l’eteronomia così come concepita e dedotta nell’art. 47 cost., ravvivando così la riflessione intorno al delicato dialogo con il, per certi versi, contrapposto precetto ex art. 41 cost. (24): la legislazione bancaria, cioè, valuta d’imperio la



(22) Cfr. le Disposizioni di vigilanza in materia di «Organizzazione e governo societario delle banche» del 4 marzo 2008 le quali prevedono una serie di norme derogatorie rispetto alla regolamentazione di diritto comune. Sul rapporto tra autonomia privata ed eteronomia nel contesto delle scelte relative ai modelli di amministrazione e controllo v. le puntuali riflessioni di R.COSTI,Governo delle banche e potere normativo della Banca d’Italia, in Banche, governo societario e funzioni di vigilanza, a cura diR. Costi, F. Vella,Quaderni di ricerca giuridica della

Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 62, Roma, 2008, p. 7 ss. partic. 11 ss.; su tale profilo cfr. altresì FAISSOLA C., Problemi di attuazione delle normative sulla governance delle banche, in Sistema dualistico e governance bancaria, a cura di P. Abbadessa, F. Cesarini, Torino, 2009, p. 137 ss.; F.S. MARTORANO,

Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 117 ss.; F. VELLA, Il nuovo diritto societario e la “governance” bancaria, in Banca, impr., soc., 2003, p. 309 ss.; ID., Il nuovo governo societario delle banche nelle disposizioni di vigilanza: spunti di riflessione, in Giur. comm., 2008, I, p. 1276 ss.; G.D. MOSCO, F. VELLA, L’autonomia delle banche tra nuovo diritto

societario e regole di vigilanza. Un doppio binario per la “governance”?, in Analisi giur. econ., 2004, I, p. 139

ss.; G.A. RESCIO, L’adeguamento degli statuti delle banche alle disposizioni di vigilanza 4 marzo 2008 in materia

di organizzazione e governo societario (con particolare riferimento alle banche a sistema dualistico), in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, pag. 730 ss.

(23) Il rapporto tra corporate governance e sistema dei controlli interni investe un passaggio logico importante del nostro ragionamento sul quale ci soffermiamo in particolare nel par. 2.4 del presente capitolo.

(24) Anche nell’affrontare questi temi specifici, si deve infatti tenere sempre presente che in generale la legislazione bancaria sintetizza i principi costituzionali della libertà di iniziativa economica (contenuto nell’art. 41

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Cost.) e della tutela del risparmio (sancito dall’art. 47 Cost.). Tale sintesi si è talvolta configurata nel corso del tempo come un instabile equilibrio che si è piegato, con più facilità, dal lato della ragioni pubblicistiche sottese all’art. 47 cui l’ordinamento si mostra, comprensibilmente, più sensibile. La salvaguardia dei fini sociali sottesi alla regolamentazione della materia è sembrata spesso comprimere corrispondentemente gli spazi di espressione dell’autonomia privata delineando così un “litigioso” dialogo (da non qualificare però come antinomia) tra i due dettati normativi. Ciò nonostante, «la lunga fase di relativa stabilità del sistema finanziario, durata più di settanta anni, ha comportato un lento processo evolutivo delle regole, avviato alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, verso un sistema di controlli pubblici più rispettoso dell’autonomia imprenditoriale delle banche e sfavorevole allo sviluppo della concorrenza, come condizione necessaria per favorire gestioni efficienti e assicurare la stabilità nel lungo periodo» (così C. BRESCIA MORRA, La disciplina deli controlli pubblici sulla finanza, in L’ordinamento

finanziario italiano², a cura di F. Capriglione, Padova, 2010, p. 302, la quale riassume la recente tendenza all’effettiva parificazione dei principi costituzionali, grazie all’arretramento delle “esigenze economiche del mercato” che legittimavano un penetrante intervento delle Autorità di settore sulla struttura del relativo mercato).

Il tema del rapporto tra art. 41 e art. 47 Cost. è vastissimo e comporta anche incisive ricadute sull’impostazione della Vigilanza: ove, infatti, si valorizzi di più l’anima imprenditoriale della società bancaria (e dunque il precetto ex art. 41) l’attività di supervisione tenderà a privilegiare i profili di carattere preventivo, secondo un’impostazione che riconosce ampi spazi di autodeterminazione agli operatori all’interno della cornice minimale di regole prestabilite; se si pone , invece, l’anima pubblicistica (di cui è foriero il disposto dell’art. 47) ne consegue invece un approccio tendenzialmente di etero regolamentazione di cui era significativa espressione la vigilanza c.d. “strutturale” – quale era quella che contrassegnava la previgente Legge bancaria del 1936-38 – che legittima una forte ingerenza delle Autorità di vigilanza sulle scelte imprenditoriali consentendo di interferire appunto sulla struttura del sistema. Per un’esauriente ricostruzione del dialogo tra le due norme della Carta costituzionale, corredato dei diversi orientamenti proposti dalla dottrina, v., più di recente, F. CAPRIGLIONE, Fonti

