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Attori e processi di governance nelle aziende sanitarie Elena Menegazz

Introduzione

L’attuale fase di revisione dei sistemi di welfare è caratterizzata da percorsi di cambiamento di tipo multidimensionale, non governati da linee di indirizzo coese, ma animati prevalentemente dalle dinamiche dei contesti locali. Trait d’union delle diverse esperienze è l’aumento del mix di attori presenti sul territorio, che, sviluppando dinamiche relazionali nelle quali attuano e concretizzano i propri comportamenti strategici, rendono i sistemi di welfare fluidi, complessi ed eterogenei (Bertin 2012b).

La riflessione sul cambiamento della sanità va pertanto indirizzata a cogliere le dinamiche ed i processi oggi in atto, che vedono moltiplicarsi i richiami all’individuazione di modelli regolativi capaci di equilibrare questi mutamenti e le spinte, talora contrapposte, che ne derivano.

L’ambito della sanità è stato forse più di altri investito negli ultimi vent’anni dall’ondata neoliberale che ha ispirato le riforme promosse sotto il nome del New public management, e che ha riguardato anche il nostro Paese con le riforme Amato prima (Decreto legislativo 502/1992), Bindi (Decreto legislativo 229/1999) e successivamente completate con il Patto per la Salute del Ministro Turco (2006). Nel Regno Unito, dove questa spinta al New public management ha preso corpo, il primo White Paper promosso dal governo Blair nel 1997 ha introdotto per il National Health Service i princìpi della governance, dando peso soprattutto a forme di scrutinio esterno (reporting, auditing, monitoraggio delle per- formance e dei costi ecc.), ma anche modalità di sviluppo delle risorse umane, coinvolgimento dello staff nelle questioni decisionali, apertura al pubblico delle riunioni dei board (De Gooijer 2007). Elementi ripresi, seppur in forma più attenuata, anche dalle riforme delle aziende sanita- rie italiane, ma con esiti eterogenei a seconda delle specificità territoria- li. Non a caso si parla oggi di «aziende» sanitarie, con tutto ciò che ne

Attori e processi di governance nelle aziende sanitarie 79 consegue: programmazione finanziaria, definizione del board direziona- le, introduzione delle logiche del mercato, controllo dei costi, account-

ability, orientamento alla qualità e via dicendo. Tuttavia, questa prima

ondata di riforme ha prodotto anche degli effetti collaterali sul sistema, su tutti l’eccessiva frammentazione del settore pubblico. Ciò ha generato una accesa riflessione su quelle che dovevano essere le nuove forme di coordinamento, poiché le precedenti logiche gerarchiche non potevano più applicarsi di fronte ad un insieme di attori autonomi, chiamati oggi a garantire non solo il coordinamento verticale tra i livelli istituzionali, ma anche quello orizzontale con tutti i diversi stakeholder del sistema (Bevir 2009). La governance della sanità viene proposta come concetto «ombrello» per un ampio insieme di attività seguite nell’interesse degli stakeholder (De Gooijer 2007). La governance entra così nel linguaggio delle aziende sanitarie nel tentativo proprio di enfatizzare e promuove- re il passaggio dalle logiche di formulazione e realizzazione di stampo burocratico (government) a processi caratterizzati da interdipendenza e cooperazione tra tutti gli attori sociali del sistema, favorendo una mag- giore partecipazione della società civile mediante processi democratici (è quanto, ad esempio, si cerca di realizzare con gli audit pubblici, ma anche sul fronte programmatorio nelle forme della consultazione e con- certazione delle decisioni) (Rhodes 1996).

Il tema della governance è divenuto uno dei nervi vitali del dibattito relativo alle modalità di gestione degli apparati pubblici contemporanei. La governance multi-livello è un concetto che abbraccia tanto la dimen- sione verticale, relativa all’interdipendenza dei diversi livelli territoriali di governo (fondamentale nel caso italiano, a seguito delle modifiche del Titolo v della Costituzione e della revisione della titolarità delle compe- tenze in materia sanitaria, sotto il profilo organizzativo e gestionale), quanto la crescente interdipendenza tra attori istituzionali e non ai vari livelli di governo (Bache, Flinders 2004). La governance multi-livello viene proposta come strumento per superare le tensioni generate da quelle spinte contraddittorie che hanno condotto a decentralizzare e lo- calizzare le politiche, ed hanno conseguentemente comportato una loro frammentazione da un lato, e l’opposta necessità di integrare e talora centralizzare determinate funzioni.

