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La gerarchia delle auctoritates La forte gerarchizzazione testuale degli

Ammaestramenti non riguarda solo la sua struttura, ma anche la materia proposta all’interno dei capitoli. Le citazioni selezionate per illustrare ogni argomento sono organizzate, infatti, secondo un ordine chiaro: ai primi posti si trovano le sentenze tratte dalle Sacre Scritture, accompagnate talvolta dai commentari, subito dopo sono citate le opere ecclesiastiche canoniche, dei Padri della Chiesa e dei teologi greci e romani, seguiti dagli autori classici, tra i quali Aristotele e Seneca ricoprono un ruolo privilegiato, chiudono la serie i versi poetici, le opere teatrali, i proverbi e i modi di dire. I capitoli all’interno dei quali trova spazio questa gerarchia, non sono però tutti del- la stessa ampiezza, e non presentano ognuno l’intera scala gerarchica delle auctoritates: alcuni capitoli non iniziano con la citazione biblica in apertura, altri non terminano con un verso poetico. Per ognuno dei temi trattati, varia anche la proporzione tra autori laici e religiosi, e si incontrano dei casi in

Vecchio 2000, pp. 225-258; Bolzoni 2009 e bibliografia ivi citata. 32

2.2. L’uso delle fonti 69 cui un capitolo riporta citazioni esclusivamente di un autore, o di una sola

opera33.

Il capitolo III.3 (“Che ssi conviene attendere gl’altrui assempri”) può esse- re un buon modello per osservare da vicino il tipo di classificazione proposto negli Ammaestramenti. L’apertura è tratta dal versetto 27 del capitolo 33 del Libro di Giobbe, accompagnato dal commento dei Moralia in Iob di Gregorio Magno:

1 Job: «Chi mirerà gl’uomini, riconoscerà lo suo peccato». Sopra la qual parola dice Gregorio: «Viva lectione è mirare la vita de’ buoni huomini».

Seguono due citazioni patristiche, una dalla quindicesima Homilia super Ezechielem di Gregorio Magno, e una dal I libro (par. 116) del De officiis mi- nistrorum di sant’Ambrogio. Si continua poi con una serie di autori classici: Terenzio, Cicerone e Seneca. Il capitolo si chiude, infine, con uno dei Pro- verbia philosophorum; e con il verso 13 del terzo libro dei Disticha Catonis. Infine, un intervento dell’autore segnala un rimando a un’altra distinzione in cui si affronta un argomento affine a quello dell’oggetto del capitolo, e cioè che gli esempi muovono più delle parole.

La gerarchia che organizza il testo è il principale strumento di comuni- cazione impiegato da Bartolomeo per proporre il materiale in modo asciutto e diretto. Come insegna il modello delle Sentenze di Pietro Lombardo, già seguito da numerosissimi compilatori (tra cui il più illustre agli occhi del nostro frate risulta certamente Tommaso d’Aquino con la sua Summa Theo- logiae), l’ordine in cui si propone la materia rende il significato morale del testo, così come è il giusto accostamento delle auctoritates a far trasparire le varie sfumature da assegnare ai precetti elencati. In questo senso, non è un problema per Bartolomeo (come per i suoi maestri) affiancare due citazio- ni in cui si esprime fondamentalmente lo stesso concetto, a maggior ragione se a presentarlo sono due autori apparentemente distanti. Al capitolo III.1, ad esempio, sono avvicinati Ambrogio e Cicerone perché entrambi citano la capacità di Scipione di “abitare seco”, cioè di meditare in solitudine.

33Si veda ad esempio del capitolo XVI.4, occupato interamente da citazioni del De

Beneficiis senecano; o del XXX.5 intitolato Dei rimedi contro l’ira secondo Gregorio in cui rientra esclusivamente l’opera di Gregorio Magno.

