Carmine Clemente
1. Il distretto e l’integrazione dei servizi nel welfare sociosanitario
Il cambiamento e la messa in discussione del welfare e dei modelli di welfare (Bertin 2012a) stanno ridisegnando sia il principio di cittadinan- za sia quello di sussidiarietà. Per quest’ultimo si continua a dibattere (Donati 2011) per far sì che alcune funzioni dello Stato possano essere assunte in carico dagli enti locali ed altre possano essere attuate attra- verso l’interazione orizzontale delle diverse componenti della società: il mercato, l’associazionismo, il Terzo settore dei servizi più prossimi al cittadino.
Con la legge n. 328/2000 e la riforma del Titolo v della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001) si attua il riconoscimento del principio di sussidiarietà nella sua dimensione sia verticale sia orizzontale. La dimensione verticale sconta in questo periodo di crisi economica, ampia e diffusa, la costante riduzione dei finanziamenti statali.
Per quanto riguarda, invece, l’attuazione della sussidiarietà orizzon- tale, questa non prescinde dal confronto tra idee contrapposte che si sono formate sulle relazioni da instaurarsi tra pubblico e privato, tenen- do conto di quanto sancito dall’art. 118 della Costituzione, che favori- sce (Rizza 2002) la partecipazione dei cittadini al processo decisionale dell’amministrazione.
I sistemi sanitari regionali, nel quadro delle politiche di welfare e di welfare sociosanitario, sono chiamati a muoversi entro due direzioni ben precise: l’incremento di efficienza e l’ottimizzazione dell’impiego delle risorse sanitarie, rendendo più efficaci i percorsi di cura, attraverso una miglior gestione dei flussi informativi e l’introduzione di modelli operativi innovativi, capaci di superare le tradizionali logiche di verti- calizzazione autarchica che caratterizzano in gran parte l’operato delle diverse strutture che operano all’interno del sistema sanitario nello scenario attuale; lo spostamento progressivo del baricentro del Sistema
Le forme organizzative dei distretti nella sanità territoriale 119 sanitario verso un modello di assistenza articolato sul territorio e sulla prossimità al cittadino, in grado di costituire un’alternativa efficace all’ospedalizzazione per la gestione delle cure primarie.
Il punto nevralgico di questo nuovo modello di assistenza è costituito dal Distretto sociosanitario (dss) quale tassello fondamentale nell’archi- tettura dei sistemi sanitari regionali e dei relativi modelli di welfare locale.
Il Distretto sociosanitario costituisce, come si vedrà più avanti, il luo- go privilegiato dell’integrazione socio-sanitaria, rappresenta il contesto territoriale dove si realizza il pat (Piano delle attività territoriali) e sono assicurati i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e sociosanitarie.
La citata legge quadro n. 328/2000 «Legge quadro per la realizzazio- ne del sistema integrato di interventi e servizi sociali» segna indubbia- mente una svolta fondamentale per l’integrazione dei sistemi sanitari e sociali assicurando alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuovendo (Maggian 2001) interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza.
La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di inter- venti e servizi sociosanitari (Bissolo, Fazzi 2005) compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato e risponde ai seguenti principi: sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, coper- tura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’ammini- strazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali.
La legge di riforma costituzionale n. 3/2001 ha modificato il criterio di ripartizione dei poteri e delle competenze tra i diversi livelli territo- riali di governo ed ha ulteriormente potenziato il ruolo centrale della regione, che assume la competenza legislativa in materia sociosanitaria, fatte salve le materie attribuite alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, co. 2) e quelle rientranti nella legislazione concorrente (art. 117, co. 3).
Il nuovo assetto di tripartizione legislativo delle competenze attri- buisce la titolarità dello Stato della competenza esclusiva per la de- terminazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, co. 2, lett. m); la titolarità legislativa concorrente delle regioni in materia di tutela della salute e dello Stato nella determinazione dei principi fondamentali; la titolarità legislativa esclusiva delle regioni in materia di sistema degli interventi e dei servizi sociali. Quindi, per le politiche sanitarie (tutela della salute) la competenza è concorrente tra Stato e Regioni, mentre per le politiche sociali la competenza è esclusiva delle Regioni, ma con la competenza esclusiva dello Stato per la deter-
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120 Clemente minazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Non bisogna dimenticare, infatti, che a partire dalla citata riforma del Titolo v della Costituzione le Regioni italiane hanno potuto decidere e legife- rare autonomamente sui propri diversi modelli di attuazione dei servizi sociosanitari in particolare, e dei sistemi di welfare più in generale. Di conseguenza, la definizione e le scelte sul distretto e sull’assistenza primaria spettano alle regioni che possono individuare specifici modelli organizzativi dei servizi sanitari e sociosanitari, all’uopo rispettando le prescrizioni nazionali e garantendo ai cittadini le prestazioni sanitarie e sociosanitarie rientranti nei livelli essenziali di assistenza (lea).
