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Autodeterminazione ed affermazione del diritto del paziente adulto e capace d

CAPITOLO 4. Affermazione del controllo del corpo: ascesa del principio del consenso

4. Autodeterminazione ed affermazione del diritto del paziente adulto e capace d

trattamento sanitario.

Il mutato atteggiamento veniva rilevato anche da Lord Walker, che dopo aver ricordato l’opinione dissenziente di Lord Scarman in Sidaway, per il quale l’autodeterminazione doveva essere considerata alla stregua di un diritto umano fondamentale, osservava che “during the twenty years which have elapsed since

Sidaway the importance of personal autonomy has been more and more widely recognised”436.

A ben vedere, è probabile che si riferisse non solo ai casi relativi al consenso informato, ma anche ad altre tipologie di decisioni particolarmente delicate e controverse. Sono sempre più diffuse, infatti, nella Medical Law inglese, situazioni di tensione tra la volontà del paziente e quella degli operatori sanitari, che con il loro “paternalismo benevolente”437, comprimono l’autonomia individuale e impediscono di compiere scelte percepite come “irrazionali”. Le

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Chester v. Afshar, per Lord Walker, §92

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corti hanno sancito l’illegittimità di questo atteggiamento, affermando la primaria importanza dell’autodeterminazione dell’individuo.

4.a. Rifiuto delle cure del paziente alla fine della vita

Le situazioni sopra menzionate si hanno nei casi di rifiuto di essenziali terapie salvavita, come le scelte compiute da donne in stato di gravidanza da cui possano discendere lesioni permanenti del nascituro o addirittura la sua morte.

Un esempio è rappresentato dal caso Re B (Adult: Refusal of Medical

Treatment)438, promosso da una donna affetta da una grave sindrome neurologica degenerativa (SLA). La malattia le rendeva progressivamente impossibile qualunque movimento e le cagionava molto dolore, lasciando però inalterate le sue facoltà mentali439. In tale patologia, la morte sopraggiunge per graduale insufficienza respiratoria.

La ricorrente, che prima di essere colpita dalla SLA era un’infermiera professionale, si trovava ormai in fase terminale e chiedeva che il respiratore artificiale che la teneva in vita venisse staccato. Di fronte al diniego da parte dei sanitari che l’assistevano ricorreva in giudizio. La Court of Appeal le accordava un piccolo risarcimento (£100), poiché i professionisti, i quali avevano rifiutato di attenersi alla sua volontà l’avevano “trattata illegalmente” (“treated [her]

unlawfully”)440. Inoltre, si osservava che l’art. 8 della CEDU imponeva ai medici di rispettare la volontà del paziente anche se ciò si fosse rivelato fatale e moralmente riprovevole. Uno dei giudici aveva addirittura affermato: “E’

certamente una persona splendida e mi perdonerà se dico (...) che se cambiasse la sua decisione, avrebbe ancora molto da offrire alla comunità nel suo complesso”.

438

[2002] EWHC 429.

439

Non esistendo alcuna cura per impedire il decorso della malattia, i pazienti si trovano immobilizzati, e nella fase terminale hanno bisogno del sostegno di un respiratore artificiale, introdotto attraverso attraverso una canula apposta alla trachea.

440

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Tuttavia, riconosceva che, essendo la Sig.ra B. capace di intendere e di volere, lei aveva il diritto “..di prendere tutte le decisioni rilevanti riguardo al trattamento

medico inclusa la decisione (...) di farsi staccare il respiratore artificiale”441. In R (ex parte Burke) v. General Medical Council442 -un caso sulla legittimità delle disposizioni delle General Medical Council Guidelines riguardo ai malati terminali- la High Court affermava che il diritto di autodeterminazione ex art. 8 CEDU includeva non solo la libertà di decidere quando e se sottoporsi a trattamenti mirati a prolungare la vita, ma anche a dare direttive su cosa si desidera che sia fatto qualora ci si trovi in stato di incoscienza. Inoltre, la Corte metteva in evidenza il fatto che la dignità del paziente rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 3 della CEDU, che vieta di sottoporre altri a trattamenti inumani e degradanti, determina l’esistenza di un diritto a morire con dignità e ad essere protetto dal trattamento non voluto (“die with dignity and to be protected from

treatment”)443.444

E’ importante notare come la Common Law inglese abbia definito un diritto a rifiutare le cure (anche tramite una direttiva anticipata di trattamento), ma non ad ottenere l’eutanasia attiva445.

441

Così Dame Elizabeth Butler-Sloss, al § 95 della sentenza. Tuttavia, la CEDU metteva in chiaro che la libertà di scelta e la tutela da “trattamenti inumani e degradanti” non può arrivare al punto di garantire un diritto a ricevere la “dolce morte” (cfr. Pretty v. UK, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, App. N. 2346/02).

442

[2004] 3 FCR 579.

443

Cfr. § 214. La Corte proseguiva osservando che, qualora il paziente fosse incapace, bisognava basarsi sul criterio del “miglior interesse” di questi e che dunque il trattamento sanitario “salva- vita” dovesse essere interrotto solo al momento in cui era definitivamente entrato in uno stato di coma ed era giunto ad uno stadio per cui il trattamento medesimo non avrebbe fatto altro che prolungarne di poco la vita, apportando scarsi benefici.

