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Capitolo 5 – Inquadramento geologico delle aree monitorate

5.1.1 L’attività vulcanica dei Colli Albani

Il distretto vulcanico dei Colli Albani sorge a S delle unità meso-cenozoiche alloctone dei Monti della Tolfa, a N della piattaforma carbonatica mesozoica dei Monti Lepini ed in prossimità delle successioni meso-cenozoiche dei Monti Prenestini e Tiburtini.

La sua formazione è collegata allo sviluppo della catena appenninica a sua volta connesso all’apertura del bacino del Tirreno. Questo provocò un assottigliamento della crosta terrestre e la conseguente formazione di fratture nelle quali il magma potè risalire

54 fino a raggiungere la superficie. Lo stesso fenomeno era già avvenuto per la formazione dei complessi vulcanici dei monti Cimini, del lago di Vico, dei monti Vulsini e dei monti Sabatini. Il Vulcano Laziale aveva una base di 60 km di diametro ed emise circa 200 chilometri cubici di materiali, che contribuirono, insieme ai prodotti del Vulcano Sabatino (attivo in quello stesso periodo), a sbarrare il corso del Tevere (figura 10). A causa della formazione di questa diga naturale il fiume formò un grande lago di sbarramento e solo in seguito si aprì un nuovo percorso fra i materiali emessi dai due vulcani. Nel tempo si alternavano periodi di violenta attività eruttiva e modeste fasi effusive.

Figura 10: Nascita del Vulcano Laziale (disegno di M. Parotto)[4].

Il vulcano si è sviluppato al di sopra di un substrato sedimentario costituito da unità delle successioni pelagiche mesozoiche con testimonianze di una transizione esterna nelle parti più meridionali (Funiciello & Parotto, 1978). L’attività vulcanica dei Colli Albani o Vulcano Laziale, ha inizio circa 600 ka fa ed è attualmente in stato di quiescenza.

Il chimismo dei prodotti dei Colli Albani varia da magmi mafici, K-foidici, tefitici basalti, è fortemente ricco in potassio e sottosaturo in silice. Il vulcano ha avuto attività di tutti i tipi, da parossismo esplosivo pliniano, a eruzioni di tipo stromboliano e hawaiiano, ad attività effusiva, includendo eventi freatomagmatici a grande e piccola scala.

Il primo periodo di attività, denominato periodo del “Vulcano Laziale”, è durato da circa 600 ka a 355 ka. Durante questo periodo l’attività è stata in prevalenza esplosiva, con un tasso eruttivo medio di 1 km3/ka. Almeno 7 ignimbriti di volume da medio a

55 grande, sono state eruttate e messe in posto su un’area maggiore di 1600 km2. L’attività ha dato luogo all’edificio del Vulcano Laziale, costituito da una struttura ignimbritica dalla geometria a scudo e un complesso calderico di circa 8 x 8 km2 e da (figura 11).

Figura 11: La caldera del Vulcano Laziale (disegno di M. Parotto)[4].

L’attività del Vulcano Laziale può essere suddivisa in una “successione dei Tufi Pisolitici” (circa 600 ÷ 500 ka), nella quale le ignimbriti sono dominate da un freatomagmatismo su larga scala, associato alla probabile presenza di un primo lago intracalderico, e in una sovrastante “successione di Pozzolane e Tufi”, nella quale le ignimbriti mostrano una dominante frammentazione magmatica, probabilmente come risposta al progressivo esaurimento del lago calderico. Le ignimbriti maggiori sono state eruttate con un intervallo medio di circa 40 ka. Dopo ogni eruzione parossistica, l’attività è stata in prevalenza effusiva con ridotta componente esplosiva e concentrata lungo sistemi di fratture peri-calderiche, formando un complesso di coni di scorie e dorsali di lava; eruzioni maggiormente esplosive sono avvenute da aperture intracalderiche (Giordano et al., 2010).