La ricerca continua e problematica di modelli organizzativi capaci di rispondere alla crescente e differenziata domanda di cure e di salute costituisce un grande e complesso tema sociale che comprende alcuni aspetti di specifico interesse, come l’apparato teorico dell’evoluzione del concetto di salute e le attuali trasformazioni dei sistemi sociali e dei modelli organizzativi dei servizi socio-sanitari (Clemente 2010).
Questo riconoscimento della necessità di sviluppare forme di part-
nership tra azienda sanitaria, distretti sociosanitari e comuni, porta
con sé il bisogno di potenziare anche i livelli attraverso i quali ha luogo l’integrazione sociosanitaria: il livello istituzionale che consente di de- finire i patti per la salute tra i diversi responsabili della stessa; il livello gestionale che garantisce l’adozione di modelli organizzativi coerenti; il livello professionale che permette di armonizzare le competenze dei professionisti chiamati in causa nella realizzazione degli obiettivi di salute comuni.
In questa logica, l’integrazione tra sanitario e sociale sembra ispi- rarsi a una filosofia di fondo che vede il superamento del dualismo, a livello istituzionale, gestionale e professionale, tra servizi sociali, di competenza degli enti locali, e servizi sanitari, di competenza del Sistema sanitario nazionale.
D’altro canto, la necessità di contenere la spesa pubblica in sanità ha innescato azioni di riduzione degli interventi (welfare) e delle risor- se finanziarie. In concreto, la fase di ristrutturazione del welfare nei principali paesi industrializzati (Ferrera 2007) ha prodotto iniziative di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica in sanità, l’incen- tivazione alla nascita di mercati interni alla sanità pubblica, all’interno dei quali si presentava una offerta in grado di soddisfare la domanda di salute, la fissazione di tetti di spesa e bilanci definiti, la riorganizzazione delle strutture e del personale, i controlli sulle tecnologie e sui prezzi (soprattutto quelli dei farmaci), i controlli sul comportamento prescrit- tivo dei medici.
Le forme organizzative dei distretti nella sanità territoriale 121 Negli Stati Uniti intorno agli anni Ottanta sono state effettuate delle sperimentazioni in questo ambito, con la creazione di centri di servizio in grado di attirare pazienti con offerte vantaggiose: un esempio è rap- presentato dalla hmo (Health Maintenance Organization). Nel decennio successivo anche in Inghilterra, su iniziativa del governo conservatore della Thatcher, si è cercato di riformare il nhs (National Health System) per creare, sull’onda del neoliberismo economico, anche all’interno della sanità pubblica, un vero e proprio mercato frequentato da produtto- ri e consumatori. In questo periodo nasce un nuovo sistema che non mancherà di contagiare altri paesi dell’Unione Europea, primo tra tutti l’Italia. La nuova proposta organizzativa inglese si avvale di strutture amministrative decentrate chiamate appunto District Health Authorities, guidate da una figura manageriale che, utilizzando opportune risorse finanziarie, acquista servizi, sia dagli ospedali pubblici che dai privati, i quali concorrono tra loro, cercando di contemperare costi ed efficacia, secondo i principi economici. Nello stesso tempo sul fronte della medici- na di base i medici sono spinti ad associarsi tra loro e a gestire un certo budget, con il quale acquistare sul mercato sanitario prestazioni per i propri assistiti: visite specialistiche, assistenza ospedaliera ecc.
All’interno di questa riforma si consente anche che gli ospedali pubbli- ci possano gestirsi autonomamente. In Italia la riforma varata nel 1992 (d.lgs. 502/1992) si inserisce in uno scenario internazionale neoliberista, per cui il Governo centrale continua a finanziare regioni e usl rette da manager. Sull’esempio inglese i nostri grandi ospedali sono stati scorpo- rati dalle asl e con ampi margini di gestione si inseriscono in un nuovo mercato della sanità, all’interno del quale compaiono privati fornitori di servizi accreditati.