444

§ 80. La Corte definiva altresì i diritti previsti dagli artt. 3 ed 8 come “fundamental rights”, asserendo che la loro violazione avrebbe potuto portare a cospicui risarcimenti. Tuttavia, in appello (cfr. B (on the Application of Burke) v GMC ([2006] QB 273) la Corte rivedeva parzialmente questo ragionamento. Sosteneva infatti che l’esistenza dei diritti in questione era già stata affermata dalla Common Law; non era quindi necessario fare riferimento ai diritti affermati nella CEDU. Il favore verso l’autodeterminazione è stato ribadito anche dal Mental Capacity Act (2005). Cfr. infra, paragrafo successivo.

445

Il medico non può infatti essere obbligato a somministrare cure che non ritenga siano nel miglior interesse del paziente. Cfr. B (on the Application of Burke) v GMC ([2006] QB 273), §55:

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4.b. Rifiuto delle cure e stato di gravidanza

L’atteggiamento delle Corti è stato piuttosto cauto quando si è trattato di affermare il diritto di autodeterminazione di donne in stato di gravidanza, le cui decisioni “avventate” rischiavano di compromettere tanto la loro stessa vita quanto quella del feto. Sebbene le corti abbiano affermato questo diritto, vi sono state alcune oscillazioni ed esitazioni nella giurisprudenza.

Si fa riferimento, in particolare, alle pronunce relative ai “cesarei ordinati dalle Corti” o “cesarei coattivi” (“enforced caesareans”), in cui le Corti hanno occasionalmente dichiarato le partorienti “temporaneamente incapaci di intendere e di volere”, piuttosto che accettare l’esito di una decisione che avrebbe messo a repentaglio la vita del nascituro o della madre medesima, oppure entrambe.

Ciò è avvenuto, ad esempio, in Re S (Adult: Refusal of Medical

Treatment)446, Re T (Adult: Refusal of Medical Treatment)447, Norfolk and

Norwich v. W448, Re MB 449 and Rochdale v. C450, in cui le Corti hanno ordinato di

“…a patient cannot demand that a doctor administer a treatment which the doctor considers it is adverse to his own clinical needs…”. Cfr. anche infra, nel prossimo paragrafo.

446

[1993] Fam 123. In questa sentenza, il giudice ordinava la dichiarazione di incapacità di intendere e di volere nei confronti di una donna, che rifiutava il cesareo per motivi religiosi, in quanto apparteneva al movimento dei c.d. “Born Again Christians”, sostenitori del ricorso a metodi naturali nella medicina. Il giudice constatava che il marito era d’accordo con la scelta della donna di rifiutare il cesareo, e che riteneva che i due fossero “sincere in their beliefs”. Ciononostante, vista la gravità della situazione clinica, il giudice autorizzava l’intervento, rilevando che alcune corti statunitensi avevano seguito questa impostazione (essendo il movimento religioso in questione molto diffuso negli USA).

447

[1992] All ER 649.

448

[1996] 2 FLR 613.

449

[1997] Fam Law 542. In questo caso, le ragioni del rifiuto erano legate ad una fobia delle flebo e degli aghi, che impedivano alla donna di consentire al trattamento necessario per procedere al cesareo. Tuttavia, la donna si dichiarava felice dell’esito del parto, una volta che il cesareo era stato (coattivamente) eseguito. La Corte concludeva che la fobia aveva determinato una temporanea incapacità della donna, e che giustamente i medici avevano usato la forza per effettuare un intervento che, comunque, era nel “best interest” della paziente.

450

[1997] 2 FCR 274. In questo caso, il rifiuto era dovuto al fatto che la paziente si era già sottoposta, in passato, ad un cesareo. Il trauma subito durante tale esperienza la aveva indotta rifiutare di sottoporsi all’intervento.

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eseguire un cesareo, o parti con forcipe, contro la volontà della donna451. Queste decisioni sono state duramente criticate, poiché il paternalismo delle Corti non può arrivare al punto di abusare delle norme in materia di incapacità per aggirare decisioni eticamente discutibili452. In altre parole, l’atteggiamento della Corte può essere sintetizzato come segue: “se rifiuti, devi essere necessariamente

incapace”453.

Tuttavia, in St George’s Healthcare NHS Trust v. S454, le Corti hanno cominciato a cambiare atteggiamento in merito, dando prioritaria importanza all’autonomia delle donne. Perciò, anche quando, da parte di una gestante capace di intendere e di volere, vi sia il rifiuto a sottoporsi ad un trattamento medico, anche se questo rifiuto è “illogico” in quanto pericoloso per lei e per il feto, non può essere aggirato455. Se ciò avviene, la paziente ha diritto ad essere risarcita.

Pertanto sembra che, dalla giurisprudenza relativa ai “cesarei coattivi” e al rifiuto di trattamenti necessari a mantenere il paziente in vita, l’autonomia si stia facendo strada nella Common Law britannica. Ciononostante, il basso ammontare di alcuni risarcimenti (£100 in R v General Medical Council e in St George NHS

Trust v S) la dice lunga su quale sia, per ora, il vero atteggiamento delle corti

rispetto alle decisioni considerate irragionevoli delle pazienti. Si tratta tuttavia di un passo importante per quanto attiene la “ricognizione” del diritto da parte delle corti.

451

Cfr. note precedenti per alcuni esempi sui motivi del rifiuto.

452

Ad esempio, vedi Celia Wells: “On the outside looking in: perspectives on enforced Caesareans”, in S. Sheldon and M. Thompson, “Feminist perspectives on Health Care Law”, London-Sydney 1998, cap. 13.

453

Celia Wells, cit, pag. 243.

454

[1998] All ER 673.

455

Il principio stabilito in St. George veniva anche seguito in Re B (vedi supra, paragrafo precedente).

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