70 IL LIBRO DEGLI AMMAESTRAMENTI DEGLI ANTICHI Nell’ordine in cui si propone la materia, nella sua precisa struttura, si trova quindi la caratteristica principale dell’opera, che ne rappresenta il fon- damento culturale e ne consente una leggibilità e trasmissione. La selezione individuata da Bartolomeo propone un canone di auctoritates che riman- da a una cultura scolastica domenicana evidentemente ben standardizzata; la gerarchia, a cui il canone è sottomesso, è condivisa e riconosciuta anche dal pubblico e dagli ambienti di produzione del testo. Infatti, nonostante la ripetitività delle sentenze e il susseguirsi ravvicinato di citazioni tratte dalla stessa opera, è difficile che la tradizione manoscritta registri salti, inter- polazioni, o inversioni dell’elenco. Bartolomeo allestisce un sistema chiuso, usando le tecniche della cultura universitaria e ecclesiastica, proponendo un testo essenziale, secco e diretto, che riflette perfettamente la tipologia del- le compilazioni domenicane. Il libro degli Ammaestramenti cerca di coprire tutti i possibili campi di applicazione della morale cristiana, attraverso le parole illustri di quegli autori che formano una cultura condivisa nella con- temporaneità del testo e, costituendo dei segni riconoscibili per il lettore, ne assicurano l’attendibilità. Tutto ciò che non rientra all’interno di questo sistema privo di vuoti, si oppone alla sua armonia ed è automaticamente

rifiutato34. Il primo ruolo della letteratura pedagogica di stampo domenica-

no è infatti proprio quello di selezionare, indicare e guidare all’interno del vastissimo mare della sapienza, nel quale è facile perdere la rotta e scadere in qualche interpretazione eterodossa. In questo senso il ruolo del maestro, e del compilatore, è di incarnare una «médiation entre ce qu’il est bon de

retenir et ce qui n’est pas nécessaire ou qui est dangereux»35.

Gli elementi che rendono possibile un’architettura così stabile sono stru- menti largamente praticati nelle raccolte compilative del XIII secolo, il cui punto di partenza esemplare, in ambito domenicano, è senz’altro lo Specu- lum maius di Vincent de Beauvais. Il frate predicatore realizza, dirigendo un atélier presso il convento di Saint-Jacques, un’operazione estremamente con- sapevole, espressa con lucidità nel Libellus apologeticus, prologo dell’immensa enciclopedia domenicana: il compilatore si autodefinisce actor e si propone

34

Zumthor 1972. Nel primo capitolo del suo trattato, il critico descrive il testo

medievale come un prodotto della storia, che genera a sua volta una nuova storicità, e nel quale «la pensée se réflechit dans un univers sans vides, où chaque élément assume la fonction, dont on se demande à peine comment elle s’harmonise avec les autres» (p. 48).

35

2.2. L’uso delle fonti 71 di rispondere a un’esigenza di messa a punto di uno strumento fondamen-

tale per la societas domenicana, e cioè una «bibliotehèque portative»36 di

tutto il sapere scolastico, su cui l’Ordine si fonda e che è indispensabile per

la predicazione dell’ortodossia37. Per Vincent de Beauvais, reso portavoce

dell’Ordine, è essenziale affermare che la sapienza a cui riferirsi non è più esclusivamente quella canonica e ecclesiastica, ma anche quella pagana filo- sofica e poetica, ormai acquisizione imprescindibile per l’interpretazione delle Scritture e quindi della realtà. Come sostiene Paulmier-Foucart, Vincent de

Beauvais attua una vera e propria «prise de position»38 dimostrando la sua

consapevolezza nel proporre un nuovo ordo dignitatis delle auctoritates39.

Le dichiarazioni del Libellus apologeticus sono solidamente acquisite al momento della stesura degli Ammaestramenti, e si sono consolidate e ag- giornate durante tutta la seconda metà del XIII secolo, principalmente con l’attività di Tommaso d’Aquino. Durante questo periodo, l’Ordine domeni- cano continuerà a produrre summae, raccolte e compilazioni per sopperire a tutte le esigenze dei lettori, che si rinnovano continuamente e riguardano tutti i campi del sapere, e per garantire un’interpretazione univoca della real- tà. Il percorso da seguire per la compilazione del suo manuale è quindi per Bartolomeo ben tracciato e familiare; ciò che si rivela estremamente innova- tivo e che riflette una ancora nuova esigenza a cui l’Ordine domenicano vuole rispondere, è la scelta di tradurla in volgare. Ma su questo punto si tornerà più avanti.

Non solo i vari gradi dell’ordo dignitatis elencati nello Speculum trovano corrispondenza nel modo in cui Bartolomeo organizza i vari capitoli della sua raccolta, ma anche la scelta – altra grande innovazione dello Speculum – di inserire tra le auctoritates i commentatori e gli stessi magistri domenicani, e la decisione di citare in modo univoco e preciso per evitare i fraintendi- menti dei copisti e il rischio di confondere la paternità delle sentenze. Per quest’ultimo parallelismo, è necessario specificare che la versione latina de-

36Ibid., p. 152. 37

Su Vincent de Beauvais e il suo atélier si veda Duchenne-Paulmier Foucart 1999; e la raccolta Lusignan-Paulmier Foucart 1997 con la bibliografia ivi citata.