Ma se da un lato questi interventi hanno cercato di frenare la spesa pubblica in sanità, nello stesso tempo è sorta un’altra domanda, che ve- de la sua origine nell’invecchiamento della popolazione e nell’aumento dell’autoinsufficienza, a discapito di una rete di protezione familiare indebolita (Ardigò 2006).
Si è passati, dunque, da uno Stato che forniva servizi ad uno in cui è necessario occuparsi dei destinatari, perché sono cambiate le condizioni economiche, culturali, ma anche gli strumenti tecnologici che forniscono informazioni sempre più capillari e critiche. Sarà indispensabile perciò che i servizi di welfare, e tra questi quello della salute, vengano perso- nalizzati dando più potere agli utenti.
Alcuni autori come Zuboff e Maxim (2002, p. 25) sostengono comun- que che la personalizzazione dei servizi non necessariamente coincide con la privatizzazione, ma risponde ad una necessità che è inerente all’attuale trasformazione socio-culturale in atto. Pertanto, bisogna te-
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122 Clemente ner conto che «la gente è cambiata più di quanto non siano cambiate le organizzazioni dalle quali dipende […] le persone concepiscono sé stesse innanzitutto come individui e condividono un desiderio di autodetermi- nazione psicologica».
Accade perciò che le persone, i cittadini consapevoli di essere diven- tati attori protagonisti, non accettino più di essere strumentalizzati o manipolati, ma pretendano di essere ascoltati per poter meglio fruire dei servizi. A questi nuovi comportamenti degli attori sociali si deve aggiungere un altro aspetto che ha a che vedere con la libertà di scelta dell’utente che comporta, secondo Giddens (2007), un miglioramento dell’efficienza e un cospicuo contenimento dei costi.
Il distretto sociosanitario (dss) costituisce un tassello fondamentale nell’architettura dei Sistemi sanitari regionali, indubbiamente ne carat- terizza i relativi sistemi di welfare ed è il livello organizzativo (relativa- mente ai servizi sanitari e sociosanitari) di maggiore prossimità a ga- ranzia del principio di cittadinanza (di un individuo titolare di diritti ma anche responsabile verso gli altri) e del principio di sussidiarietà (con la partecipazione anche delle diverse componenti della società: il mercato, l’associazionismo, il Terzo settore dei servizi più prossimi al cittadino).
Nei paragrafi che seguono saranno presentati i risultati, di una parte della ricerca, relativamente ai distretti (sociosanitari) delle Regioni ita- liane Emilia Romagna, Lombardia, Puglia, Toscana e Veneto. L’analisi che è stata condotta tiene conto, in particolare, delle caratteristiche strut- turali e organizzative, delle attività di programmazione e delle relative connessioni soprattutto con gli ambiti sociali (pdz) e soggetti istituzionali e non coinvolti nel processo, del «governo» del Distretto in riferimento agli attori e risorse e, infine, della gestione operativa in riferimento alle attività distrettuali e strumenti utilizzati, in modo più o meno analogo nelle diverse realtà regionali.
2. Cornice normativa e funzionale del distretto
Si tratta di un processo che prende avvio negli anni Novanta, prima con iniziative regionali per sperimentazioni locali1 di servizi territoriali
e poi a livello normativo con il psn 1998-2000, che costituisce un primo input alla «svolta distrettuale», individuando il distretto quale «centro 1. Legge n. 833/78, art. 10: «Sulla base dei criteri stabiliti con legge regionale, i Comuni, singoli o associati, o le Comunità montane articolano le unità sanitarie locali in distretti sanitari di base, quali strutture tecnico-funzionali per l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento».
Le forme organizzative dei distretti nella sanità territoriale 123 di servizi e prestazioni, dove la domanda di salute è affrontata in modo unitario e globale». A livello di distretto, il medico di medicina generale (mmg) e il pediatra di libera scelta (pls) sono riferimenti immediati e diretti per le persone e le famiglie.
