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figure di snodo nel passaggio alla diffusione dei testi.

Il trattamento dell’opera senecana all’interno degli Ammaestramenti ci rimanda quindi davvero un’immagine di Bartolomeo come mediatore cultu- rale: ruolo di responsabilità che il compilator, l’actor delle raccolte di sen- tenze si riconosce nell’atto stesso della selezione del materiale e con il quale si determina chi e cosa è da considerare auctoritas.

2.3

Perché e per chi auto-tradursi?

Nonostante appaia chiaro, dalla sua fervente attività di compilatore e auto- re, l’impatto del ruolo di Bartolomeo all’interno dell’Ordine dei Predicatori, risulta difficile dedurre la programmaticità delle sue scelte e riordinare le coordinate del suo progetto culturale, essendo egli ben poco incline a rila- sciare dichiarazioni esplicite nei suoi scritti. Le difficoltà si aggravano in assenza di edizioni criticamente affidabili delle sue opere più importanti, co- me la Summa de casibus e i volgarizzamenti sallustiani. Risulta complessa, inoltre, la ricostruzione del quadro a partire dal profilo biografico dell’autore, giacché esso appare sfocato soprattutto nei punti riguardanti il suo rapporto con la politica pisana e fiorentina, a causa della scarsità di materiale finora reperito negli archivi. Eppure, la testimonianza letteraria lasciata da questo autore è di importanza cruciale per le acquisizioni nel campo del volgariz- zare, sia da un punto di vista linguistico che concettuale, nel periodo-chiave a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. Una riflessione sulle consapevoli scel- te traduttive, spesso in controtendenza rispetto ai volgarizzatori coevi, sarà riservata al prossimo capitolo, mentre questo paragrafo si concentrerà piut- tosto sulle ragioni e le conseguenze della scelta di bilinguismo, di cui gli Ammaestramenti sono una delle precoci attestazioni, apripista per la com- posizione in volgare nell’Ordine domenicano. Per indagare tali questioni di natura storico-culturale, intuire il programma dell’autore e il ruolo assegnato alla sua produzione, bisognerà far affidamento sugli strumenti della filologia e dell’analisi critica senza prescindere da un inquadramento storico-letterario della realizzazione e circolazione del testo.

114 IL LIBRO DEGLI AMMAESTRAMENTI DEGLI ANTICHI

Concepire un testo bilingue La struttura testuale rivela l’intento pe-

dagogico che l’autore assegna alla sua compilazione, e, benché egli scelga di mantenere l’uso dotto di strumenti scolastici (come la distinzione, l’esegesi, il procedimento deduttivo) risulta chiara l’esigenza di adattarli a un materiale più moderno, riferito esplicitamente a contenuti relativi a una società contem- poranea. Le allusioni alle dinamiche proprie della vita comunale (economia, politica, forme di governo) e al contempo l’inserimento di elementi dotti si conciliano all’interno del panorama culturale tipico del frate predicatore, che assume il ruolo di mediatore del sapere, controllando l’interpretazione e sug- gerendo l’applicazione pratica dei precetti morali. Ma il dato determinante per comprendere più a fondo le implicazioni di tali scelte sta nella conce- zione bilingue del compendio di Bartolomeo. L’auto-traduzione si inserisce in un contesto di produzione intellettuale domenicana prevalentemente in- dirizzata al supporto della liturgia, dell’insegnamento e della predicazione: una letteratura di servizio, corredata di pochi elementi di originalità rispetto

alle componenti dottrinali e scolastiche 92. Al contempo si inserisce anche

nel contesto storico fiorentino, di grande fermento politico, in cui l’uso del volgare diviene uno strumento civile di opposizione nei confronti di una ege- monia latina, e allo stesso tempo un mezzo di «apertura culturale verso il

basso», per consentire la formazione della nuova classe dirigente 93. Se il

Liber de Documentis antiquorum in latino prevede ancora un pubblico di addetti ai lavori (in particolare i frati che preparano i sermoni), la scelta di tradurlo testimonia l’intenzione di fuoriuscire dalla dimensione conventuale e di proporre l’assunzione di un nuovo mezzo comunicativo per mettere in atto la mansione domenicana di creare una relazione tra popolo e potere

ecclesiastico94. All’interno di tale relazione, però, i domenicani pretendono

92

Già Antonelli 1982 la definisce «essenzialmente scolastica (non solo filosofica) e professionale», «latamente politica ma solo raramente letteraria», p. 700.