38

Palmier-Foucart 2001, p. 148.

39Nuovo rispetto a quello del Decreto dello pseudo-Gelasio De libris recipiendis et non

recipiendis, in cui rientravano esclusivamente le autorità ecclesiastiche e non gli autori pagani. Vincent cita esplicitamente il Decreto per contestarlo nel Libellus.

72 IL LIBRO DEGLI AMMAESTRAMENTI DEGLI ANTICHI gli Ammaestramenti riporta un sistema di citazioni spesso leggermente più preciso rispetto a quella volgare, nella quale tendono a perdersi i riferimenti ai libri delle opere da cui si è tratta la sentenza. Il motivo sta sicuramente nel tipo di pubblico che legge la raccolta: una ricezione latina del testo pre- vede dei destinatari per la maggior parte interni all’ambiente scolastico, che possono comprendere anche la fonte diretta, e che leggono il testo per motivi di studio e ne fanno quindi un uso attivo; il pubblico volgare, per quanto colto, risulta un destinatario passivo, che percepisce il testo come completo nella sua forma di raccolta e che ha bisogno di un opuscolo di orientamento al

comportamento moralmente corretto40, senza avere la necessità di recuperare

l’originale della fonte.

Il ruolo del compilatore Architettando il testo secondo le tecniche delle

raccolte compilative tipiche della cultura scolastica, e specialmente di quel- la domenicana, Bartolomeo si arroga il ruolo di mediatore di tale cultura, non solo nei confronti della sua stessa comunità ma scegliendo anche di per- metterne la ricezione da parte di un pubblico laico. Ma qual è il grado di consapevolezza di un’operazione del genere? In risposta a questa domanda, salta immediatamente all’occhio la definizione di «autore» presente all’inter- no dell’elenco di sententiae degli Ammaestramenti ; l’espressione fa la sua comparsa sin dal primo capitolo della prima distinzione, inizialmente con la

formula «autore di questo libro» per poi restare semplicemente «autore»41.

Gli interventi di Bartolomeo sono continui lungo tutto il testo e hanno un’in- cidenza, piuttosto importante, di 91 occorrenze sulle oltre 1400 citazioni che

compongono gli Ammaestramenti42. Confrontando la traduzione con due co-

dici di controllo per il testo latino, si vede che il lemma «autore» corrisponde

a auctor nel manoscritto riccardiano e a autor nel manoscritto viennese43.

40

Ancora in Rouse 1974 un’esemplificazione del cambiamento del sistema di citazioni nel corso del XIII secolo, ma che può essere applicato a maggior ragione al nostro caso.

41Rispetto ai manoscritti latini presi in considerazione per il confronto della traduzione, sembrerebbe che «di questo libro» sia un’aggiunta esplicativa presente solo nella versione volgare.

42Il numero non è irrilevante, se si considera che, ad esempio, Cicerone è citato 82 volte, Aristotele 91, e l’Antico Testamento 97.

43Si tratta dei codici 793 della biblioteca Riccardiana (XV sec.) e 902 della Osterrische

National bibliothek eletti come principali codici di controllo per verificare la varia lectio latina (per quanto parziale) rispetto al testo dell’edizione Nannucci 1848. Il procedimen-

2.2. L’uso delle fonti 73 La sfumatura semantica tra i due termini, e tra questi e la forma actor è molto più polarizzata in latino rispetto a quanto non sia in volgare, dove

tutte e tre le forme confluiscono nel generico autore44. La differenza, definita

chiaramente da Chénu45, si produce nel corso del Medioevo e, nonostante la

continua confusione tra i due lemmi nelle tradizioni manoscritte, è percepita come una distanza di cui bisogna sottolineare la portata sostanziale e non puramente grafica. Auctor, derivato di augeo, indica colui che realizza un’o- pera precisa (tra cui un’opera letteraria) e a cui si riconosce un’autorità e un’autenticità (concetto, quest’ultimo, da cui scaturisce anche il lemma au- thor attestato nel latino medievale); actor, derivato invece di ago, indica più genericamente qualcuno che compie una qualsiasi azione, non specificamente riferita a un’opera artistica. Il ruolo di un compilatore, per quanto illustre è quindi quello di actor, responsabile dell’architettura dell’opera, distinto cer- tamente dal ruolo del copista, ma a cui non è attribuita la responsabilità del

significato delle parole e la loro garanzia di autenticità46. Proprio come actor,

infatti, si definisce Vincent de Beauvais nel suo Libellus apologeticus, sottoli- neando appunto che «ex meo ingenio pauca, et quasi nulla addidi. Ipsorum

igitur est auctoritate, meum autem sola partium ordinatione»47.