Con il d.lgs. n. 229/1999, la cosiddetta «Riforma Ter» del sistema sa- nitario, si fa riferimento anche alle dimensioni territoriali, prevedendo che nei distretti sia garantita una popolazione di almeno sessantamila abitanti (salvo che la regione, in considerazione delle caratteristiche geomorfologiche del territorio o della bassa densità della popolazione residente, disponga diversamente) demandando:
- alla legge regionale la disciplina sull’articolazione in distretti dell’unità sanitaria locale;
- al direttore generale, nell’ambito dell’atto aziendale, la concreta individuazione dei distretti.
Circa le caratteristiche del Distretto, il d.lgs. n. 229/1999 prevede che: - nel distretto sono assicurati i servizi di assistenza primaria re- lativi alle attività sanitarie e socio sanitarie ed il coordinamento delle attività distrettuali con quelle dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i presidi ospedalieri;
- il distretto deve disporre di risorse definite in rapporto agli obiet- tivi di salute della popolazione di riferimento;
- il distretto è dotato di autonomia economico-finanziaria e tecni- co-gestionale ed economico-finanziaria con contabilità separata nell’ambito del bilancio della unità sanitaria locale.
Per ciò che attiene le funzioni del distretto, il d.lgs. n. 229/1999 pre- vede che le regioni disciplinino l’organizzazione del distretto in modo da garantire:
- l’assistenza primaria ivi compresa la continuità assistenziale at- traverso il coordinamento e l’approccio multidisciplinare, tra i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, la guardia medica e i presidi specialistici ambulatoriali;
- il coordinamento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con le strutture operative a gestione diretta, or- ganizzate in base al modello dipartimentale, i servizi specialistici ambulatoriali e le strutture ospedaliere ed extraospedaliere ac- creditate;
- l’erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale conno- tate da specifica ed elevata integrazione e le prestazioni sociali di rilevanza sanitaria, in caso di delega da parte dei comuni.
Nel decreto legislativo è anche previsto che i distretti garantiscano: - assistenza specialistica ambulatoriale;
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124 Clemente - attività o servizi consultoriali per la tutela della salute dell’infan-
zia, della donna e della famiglia; - attività o servizi per disabili ed anziani;
- attività o servizi di assistenza domiciliare integrata;
- attività o servizi per le patologie da hiv e per le patologie in fase terminale.
Il decreto prevede, infine, che trovano collocazione funzionale nel di- stretto le articolazioni organizzative del dipartimento di salute mentale e del dipartimento di prevenzione, con particolare riguardo ai servizi alla persona. In tal modo, pur riconoscendo al dipartimento di salute mentale la propria specifica e autonoma connotazione, vengono coordinate in ambito distrettuale tutte le attività qualificate prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria, caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria comprese nei livelli di assistenza e, quindi, finanziate a carico del servizio sanitario regionale (art. 3 septies).
Nell’ambito del distretto dovranno essere organizzate anche le pre- stazioni sociali a rilevanza sanitaria i cui oneri sono a carico dei comuni: - mediante gestione diretta da parte del distretto, nel caso di delega
da parte dei comuni all’azienda usl (art. 3 quinquies, co. 1, lett. c); - mediante forme di integrazione, la cui definizione è demandata
alla regione, nel caso i comuni ne mantengano la gestione (art. 3
septies, co. 8).
Per assicurare la corrispondenza dei servizi e delle prestazioni ero- gate in ambito distrettuale ai bisogni di salute del territorio, il decreto legislativo prevede l’istituzione di un comitato in cui sono rappresentate le comunità locali e più precisamente: il Comitato dei sindaci dei comuni compresi nel distretto, nel caso di distretti pluricomunali, e il Comitato dei presidenti di circoscrizione nel caso di comuni coincidenti con il ter- ritorio della usl ovvero comprendenti più Unità sanitarie locali.
Il Comitato partecipa alla programmazione distrettuale esprimendo un proprio parere e concorre alla verifica del raggiungimento dei relativi risultati di salute.
A capo del distretto è preposto un direttore, nominato dal Direttore generale.
Il decreto legislativo, pur prevedendo una espressa riserva di legge per quanto riguarda la normativa da emanarsi da parte delle regio- ni in materia di programmazione territoriale, di attività dei distretti e di conferimento dell’incarico di direttore, prevede la possibilità per le aziende unità sanitarie locali di operare autonomamente, nel rispetto dei principi stabiliti dal decreto legislativo stesso, in assenza di disposizioni regionali.