normative, in L’ordinamento finanziario italiano², cit., p. 5 ss.; R. COSTI, L’ordinamento bancario5, Bologna, 2012, p. 234; F. MERUSI, Commento sub art. 47, in Rapporti economici. Commento sub artt. 45-47 Cost., in Commentario Della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1980, p. 153 ss.; G.OPPO, Commento sub

art. 41 Cost., in Codice commentato della banca,a cura di F. Capriglione, S. Mezzacapo, Milano, 1990, I, p. 3 ss.; F.MERUSI, Commento sub art. 47 Cost., in Codice commentato della banca, cit., p. 22 ss.; M.SEPE, Il risparmio

gestito, Bari, 2000, p. 31 ss.; P.BARILE, Delegificazione e art. 41 e 47 della Costituzione, in La nuova legge bancaria, a cura diP. Ferro-Luzzi, G. Castaldi, Milano, 1996, I, p. 27 ss. In proposito, pare comunque come sempre illuminante un passaggio, tanto sintetico quanto espressivo, di G. OPPO, Libertà d’iniziativa e attività bancaria, in Riv. dir. civ., 1990, I, p. 469 s., il quale puntualizza come non sia «possibile contrapporre le

previsioni normative degli artt. 41 e 47 come ispirate l’una a “libertà”, l’altra all’intervento pubblico: piuttosto nella seconda si colgono specifici fondamenti delle possibili limitazioni della libertà d’iniziativa annunciate dallo stesso art. 41, senza che possa per ciò ritenersi sacrificato lo spazio assegnato dalla stessa norma all’iniziativa economica in genere».

In generale, sulla summa divisio tra vigilanza “prudenziale” e vigilanza “strutturale”, si torni per tutti, tra gli innumerevoli interventia F. CAPRIGLIONE, L’ordinamento finanziario verso la neutralità, Padova, 1994, p. 1 ss.; ID., Evoluzione normativa ed individuazione delle problematiche giuridiche dell’ordinamento finanziario, in

Diritto delle Banche, degli Intermediari Finanziari e dei Mercati, a cura del medesimo, Bari, 2003, p. 35 ss.;C. BRESCIA MORRA, op. cit., p. 303 ss.; C.LAMANDA, Le finalità della vigilanza, in La nuova legge bancaria, cit., I, p. 157 ss.;F. BELLI, Legislazione bancaria italiana, Torino, 2004, p. 302; R. COSTI, op. ult. cit., p. 120 ss.; A.V. GUCCIONE, La vigilanza prudenziale, in Banche e mercati finanziari,a cura di F. Vella, in Trattato di diritto

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necessità dell’implementazione dei controlli interni quale incombenza integrativa del canone di corretta amministrazione (25), paradigma comportamentale, quest’ultimo, che nel settore dei mercati finanziari non si declina soltanto secondo l’accezione universalmente valida per ogni iniziativa imprenditoriale esercitata in forma societaria, ma altresì in ragione di quel quid pluris di attribuzioni che qualificano la condotta dell’avveduto e diligente banchiere (26), come d’altronde testimonia lo specifico obbligo in discorso.

Da qui, sarebbe scorretto giungere con superficialità ad impostare il raffronto circa il sistema dei controlli interni ragionando in stretti termini di facoltà-obbligo, rispettivamente riguardandoli dalla prospettiva del diritto comune e da quella della legislazione di settore. A ben vedere, infatti, se con la riforma del diritto societario il dovere di dotare l’impresa di una struttura organizzativa idonea all’espletamento della propria specifica attività è assurto a principio guida dell’ordinamento, risulterebbe evidentemente contradditorio affermare che la società rimane “libera” di determinare il ricorso o meno al sistema dei controlli interni; ciò per lo meno nell’ipotesi in cui l’osservanza del più generale dovere appena richiamato richieda anche l’implementazione di tale assetto dei controlli, mentre, nella situazione inversa dell’impresa che in base alle proprie caratteristiche non risulta tenuta a costituirlo, nulla vieta che – davvero in via facoltativa – essa ne decida comunque l’attuazione (magari per presumibili vantaggi reputazionali i cui frutti siano idonei a compensare il sostenimento dei costi di allestimento).

L’indagine sulla diversa connotazione dei controlli interni nel diritto comune e nel diritto delle banche sembra allora doversi muovere piuttosto verso l’esame del tipo e del grado di intervento dei due legislatori sul punto. Come si diceva, nell’ambito del codice civile il sistema



privato dell’Unione europea, diretto daG. Ajani, G.A. Benacchio, Torino, 2009, p. 103 ss.; F. VELLA, Le autorità

di vigilanza: non è solo questione di architetture, in Dir. banca merc. fin., 2007, II, p. 195 ss.