Sembrerebbe, inoltre, che l’affermazione dell’identità del compilatore, nel corso del XIII secolo, tenda a esser passata sotto silenzio. Polo de Beaulieu mette in luce come, in una serie di prologhi di raccolte di exempla allestite da rappresentanti degli ordini religiosi tra l’XI e il XV secolo, non compaia il nome del compilatore e che esso tenda a non definirsi in quanto compila- tor, actor o auctor. Nella totalità dei 18 prologhi presi in esame, i lemmi auctor e compilator compaiono una sola volta. La condivisione di un atteg- giamento di umiltà tra le figure ecclesiastiche che procedono a un compito

to sarà applicato ogni qual volta si rivela necessario un confronto con la versione latina dell’opera. Per la giustificazione della scelta dei due codici si veda la Nota al Testo. In appendice è disponibile una descrizione codicologica dei due manoscritti.

44La forma attore, largamente attestata anche con il significato di chi crea un’opera

letteraria, è una forma linguistica con dittongo ridotto derivata comunque dal latino auctor. 45

Chénu 1926.

46Sull’importanza dell’autenticità nella cultura scolastica e universitaria del basso me-

dioevo si veda anche Minnis 1988. Lo studioso sottolinea come il fenomeno delle false attribuzioni dipenda in gran parte dell’esigenza di riconoscerne l’antichità e l’autenticità come garanzia di valore intrinseco.

47

74 IL LIBRO DEGLI AMMAESTRAMENTI DEGLI ANTICHI di servizio alla loro comunità, e che sembra essere molto praticata nel corso del XIII secolo, e specialmente nell’Ordine Francescano, non è soltanto un artificio retorico, ma corrisponde anche a un’ulteriore espressione dell’usus pauper, che evidentemente prevede una rinuncia anche alla proprietà intel-

lettuale48. A fare eccezione nella tendenza al silenzio dell’identità, sono le

compilazioni di ambiente domenicano, e sembra che proprio dall’Ordine dei Predicatori (su imitazione di quello cistercense) ritorni a sentirsi un’esigenza

del riconoscimento della paternità della compilazione della raccolta49.

Rispetto al quadro appena delineato sembrerebbe che la scelta di Bar- tolomeo sia in netto avanzamento e che egli non si metta in secondo piano ma si proclami, invece, auctor della raccolta e si inserisca a tutti gli effetti nella gerarchia delle auctoritates, e nemmeno nel grado più basso, in quanto l’incidenza dei suoi interventi supera quella di autori cardine della cultura scolastica. Se si allarga lo sguardo alla tradizione manoscritta, la sensazione di grande centralità della figura dell’autore è confermata dalla presentazione estremamente elegante dell’opera nei suoi codici antiquiores in cui campeggia l’immagine di Bartolomeo tra i savi antichi, e quella del frate che insegna di fronte a una platea. Nelle rubriche di apertura e chiusura del testo, è sempre dichiarato il nome del «savio maestro e frate Bartolomeo da San Concor-

dio»50, e si precisa unitariamente in tutta la tradizione che il testo è stato da

lui «fatto, composto e volgarezzato» (in latino si trova compilatus o editus). E in effetti in quest’ottica si sono orientate le considerazioni della critica del secolo scorso, che giunge anche a pubblicare, in forma di estratti, gli inter-

venti di Bartolomeo come caratteristici della sua autorialità51. Ma prima

di attribuire una consapevolezza eccessiva e la responsabilità di una impor- tante inversione di tendenza all’autorialità degli Ammaestramenti conviene esaminare sistematicamente i vari interventi dell’autore nel testo e leggere attentamente il breve prologo in apertura del compendio. Nel corso dell’a- nalisi si seguiranno i parametri evidenziati da Minnis, e da Polo de Beaulieu per individuare la presenza di una consapevolezza della responsabilità auto-

48

Polo de Beaulieu 2001.

49Nel caso di Thomas de Cantimpré e del suo trattato Bonum universale de apibus, ad

esempio, il frate domenicano fa intendere la sua identità attraverso il riferimento ad altre opere a lui attribuite (cfr. Polo de Beaulieu 2001).