Le forme organizzative dei distretti nella sanità territoriale 125 In base alla nuova normativa:
- sono individuate in ambito aziendale tre macrostrutture di base: il distretto, il presidio ospedaliero e il dipartimento di prevenzione, dotate tutte e tre di autonomia tecnico-gestionale ed economico finanziaria, soggette a rendicontazione analitica con contabilità separata all’interno del bilancio aziendale. Nello specifico, il pre- sidio ospedaliero e il dipartimento di prevenzione sono qualificati «Strutture complesse«»; il distretto, il cui limite minimo nelle
zone non urbane è portato a 60.000 abitanti, è definito «artico- lazione organizzativa e funzionale dell’azienda» cui continua ad essere affidata la gestione delle strutture e dei servizi ubicati nel territorio di competenza e destinati all’assistenza sanitaria di base e specialistica di primo livello nonché l’organizzazione e l’accesso dei cittadini ad altre strutture e presidi;
- le strutture operative complesse in cui si articola l’azienda sono i dipartimenti e le unità operative: i primi, di livello aziendale, distrettuale o di presidio ospedaliero sono dotati di autonomia tecnico professionale e di autonomia gestionale nei limiti degli obiettivi e delle risorse attribuiti e sono preposti alla produzione ed alla erogazione ed alla erogazione di prestazioni e servizi, non- ché all’erogazione e gestione delle risorse assegnate;
- viene sottolineato che nell’atto aziendale venga esplicitata la di- stinzione tra le funzioni di committenza (quali servizi, per quali bisogni) e le funzioni di produzione (erogazione dei servizi); - le funzioni di committenza sono esercitate dall’alta direzione azien-
dale e dai direttori di distretto, mentre la responsabilità della pro- duzione riconducibile alle attività distrettuali viene esercitata dal direttore del Dipartimento delle cure primarie e per gli aspetti re- lativi all’integrazione e al coordinamento dal singolo direttore di distretto. Circa il coinvolgimento dei medici di medicina generale nelle attività distrettuali, sul piano normativo, sia nel d.lgs. n. 229/1999 sia nell’Accordo collettivo nazionale di lavoro 1998-2000, che ne recepisce le indicazioni, viene fortemente accentuata la loro integrazione nell’ambito delle attività delle aziende sanitarie e dei distretti in particolare, sottolineando la duplice funzione assegnata ai medici stessi: di produzione, quali diretti erogatori di prestazioni; di committenza, quali ordinatori e programmatori delle prestazioni rese da altri soggetti, in funzione dell’esigenza di operare un’azione di filtro della domanda e di realizzare l’in- tegrazione e il coordinamento degli interventi in una visione di risposta globale ai bisogni di salute della persona. In tal senso: - viene promosso e incentivato lo sviluppo dell’associazionismo
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126 Clemente medico in funzione della continuità assistenziale da realizzare at- traverso il coordinamento operativo e l’integrazione professionale (art. 8, co. 1, lett. e, i ed l del decreto, e artt. 40 e 71 dell’accordo); - è previsto l’inserimento dei medici di medicina generale sia nei
programmi di attività del distretto sia nella partecipazione alla loro definizione e verifica (art. 8, co. 1, lett. f e g del decreto e, in particolare, art. 14 e capi iv e vi dell’accordo);
- la sperimentazione di équipe territoriali, intese come organismi distrettuali, per lo svolgimento delle attività e l’erogazione delle prestazioni previste dal Programma delle attività distrettuali, per realizzare l’interdisciplinarietà e l’integrazione soprattutto nelle attività ad alta integrazione socio-sanitaria (art. 15 dell’accordo); - l’inserimento nell’ufficio di coordinamento del distretto di un me-
dico di medicina generale quale membro di diritto (art. 3 sexies, co. 2, del decreto e art. 14, co. 4, dell’accordo);
- l’applicazione anche ai medici di medicina generale del sistema di formazione continua basato sui crediti formativi (art. 16 bis del decreto e art. 8 dell’accordo) che privilegia i programmi formativi correlati al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Nella stessa fonte normativa troviamo il riferimento al dss inteso come territorio politico-amministrativo con caratteristiche socio-demogra- fiche omogenee, e che costituisce la sede concreta per l’integrazione dei servizi sociosanitari, orientata e partecipata da tutti gli attori della comunità: asl, comuni, società civile.
Nell’arco temporale successivo2 si ha la svolta territoriale distrettuale