(25) «Attraverso l’obbligo di dotarsi di efficaci e adeguati assetti organizzativi si fornisce spessore al canone generale della buona (rectius: corretta) amministrazione» e, di conseguenza, anche l’idoneità della struttura del sistema dei controlli interni integra, a sua volta, tale standard comportamentale: cfr. M. IRRERA, op. cit., p. 556 e ID., Assetti organizzativi adeguati e governo della società di capitali, Milano, 2005, passim; S.AMBROSINI, Il

controllo interno nelle società di capitali. La nuova disciplina del collegio sindacale, Milano, 2004, 23 ss.

(26) Sul punto cfr.M. PORZIO, L’ attività bancaria ha carattere d’impresa, in Dir. banca merc. fin., 2002, I, p. 531; ID., Autonomia ed eteronomia nella gestione dell’impresa bancaria, ivi, 1990, I, p. 3 ss.; L.A.BIANCHI,P. MARCHETTI, Composizione e funzionamento del consiglio di amministrazione delle banche: problemi e proposte, in Il governo delle banche in Italia, a cura di F. Riolo, D. Masciandaro, Roma, 1999, p. 297 ss.;G. LEMME,

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dei controlli interni non viene nominato espressamente ma si ricava soltanto in via implicita dall’ampia formula utilizzata per sancire il principio dell’adeguatezza organizzativa: di tal ché, l’aspetto qualificante in questa sede disciplinare sembra proprio essere la promanazione e, in un certo senso, la stretta dipendenza del sistema dei controlli interni rispetto a quell’iniziale giudizio di congruità della struttura organizzativa, che vale a configurarlo come un presidio sostanzialmente di secondo livello.

Per converso, nella legislazione bancaria – si presti qui la massima attenzione – il sistema dei controlli interni acquisisce una sua autonoma valorizzazione giuridica, dal momento che gli viene riservato uno spazio disciplinare dedicato: col ché, pur senz’altro mantenendo quel rapporto di derivazione e di parentela rispetto alla matrice d’origine degli assetti adeguati, potremmo dire si emancipi dalla sua posizione complementare per assumere esplicito rilievo quale istituto positivamente enucleato. L’istituzionalizzazione compiuta dal diritto speciale, tuttavia, come si diceva, difetta di espressi e chiari riferimenti di coordinamento rispetto alla categoria giuridica di afferenza rinvenibile nel codice civile.

Nonostante l’impresa di diritto comune sia tenuta ad informarsi al principio cardine dell’adeguatezza degli assetti organizzativi (27), deve pure riconoscersi che la specifica decisione in ordine alla predisposizione del sistema dei controlli interni – siccome, si ricordi, nel codice l’istituto in parola costituisce parte implicita della clausola generale di adeguatezza – appartiene in fin dei conti alla sensibilità e alla levatura professionali dell’organo amministrativo, il quale, chiamato a prendere posizione sul tema, adotterà una certa linea soggiacendo al classico schema potere/dovere-responsabilità che impronta di sé la gestione sociale, prestandosi questo medesimo schema, in particolare, a configurare il parametro a partire dal quale, ove ve ne sia l’esigenza, ricostruire la condotta tenuta in proposito dalle figure sociali coinvolte a vario titolo, ovviamente in ragione della natura dell’incarico espletato e secondo le loro specifiche competenze (28).



(27) Cfr. V. BUONOCORE, op. cit., p. 6; F. ANNUNZIATA, op. cit., p. 636.

(28) Gli atti istitutivi dell’assetto organizzativo configurano scelte di natura peculiare e distinta rispetto alle scelte gestorie in senso proprio (sul punto, v. i prossimi parr. 2.1 e 2.2). Il tratto di specialità delle decisioni organizzative induce, di riflesso, qualche ragionamento critico in merito al sindacato esperibile dall’autorità giudiziaria nell’ambito di un’eventuale azione di responsabilità; in particolare, ci sembra lecito porsi (quanto meno) il dubbio circa l’applicabilità, in questo specifico caso, della business judgement rule: in proposito, si rinvia alle riflessioni che saranno svolte nel prosieguo del testo all’interno del par. 2.2 (partic. note nn. 50 e 51).