93

Questa l’interpretazione sottesa al libro di Witt 2000, e fatta propria da Artifoni 2016, a partire dalla quale A. Montefusco introduce il convegno Toscana bilingue (1260- 1430): per una storia sociale del tradurre medievale (Venezia 8-10 novembre 2018) di cui sono in c.d.s. gli Atti, e verso cui porta il lavoro congiunto di Bischetti-Montefusco 2018.

94

Sulle origini e le caratteristiche dell’Ordine dei Predicaotri si veda Bériou-Hodel 2006. Per le condizioni in cui nasce l’Ordine domenicano e per la funzione assegnata ai frati di rappresentare i nuovi «interlocutori politici» della Chiesa, si veda ancora Antonelli 1982, pp. 697 sgg. e Coletti 1983.

2.3. Perché e per chi auto-tradursi? 115 di imporsi come auctoritates e infondere dall’alto un sapere già sottoposto al vaglio del magister, ruolo che Bartolomeo interpreta in maniera partico- larmente meditata nell’allestimento della raccolta. L’azione compiuta con l’auto-traduzione, e con i volgarizzamenti sallustiani, è quella di riappro- priarsi di una responsabilità della formazione intellettuale di coloro che sono ormai i nuovi protagonisti della politica comunale. La scelta non può non essere confrontata con il programma di divulgazione messo in atto dai due notai fiorentini, Bono Giamboni e Brunetto Latini, un programma aperto e orizzontale, che mira alla formazione dei laici in senso sia politico che etico. Nel suo tentativo di «forgiare una prosa d’arte adattabile a un contesto in-

sieme narrativo, didattico e eloquente»95, Bono redige in volgare un trattato

morale che inscena la battaglia tra vizi e virtù, caricando il discorso edificante degli intenti progressisti del guelfismo bianco del tutto privo degli elementi della dottrina scolastica e rappresentato dalla supremazia della Filosofia sul-

la schiera delle sette Virtù96. Brunetto, inserendo nel Trésor una riscrittura

in volgare del Liber di Albertano, rifunzionalizza gli strumenti del dictamen

«trascolorandolo in un sapere retorico più ampio, moralizzato e aperto»97.

Negli Ammaestramenti, d’altra parte, gli strumenti dottrinali sono il mezzo più efficace per attrarre il tema politico all’interno di un discorso morale, cam- po dominato prevalentemente dal sapere e dal potere ecclesiastico, attraverso

cui l’Ordine dei Predicatori esercita il controllo sociale98.

In una Firenze libera dalla presenza di un’Università e dal suo accentra- mento intellettuale, nemmeno l’inserimento sociale degli Ordini Mendicanti si rivela così incisivo, e il ruolo educativo e politico esercitato dai frati rimane sullo sfondo fino ai primi decenni del XIV secolo. Bartolomeo si inserisce con i suoi volgarizzamenti in un momento cruciale di transizione e di presa di posizione da parte dell’Ordine. Ma non bisogna dimenticare che l’iniziativa di Bartolomeo deriva da un’esperienza del tutto diversa da quella del comu-

95

Giamboni, Libro (ed. 1968), introduzione, pp. XXVII-XVIII. 96

Per l’analisi dell’allegoria in Bono si veda Bartuschat 1995, 1997. 97

Bischetti-Montefusco 2018, p. 191.

98Le opere di Albertano e Bono Giamboni subiranno, poi, nel corso del Quattrocento

un processo di trasformazione del pubblico e saranno riconnotate in senso morale più che civile. L’argomento è ampiamente affrontato, per il caso di Albertano, nello studio di Tanzini 2012. Un caso particolare di rifunzionalizzazione del De Miseria humanae conditionis di Bono Giamboni è analizzato in un mio contributo Conte 2018.

116 IL LIBRO DEGLI AMMAESTRAMENTI DEGLI ANTICHI ne fiorentino: nella nativa Pisa, infatti, ha potuto formarsi in un convento che esercitava un’influenza fondamentale in città, e proponeva un progetto allineato agli interessi del potere egemonico dell’arcivescovado di Federico

Visconti (1253-1277)99. Se bisognerà aspettare il ritorno dello stesso Bar-

tolomeo presso il suo convento d’origine per vedere i risultati di un vero e proprio programma intellettuale di volgarizzamento (sull’argomento si torne- rà a breve) d’altra parte già dagli anni ’70 del Duecento il convento di Santa Caterina ha elaborato un sorvegliato sistema di diffusione di testi dottrina- ri, morali ma anche didattico-cortesi. L’allestimento dei volgarizzamenti e dell’auto-traduzione di Bartolomeo nasce significativamente nel quadro poli- tico fiorentino, ma forte del bagaglio dell’esperienza pisana.