L’eruzione più importante del Vulcano Laziale ha portato alla messa in posto di un’imponente colata piroclastica (nota come “Pozzolane Rosse”), che raggiunge anche i 90 m di spessore, con un volume minimo di materiale emesso di circa 38 km3 (De Rita et al., 1988). L’ultima grande eruzione del Vulcano Laziale si è verificata circa 355 ka fa, con la messa in posto delle ignimbriti dell’unità di “Villa Senni”. In seguito a questa eruzione e al nuovo collasso dell’area calderica e peri-calderica, ha origine il complesso Tuscolano-Artemisio, grazie alla presenza di sistemi di fratture peri ed extracalderiche. Il complesso neoformato è composto in prevalenza da coni di scorie, lave e da uno stratovulcano intracalderico denominato Faete (figura 12).

56 Figura 12: Formazione del complesso Tuscolano-Artemisio (disegno di M. Parotto)[4]. Questi edifici si sono messi in posto in un periodo che va da 355 ka a 180 ka, denominato “Tuscolano-Artemisio-Faete”, durante il quale si osserva una diminuzione del tasso eruttivo medio.

L’attività peri-calderica inizia lungo il sistema di fratture ad anello nel settore N ed E (Tuscolano- Artemisio), e a partire da circa 300 ka migra progressivamente verso N in area extracalderica (settore Pantano Borghese), e verso W nel settore delle fratture peri calderiche di S. Maria delle Mole.

A partire da circa 200 ka ha inizio il periodo di attività chiamato “Via dei Laghi”. L’attività vulcanica si concentra nel settore più a W dell’area peri-calderica e si verificano una serie di eruzioni freatomagmatiche di volume moderatamente ridotto (figura 13).

Figura 13: Esplosioni freatomagmatiche del periodo “Via dei Laghi” (disegno di M. Parotto)[4].

A questo periodo si collegano le formazioni di maar sia monogenici che poligenici, il più recente dei quali è il maar poligenico di Albano (formazione successiva a 70 ka) formato da almeno 7 eruzioni in migrazione da NW a SE lungo una frattura di circa 3,5 km. L’ultima eruzione del maar è datata 23ka.

57 Durante l’Olocene si verifica attività freatica, e formazione di lahar a causa di esondazioni del lago verificatesi fino a 6 ÷ 5 ka. La formazione più importante di questo tipo è quella del Tavolato, spessa fino a 15 m che ha colmato le paleovalli dell’intera area di Ciampino-Capannelle. Probabilmente le esondazioni del Lago Albano sono da mettere in relazione alla forte attività di degassamento del fondo del lago, che ha prodotto fenomeni di roll-over, con meccanismi simili a quelle riscontrati in alcuni laghi craterici di vulcani attivi, come Nyos e Monoum in Cameroon.

Le esondazioni si sono verificate anche in epoca romana, fino alla realizzazione di un tunnel di drenaggio con lo scopo di mantenere costante il livello dell’acqua nel lago. La recente revisione della cronologia del vulcano dei Colli Albani (Soligo & Tuccimei, 2010) dimostra la maggiore affidabilità delle datazioni con il metodo 39Ar/40Ar. I più probabili range di età per le formazioni dei C.A. sono: >600 ÷ 355 ka per il litosoma IV (complesso calderico del Vulcano Laziale); <355 ÷ ?180 ka per il litosoma III (sistema di fratture peri-calderiche del Tuscolano-Artemisio); <355 ÷ 250 ka per il litosoma II (strato-vulcano intracalderico delle Faete); <200 ÷ 26 ka per il litosoma I (Via dei Laghi maar field).

58 Figura 14: Mappa sintetica del vulcano Colli Albani con i principali edifici sviluppati

tra 600 ka ad oggi (Giordano et al., 2010).

L’area di Albano è attualmente luogo di emissione di gas di probabile origine magmatica, di periodici fenomeni di sollevamenti del suolo e periodici sciami sismici poco profondi, fenomeni che possono indicare la presenza in profondità di un corpo magmatico ancora attivo.

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5.1.2 Inquadramento geomorfologico del Parco Regionale dell’Appia

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