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Per una società regolata dalle sole norme codicistiche, ancorché si consideri l’ipotesi in cui l’approntamento di un sistema dei controlli interni divenga obbligatorio ricorrendone i presupposti sulla base delle caratteristiche dell’attività e delle dimensioni aziendali, questo dovere che incombe sugli amministratori non acquisisce la stessa “forza” che invece promana dall’autonoma rilevanza riservatagli dall’ordinamento creditizio nel caso delle società bancarie: pur ipotizzando una situazione imprenditoriale per cui anche il diritto comune esiga l’implementazione dell’istituto in discorso, infatti, la figura del sistema dei controlli sconta quella intrinseca essenza di vincolo di “secondo livello”; sicché, con riguardo all’impostazione dedotta nella disciplina codicistica, sembra di fondo esistere una sorta di “lasco” che naturaliter si interpone tra la clausola generale direttamente “visibile” e la successiva fase esecutiva dello specifico profilo dei controlli interni che, nonostante la sua eventuale attualità, permane implicita e retrostante senza una sua immediata rappresentatività disciplinare.

Diversamente, nel contesto della legislazione bancaria, la fattispecie beneficia della visibilità che le è stata accordata dal legislatore speciale medesimo, il quale ha assunto la determinazione di dotarla qui del crisma dell’ufficialità procedendo appunto ad istituzionalizzare il sistema dei controlli interni; istituzionalizzazione dei controlli interni (e relativa visibilità), si badi, non fine a se stessa ma da valutarsi e da annoverarsi – questo è il passaggio importante – nel panorama dei doveri di corretta amministrazione sociale che contrassegnano l’esercizio dell’attività bancaria.

1.3. (Segue) L’istituzionalizzazione del sistema dei controlli interni nell’ordinamento creditizio in ragione della natura dell’attività bancaria

Come s’è visto, il sistema dei controlli interni beneficia di una diversa valorizzazione giuridica nel codice civile e nell’ordinamento creditizio: una posizione, in un certo senso, dipendente e subordinata nel suo essere concepito come istituto di “secondo grado” nel diritto

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comune (29); un autonomo ed indipendente spazio attribuitogli invece dal legislatore speciale rendendo direttamente (cioè positivamente) “visibile” il sistema stesso (30).

Sempre ripetendoci, il fenomeno in parola genera da un principio-manifesto di più ampia portata concernente il profilo dell’organizzazione societaria in senso lato, declinato all’interno della disciplina sul momento delegato dell’amministrazione: l’art. 2381 c.c., da cui concettualmente il sistema dei controlli promana pur non essendo qui menzionato in maniera espressa, identifica infatti nella natura e nelle dimensioni dell’impresa esercitata i parametri per implementare un assetto organizzativo adeguato; parametri che potrebbero altresì giustificare – secondo la ricostruzione interpretativa da noi avanzata – la predisposizione del sistema dei controlli interni, indotta proprio ai fini dell’adeguatezza della struttura nel suo insieme.

Sui criteri appena citati mette ora conto soffermarsi e sviluppare qualche ulteriore considerazione, giacché anche partendo da questi è possibile ricavare il diverso e peculiare approccio adottato dal diritto comune e dal diritto speciale con riguardo al sistema dei controlli interni, alla stregua (ma anche ad integrazione) dei risultati ottenuti con la tecnica d’indagine poc’anzi impiegata che prende invece le mosse dalle corrispondenti scelte legislative di rappresentazione dell’istituto in discussione e così valorizza la connessa visibilità/rilevanza – rispettivamente complementare-autonoma – nei rapporti con la più generale categoria dei profili organizzativi d’impresa.

Proprio in applicazione del principio contenuto nell’art. 2381 c.c. consegue che il sistema dei controlli interni ha motivo di esistere in ragione delle caratteristiche dell’impresa esercitata: testualmente, infatti, la norma collega il giudizio di adeguatezza del dato organizzativo



(29) Nel codice civile l’istituto dei controlli interni è implicitamente ricompreso nel più ampio principio dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo sancito dall’art. 2381; per approfondimenti circa la sua natura “secondaria” o complementare, si torni supra al par. precedente.

(30) Si attribuisce una specifica valorizzazione giuridica al sistema dei controlli interni nelle banche, nell’ambito del principio di adeguatezza degli assetti organizzativi. Mentre nella disciplina codicistica tale profilo non trova autonomo riconoscimento giacché viene implicitamente ricompreso nell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile (rectius, nell’adeguatezza di tale assetto), l’ordinamento del credito eleva l’articolazione in parola a strumento imprescindibile per l’esercizio dell’attività bancaria secondo il canone generale della sana e prudente gestione. L’autonoma rilevanza giuridica degli assetti organizzativi interni degli intermediari bancari viene ricondotta da G.SCOGNAMIGLIO,Gli assetti organizzativi degli intermediari finanziari,

cit., p. 3, nt. 1, al passaggio dall’approccio “strutturale” a quello “prudenziale” della Vigilanza; sempre nella nuova impostazione ordinamentale sembra potersi ravvisare la causa anche dell’attribuzione di uno specifico valore giuridico ai controlli interni, per cui questi, nell’ambito della società bancaria, divengono parte imprescindibile degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili stessi.

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