Nella concezione bilingue di Documenta e Ammaestramenti si manifesta l’espressione della differenza diastratica assegnata alla lingua in una società

che si muove tra bilinguismo e diglossia100. Un operatore culturale bilingue

che domina trasversalmente i livelli del sapere di latino e volgare separa il pro- prio pubblico sulla base della lingua: le due versioni del libro sono concepite senza considerare altre differenze se non il veicolo linguistico. Sembra inte- ressante notare che le caratteristiche codicologiche della tradizione riflettono e comprovano il quadro socio-culturale appena delineato.

Benché la tradizione manoscritta non permetta di avere un’idea della cir- colazione immediata del testo, possiamo comunque intuire l’andamento della doppia ricezione dell’opera in ambienti separati, con caratteristiche e fun- zioni diverse: il testo latino è prodotto prevalentemente in ambienti religiosi usato come strumento di servizio soprattutto da chierici che lo annotano e

99

Per l’inquadramento generale della storia di Pisa nel Duecento: Poloni 2004, Bat- taglia Ricci-Cigni 2005. Si può leggere inoltre l’edizione critica delle prediche a cura di Bériou-Le Masne de Chermont 2001.

100I riadattamenti non del tutto ortodossi delle nozioni di bilinguismo (competenza atti-

va in due lingue simultaneamente) e diglossia (compresenza di due lingue in una comunità, ma con funzionalità differenti a livello diastratico) applicate alla società comunale del XIII e XIV secolo appaiono funzionali alla descrizione della differenza di competenza linguistica della società. Il bilinguismo si addice agli autori e ai colti, per cui non c’è differenza dia- stratica nell’uso di latino e volgare, mentre la diglossia è propria dell’ambiente di ricezione a cui si indirizza la produzione culturale, per cui esiste una differenza di livello per le varietà del linguaggio (Fishman 1965, 1967, 1975). Le stesse nozioni emergono, come polarizzate, nei lavori di Bologna 1992, p. 768 e Delcorno 1995, p. 22.

2.3. Perché e per chi auto-tradursi? 117 lo studiano (forse in funzione della predicazione). Il testo volgare invece si separa nettamente in due ambienti diversi di ricezione: il primo religioso, e il secondo laico. La tradizione latina, composta da 14 manoscritti, è formata da codici di formato piccolo (inferiore ai i 240 × 160 mm), redatti prevalen- temente in littera texualis all’interno di ambienti religiosi; i codici presentano in molti casi segni di lettura nei marigini, come glosse, appunti e integrazioni al testo. La tradizione volgare, significativamente più ampia di quella latina (29 testimoni) è formata da codici di formato medio-grande (superiore a 250 × 190), tra cui quelli redatti in ambiente conventuale mantengono le carat- teristiche del libro gotico anche nel periodo di massima diffusione del libro

umanistico101; d’altra parte è attestata anche una consistente circolazione in

mercantesca, che testimonia una lettura laica del testo copiato per uso perso- nale da “copisti per passione”. Tra i codici volgari non si riscontrano annota- zioni marginali relative alla lettura o al reimpiego del testo; ma la fattura dei codici, ordinati ed eleganti e in alcuni casi riccamente miniati, testimoniano un uso del libro prevalentemente per la lettura personale e l’edificazione. Le caratteristiche codicologiche e paleografiche, dunque, confermano una rice- zione attiva del testo latino, che viene commentato e integrato, e una passiva del testo volgare, immobilizzato dall’eleganza dell’impaginazione e percepito

come compiuto102.

Una situazione diversa è quella fotografata dalla tradizione del Catilinario e Giugurtino di Sallustio: soprattutto in scrittura mercantesca, la circolazio- ne del testo registra i segnali di un’appropriazione da parte di una cultura laica fiorentina, al momento immediatamente successivo alla stesura del vol- garizzamento. Già nel 1313, ad esempio, troviamo le traduzioni sallustiane inserite in un codice (l’Hamilton 67 della Staatsbibliothek zu Berlin) di ele-

vata fattura, approntato in mercantesca da Lapo di Neri Corsini103, in cui il

Catilinario è contaminato con una versione dei Fatti di Cesare e non si fa alcun riferimento a Bartolomeo da San Concordio. L’esempio, non del tutto

isolato104, (per quanto non ancora soppesato da una sistematizzazione stem-

101

Pellegrini 1999.

102 Solo nel manoscritto F9 il testo è attestato in forma frammentaria.

103 Figlio del più noto Neri Corsini, priore insieme a Giano della Bella nel 1293, e

richiamato al governo nel 1313, nel momento della rinnovata ascesa dei ghibellini (cfr. Staccioli 1984).