La governance delle aziende sanitarie ingloba quindi un fitto sistema di relazioni, di definizione di ruoli, di identificazione degli attori chiave del governo sanitario, delle forme di regolazione dei rapporti tra essi. Molteplici sono le forme di relazione tra gli attori istituzionali e sociali della sanità regionale finalizzate a creare consenso attorno alle strategie assistenziali e alle loro modalità di concretizzazione (Foglietta, Toniolo 2012). Come afferma Giarelli:

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80 Menegazzi Il concetto di governance abbraccia quindi i processi, le pratiche, le regole, i significati che definiscono come i poteri vengono effettivamente esercitati da una pluralità di attori fra loro interconnessi, anche eventualmente in assenza di un’autorità di governo formalmente riconosciuta. In tal senso, la governance si caratterizza per l’esercizio di poteri effettivi in una struttura di relazioni che appare di tipo poliarchico, in quanto fondata su di un gioco di equilibri fra una pluralità di soggetti. (Giarelli 2006, pp. 68-69)

Diverse strutture di governance caratterizzano gli assetti che le regio- ni italiane, nel pieno delle proprie competenze in materia sanitaria, han- no deciso di darsi, formalizzando le interazioni tra gli attori appartenenti al sistema locale. Le aziende sanitarie sono un complesso intreccio di re- lazioni tra le componenti professionali (nelle loro diverse specializzazio- ni), tra componente manageriale e quella sanitaria, tra l’organizzazione sanitaria e gli enti locali del territorio e, infine, tra azienda sanitaria e il tessuto sociale globale in cui essa si inserisce. Entrare nel merito della governance nelle organizzazioni sanitarie significa affrontare questa complessa e fitta rete di relazioni, analizzandone l’intensità e la qualità, ma avendo al contempo attenzione per il loro essere elemento dinamico in processi di negoziazione continua (Biocca et al. 2008). Non si tratta quindi «solamente» della clinical governance, accezione anche questa importata dal contesto anglosassone (cui si accompagna, come soven- te accade, una difficoltà nell’identificare una traduzione nella lingua italiana altrettanto capace di essere al contempo sintetica e sufficien- temente esaustiva) con cui invece si intende un impegno da parte delle organizzazioni sanitarie al continuo miglioramento della qualità dei loro servizi e nella promozione di elevati standard assistenziali. Il concetto di governance qui adottato invece, intende rifarsi ad una lettura più ampia dell’organizzazione sanitaria, centrando l’attenzione sul sistema di regolazione dei rapporti tra l’azienda sanitaria nelle regioni oggetto di analisi e alcuni degli attori fondamentali del sistema sanitario.

Occorre anzitutto puntualizzare gli elementi della governance qui presi in esame:

- gli attori sociali che caratterizzano la governance dell’azienda sa- nitaria: chi sono i principali rappresentanti dell’Azienda sanitaria? Quali sono invece gli stakeholder?

- i rapporti di potere e le forme da questo assunte: di quali spazi di autonomia godono i diversi attori sociali?

- processi di governance: quali relazioni intercorrono tra gli attori nei contesti decisionali?

Il Piano sanitario nazionale 2011-2013 esplicita come leve di govern- ance nella dimensione strategica, volte a contemperare gli interessi dei diversi attori coinvolti nelle cure primarie, gli strumenti di programma-

Attori e processi di governance nelle aziende sanitarie 81 zione territoriale e distrettuale; gli accordi con la medicina convenzio- nata; i processi di valutazione e miglioramento continuo (agenas 2011). I processi di valutazione avrebbero richiesto un approfondimento a sé, in ragione della complessità delle loro configurazioni. Tuttavia, si è de- ciso di esaminare le altre due leve. Tra le variabili esaminate per dare rappresentazione dei modelli di governance della sanità locale, è stato considerato l’assetto istituzionale, ovvero la «configurazione dei sog- getti nell’interesse dei quali l’azienda nasce e opera» (Anessi Pessina, Cantù 2010) guardando a diverse dimensioni, quali:

- composizione della direzione strategica;

- i rapporti tra l’azienda sanitaria ed il distretto, ma anche tra azien- da sanitaria ed i comuni per quanto concerne in particolare l’in- tegrazione socio-sanitaria;

- il rapporto con i professionisti della sanità.