50Per l’oscillazione delle rubriche incipitarie si veda l’apparato critico. 51

2.2. L’uso delle fonti 75

riale del compositore52. Vedremo che in realtà l’attribuzione di un grado di

consapevolezza straordinario rispetto alle compilazioni coeve è da ridimen- sionare, e che l’intento di Bartolomeo è ancora quello di tenere ben separate le auctoritates dai magistri. D’altra parte la fortuna degli Ammaestramenti e la fama del loro compilatore, proprio in quanto magister, gli garantiscono il riconoscimento di un alto grado di autorevolezza.

Il prologo degli Ammaestramenti si apre, come avviene comunemente, con una citazione biblica e con un riferimento patristico ad essa collegato:

Sapientiam antiquorum exquiret sapiens. Ecclesiastici XXXIX.

Sì ccome dice Cassiodoro, lo senno humano, sed egli non è aiutato et restaurato per le cose trovate d’altrui, tosto puote mancare del suo propio. Imperò al savio s’appartiene ched e’ non sia contento di suo senno, ma studi diligientemente di cercare l’altrui. La qual cosa c’insegna chiaramente la scriptura di sopra proposta, che dice: «Sapientiam an- tiquorum exquiret sapiens». Come se apertamente dicesse che molto saviamente fa chi la sapientia degli antichi sollicitamente cerca. Ma perché la beata sapientia degli antichi inn uno piccolo libro non si potea tutta comprendere, almeno per parte – cioè alquanti loro amaestramenti – avemo curato di raccogliere in questa operetta, secondo il modo della nostra possibilità. E procederemo in questo ordine: che noi porremo imprima gl’amae- stramenti d’intorno alle cose che sono da natura, sì ccome sono le naturali dispositioni; apresso intorno a le cose che sono da nostra operatione, sì ccome sono virtudi et vitij; al di dietro diremo intorno a le cose che sono da ventura, sì ccome prosperità, aversità, et simile cose. Onde in questo libro sono quattro trattati: lo primo è delle naturali dispositioni, lo secondo di virtude, lo terço de’ viçii, lo quarto delle cose da ventura.

Il richiamo di un’auctoritas, per legittimare la scelta di procedere all’alle- stimento dell’opera, si inserisce perfettamente all’interno della consuetudine del genere letterario. Il motore che avvia la composizione è certamente l’e- sigenza didattico-pedagogica di «raccogliere», se non l’intera sapienza degli antichi, almeno «alquanti loro ammaestramenti» all’interno di una raccolta che possa fornire un orientamento al comportamento morale avallato dalle

auctoritates53.

Emerge dunque, dalla breve dichiarazione di Bartolomeo, anche al di fuo-

52

Minnis 1988; Polo de Beaulieu 2001. 53

76 IL LIBRO DEGLI AMMAESTRAMENTI DEGLI ANTICHI ri dagli artifici retorici, l’assenza di un’ambizione all’universalità: due volte la raccolta è definita con un diminutivo, «piccolo libro» (in latino libellus) e «operetta» (in latino opusculo). Se la scelta dei termini è in linea con quelli più comunemente impiegati in riferimento alle compilazioni di sententiae o di exempla, l’uso del diminutivo sembra un’idiosincrasia di Bartolomeo. In- fatti, nei diciotto prologhi analizzati da Polo de Beaulieu, e soprattutto nelle raccolte enciclopediche, come lo Speculus maius, i compendi sono definiti con i sostantivi liber, opus, tractatus, collectio. La scelta è nuova anche rispetto alle opere in volgare: il lemma «operetta» si trova attestato per la prima volta in lingua italiana proprio negli Ammaestramenti. Bartolomeo delinea dunque in modo chiaro i confini della materia che gli interessa trattare, e benché non ci sia pretesa di universalismo, all’interno del perimetro tracciato l’opera è completa e unitaria: tutti i campi possibili dell’applicazione del- la morale cristiana sono riassunti in una forma di libro agile e maneggevole che ne permette la rapida consultazione e la memorizzazione. Così come è compatto il compendio allestito, anche il prologo è asciutto e essenziale, per quanto non manchi di specificare con il verbo «raccogliere» (latino colligere) l’azione di cui è responsabile il compilatore. Anche in questo caso, la scelta lessicale ricade su quello che è a tutti gli effetti un tecnicismo per identificare il tipo di attività compiuta dal compilatore (come ad esempio coniungere, componere), e specificarne la responsabilità dell’ordinamento ma non del si- gnificato del contenuto delle sententiae, la quale spetta solo all’autenticità degli autori antichi. Come avviene nella maggioranza dei casi, Bartolomeo

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