118 IL LIBRO DEGLI AMMAESTRAMENTI DEGLI ANTICHI matica) è significativo per il contrasto con il quadro appena tracciato per gli Ammaestramenti : il genere letterario della storiografia ha una connotazione fortemente laica e politica, e nonostante le ricercatezze stilistiche e l’abito moraleggiante di cui Bartolomeo riveste la sua traduzione, la ricezione del- l’opera – in un contesto in cui i domenicani non hanno il pieno controllo della loro influenza – impedisce di dominare la verticalità del processo traduttivo,

che viene accolto e manipolato dal pubblico105. A questo proposito è ancora

più significativo notare che gli Ammaestramenti, per quanto si presentino con una tipologia testuale suscettibile di integrazioni e interpretazioni, siano per- cepiti a partire dagli anni ’40 come un prodotto dell’Ordine domenicano non modificabile, da cui non è mai omesso il nome del compilatore. A quest’al- tezza cronologica, l’accentramento dell’autorevolezza domenicana in campo filosofico è ufficializzato dalla canonizzazione di Tommaso d’Aquino (1323) e in particolare a Firenze, il convento di Santa Maria Novella è divenuto Stu- dium generale (1311) e gode di una posizione dominante in Toscana come nuovo centro di propulsione per una serie di iniziative in ambito culturale che sono finalizzate alla formazione morale del fedele cristiano. A partire dal 1338, Iacopo Passavanti, appena tornato da un soggiorno a Santa Caterina, è incaricato operaius a Santa Maria Novella, e impiega tutta la sua attenzione a un progetto di rinnovamento del convento, a partire dall’ampliamento della

biblioteca, fino alla concezione dell’affresco del Cappellone degli Spagnuoli106.

In questa stessa fase, Firenze diviene un nuovo bacino di diffusione per testi di natura esemplare e agiografica, che potrebbe essere anch’esso supervisio-

nato dall’autorevolezza dei domenicani107. Inoltre, il nome di Bartolomeo

tocca in questo periodo l’apice della sua fama: il frate ha appena conclu-

che tramandano il testo senza nome dell’autore ma solo con quello del dedicatario Nero Cambi, esponente di parte nera vicino a Geri Spini, dedicatario degli Ammaestramenti su cui si tornerà. http://tlion.sns.it/divo/index.php?type=opera&op=fetch&id= 1039&lang=it.

105

I fondamenti dell’analisi della ricezione della storiografia sono in Capitani 1988. La questione della ricezione della storiografia in ambito comunale è studiata da Zabbia 1998, e ben riassunta da Zaggia 2009, nell’introduzione all’edizione del volgarizzamento delle Heroides di Filippo Ceffi.

106Per la cronologia biografica e i dettagli dell’impegno di Passavanti a Firenze si veda

Macchiarelli c.d.s.

107 La questione è al centro delle ricerche condotte da me e Agnese Macchiarelli

2.3. Perché e per chi auto-tradursi? 119 so la sua opera dottrinale più importante, la Summa de casibus coscientiae, che conosce una tradizione manoscritta di 630 testimoni. L’allestimento di un ciclo iconografico che pone al centro la figura del magister domenicano come quello realizzato da Pacino da Bonaguida e dal Maestro delle Effigi Domenicane per gli Ammaestramenti è l’espressione dell’impatto crescente dell’Ordine sull’élite laica.

L’assenza di un manifesto Nel rintracciare i presupposti e gli esiti dell’o-

pera di Bartolomeo, non possiamo fare affidamento su dichiarazioni di inten- tio actoris esplicite: nel luogo ad esse deputato, il prologo, non incorrono i fondamentali ragionamenti, senz’altro retorici ma non di meno rappresentati- vi del carico concettuale e pragmatico assegnato alla composizione, che invece si presentano come una costante nelle opere precedenti e successive, latine e