Verrà altresì approfondita la dimensione processuale della govern- ance, utilizzando come oggetto esemplificativo in cui osservare la con- creta articolazione della governance i processi relativi alla program- mazione del set di interventi sanitari e socio-assistenziali da realizzarsi sul territorio. Significativi sono i processi di programmazione in quanto il passaggio dallo stereotipo della pianificazione strategica formale ha avuto una notevole rilevanza nel corso del secolo scorso, ma in un am- bito caratterizzato dalla compresenza di nuovi attori e da richieste di partecipazione, l’attore pubblico è chiamato a confrontarsi e regolare la loro azione. La costruzione di obiettivi comuni, l’identificazione delle risorse apportate da ognuno, la valutazione dei risultati raggiunti, ne- cessitano di comprendere in che modo gli attori sociali intervengano in ciascuna di queste fasi e come si assestino le reciproche relazioni di potere (Bertin 2012).

La governance delle aziende sanitarie è stata quindi qui intesa nella sua valenza di insieme di regole dell’azione collettiva sia espresse sotto forma di misure regolatorie di tipo vincolante, formalmente sancite mediante atti e documenti, che come insieme di processi e pratiche che non necessariamente operano mediante meccanismi formali tipici delle tradizionali linee burocratiche. L’obiettivo è pertanto quello di dare spa- zio ad una rappresentazione completa della governance delle aziende sanitarie nelle regioni italiane capace di coniugare l’analisi delle dina- miche verticali ed orizzontali nello sviluppo dei sistemi sanitari regionali.

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1. Articolazione territoriale e organizzativa delle aziende sanitarie

Le regioni, in adempimento a quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 502/1992 e successive modifiche, hanno emanato una serie di prov- vedimenti atti a recepire i contenuti della legge nazionale, disegnando al contempo il quadro organizzativo di cui le aziende sanitarie collocate nel proprio territorio dovevano dotarsi. Fermi restando quindi gli ele- menti cardine dettati dai Decreti nazionali, le normative regionali hanno introdotto, nell’arco di questi vent’anni trascorsi dall’emanazione del Decreto di riordino della disciplina in materia sanitaria, tutta una serie di provvedimenti che hanno definito sia la ripartizione geografica del territorio, e quindi, in buona sostanza, quante sono le aziende sanitarie presenti, se vi sono aziende ospedaliere, irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico), e la subarticolazione in distretti sanitari, ambiti sociali. Anche la definizione delle modalità organizzative inter- ne all’azienda sanitaria, sempre nel rispetto delle indicazioni generali dettate dalla normativa nazionale, è elemento disciplinato dagli atti di riordino del sistema delle cure sanitarie regionali, cui si aggiunge poi, quale elemento di variabilità interna, la possibilità per le singole azien- de sanitarie, di disciplinare mediante atto aziendale quelle che sono le soluzioni specifiche più confacenti alle esigenze organizzative specifiche.

Prima di esaminare la natura dei rapporti esterni tra l’azienda sanita- ria e gli altri attori del sistema (distretto, comuni, professionisti sanitari) e i processi programmatori, vale forse la pena soffermarsi inizialmente sull’analisi del quadro generale di organizzazione delle stesse, così da poter focalizzare l’attenzione sui specifici assetti della governance locale.

1.1. L’articolazione territoriale delle aziende sanitarie

L’azienda sanitaria è il mezzo attraverso il quale le regioni assicurano i livelli essenziali di assistenza stabiliti dal Piano sanitario nazionale. Si tratta di enti dotati di personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale, la cui organizzazione e funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi regionali. L’evoluzione della normativa nazionale ha portato ad un mutamento anche nella denominazione delle aziende sanitarie, che, nelle regioni interessate dalla ricerca, vengono così identificate:

Attori e processi di governance nelle aziende sanitarie 83 Tab. 1 – La denominazione delle aziende sanitarie

Regione Denominazione

Emilia Romagna ausl – Azienda unità sanitaria locale Lombardia asl – Azienda sanitaria locale Puglia asl – Azienda sanitaria locale Toscana ausl – Azienda unità sanitaria locale Veneto aulss – Azienda unità locale socio-sanitaria

La specificità forse più rilevante è quella che concerne la regione Ve- neto, dove la doppia «s» adottata nella definizione di azienda sanitaria (rintracciabile già nella Legge Regionale n. 55/1982, art. 5) è tesa ad enfatizzare e rimarcare il carattere dell’integrazione sociale e sanitaria, adottato come fondamentale caposaldo di tutto il sistema regionale.

Rispetto all’assetto territoriale che ciascuna regione ha deciso di darsi, la suddivisione del territorio in aziende sanitarie e l’articolazione di queste in distretti e ambiti sociali già fornisce un primo quadro di sintesi sui rapporti verticali tra i diversi livelli in cui è organizzata la sanità regionale.

Un primo livello di scomposizione, non sempre presente però, è quello legato alla costituzione di reti interaziendali (aree vaste) per la gestione associata di alcune funzioni (programmazione, acquisti, gestione del personale, logistica, etc.) o finalizzata allo sviluppo dell’attività di base al fine di evitare la duplicazione delle medesime attività tra territori e aziende contigue. Il livello di area vasta ha assunto recentemente par- ticolare rilievo soprattutto nella Regione Toscana, dove il nuovo Piano integrato regionale (pisr) 2007-2010 identifica in questo livello la sede strategica ottimale per il governo del sistema (un esempio di ciò è dato dall’accordo interaziendale per il governo delle liste d’attesa e dei volu- mi delle prestazioni ambulatoriali).

La suddivisione fondamentale è però quella legata all’identificazione del- le aziende sanitarie, il cui numero, però, è particolarmente variabile all’in- terno delle realtà regionali, come si può vedere dalla tabella che segue: Tab. 2 – Numero di aziende sanitari e distretti nelle regioni indagate

Regione Numero di Aziende

sanitarie Popolazione media per asl Numero di distretti sanitari

Emilia Romagna 11 405.386 38

Lombardia 15 667.114 86

Puglia 6 681.877 49

Toscana 12 478.771 34

Veneto 21 236.206 51

Note: Il dato relativo alla popolazione residente è stato tratto da: istat Bilancio demografico Anno 2012 (dati provvisori) http://demo.istat.it/bilmens2012gen/index.html (2012/09/18).

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84 Menegazzi Mediamente quindi, le asl di Puglia e Lombardia sono quelle più po- polose, mentre l’eccessiva frammentazione del territorio nella Regione Veneto porta ad avere una popolazione media per asl molto contenuta. Si tratta però di dati grezzi, che celano quella che è l’estrema variabi- lità interna, legata in parte anche alle caratteristiche orografiche del territorio regionale. Si pensi, a titolo esemplificativo, che nella Regione Veneto si va da un minimo di 68.682 abitanti nell’aulss 14 di Chioggia ad un massimo di 494.034 abitanti dell’aulss 16 di Padova.1

Presso le regioni Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Puglia si sono registrati dei processi di accorpamento e fusione delle asl infraprovinciali, che hanno condotto ad una riduzione del numero di asl. Oggi in queste regioni gli ambiti territoriali delle aziende sanitarie coincidono con quel- li delle circoscrizioni provinciali (fatte salve alcune eccezioni, come ad esempio la provincia di Bologna, che è suddivisa in due ausl, e le due asl di Empoli e Versilia aggiuntive rispetto a quelle delle province toscane).

Le aziende sanitarie si suddividono poi internamente in distretti, che possono avere competenza esclusivamente sanitaria oppure sanitaria e sociale integrata. Il distretto costituisce l’articolazione territoriale ed operativa dell’asl, un centro organizzativo che garantisce il coordina- mento ed il governo istituzionale di tutte le attività del territorio di com- petenza, presidiando e promuovendo lo stato di salute della popolazione ivi residente mediante l’organizzazione e gestione delle cure primarie. Al distretto compete altresì il coordinamento con gli enti locali.

Il numero di distretti presenti nelle regioni è anch’esso variabile, co- me si evince dalla Tabella 2, con la Lombardia che presenta un numero di distretti doppio rispetto a Toscana ed Emilia Romagna. All’interno di ciascuna asl si assiste poi ad una situazione eterogenea se si guarda alla frammentazione del territorio in distretti, come ad esempio accade se si confrontano le asl di Brindisi e bat (quattro/cinque distretti) con quelle di Lecce e Bari (dieci/quattordici distretti). Una delle ragioni di tale dif- ferenza è legata alla diversa distribuzione della popolazione residente, che incide inoltre anche sul numero di comuni che costituiscono ciascun distretto (si possono avere quindi distretti monocomunali qualora il co- mune abbia un bacino di popolazione ampio, così come distretti costituiti da più comuni di piccole dimensioni).

I distretti vengono individuati e modificati mediante intesa tra il Diretto- re generale dell’azienda e gli enti locali del territorio. L’ambito territoriale (dove si progettano e gestiscono le politiche sociali) e quello del distretto sanitario vengono a coincidere nella Regione Veneto e nella Regione Pu- 1. Fonte dati: Sistema Informativo Regione Veneto - Popolazione nella rilevazione delle Aziende ulss per Azienda al 31 dicembre 2011.