volgari108. Se il prologo di Bartolomeo condivide con la maggioranza dei proe-

mi il motivo ricorrente dell’avviamento tramite la citazione di un’auctoritas e non rinuncia a illustrare la struttura dell’opera, d’altra parte le asserzioni più significative, anch’esse divenute topoi, di rivendicazione dell’opportunità che ha condotto alla stesura non trovano riscontro negli Ammaestramenti. Non sembrerebbe bastare come risposta, il fatto che Bartolomeo si riserva il ruolo di actor, e non di autor nella compilazione della raccolta: non si tratta infatti di dichiarazioni relative alla paternità intellettuale del contenuto dell’opera, quanto piuttosto di affermazioni operative, che rivendicano l’iniziativa cul- turale compiuta con l’allestimento della raccolta. Infatti, giustificazioni di questo tipo si trovano tanto nelle opere di letteratura originale, quanto in quelle compilative (tra cui l’esempio più illustre, a cui si è già accennato, è il Libellus apologeticus di Vincenzo di Beauvais in apertura dello Speculum historiale). Anche in questo caso, allora, il metodo che si offre come più adatto alla riflessione è il confronto sinottico tra le scelte di Bartolomeo e quelle degli autori coevi. Considerata la natura del nostro oggetto di analisi, la comparazione dovrà essere portata contemporaneamente su più piani: da un lato la composizione originale di testi latini e volgari e dall’altro i volgariz- zamenti. Lo statuto testuale dell’auto-traduzione prevede, difatti, un certo

108

Per l’importanza delle dichiarazioni proemiali nelle opere domenicane si veda Nadeau 1997; ma anche Polo de Beaulieu 2001. Per quanto riguarda invece i prologhi in generale, si veda il già citato studio di Minnis 1988. I prologhi del genere retorico, invece sono analizzati da Artifoni 2016; uno studio generale in Nieri-Vaccaro 2016.

120 IL LIBRO DEGLI AMMAESTRAMENTI DEGLI ANTICHI grado di compiutezza e autonomia riconosciuta a ognuna delle due forme, e tuttavia non permette di escludere una relazione generativa della forma volgare dalla latina. Come abbiamo già avuto modo di notare, caratteristica costitutiva di una composizione bilingue è quella di accogliere nella stessa operazione diverse possibilità di espressioni, solitamente precipue di una sola tipologia testuale; pertanto, si sono scelti i termini del confronto attingendo trasversalmente alle opere coeve, latine, volgari e volgarizzate, selezionando i motivi più ricorrenti delle dichiarazioni proemiali.

Si procede, dunque, a indagare l’assenza di un manifesto dall’opera di Bartolomeo e il suo peso nello sviluppo di una consapevolezza dell’uso della lingua volgare da parte dell’Ordine dei domenicani. Riprendiamo nuovamen- te il testo:

Sapientiam antiquorum exquiret sapiens. Ecclesiastici XXXIX.

Sì ccome dice Cassiodoro, lo senno humano, sed egli non è aiutato et restaurato per le cose trovate d’altrui, tosto puote mancare del suo propio. Imperò al savio s’appartiene ched e’ non sia contento di suo senno, ma studi diligientemente di cercare l’altrui. La qual cosa c’insegna chiaramente la scriptura di sopra proposta, che dice: «Sapientiam an- tiquorum exquiret sapiens». Come se apertamente dicesse che molto saviamente fa chi la sapientia degli antichi sollicitamente cerca. Ma perché la beata sapientia degli antichi inn uno piccolo libro non si potea tutta comprendere, almeno per parte – cioè alquanti loro amaestramenti – avemo curato di raccogliere in questa operetta, secondo il modo della nostra possibilità. E procederemo in questo ordine: che noi porremo imprima gl’amae- stramenti d’intorno alle cose che sono da natura, sì ccome sono le naturali dispositioni; apresso intorno a le cose che sono da nostra operatione, sì ccome sono virtudi et vitij; al di dietro diremo intorno a le cose che sono da ventura, sì ccome prosperità, aversità, et simile cose. Onde in questo libro sono quattro trattati: lo primo è delle naturali dispositioni, lo secondo di virtude, lo terço de’ viçii, lo quarto delle cose da ventura.

1. Utilitas. Un concetto manifestamente irrinunciabile nell’impostare la scrittura di un’opera in prosa, originale o in traduzione, è la rivendicazio- ne della sua utilitas. La ricorrenza del riferimento alla funzione pragmatica dell’operazione compositiva è stata più volte ravvisata come motore di av- viamento alla scrittura, condiviso dalla maggior parte delle opere in prosa redatte tra XIII e XIV secolo. L’esigenza di redigere un preambolo in cui an-

2.3. Perché e per chi auto-tradursi? 121 ticipare le finalità dell’opera e giustificarne la necessità nasce nel momento in cui si imposta la ridistribuzione del sapere con l’affermarsi degli studia con- ventuali e delle università, e si consolida in una pratica retorica che rivendica una presa di posizione all’interno del dibattito culturale che si evolve nel XIII

secolo109. Il termine utilitas non compare in apertura dell’auto-traduzione di

Bartolomeo, tuttavia è espressa implicitamente una considerazione dell’op-

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