Attori e processi di governance nelle aziende sanitarie 85 glia, mentre non vi è piena coincidenza in Lombardia (per effetto di accor- pamenti di alcuni ambiti). La coincidenza tra ambito territoriale e distretto nella Regione Puglia, sancita dalla Legge Regionale n. 19/2006, è votata alla creazione di uno spazio unitario di confronto e per poter disporre di un’unica strategia programmatoria. Fanno a ciò eccezione i comuni capo- luogo di provincia di Bari, Taranto e Foggia, che costituiscono, ciascuno, un singolo ambito sociale. Di conseguenza, vi sono 49 distretti socio-sanitari e 45 ambiti sociali (pertanto sono 45 i Piani di zona elaborati).

La scelta della Regione Veneto di promuovere la più piena integra- zione socio-sanitaria, si evince chiaramente nella normativa regionale e nella stessa definizione di distretto socio-sanitario:

La realizzazione di un sistema integrato di erogazione dei servizi sociali e ad elevata integrazione socio-sanitaria si attua attraverso la gestione unitaria di tali servizi sociali in ambiti territoriali omogenei e la delega da parte dei Comuni del- la gestione dei servizi stessi all’Unità locale socio-sanitaria o, alternativamente, la stipula di accordi di programma tra gli enti interessati. L’ambito territoriale per la gestione unitaria di tali servizi è coincidente con i distretti. (art. 4, co. 1, l.r. n. 5/1996)

I distretti rappresentano assieme ai presidi ospedalieri ed ai dipar- timenti di salute mentale e prevenzione, le strutture tecnico-funzionali dell’azienda sanitaria. Rispetto all’articolazione della rete ospedaliera, che non rientra tra gli obiettivi di questa analisi, merita comunque un appunto la situazione della Regione Puglia che con il Piano di rientro 2010-2012 sta vivendo un momento di intenso mutamento del quadro dell’assistenza regionale. La disattivazione di una serie di stabilimenti ospedalieri (ben 20 quelli disattivati nel 2011) sta conducendo ad una riqualificazione delle attività territoriali, che giocoforza coinvolge in pri- ma battuta tutta l’area distrettuale, chiamata a ridisegnare l’offerta dei servizi locali. Ovviamente coinvolti in tutto ciò sono in primis i pazienti ed utenti del servizio, senza però dimenticare anche le risorse umane, con il passaggio del personale ai servizi territoriali.

Particolare, rispetto a tutto il panorama nazionale, è inoltre l’istituzio- ne delle Società della salute (sds) nella Regione Toscana, la cui finalità è quella di riunire, in un’organizzazione dotata di personalità giuridica propria (nella forma dei consorzi pubblici di funzioni tra ausl ed enti locali.), quelle che sono le competenze di enti locali ed aziende sanitarie, superando la frammentazione tra attività sanitarie e sociali e favoren- done l’integrazione. La Legge Regionale n. 60/2008 specifica all’art. 71

bis le funzioni assegnate alle sds relativamente a «c) organizzazione e

gestione delle attività socio-sanitarie ad alta integrazione sanitaria e del- le altre prestazioni sanitarie a rilevanza sociale; d) organizzazione e ge-

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86 Menegazzi stione delle attività di assistenza sociale». Nonostante tale prescrizione normativa, le concrete modalità di realizzazione di queste funzioni han- no assunto connotazioni specifiche nei diversi territori. La costituzione delle Società della salute è su base volontaria, anche se l’orientamento culturale è fortemente proteso verso la creazione delle stesse.

Sul fronte del modello istituzionale regionalmente adottato rispetto alla scelta di operare una separazione tra azienda sanitaria e azienda ospedaliera, giova ricordare quanto messo in luce da una ricerca con- dotta dal Formez (2007) che distingue 3 modelli principali (integrato, separato, misto) a seconda dei rapporti tra la rete ospedaliera pubblica e la presenza di altre strutture pubbliche separate (come, ad esempio, gli ircss ed i policlinici universitari), e le strutture private equiparate alle pubbliche. Guardando alla ripartizione dei posti-letto a gestione diretta delle asl, vengono identificate quattro tipologie di modelli istituzionali: - integrato, dove la percentuale di posti-letto a gestione diretta

delle asl è superiore al 66%. Rientra qui la Regione Veneto; - misto-quasi integrato, dove la percentuale di posti-letto a gestione

diretta delle asl è compresa tra 40-66%. Le regioni Emilia Roma- gna, Toscana e Puglia rientrano in questo modello;

- misto-quasi separato, dove la percentuale di posti-letto a gestione

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